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TRIBUNALE DI VERONA RESPONSABILITA’ PROMOTORI FINANZIARI : Somma per investimento non versata

TRIBUNALE DI VERONA RESPONSABILITA’ PROMOTORI FINANZIARI : Somma per investimento non versata

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Nel secondo caso, che qui interessa, nel quale tale collegamento e’ gia’, obiettivamente, nei fatti, la colpa del danneggiato sara’ apprezzabile in presenza di un coinvolgimento soggettivo del danneggiato ben piu’ marcato; la credulita’ del danneggiato va in altre parole diversamente ponderata, in detta ipotesi, in considerazione della giustificazione che, almeno in parte, ne puo’ derivare proprio dall’inserimento del preposto nell’organizzazione dell’impresa preponente (v. gia’, per tali rilievi, Cass. n. 857 del 2020, cit.).

FATTO GRAVE CONCLUSIONI DELLA CORTE

Emerge infatti che il (OMISSIS) – sebbene non avesse la qualifica di agente, ne’ di dipendente della societa’ di assicurazioni – operasse tuttavia pur sempre nell’interesse di questa quale “segnalatore di clienti”, con l’autorizzazione all’incasso di premi non superiori a Euro 1.500.

Sussisteva dunque, tra la societa’ e il (OMISSIS), un rapporto che, ancorche’ non di lavoro subordinato ne’ di agenzia, tuttavia lo legittimava a trattare con potenziali clienti della compagnia, in nome e a vantaggio della stessa, e ad incassarne anche somme sia pure di importo limitato.

Il che e’ quanto basta, alla luce della richiamata giurisprudenza, a configurare la responsabilita’ oggettiva e indiretta della societa’ ex articolo 2049 c.c., la quale, giova ribadire, trova la sua ragion d’essere, per un verso, nel fatto che l’agire del promotore e’ uno degli strumenti dei quali l’intermediario si avvale nell’organizzazione della propria impresa, traendone benefici ai quali e’ ragionevole far corrispondere i rischi, secondo l’antica regola cuius commoda eius et incommoda; per altro verso, e in termini piu’ specifici, nell’esigenza di offrire una adeguata garanzia ai destinatari delle offerte fuori sede loro rivolte per il tramite del promotore, giacche’ appunto per le caratteristiche di questo genere di offerte la buona fede dei clienti puo’ piu’ facilmente esserne sorpresa e aggirata (v. Cass. Sez. U. n. 13246 del 2019, in motivazione § 24; ma v. gia’, ex multis, Cass. n. 1741 del 2011; Cass. 07/04/2006, n. 8229).

RISPARMIATORI TRUFFATI
avvocato esperto bOlogna

 

L’avere il promotore/segnalatore incassato somme eccedenti il limite della conferitagli autorizzazione costituisce, infatti, condotta, bensi’ abusiva, ma pur sempre in continuita’ al potere conferitogli, tale per cui, da un lato, quest’ultimo rimane premessa causalmente efficiente di quella condotta e, d’altro, il suo abuso costituisce evenienza prevedibile e suscettibile di essere prevenuta attraverso opportuna attivita’ di organizzazione e vigilanza.

  1. La sentenza impugnata ha come detto applicato una erronea e piu’ restrittiva regola di giudizio, non cogliendo appieno la ratio e la portata della norma codicistica, come interpretata dalla ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, e pervenendo di conseguenza ad una errata qualificazione della fattispecie.

Tale errore si riverbera anche nel rilievo attribuito alla condotta dell’investitore/danneggiato, ritenuta espressiva di colpevole buona fede e per cio’ solo idonea ad escludere la responsabilita’ della convenuta/appellata (in quanto rapportata alla diversa fattispecie di responsabilita’ della societa’ per avere colpevolmente ingenerato l’affidamento del terzo).

 

 

era risultato che il (OMISSIS) non fosse legato da alcun rapporto con la societa’ d’assicurazioni (ne’ di agenzia, ne’ di lavoro subordinato), ma operasse in proprio quale segnalatore di clienti “non autorizzato in ogni caso a raccogliere da questi somme superiori a Euro 1.500” e che, pertanto, la responsabilita’ della convenuta poteva configurarsi solo alla duplice condizione della buona fede del terzo e di una colpa dell’apparente preponente idonea ad ingenerarne l’affidamento, ha negato potesse ravvisarsi la prima di tali condizioni, avuto riguardo: alla mancanza di quietanze (a fronte peraltro del versamento della somma in contanti); alla diversita’ delle modalita’ di perfezionamento dell’investimento rispetto a quelle, piu’ formali e documentalmente riscontrate, seguite in precedenza.

 

 

Ne discende la necessita’ di un diverso metro di ponderazione della colpa del danneggiato.

Nel primo caso (affidamento incolpevole) rilevera’ la mancanza della diligenza media esigibile, avuto riguardo al contesto sociale e culturale di riferimento, nel discernere l’inesistenza di alcun collegamento tra l’apparente preposto e l’ente.

Nel secondo caso, che qui interessa, nel quale tale collegamento e’ gia’, obiettivamente, nei fatti, la colpa del danneggiato sara’ apprezzabile in presenza di un coinvolgimento soggettivo del danneggiato ben piu’ marcato; la credulita’ del danneggiato va in altre parole diversamente ponderata, in detta ipotesi, in considerazione della giustificazione che, almeno in parte, ne puo’ derivare proprio dall’inserimento del preposto nell’organizzazione dell’impresa preponente (v. gia’, per tali rilievi, Cass. n. 857 del 2020, cit.).

  1. In tal senso questa Corte ha gia’ piu’ volte affermato che, nella prospettiva qualificatoria di cui all’articolo 2049 c.c., la condotta del terzo/investitore – non inserendosi nella situazione di potenzialita’ dannosa determinata dal contegno della preponente, ma appartenendo ad una serie eziologica diversa e determinante dell’evento – puo’ giungere a interrompere il nesso causale solo allorche’ gli fosse chiaramente percepibile che la condotta del preposto si poneva in assenza o al di fuori del rapporto con l’intermediario ovvero fosse consapevolmente coinvolto nell’elusione della disciplina legale posta in essere dal promotore finanziario o ancora quando avesse prestato acquiescenza all’irregolare condotta del preposto: acquiescenza desunta dal numero o dalla ripetizione delle operazioni poste in essere con modalita’ irregolari, dal valore complessivo delle operazioni, dall’esperienza acquisita nell’investimento di prodotti finanziari, dalla conoscenza del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e dalle sue complessive condizioni culturali e socioeconomiche (v. Cass. 22/11/2018, n. 30161; Cass. 14/12/2018, n. 32514).

In tale prospettiva, nel definire il contenuto di questa prova liberatoria la giurisprudenza di legittimita’, si e’, ad esempio, escluso che la consegna di somme di denaro da parte del cliente con modalita’ difformi da quelle cui il promotore dovrebbe attenersi possa di per se’ escludere il rapporto di necessaria occasionalita’ ed anche che possa costituire concausa del danno o determinare l’applicazione dell’articolo 1227 c.c., ai fini della riduzione del risarcimento spettante all’investitore (Cass. n. 32514 del 2018, cit.; Cass. 01/03/2016, n. 4037; 24/07/2009, n. 17393).

  1. Nel caso di specie, la Corte d’appello, sulla premessa della non configurabilita’ del presupposto del rapporto di occasionalita’ necessaria con le incombenze affidate al promotore/segnalatore, ha ritenuto di poter esaminare la fattispecie solo nella seconda prospettiva qualificatoria di cui si e’ detto, escludendone poi in concreto l’applicabilita’ per non essere apprezzabile il presupposto della buona fede del danneggiato.

E’ proprio pero’ sulla detta premessa (della non configurabilita’ di un rapporto di occasionalita’ necessaria) che si situa l’errore di diritto in cui e’ incorsa la Corte di merito, consistito propriamente in una erronea interpretazione della norma di cui all’articolo 2049 c.c..

Emerge infatti che il (OMISSIS) – sebbene non avesse la qualifica di agente, ne’ di dipendente della societa’ di assicurazioni – operasse tuttavia pur sempre nell’interesse di questa quale “segnalatore di clienti”, con l’autorizzazione all’incasso di premi non superiori a Euro 1.500.

Sussisteva dunque, tra la societa’ e il (OMISSIS), un rapporto che, ancorche’ non di lavoro subordinato ne’ di agenzia, tuttavia lo legittimava a trattare con potenziali clienti della compagnia, in nome e a vantaggio della stessa, e ad incassarne anche somme sia pure di importo limitato.

Il che e’ quanto basta, alla luce della richiamata giurisprudenza, a configurare la responsabilita’ oggettiva e indiretta della societa’ ex articolo 2049 c.c., la quale, giova ribadire, trova la sua ragion d’essere, per un verso, nel fatto che l’agire del promotore e’ uno degli strumenti dei quali l’intermediario si avvale nell’organizzazione della propria impresa, traendone benefici ai quali e’ ragionevole far corrispondere i rischi, secondo l’antica regola cuius commoda eius et incommoda; per altro verso, e in termini piu’ specifici, nell’esigenza di offrire una adeguata garanzia ai destinatari delle offerte fuori sede loro rivolte per il tramite del promotore, giacche’ appunto per le caratteristiche di questo genere di offerte la buona fede dei clienti puo’ piu’ facilmente esserne sorpresa e aggirata (v. Cass. Sez. U. n. 13246 del 2019, in motivazione § 24; ma v. gia’, ex multis, Cass. n. 1741 del 2011; Cass. 07/04/2006, n. 8229).

L’avere il promotore/segnalatore incassato somme eccedenti il limite della conferitagli autorizzazione costituisce, infatti, condotta, bensi’ abusiva, ma pur sempre in continuita’ al potere conferitogli, tale per cui, da un lato, quest’ultimo rimane premessa causalmente efficiente di quella condotta e, d’altro, il suo abuso costituisce evenienza prevedibile e suscettibile di essere prevenuta attraverso opportuna attivita’ di organizzazione e vigilanza.

 

 

Responsabilità civile – Banca/assicurazione – Fatto illecito del promotore finanziario – Somma per investimento non versata – Responsabilità della compagnia – Potere di supremazia e direzione – Affidamento del terzo danneggiato

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

ha pronunciato la seguente:


ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23426/2018 R.G. proposto da:

(OMISSIS), rappresentato e difeso dagli Avv.ti (OMISSIS), (OMISSIS),e (OMISSIS), con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio degli Avv.ti (OMISSIS), e (OMISSIS);

– controricorrente –

e nei confronti di:

(OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, n. 187/2018 depositata il 29 gennaio 2018;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 21 ottobre 2020 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

RILEVATO IN FATTO

(OMISSIS) convenne in giudizio avanti il Tribunale di Verona (OMISSIS) S.p.a. chiedendone la condanna, ai sensi dell’articolo 2049 c.c., al pagamento della somma di Euro 31.500.

Espose di avere consegnato tale somma a (OMISSIS) conosciuto sin dal 2002 quale collaboratore, agente, consulente, dipendente della convenuta – perche’ fosse destinata all’adeguamento di strumenti assicurativi e di avere, pero’, successivamente appreso, da altro collaboratore di (OMISSIS) S.p.a., che essa non era stata effettivamente versata alla societa’, ne’ tanto meno destinata all’investimento promesso.

Esteso il contraddittorio nei confronti del (OMISSIS), chiamato in causa dalla convenuta, ma rimasto contumace, il Tribunale rigetto’ la domanda, ritenendo non dimostrato l’effettivo esborso della detta somma, stante l’inammissibilita’, ex articoli 2721 e 2726 c.c., della prova orale a tal fine dedotta.

  1. Tale decisione e’ stata confermata dalla Corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, sebbene sulla base di diversa motivazione.

Qualificata, infatti, la domanda come diretta a far valere la responsabilita’ extracontrattuale della convenuta ai sensi dell’articolo 2049 c.c., ha rilevato che la stessa andava rigettata per l’assorbente ragione della insussistenza nel caso concreto degli elementi, individuati dalla giurisprudenza di legittimita’ (con specifico riferimento all’arresto di Cass. 04/11/2014, n. 23448), necessari a fondare tale responsabilita’.

Posto infatti che, nel caso di specie, era risultato che il (OMISSIS) non fosse legato da alcun rapporto con la societa’ d’assicurazioni (ne’ di agenzia, ne’ di lavoro subordinato), ma operasse in proprio quale segnalatore di clienti “non autorizzato in ogni caso a raccogliere da questi somme superiori a Euro 1.500” e che, pertanto, la responsabilita’ della convenuta poteva configurarsi solo alla duplice condizione della buona fede del terzo e di una colpa dell’apparente preponente idonea ad ingenerarne l’affidamento, ha negato potesse ravvisarsi la prima di tali condizioni, avuto riguardo: alla mancanza di quietanze (a fronte peraltro del versamento della somma in contanti); alla diversita’ delle modalita’ di perfezionamento dell’investimento rispetto a quelle, piu’ formali e documentalmente riscontrate, seguite in precedenza.

  1. Avverso tale decisione (OMISSIS) propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi; vi resiste (OMISSIS) S.p.a. depositando controricorso.

L’altro intimato, (OMISSIS) (rimasto contumace anche in appello), non svolge difese nella presente sede.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “motivazione apparente e/o irriducibilmente contraddittoria e/o perplessa o incomprensibile in merito alla statuizione di estraneita’ di (OMISSIS) alla struttura organizzativa di (OMISSIS)”.

Rileva che tale valutazione e’ contraddetta dall’affermazione (pagg. 13 – 14 della sentenza) che il (OMISSIS) aveva il potere di riscuotere per conto di (OMISSIS) i premi non superiori ad Euro 1.500; circostanza – soggiunge – mai contestata nemmeno da (OMISSIS) e rilevante ai fini di causa dal momento che, se il (OMISSIS) fosse stato mero segnalatore e non avesse potuto riscuotere i premi, nessun danno si sarebbe verosimilmente verificato.

  1. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia inoltre, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli articoli 2094 e 2222 c.c., “sull’impossibilita’ di configurare come autonomo il rapporto tra (OMISSIS) e (OMISSIS)”.

Sostiene che l’affermazione che il (OMISSIS) fosse un mero segnalatore di clienti, oltre ad essere sorretta da motivazione meramente apparente e/o contraddittoria, e’ comunque errata in diritto atteso che, secondo l’interpretazione giurisprudenziale, perche’ possa configurarsi la responsabilita’ del preponente ex articolo 2049 c.c., non e’ necessario che il rapporto datore di lavoro/commesso sia di tipo subordinato, bastando anche un “inserimento temporaneo o occasionale nell’organizzazione aziendale” ovvero che “le mansioni in concreto demandate abbiano facilitato la commissione dell’illecito e del danno” o ancora un rapporto di mera preposizione.

Rapporto questo, sostiene, ravvisabile nella specie in ragione dell’accertata autorizzazione all’incasso di somme sino ad Euro 1.500.

  1. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’erronea mancata applicazione dell’articolo 2049 c.c..

Sostiene, in sintesi, che la preposizione rilevante ai sensi dell’articolo 2049 c.c., puo’ derivare anche da un rapporto di fatto e che non sono essenziali ne’ la continuita’, ne’ l’onerosita’ del rapporto; che e’ piuttosto sufficiente l’astratta possibilita’ di esercitare un potere di supremazia o di direzione, non essendo necessario l’esercizio effettivo di quel potere.

  1. Con il quarto motivo, infine, il ricorrente denuncia, in subordine, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 1189 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto insussistenti i presupposti (condotta colpevole idonea ad ingenerare l’affidamento del terzo danneggiato e buona fede di quest’ultimo) per la configurabilita’ della responsabilita’ della convenuta pur in assenza di rapporto alcuno di preposizione con il (OMISSIS).

Sostiene che il primo di tali presupposti era desumibile dalla mancata vigilanza sull’operato del (OMISSIS), effettuata solo con colpevole ritardo.

Quanto al secondo rileva che le prove acquisite dimostravano l’esistenza di una condotta del (OMISSIS) di consistenza e durata tale da ingenerare nel solvens una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realta’ dei poteri rappresentativi dell’accipiens.

Segnala, infine, la necessita’ di acquisire, nell’auspicato giudizio di rinvio, la sentenza del Tribunale di Verona, sezione penale, in data 22/10/2015 che, nel condannare il (OMISSIS) per i medesimi fatti, ha affermato che il reato e’ aggravato per essere stato commesso in ragione del rapporto di lavoro intercorrente con (OMISSIS) e ha inoltre considerato quale circostanza attenuante l’avere l’imputato ammesso i fatti, tra cui l’avere sottratto all’ (OMISSIS) la somma di Euro 31.500.

  1. Il primo motivo e’ inammissibile.

Occorre rammentare che, come questa Corte ha piu’ volte chiarito, il vizio di motivazione mancante o apparente, causa di nullita’ della sentenza per violazione dei doveri decisori e, dunque, per error in procedendo ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e’ configurabile (solo) quando la motivazione, benche’ graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perche’ recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le piu’ varie, ipotetiche congetture (v. ex multis Cass. Sez. U. 03/11/2016, n. 22232; Cass. 23/05/2019, n. 13977).

Sotto tale profilo, com’e’ stato ulteriormente precisato, “e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali” (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053, che a tale patologia dell’atto ascrive oltre alla “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico” ed, appunto, al vizio di “motivazione apparente”, anche le ipotesi, a quest’ultima similari e contigue, del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e della “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, escludendo, comunque, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione).

Alla luce di tali pacifiche definizioni appare evidente che la violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, e’, nella specie, dedotta per ragioni che neppure in astratto possono considerarsi a tale vizio riconducibili.

Quel che si lamenta e’, infatti, nella sostanza, non gia’ la incomprensibilita’ della ratio decidendi (che al contrario viene rettamente intesa come volta a negare la configurabilita’ di un rapporto di committenza tra la convenuta e il (OMISSIS) rilevante agli effetti dell’articolo 2049 c.c.) ma che essa e’ erronea in diritto; incontestata la ricognizione del fatto (e anzi, come detto, posta a base della doglianza) se ne contesta solo la qualificazione giuridica, ovvero la mancata applicazione a quel fatto delle conseguenze giuridiche che si assume avrebbero invece dovuto affermarsi.

  1. Tale prospettiva censoria e’, invece, correttamente dedotta con il terzo motivo ed appare meritevole di accoglimento.

In tema di danni derivanti dalla condotta illecita del promotore di prodotti finanziari o assicurativi, la giurisprudenza di questa Corte e’ ormai ferma nel ritenere che la responsabilita’ della banca o della compagnia di assicurazioni e’ astrattamente inquadrabile quale responsabilita’ oggettiva ex articolo 2049 c.c., cioe’ quale ipotesi di responsabilita’ indiretta per il danno provocato dal proprio incaricato, in quanto agevolato o reso possibile dalle incombenze demandategli, su cui la preponente aveva la possibilita’ di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza (v. Cass. Sez. U. 16/05/2019, n. 13246; v. anche e pluribus Cass. 26/06/2019, n. 17060; 10/11/2015, n. 22956; 04/11/2014, n. 23448; 04/03/2014, n. 5020; 25/01/2011, n. 1741; 22/06/2007, n. 14578).

Per la sua configurabilita’ e’ necessario e sufficiente provare il “rapporto di occasionalita’ necessaria” tra la condotta antigiuridica posta in essere dall’agente e le incombenze che gli erano state affidate dal preponente, nel senso che l’incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l’evento dannoso, anche se il dipendente (o, comunque il collaboratore dell’imprenditore) abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purche’ sempre nell’ambito dell’incarico affidatogli.

6.1. Una tale nozione – come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U. n. 13246 del 2019, cit., in motivazione, §§ 46-51) – vale a descrivere null’altro che “una peculiare specie di relazione di causalita’”, da valutarsi alla stregua del criterio di regolarita’ causale con il quale e’ declinato in ambito civile il principio di equivalenza causale di cui all’articolo 41 cpv. c.p., tale per cui “la verificazione del danno-conseguenza non sarebbe stata possibile senza l’esercizio dei poteri conferiti da altri, che assurge ad antecedente necessario anche se non sufficiente”.

Deve, dunque, trattarsi di una “sequenza tra premesse e conseguenze… rigorosa e riferita a quelle tra queste che appaiano, con giudizio controfattuale di oggettivizzazione ex ante della probabilita’ o di regolarita’ causale, come sviluppo non anomalo, anche se implicante violazioni o deviazioni od eccessi in quanto anch’esse oggettivamente prevenibili, di attivita’ rese possibili solo da quelle funzioni, attribuzioni o poteri.

“In tanto puo’ giustificarsi, infatti, la scelta legislativa di far carico al preponente degli effetti delle attivita’ compiute dai preposti, in quanto egli possa raffigurarsi ex ante quali questi possano essere e possa prevenirli o tenerli in adeguata considerazione nell’organizzazione della propria attivita’ quali componenti potenzialmente pregiudizievoli: e quindi in quanto possa da lui esigersi di prefigurarsi gli sviluppi che possono avere le regolari (in quanto non anomale od oggettivamente improbabili) sequenze causali dell’estrinsecazione dei poteri (o funzioni o attribuzioni) conferiti al suo preposto, tra i quali rientra la violazione aperta del dovere di ufficio la cui cura e’ stata affidata” (Cass. Sez. U. sent. cit. §§ 54, 56).

Vale, per converso, anche in tale ambito, l’elisione del nesso causale in ipotesi di fatto naturale o del terzo o del danneggiato che sia di per se’ solo idoneo a determinare l’evento e trova altresi’ applicazione la regola generale dell’articolo 1227 c.c., in tema di concorso del fatto colposo del danneggiato (su cui v., tra le altre, in tema di responsabilita’ per danno da cose in custodia, Cass. ord. nn. 2478, 2480 e 2482 del 2018).

6.2. Alla luce di tali premesse appare evidente che non assumono decisivo rilievo la natura e la fonte del rapporto esistente tra preponente e preposto, essendo sufficiente anche una mera collaborazione od ausiliarieta’ del preposto, nel quadro dell’organizzazione e delle finalita’ dell’impresa gestita dal preponente (v. Cass. 16/03/2010, n. 6325; v. anche Cass. 03/04/2000, n. 4005; 21/06/1999, n. 6233; 17/05/1999, n. 4790). Il fondamento della responsabilita’ ex articolo 2049 c.c., va, infatti, rinvenuto non gia’ nella formale esistenza di un rapporto di lavoro o di agenzia, ma nel rapporto effettuale che si istituisce quando per volonta’ di un soggetto (committente), altro soggetto (commesso) esplica in fatto attivita’ per di lui conto e sotto il suo potere (v. gia’ Cass. 24/05/1988, n. 3616; nello stesso senso anche Cass. 09/08/1991, n. 8668, e ancor prima, ex aliis, Cass. 02/04/1977, n. 1255); in altre parole, e’ sufficiente che l’agente sia inserito, anche se temporaneamente o occasionalmente, nell’organizzazione aziendale, ed abbia agito per conto e sotto la vigilanza dell’imprenditore (Cass. 09/11/2005, n. 21685; 09/08/2004, n. 15362; 22/03/1994, n. 2734).

Da cio’ si deduce che la preposizione puo’ derivare anche da un rapporto di fatto; che non sono essenziali ne’ la continuita’, ne’ l’onerosita’ del rapporto; e’, inoltre, sufficiente l’astratta possibilita’ di esercitare un potere di supremazia o di direzione, non essendo necessario l’esercizio effettivo di quel potere (v. in tal senso da ultimo Cass. 26/09/2019, n. 23973, che ha ritenuto sussistente la responsabilita’ dell’assicuratore per i danni conseguenti dalla condotta del sub-agente in un caso in cui, pur in assenza di alcun diretto rapporto tra gli stessi, risultava tuttavia che l’assicuratore: quale primo preponente, aveva conferito al sub-agente un autonomo e diretto potere rappresentativo; conservava un controllo diretto anche sul sub-agente; si avvaleva comunque di un’organizzazione imprenditoriale articolata in un reticolo di agenzie che operano di regola a mezzo di sub-agenti abilitati a vendere i prodotti assicurativi della preponente; v. anche in un caso del tutto analogo, Cass. 17/01/2020, n. 857).

Quanto all’ambito qui di interesse, sara’ quindi sufficiente che al promotore siano conferiti incarichi che, sia pure occasionalmente e temporaneamente, da un lato, lo legittimino a rivolgersi alla clientela per proporre prodotti finanziari o assicurativi della banca o della societa’ d’assicurazioni e che, dall’altro, prevedano per cio’ stesso un vantaggio riflesso per la compagnia. Che e’ quanto nella specie accaduto, alla stregua di quanto accertato in sentenza, come appresso sara’ meglio esposto.

  1. Costituisce, invece, ben diverso paradigma di imputazione, alternativo alla responsabilita’ (oggettiva e indiretta) ex articolo 2049 c.c., quello che puo’ condurre a ritenere la banca o la compagnia d’assicurazione responsabile del danno provocato dalla condotta illecita del sedicente promotore, pur in mancanza di rapporti di committenza di alcun tipo, in applicazione del principio dell’apparenza del diritto, quando con il proprio comportamento colposo (e, dunque, in tal caso, in forza della generale clausola aquiliana: articolo 2043 c.c.) la banca o la compagnia d’assicurazione abbia ingenerato nel cliente il legittimo affidamento che il promotore agisse nell’ambito di incombenze affidategli, purche’ in tal caso sussista la buona fede incolpevole del terzo danneggiato (vds., per tale diversa ipotesi, Cass. 04/11/2014, n. 23448, citata in sentenza).
  2. E’ bene precisare che la colpevole buona fede svolge in questa ipotesi un ruolo diverso da quello che, come sopra s’e’ detto, puo’ in astratto assumere nella prospettiva qualificatoria correlata all’articolo 2049 c.c..

Mentre nel primo caso (responsabilita’ ex articolo 2043 c.c.) essa porta ad escludere la configurabilita’ di un elemento costitutivo della responsabilita’ dell’apparente preponente, ossia l’incolpevole affidamento del terzo, nel secondo caso (responsabilita’ indiretta ex articolo 2049 c.c.) la colpa del terzo non incide sul fondamento dell’imputazione di responsabilita’ ma puo’ solo assumere rilievo di fattore all’origine di una diversa serie causale che concorre all’evento dannoso ex articolo 1227 c.c., fino eventualmente ad elidere il nesso che collega quest’ultimo al fatto del preponente.

Ne discende la necessita’ di un diverso metro di ponderazione della colpa del danneggiato.

Nel primo caso (affidamento incolpevole) rilevera’ la mancanza della diligenza media esigibile, avuto riguardo al contesto sociale e culturale di riferimento, nel discernere l’inesistenza di alcun collegamento tra l’apparente preposto e l’ente.

Nel secondo caso, che qui interessa, nel quale tale collegamento e’ gia’, obiettivamente, nei fatti, la colpa del danneggiato sara’ apprezzabile in presenza di un coinvolgimento soggettivo del danneggiato ben piu’ marcato; la credulita’ del danneggiato va in altre parole diversamente ponderata, in detta ipotesi, in considerazione della giustificazione che, almeno in parte, ne puo’ derivare proprio dall’inserimento del preposto nell’organizzazione dell’impresa preponente (v. gia’, per tali rilievi, Cass. n. 857 del 2020, cit.).

  1. In tal senso questa Corte ha gia’ piu’ volte affermato che, nella prospettiva qualificatoria di cui all’articolo 2049 c.c., la condotta del terzo/investitore – non inserendosi nella situazione di potenzialita’ dannosa determinata dal contegno della preponente, ma appartenendo ad una serie eziologica diversa e determinante dell’evento – puo’ giungere a interrompere il nesso causale solo allorche’ gli fosse chiaramente percepibile che la condotta del preposto si poneva in assenza o al di fuori del rapporto con l’intermediario ovvero fosse consapevolmente coinvolto nell’elusione della disciplina legale posta in essere dal promotore finanziario o ancora quando avesse prestato acquiescenza all’irregolare condotta del preposto: acquiescenza desunta dal numero o dalla ripetizione delle operazioni poste in essere con modalita’ irregolari, dal valore complessivo delle operazioni, dall’esperienza acquisita nell’investimento di prodotti finanziari, dalla conoscenza del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e dalle sue complessive condizioni culturali e socioeconomiche (v. Cass. 22/11/2018, n. 30161; Cass. 14/12/2018, n. 32514).

In tale prospettiva, nel definire il contenuto di questa prova liberatoria la giurisprudenza di legittimita’, si e’, ad esempio, escluso che la consegna di somme di denaro da parte del cliente con modalita’ difformi da quelle cui il promotore dovrebbe attenersi possa di per se’ escludere il rapporto di necessaria occasionalita’ ed anche che possa costituire concausa del danno o determinare l’applicazione dell’articolo 1227 c.c., ai fini della riduzione del risarcimento spettante all’investitore (Cass. n. 32514 del 2018, cit.; Cass. 01/03/2016, n. 4037; 24/07/2009, n. 17393).

  1. Nel caso di specie, la Corte d’appello, sulla premessa della non configurabilita’ del presupposto del rapporto di occasionalita’ necessaria con le incombenze affidate al promotore/segnalatore, ha ritenuto di poter esaminare la fattispecie solo nella seconda prospettiva qualificatoria di cui si e’ detto, escludendone poi in concreto l’applicabilita’ per non essere apprezzabile il presupposto della buona fede del danneggiato.

E’ proprio pero’ sulla detta premessa (della non configurabilita’ di un rapporto di occasionalita’ necessaria) che si situa l’errore di diritto in cui e’ incorsa la Corte di merito, consistito propriamente in una erronea interpretazione della norma di cui all’articolo 2049 c.c..

Emerge infatti che il (OMISSIS) – sebbene non avesse la qualifica di agente, ne’ di dipendente della societa’ di assicurazioni – operasse tuttavia pur sempre nell’interesse di questa quale “segnalatore di clienti”, con l’autorizzazione all’incasso di premi non superiori a Euro 1.500.

Sussisteva dunque, tra la societa’ e il (OMISSIS), un rapporto che, ancorche’ non di lavoro subordinato ne’ di agenzia, tuttavia lo legittimava a trattare con potenziali clienti della compagnia, in nome e a vantaggio della stessa, e ad incassarne anche somme sia pure di importo limitato.

Il che e’ quanto basta, alla luce della richiamata giurisprudenza, a configurare la responsabilita’ oggettiva e indiretta della societa’ ex articolo 2049 c.c., la quale, giova ribadire, trova la sua ragion d’essere, per un verso, nel fatto che l’agire del promotore e’ uno degli strumenti dei quali l’intermediario si avvale nell’organizzazione della propria impresa, traendone benefici ai quali e’ ragionevole far corrispondere i rischi, secondo l’antica regola cuius commoda eius et incommoda; per altro verso, e in termini piu’ specifici, nell’esigenza di offrire una adeguata garanzia ai destinatari delle offerte fuori sede loro rivolte per il tramite del promotore, giacche’ appunto per le caratteristiche di questo genere di offerte la buona fede dei clienti puo’ piu’ facilmente esserne sorpresa e aggirata (v. Cass. Sez. U. n. 13246 del 2019, in motivazione § 24; ma v. gia’, ex multis, Cass. n. 1741 del 2011; Cass. 07/04/2006, n. 8229).

L’avere il promotore/segnalatore incassato somme eccedenti il limite della conferitagli autorizzazione costituisce, infatti, condotta, bensi’ abusiva, ma pur sempre in continuita’ al potere conferitogli, tale per cui, da un lato, quest’ultimo rimane premessa causalmente efficiente di quella condotta e, d’altro, il suo abuso costituisce evenienza prevedibile e suscettibile di essere prevenuta attraverso opportuna attivita’ di organizzazione e vigilanza.

  1. La sentenza impugnata ha come detto applicato una erronea e piu’ restrittiva regola di giudizio, non cogliendo appieno la ratio e la portata della norma codicistica, come interpretata dalla ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, e pervenendo di conseguenza ad una errata qualificazione della fattispecie.

Tale errore si riverbera anche nel rilievo attribuito alla condotta dell’investitore/danneggiato, ritenuta espressiva di colpevole buona fede e per cio’ solo idonea ad escludere la responsabilita’ della convenuta/appellata (in quanto rapportata alla diversa fattispecie di responsabilita’ della societa’ per avere colpevolmente ingenerato l’affidamento del terzo).

Nella diversa prospettiva qualificatoria ex articolo 2049 c.c., invero, come detto, la condotta del danneggiato potrebbe in astratto assumere rilievo diminuente o elidente solo se e in quanto integrante fattore causale autonomo e concorrente nella determinazione del danno ex articolo 1227 c.c., comma 1, cio’ che, pero’, puo’ configurarsi in presenza di condotte che postulino la consapevolezza e la sostanziale acquiescenza dell’irregolare condotta del preposto o quanto meno la sua agevole e immediata percepibilita’ (v. supra § 8): condotte dunque ben piu’ imprudenti e azzardate di quella nella specie descritta in sentenza, siccome desumibile dalla mancanza, a fronte dell’asserito versamento delle somme, di quietanze o ricevute sottoscritte e dal rilascio di “proposte di adeguamento chiaramente prive di alcun riferimento alla posizione contrattuale sottostante”.

  1. In accoglimento del terzo motivo, assorbiti il secondo e il quarto, la sentenza va pertanto cassata, con rinvio al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il terzo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione; dichiara inammissibile il primo; assorbiti i rimanenti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.