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MODENA CASTELFRANCO EMILIA AVVOCATO ESPERTO TESTAMENTI LITI PER EREDITA’

MODENA CASTELFRANCO EMILIA AVVOCATO ESPERTO TESTAMENTI LITI PER EREDITA’

divisione ereditaria bologna

AVVOCATO SERGIO ARMAROLI BOLOGNA ESPERTO CAUSE EREDITARIE  SOLUZIONI LITI DIVISIONI EREDITARIE 

 

051 6447838   051 6447838  051 6447838

 

ATTORI SOSTENGONO CAPTAZIONE TESTAMENTO

A fondamento del ricorso hanno dedotto che la testatrice, sottoposta sin dal 2006 a misure di tutela (inizialmente amministrazione di sostegno e successivamente interdizione) -al momento della stesura- si trovava in stato di assoluta incapacità di intendere e di volere; conseguentemente, hanno chiesto dichiararsi l’apertura della successione legittima con condanna dei convenuti alla restituzione dei beni facenti parte della loro quota ereditaria, ovvero con soddisfazione in denaro. In via subordinata, hanno chiesto l’annullamento del testamento per captazione deducendo che la scheda testamentaria è stata frutto dei raggiri perpetrati dalle convenute.

RAGIONAMENTO

Passando alla domanda di annullamento del testamento per incapacità naturale, in punto di diritto, si osserva che essa postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi.

Poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, è onere di colui che impugna il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo (ex multis Cass. n. 3934/2018).

In particolare, “il giudice del merito può trarre la prova dell’incapacità del testatore dalle sue condizioni mentali, anteriori o posteriori, sulla base di una presunzione, potendo l’incapacità stessa essere dimostrata con qualsiasi mezzo di prova; conseguentemente, quando l’attore in impugnazione abbia fornito la prova di una condizione di permanente e stabile demenza nel periodo immediatamente susseguente alla redazione del testamento, poiché in tal caso la normalità presunta è l’incapacità, spetta a chi afferma la validità del testamento la prova della sua compilazione in un momento di lucido intervallo” (Cass. 26873/2019).

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Oltre al dato clinico, comunque necessario, “ai fini del giudizio in ordine alla sussistenza o meno della capacità di intendere e di volere del de cuius al momento della redazione del testamento, il giudice del merito non può ignorare il contenuto dell’atto di ultima volontà e gli elementi di valutazione da esso desumibili, in relazione alla serietà, normalità e coerenza delle relative disposizioni, nonché ai sentimenti e ai fini che risultano averle ispirate” (Cass. 8690/2019).

3.1 Nel caso di specie, il testamento olografo con il quale il de cuius ha nominato eredi universali le odierne convenute è datato 21.07.2010.

Al fine di valutare se la testatrice fosse, al momento della redazione, totalmente incapace di intendere e di volere, occorre ricostruire il quadro clinico e l’evoluzione della patologia.

– M.M. risultava sin dal 2006, quando aveva 79 anni, “affetta da sindrome involutiva cerebrale con inerente disturbo cognitivo, segnatamente della capacità mnemoniche a breve termine” come attestato dal medico curante (doc. 42 attore).

CONCLUSIONI E SENTENZA CHE DICHIARA NULLO IL TESTAMENTO E APRE ALLA SUCCESSIONE LEGITTIMA  COME CHE IL TESTAMENTO NON FOSSE MAI ESISTITO

 

1) dichiara la nullità del testamento olografo redatto da M.M., nata a F. il (…) e deceduta a Modena il 14.12.2016, datato 21.7.2010, e pubblicato il 16 dicembre 2016 (rep. (…), raccolta (…) – Notaio M.Z.);

2) dichiara aperta la successione legittima di M.M.;

3) accerta la qualità di eredi legittimi di M.M. in capo ai nipoti G.L., D.V., M.P.M., B.C., nella misura di ¼ ciascuno;

4) condanna M.P.M. e C.B., in solido, a rifondere le spese di lite del presente giudizio in favore di G.L. e D.V., che liquida nella somma complessiva di Euro 13.430,00 per compensi, Euro 648,18 per esborsi, oltre spese generali 15%, IVA e CPA come per legge.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI MODENA

PRIMA SEZIONE CIVILE

in composizione collegiale nelle persone dei magistrati:

dott. Riccardo Di Pasquale – Presidente

dott.ssa Eleonora Ramacciotti – Giudice

dott. Umberto Castagnini – Giudice Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2618/2019 promossa da:

G.L. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. BORELLI GIORGIO

D.V. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. BORELLI GIORGIO

ATTORI

contro

M.P.M. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. MANGIAFICO MASSIMO

C.B. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. GARUTI FABRIZIO

CONVENUTI

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

V.D. e L.G. hanno proposto azione di annullamento del testamento olografo datato 21.07.2010 redatto dalla zia M.M., nata a F. il (…) e deceduta a Modena il 14.12.2016, con il quale la stessa ha nominato eredi unicamente due dei quattro nipoti, odierni convenuti.

A fondamento del ricorso hanno dedotto che la testatrice, sottoposta sin dal 2006 a misure di tutela (inizialmente amministrazione di sostegno e successivamente interdizione) -al momento della stesura- si trovava in stato di assoluta incapacità di intendere e di volere; conseguentemente, hanno chiesto dichiararsi l’apertura della successione legittima con condanna dei convenuti alla restituzione dei beni facenti parte della loro quota ereditaria, ovvero con soddisfazione in denaro. In via subordinata, hanno chiesto l’annullamento del testamento per captazione deducendo che la scheda testamentaria è stata frutto dei raggiri perpetrati dalle convenute.

M.P.M. e C.B. si sono costituite in giudizio, hanno contestato gli assunti avversari e chiesto il rigetto della domanda.

Con la memoria ex art. 183, VI comma n.1 c.p.c. parte attrice ha modificato le proprie conclusioni chiedendo altresì che il testamento sia dichiarato inefficace e/o nullo anche in considerazione del fatto che il Giudice Tutelare, con decreto del 29.1.2008, aveva limitato la capacità di agire della beneficiaria per quanto concerne tutti gli atti di disposizione a titolo gratuito.

I convenuti hanno eccepito l’inammissibilità della domanda poiché nuova e comunque l’infondatezza nel merito.

La causa è stata istruita con produzioni documentali ed all’udienza del 29 ottobre 2020 è stata trattenuta in decisione.

1.La domanda di accertamento dell’inefficacia e/o nullità del testamento per incapacità legale del de cuius è infondata in quanto la limitazione della capacità di agire contenuta nel provvedimento emesso dal Giudice Tutelare, avente ad oggetto gli atti a titolo gratuito, non esclude di per sé la capacità di testare, in assenza di una espressa previsione.

Le ulteriori eccezioni di rito sollevate sono pertanto assorbite.

  1. Passando alla domanda di annullamento del testamento per incapacità naturale, in punto di diritto, si osserva che essa postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi.

Poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, è onere di colui che impugna il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo (ex multis Cass. n. 3934/2018).

In particolare, “il giudice del merito può trarre la prova dell’incapacità del testatore dalle sue condizioni mentali, anteriori o posteriori, sulla base di una presunzione, potendo l’incapacità stessa essere dimostrata con qualsiasi mezzo di prova; conseguentemente, quando l’attore in impugnazione abbia fornito la prova di una condizione di permanente e stabile demenza nel periodo immediatamente susseguente alla redazione del testamento, poiché in tal caso la normalità presunta è l’incapacità, spetta a chi afferma la validità del testamento la prova della sua compilazione in un momento di lucido intervallo” (Cass. 26873/2019).

Oltre al dato clinico, comunque necessario, “ai fini del giudizio in ordine alla sussistenza o meno della capacità di intendere e di volere del de cuius al momento della redazione del testamento, il giudice del merito non può ignorare il contenuto dell’atto di ultima volontà e gli elementi di valutazione da esso desumibili, in relazione alla serietà, normalità e coerenza delle relative disposizioni, nonché ai sentimenti e ai fini che risultano averle ispirate” (Cass. 8690/2019).

3.1 Nel caso di specie, il testamento olografo con il quale il de cuius ha nominato eredi universali le odierne convenute è datato 21.07.2010.

Al fine di valutare se la testatrice fosse, al momento della redazione, totalmente incapace di intendere e di volere, occorre ricostruire il quadro clinico e l’evoluzione della patologia.

– M.M. risultava sin dal 2006, quando aveva 79 anni, “affetta da sindrome involutiva cerebrale con inerente disturbo cognitivo, segnatamente della capacità mnemoniche a breve termine” come attestato dal medico curante (doc. 42 attore).

Ella aveva presentato personalmente, in data 13.10.2006, ricorso per la nomina di amministratore di sostegno nella quale esponeva di essere “priva della necessaria lucidità e capacità di comprendere, discernere, valutare le situazioni di vita e di lavoro che le si prospettano quotidianamente e di prendere le opportune decisioni”. Nel ricorso si dava atto che “lo stato confusionale in cui l’esponente, seppure non continuativamente, si trova, la rende facilmente suggestionabile e potenziale vittima di raggiri ed ingiustificate richieste di denaro da parte di persone e professionisti di pochi scrupoli (come peraltro successo nel recente passato)”. (doc. 1)

Con decreto del 11 dicembre 2006 (doc. 3) veniva aperta l’amministrazione di sostegno e nominato AdS l’avv. M.V..

La situazione dell’amministrata si aggravava progressivamente negli anni successivi, come dettagliatamente documentato nelle relazioni redatte dall’amministratore di sostegno e dai successivi provvedimenti del giudice tutelare.

In particolare, nella relazione del 24 gennaio 2008 (doc. 5), risalente a circa due anni e mezzo prima del testamento, è riportato che “nel corso dell’anno la situazione è assolutamente peggiorata: pur osservando momenti di lucidità, spesso però apparenti, la beneficiaria specialmente dal settembre 2007 ha evidenziato un netto peggioramento, confermatomi telefonicamente sia dal dottor F.S., medico di base della beneficiaria, sia dal dottor D.V.L., medico che la segue proprio per la patologia invalidante. Peraltro detto peggioramento risulta essere il normale decorso della malattia, che non potrà che peggiorare sempre di più”.

Tale aggravio della malattia portava il Giudice Tutelare a prevedere ulteriori limiti alla capacità di agire, non concedendo alla beneficiaria di disporre in maniera autonoma, di “tutti gli atti di disposizione a titolo gratuito o comunque senza corrispettivo del valore superiore ad Euro 200,00; per quanto concerne tutti i negozi a titolo oneroso superiori ad Euro 2.000,00; per i prelievi personali di somme dal conto corrente bancario eccedenti Euro 1.000,00 mensili, limite non applicabile nel caso di prelievo autorizzato all’amministratore di sostegno (…)”.

Nella relazione del 12 agosto 2009 (doc. 6) viene confermata, a seguito di ulteriori approfondimenti clinici, la diagnosi di demenza senile con la precisazione che “la repentina progressione…è del tutto evidente, come riconosciuto ora anche dalle parenti della beneficiaria. I momenti di lucidità appaiono veramente ridotti. Durante i miei colloqui con la beneficiaria, infatti, dopo pochi minuti l’oggetto del dialogo viene abbandonato e la beneficiaria sprofonda nel ricorso di eventi passati o di fatti che nulla hanno a che vedere con la conversazione. Peraltro la beneficiaria tende sempre ad annuire con i presenti, non riuscendo a contrastare le possibili richieste che le vengono fatte dai eventuali interlocutori diretti.”.

Nella relazione del 12 ottobre 2010 (redatta pochi mesi dopo il testamento olografo in discussione) viene dato atto di un ulteriore e brusco aggravamento della patologia: “La beneficiaria colloquia confusamente avendo perduto a causa della malattia una capacità di ragionamento lineare: il pensiero pronunciato è ripetitivo e viene immediatamente rimosso dalla memoria. Nel colloquiare la beneficiaria confonde la realtà con l’immaginazione, mischia ricordi reali con elementi irreali: peraltro chiunque in buona fede, dopo cinque minuti, di colloquio è in grado di intuire che la beneficiaria non è affatto in grado di discernere la realtà…tende sempre ad annuire con i presenti, non riuscendo a contrastare le possibili richieste che le vengono fatte da eventuali interlocutori diretti. Tale stato rende la beneficiaria assolutamente fragile e facilmente manipolabile oltre che incapace di seguire i propri interessi patrimoniali e personali”. L’abitazione “continua ad essere molto frequentata da persone che ancora si rivolgono alla beneficiaria non essendo a conoscenza o fingendo di non essere a conoscenza delle evidenti difficoltà della signora M., cercandola di convincerla a stipulare negozi giuridici di cui poi, dopo qualche minuto, nemmeno ricorda più”.

Nell’aprile 2011, la paziente veniva ricoverata presso il reparto di N.-P., V. R.. Nella diagnosi di accettazione del 13.4.2011 è riportato: “decadimento cognitivo in paziente con DDM e DP narcisistica… MMSE punteggio totale 4.4 classificazione: compromissione cognitiva grave. Disorientata nel tempo e nello spazio…”

In data 14 aprile 2011 il Procuratore della Repubblica promuoveva ricorso per l’interdizione.

Nell’ambito di tale giudizio veniva espletata CTU. Il perito incaricato dott. Gabriele Silingardi all’esito dell’esame psichico del 4 agosto 2011 rilevava che la “paziente è completamente disorientata nel tempo. Il colloquio non può essere approfondito per l’evidente compromissione cognitivi della paziente. Non si scontrano in atto elementi patologici non riconducibili alla condizione di base di grave demenza”.

Nell’elaborato peritale, depositato in data 8.2.2012, il CTU certificava che “Mattioli Maria è affetta da demenza in stato avanzato e irreversibile, necessita di assistenza continua in struttura ad alto impatto sanitario e la patologia che l’affligge è tale da azzerare totalmente e irreversibilmente la sua capacità di intendere e di volere”.

Con sentenza n. 1038/2012, depositata il 4 luglio 2012, veniva quindi pronunciata l’interdizione legale.

3.2. Ciò premesso, è pacifico che, perlomeno nell’agosto 2011 (un anno dopo la redazione del testamento), quando viene compiuto l’esame psichico da parte del CTU, dal quale emerge una “evidente compromissione cognitiva della paziente”, il de cuius fosse totalmente privo della capacità di intendere e di volere essendo la demenza “in stato avanzato ed irreversibile”, come sarà poi affermato dal perito nell’elaborato finale.

E’ altrettanto certo che l’incapacità riscontrata non era dovuta a una fatto acuto, ma rappresentava l’esito di una patologia il cui esordio risale al 2006.

Vi sono poi ulteriori elementi di natura fattuale che consentono di collocare tale condizione di totale incapacità in un momento ancor più prossimo rispetto alla redazione del testamento:

– i ricoveri presso Villa Rosa nell’aprile 2011 (9 mesi dopo la redazione del testamento) evidenziano un quadro di deterioramento cognitivo di grado severo (MMSE 4,4/30 e 6,4/30), a fronte di un punteggio soglia di 23-24;

– già il Giudice Tutelare, a seguito dell’esame della beneficiaria (compiuto il 24.3.2011), aveva evidenziato l’assenza di capacità di autodeterminazione del soggetto e la necessità di promuovere il procedimento di interdizione;

– infine, la relazione dell’amministratore di sostegno del 12 ottobre 2010, posta dal Giudice Tutelare a fondamento del provvedimento ora richiamato, tre mesi successiva alla redazione del testamento, evidenziava in maniera inequivoca, da parte di un soggetto terzo ed imparziale, che si trovava a stretto contatto con la beneficiaria, l’aggravamento delle condizioni psichiche nel corso del 2010, tanto da ritenere non più sufficiente lo strumento dell’amministrazione di sostegno.

3.3. Orbene, a fronte del breve lasso temporale intercorso tra la redazione del testamento (21.07.2010) e le certificazioni che attestano una situazione di grave deterioramento cognitivo del de cuius, in un quadro involutivo celebrale progressivamente peggiorato dal 2006 (con rilevante aggravamento accertato tra il 2010 ed il 2011), sarebbe stato onere dei convenuti dimostrare la redazione della scheda testamentaria in un momento di lucido intervallo.

3.4. Invero gli ulteriori elementi indiziari depongono tutti nel senso della totale incapacità della testatrice al momento della redazione del testamento.

  1. a) Le relazioni dell’amministratore di sostegno, immediatamente antecedenti alla redazione del testamento, evidenziano la gravità dello stadio già raggiunto dalla malattia, tanto da aver indotto il giudice tutelare (nel 2008) a limitare maggiormente la capacità di agire della beneficiaria. Nel 2009, come si legge nella relazione annuale, era già emersa “la repentina progressione” della malattia “come riconosciuto ora anche dalle parenti della beneficiaria”, tanto che “i momenti di lucidità appaiono veramente ridotti”.
  2. b) Inoltre, ulteriori elementi significativi si traggono dal contenuto del testamento e dalle modalità con cui è stato redatto.

Il testamento olografo indica quali eredi esclusivamente le nipoti M.P.M. e C.B., non contemplando gli altri due nipoti che hanno promosso l’odierno giudizio.

Se è vero che le convenute, dal 2008, quando è peggiorata la situazione di salute della zia, sono state effettivamente più presenti e questo potrebbe prima facie giustificare la loro designazione, tuttavia, ad una più approfondita disamina, tale scelta presenta profili di incoerenza rispetto alla volontà espresse dalla defunta, ai rapporti che la stessa aveva con i propri familiari ed ai sentimenti manifestati.

Il primo elemento di rilievo è il ricorso avente ad oggetto la richiesta di nomina di amministratore di sostegno, proposto dalla stessa testatrice, nella quale è riportato che ella non frequentava, se non sporadicamente, la sorella ed i quattro nipoti, e che non intendeva pertanto coinvolgerli in alcun modo nella gestione delle proprie vicende personali e di lavoro “non avendo questi mai mostrato interesse o preoccupazione per la situazione; in particolare poi con la nipote V.D. è in corso…una controversia attinente a presunte ingenti spettanze conseguenti al rapporto di lavoro subordinato”.

La distanza e la sfiducia della zia verso i nipoti era tale da aver addirittura indotto la stessa a formulare istanza, per mezzo dei propri legali, affinché fosse “autorizzata la notifica ai parenti del ricorso in forma ridotta e limitata alla prima pagina e ultima pagina non volendo portare a conoscenza dei parenti i dati relativi al proprio matrimonio”.

Seppure dalle relazioni redatte dall’amministratore di sostegno emerge una particolare avversione nei confronti della nipote D.V., tuttavia, nella relazione del 12 ottobre 2010, l’amministratore di sostegno evidenzia come la beneficiaria avesse in realtà rapporti difficili con tutti i nipoti: “come è stato confermato da amici di famiglia, dall’avvocato ricorrente, dai funzionari di banca, dai documenti rinvenuti effettivamente i rapporti tra la beneficiaria e la famiglia di origine (fratelli, sorelle, nipoti) erano in buona parte cessati totalmente nel corso degli anni passati a causa di forti diverbi…Con la famiglia della signora P.M. i rapporti si ruppero intorno al 1976 ovvero quando la beneficiaria volle porre termine al rapporto di lavoro corrente con la prima e con la madre D.B…. con la signora C.B. i rapporti si interruppero alcuni anni orsono: anche questa nipote lavorò alle dipendenze della beneficiaria per diversi anni e fu molto aiutata economicamente dalla beneficiaria, come risulta da un documento redatto di propria mano dalla signora M. e che la stessa mi consegnò insieme al proprio testamento nel 2008; anche con questa i rapporti si interruppero bruscamente. Con la signora D.V. i rapporti si interruppero alcun anni orsono, anche lei lavorò per diversi anni alle dipendenze della beneficiaria…”.

Va poi considerato che, a seguito della richiesta di revoca dell’avv. V. quale amministratore di sostegno avanzata dalle odierne convenute, l’AdS aveva provveduto a conferire direttamente con la beneficiaria al fine di verificare se effettivamente la stessa avesse espresso un tale desiderio. Nella relazione del 13 marzo 2011 (doc. 14) è riportato che “mai infatti la beneficiaria aveva mostrato dissenso e ostilità nei miei confronti ma anzi la stessa più volte aveva sempre chiesto il mio aiuto affinché i propri beni non fossero gestiti dai nipoti verso i quali aveva sempre manifestato ostilità. Negli incontri tenutisi con la beneficiaria rispettivamente il 10 febbraio 2011 e il 3 marzo 2011 quest’ultima mi confermava e chiedeva espressamente di non “lasciarla sola” ricordando che una delle nipoti le aveva chiesto di scrivere qualcosa ma di cui però non ricordava il contenuto. Sempre in tali incontri la beneficiaria mostrava nuovamente contrarietà al fatto che il proprio patrimonio fosse gestito dalle nipoti lamentandosi delle insistenze recenti di quest’ultime”.

E’ significativo quindi quanto espresso dalla testatrice pochi mesi dopo la redazione del testamento (di segno contrario rispetto alla volontà contenuta nella scheda testamentaria) ed il fatto che ella non si ricordasse neppure più di quanto fatto sottoscrivere da una delle nipoti.

Dalla lettura delle relazioni risulta poi come M.M. fosse sempre stata una donna particolarmente indipendente e che, anche dopo l’aggravamento della malattia, mal tollerava l’ingerenza delle convenute, le quali, dopo un periodo di interruzione di rapporti, avevano ripreso ad interessarsi della zia, anche in relazione agli aspetti patrimoniali.

Infine, va evidenziato che, nei colloqui intercorsi con l’amministratore di sostegno ed il giudice tutelare, non era mai emersa la volontà del de cuius di lasciare i propri beni a parenti ma, invero, le richieste erano sempre nel senso contrario, di individuare modalità alternative rispetto alla devoluzione del patrimonio ai nipoti. In particolare l’avv. V. rilevava che, successivamente alla sua nomina, la beneficiaria gli aveva chiesto “più volte consiglio affinché i propri beni al momento della sua morte non andassero ai propri parenti” (doc.11) La beneficiaria, comparsa in data 27 febbraio 2008, dinanzi al giudice tutelare aveva manifestato il “desiderio di lasciare i propri averi a persona da lei conosciuta come retta e onesta, visto la mancanza di figli e dato che più di un nipote si era comportato male nei suoi confronti negli anni passati, manifestando il desiderio che con i suoi beni fosse costituita una fondazione in grado di operare in sua memoria nella creazione di un istituto di formazione nel campo della pellicceria”.

In particolare, l’avv. Vignoli, nelle proprie relazioni, dichiarava di essere “depositario di un testamento olografo consegnatomi dalla beneficiaria affinché lo custodissi: lo stesso contiene importanti disposizioni a favore dei domestici filippini. Dell’esistenza del testamento e del contenuto dello stesso è a conoscenza anche la nipote C. in quanto la beneficiaria, in mia presenza, lo mostrò anche a quest’ultima. Nei giorni successivi a tale evento stranamente la beneficiaria mi chieste più volte se poteva essere opportuno apportare al testamento delle modifiche: dopo vari tentennamenti decise di non modificarlo e di consegnarmelo affinché lo detenessi in custodia”.

3.5. I difficili rapporti del de cuius con i propri nipoti, l’avversione rispetto alle ingerenze nella gestione del proprio patrimonio ed i desideri manifestati all’amministratore di sostegno ed al giudice tutelare in ordine alla propria successione rendono incoerente il contenuto del testamento impugnato.

Anche la consegna diretta della scheda testamentaria nelle mani della nipote, che dopo pochi giorni ha provveduto a farvi apporre la “data certa”, è elemento che mal si concilia con la personalità del de cuius, che mal tollerava le intromissioni delle nipoti, e che non voleva che quest’ultime fossero informate dei suoi rapporti patrimoniali. Così come tale modus operandi risulta incoerente rispetto alla consegna all’amministratore di sostegno, soggetto di cui la beneficiaria aveva fiducia in quanto terzo ed imparziale, della precedente scheda testamentaria, che parrebbe essere stata redatta in un momento antecedente rispetto all’aggravamento della malattia.

3.6. Alla stregua delle considerazioni che precedono, sussistono indizi gravi, precisi e concordanti tali da far ritenere raggiunta -in via presuntiva- la prova della totale incapacità di intendere e di volere del de cuius al momento della redazione del testamento olografo.

  1. Conseguentemente, non essendo stata fornita la prova di ulteriori testamenti in favore delle parti in causa, va dichiarata aperta la successione legittima.

Le parti risultano rispettivamente eredi legittimi per la quota di 1/4 ciascuno trattandosi dei parenti più prossimi, che succedono per rappresentazione rispetto alle sorelle ed ai fratelli del de cuius, premorti (artt. 570 e 468 c.c.).

  1. La domanda di condanna alla restituzione dei beni o al pagamento del valore delle quote ereditarie formulata da parte attrice è inammissibile in quanto l’azione di petizione dell’eredità è volta all’accertamento della qualità di erede in capo all’attore ed alla condanna del terzo alla restituzione dei beni facenti parte della massa ereditaria.

Nel caso di specie, invece, anche a seguito dell’apertura della successione legittima, i convenuti conservano la qualità di coeredi per cui il possesso dei beni ereditari non può ritenersi sine titulo.

Inoltre, non può essere accolta la domanda di soddisfazione in denaro in quanto l’apertura della successione comporta l’insorgere di una comunione sui beni ereditari, il cui scioglimento presuppone la proposizione di domanda di divisione che non risulta avanzata e che potrà pertanto essere oggetto di autonomo procedimento.

  1. Le spese di lite vanno poste integralmente a carico di parte convenuta in ragione della prevalente soccombenza, senza operare alcuna parziale compensazione, anche in ragione della mancata adesione alla proposta conciliativa ex art. 185-bisc.p.c.

I compensi vanno liquidati con applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, scaglione indeterminabile – complessità alta (valori medi) al fine di adeguare i compensi all’effettivo valore della controversia.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando,

1) dichiara la nullità del testamento olografo redatto da M.M., nata a F. il (…) e deceduta a Modena il 14.12.2016, datato 21.7.2010, e pubblicato il 16 dicembre 2016 (rep. (…), raccolta (…) – Notaio M.Z.);

2) dichiara aperta la successione legittima di M.M.;

3) accerta la qualità di eredi legittimi di M.M. in capo ai nipoti G.L., D.V., M.P.M., B.C., nella misura di ¼ ciascuno;

4) condanna M.P.M. e C.B., in solido, a rifondere le spese di lite del presente giudizio in favore di G.L. e D.V., che liquida nella somma complessiva di Euro 13.430,00 per compensi, Euro 648,18 per esborsi, oltre spese generali 15%, IVA e CPA come per legge.

Conclusione

Così deciso in Modena nella camera di consiglio del 27 gennaio 2021.

Depositata in Cancelleria il 5 febbraio 2021.