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GENITORI EREDITA’ FIGLI : COME DIVIDERLA TRA I FIGLI PER NON FARLI LITIGARE

 

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GENITORI EREDITA’ FIGLI : COME DIVIDERLA TRA I FIGLI PER NON FARLI LITIGARE[wpforms id=”9898″]

GENITORI EREDITA’ FIGLI : COME DIVIDERLA TRA I FIGLI PER NON FARLI LITIGARE
GENITORI EREDITA’ FIGLI : COME DIVIDERLA TRA I FIGLI PER NON FARLI LITIGARE

Terrore dei genitori è che alla loro morte i figli litighino per dividersi il patrimonio !!

Mi capita di ricevere genitori preoccupati su come dividere l’eredita’ tra i figli,  per evitare che in futuro alla loro morte gli stessi possano litigare  per a divisione o per la ripartizione di quote ereditarie.

RIVOLGITI A  UN AVVOCATO 

Consiglio di evitare le donazioni dirette, i beni donati hanno poi difficolta’ di circolazione perché un erede potrebbe impugnare la donazione.

Allora che fare?

Guardiamo alcuni esempi:

Il genitore ha due case e due figli, puo’ lasciare un testamento e dividere tra i figli le case, perché altrimenti ogni bene cioè ogni casa  al momenti della morte del genitore sarebbe al 50% di ogni figlio, con problematiche poi di divisione.

E se una casa vale di piu’ dell’altra?

Due soluzioni

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La prima

Il genitore con due figli, ha comunque una quota disponibile e puo’ preferire magari per aiuto avuto in vita da uno dei figli lasciarli qualcosa in piu’ purchè non leda la legittima

Altro caso vuole lasciare esattamente la stessa quota e allora che fare?

Puo’ compensare con del denaro se ne ha la disponibilita’ cioè al figli o cui va la casa di minor valore puo’ lasciare   una somma oltre la casa.

Esempio un genitore ha centomila euro, e due appartamenti , uno vale 100 l’altro 60, allora che fare?[wpforms id=”9898″]

Al figlio a cui lascia la casa del valore di sessanta lascia anche 40 mila euro, e cosi’ i conti e le quote sono a posto.

Altra soluzione per dividere  i beni tra i figli

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Vendere ai figli le nude proprieta’ dei due appartamenti, gli stessi saranno pieni proprietari solo al momento della morte del genitore che si è riservato l’usufrutto.

 

Addirittura il genitore puo’ affittare quegli appartamenti di cui ha venduto la nuda proprieta’ percependo il reddito.

 

Se avete dubbi o volete trovare  una soluzione chiamatemi al numero 051 6447838 troveremo una soluzione fissando un appuntamento

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Tra i requisiti formali del testamento olografo (costituiti, a norma dell’art. 602  c.c., dalla  sua 

totale  autografia, dall’apposizione della data  – per la quale non e’ richiesta una particolare

posizione rispetto  al  testo dell’atto – e dalla sottoscrizione in calce – che può   anche   non  essere  

fatta  per   esteso,  alla   condizione, espressamente prevista  dalla  legge,  che essa valga a

designare con certezza la persona del testatore) non e’ compreso quella regolarità e leggibilità 

della  scrittura,  salva la  necessità  che il testo autografo   sia decifrabile,   affinché  possa  essere

accertata  la volontà del testatore.

Cassazione civile sez. II, 28 ottobre 1994, n. 8899 

Vita not. 1995, 834 

Tra i requisiti formali del testamento olografo (costituiti, a norma dell’art. 602 c.c.,  dalla  sua

totale  autografia, dall’opposizione della  data – per la quale non e’ richiesta una particolare

posizione rispetto  al testo  dell’atto – e dalla sottoscrizione in calce – che può   anche   non  essere  

fatta   per  esteso,  alla   condizione, espressamente  prevista  dalla legge,  che essa valga a

designare con certezza  la  persona del  testatore -) non e’ compreso quello della regolarità  e

leggibilità  della scrittura, salva la necessità che il  testo autografo sia decifrabile, affinché possa

essere accertata la volontà del testatore. 

Cassazione civile sez. II, 28 ottobre 1994, n. 8899 

Giust. civ. Mass. 1994,1301 (s.m.)

E’ valido il testamento olografo nel  quale  il   testatore, nell’istituire erede la propria moglie –

precisandone anche il nome e cognome -, sottoscriva  la  scheda  indicando  il proprio  nome  e

l’iniziale  del cognome, essendo il tal caso la sottoscrizione idonea ad individuare con certezza la

persona del testatore. 

Corte  appello Cagliari, 15 gennaio 1993 

Riv. giur. Sarda 1996, 364 nota (LOSENGO) 

l testamento olografo contiene le ultime volontà di una persona, scritto, datato e sottoscritto di mano del testatore. Il testamento olografo può essere però impugnato per vie legali.

Il testamento olografo può essere redatto da tutte le persone maggiorenni, con piena capacità di intendere e di volere. Ma se gli eredi non sono d’accordo con le ultime volontà del de cuius o pensano (e possono dimostrare) che siano state scritte in un momento in cui non era nel pieno delle sue facoltà, possono impugnare il testamento.

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Svolgimento del processo

Z.G., premesso che in data (OMISSIS) era deceduto il padre F. che con testamento del (OMISSIS) lo aveva lasciato erede esclusivo della disponibile, e che successivamente alla pubblicazione di detto testamento era stato pubblicato un altro atto di ultima volontà apparentemente redatto il 17.7.1993, dal quale risultavano istituiti eredi tutti i figli in parti uguali, con atto di citazione notificato il 24.4.1994 conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Vicenza i restanti eredi A., D., E. e Z.M.

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

Sentenza 27 ottobre 2008, n. 25845

Svolgimento del processo

Z.G., premesso che in data (OMISSIS) era deceduto il padre F. che con testamento del (OMISSIS) lo aveva lasciato erede esclusivo della disponibile, e che successivamente alla pubblicazione di detto testamento era stato pubblicato un altro atto di ultima volontà apparentemente redatto il 17.7.1993, dal quale risultavano istituiti eredi tutti i figli in parti uguali, con atto di citazione notificato il 24.4.1994 conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Vicenza i restanti eredi A., D., E. e Z.M. assumendo che l’anziano genitore, che col primo testamento aveva voluto ricompensare l’esponente dell’assistenza sempre prestatagli, era stato ricoverato presso il nosocomio di (OMISSIS) ed era stato sollecitato più volte dai suddetti figli a fare testamento opponendo sempre un deciso rifiuto; aggiungeva che la grafia del secondo testamento olografo appariva “difforme e deformata”, e che comunque l’atto non era certamente frutto di una volontà libera e cosciente;
l’attore chiedeva quindi di accertare la nullità o l’invalidità e comunque l’inefficacia di tale testamento con la conseguente declaratoria di apertura della successione sulla base del precedente testamento olografo, nonchè la divisione dei beni relitti, compreso quanto esistente sui depositi bancari del “de cuius” prima della sua morte.
I convenuti costituitisi in giudizio resistevano alle domande attrici e chiedevano la divisione del patrimonio relitto secondo le disposizioni dell’ultimo testamento olografo.
II Tribunale con sentenza non definitiva del 10.4.2000 dichiarava la validità dell’impugnato testamento, disponeva quindi che la successione doveva essere regolata sulla base del suddetto testamento e che l’asse ereditario ricomprendeva, oltre gli immobili, le sole somme di denaro di cui alla denuncia di successione.
Proposto gravame da parte di Z.G. cui resistevano A., D., E. e Z.M. la Corte di Appello di Venezia con sentenza del 7.10.2003 ha rigettato l’impugnazione.
Per la cassazione di tale sentenza Z.G. ha proposto un ricorso basato su cinque motivi cui A., D., E. e Z.M. hanno resistito con controricorso; il ricorrente ha successivamente depositato una memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 602 e 606 c.c., censura la sentenza impugnata per aver ritenuto la validità del testamento olografo del 17.7.1993 posto che, non essendo stata contestata l’autografia delle sottoscrizioni da parte di Z.F. in calce alle disposizioni testamentarie, nessun rilievo poteva attribuirsi in senso contrario al fatto che il testamento stesso non fosse stato scritto in un unico contesto, essendo in facoltà del testatore redigerlo in più tempi.
Il ricorrente, premesso che nella fattispecie le disposizioni testamentarie erano state redatte in un periodo di tempo successivo rispetto alla sottoscrizione sostiene che la sentenza impugnata, ritenendo irrilevante tale circostanza, non ha sufficientemente considerato la funzione nel testamento olografo della sottoscrizione, finalizzata a suggellare e a dare conferma alle disposizioni che la precedono avendo così un carattere peculiare che la diversifica sia dal requisito dell’autobiografia che da quello della necessità di una data.
Z.G. quindi conclude che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto superfluo il sollecitato supplemento istruttorio volto a stabilire la diversità dell’inchiostro della firma rispetto a quello del testo; invero, ove fosse stata accertata una maggiore vetustà della firma rispetto al testo, la firma stessa non avrebbe potuto essere considerata una sottoscrizione con conseguente nullità del testamento ex art. 606 c.c.. La censura è infondat

 

 

Il Giudice di appello, premesso che non era stata contestata l’autografia del testamento “de quo” riguardo al testo, alla data ed alla sottoscrizione, ha ritenuto irrilevante l’eventualità, prospettata dall’appellante, che non vi fosse stata contestualità tra l’apposizione della sottoscrizione e quella delle altre disposizioni (considerando quindi superfluo il supplemento istruttorie richiesto da Z.G.), posto che il testatore può utilizzare, come veniva ipotizzato nella specie, fogli in precedenza già sottoscritti e completarli anche in tempi diversi con le sue disposizioni, con il solo limite che la sottoscrizione risulti posta, per evidenti ragioni di riconducibilità delle disposizioni alla volontà del testatore, in calce alle stesse.
Tale convincimento è condivisibile ed immune dalle censure sollevate dal ricorrente.
Invero, premesso che il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore, e che la sottoscrizione deve essere posta alla fine delle disposizioni (art. 602 c.c.), deve ritenersi che, ai fini della validità di tale testamento, non è richiesta una necessaria contestualità nella redazione dei suddetti elementi che ne costituiscono la struttura, potendo pertanto il testamento essere compilato anche in tempi diversi e quindi essere formato progressivamente, in assenza di alcuna norma che prescriva la sua redazione in un unico contesto temporale (Cass. 22.3.1985 n. 2074; Cass. 1.12.2000 n. 15379; Cass. 23.6.2005 n. 13487). E’ dunque possibile che il testatore, dopo aver redatto solo in parte le sue disposizioni di ultima volontà, le completi successivamente sempre nel rispetto dei requisiti previsti dall’art. 602 c.c..
In tale contesto nessuna incidenza in senso contrario può essere attribuita, come invece sostenuto dal ricorrente, alla eventualità che la sottoscrizione del testamento olografo sia stata apposta dal testatore in epoca antecedente alle disposizioni testamentarie, sempre che, ovviamente, tali disposizioni precedano nella scheda la sottoscrizione stessa.
In effetti la finalità riconosciuta a tale ultimo requisito del testamento olografo – consistente nella esigenza di avere l’assoluta certezza ma non solo della riferibilità al testatore delle disposizioni testamentarie, già assicurata dall’olografia, ma anche della inequivocabile paternità e responsabilità del medesimo nel disporre del suo patrimonio senza alcun ripensamento dopo la redazione del testamento – non viene certamente vanificata qualora la sottoscrizione sia stata apposta da un punto di vista temporale prima delle disposizioni cui si riferisce.


 

 

 

 

Anche in tal caso, invero, qualora il testatore completi la scheda testamentaria redigendo le disposizioni che ne costituiscono l’oggetto in uno spazio che topograficamente precede la sottoscrizione, il testamento olografo risponde pienamente ai requisiti richiesti per la sua validità dall’art. 602 c.c., posto che il testatore stesso, utilizzando la sua precedente sottoscrizione come suggello delle sue disposizioni, configura in tal modo queste ultime come espressione della sua volontà testamentaria.
E’ infine infondato il profilo di censura con il quale si sostiene che, seguendo l’assunto della sentenza impugnata, si giungerebbe all’evidente incongruenza che, nel caso di incapacità sopravvenuta del testatore che completi una scheda già datata e sottoscritta, si legittimerebbe una sorta di “retroattività sostanziale”; al riguardo si osserva che l’art. 602 c.c., u.c., stabilisce che la prova della non verità della data è ammessa soltanto quando si tratta di giudicare della capacità del testatore, delle priorità di date tra più testamenti o di altra questione da decidersi in base al tempo del testamento; da tale disposizione si deduce che, mentre la data falsa non può ritenersi per sè causa di nullità del testamento quale semplice vizio di forma, l’azione di nullità per falsità della data è invece esperibile quando – comportando tale falsità una violazione di diritto sostanziale – vi sia un interesse giuridico a dedurla, come appunto allorchè si discute sulla capacità del testatore, essendo in tal caso sollevata una ragione di nullità della disposizione testamentaria; pertanto nell’ipotesi prospettata dal ricorrente (ovvero sopravvenuta incapacità del testatore che successivamente abbia integrato con successive disposizioni una scheda già datata e sottoscritta), è possibile dedurre la falsità della data e provare che il testamento olografo è stato in realtà completato in tutti i suoi elementi in epoca successiva alla data in esso indicata, allorchè il testatore era divenuto incapace.
Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo omesso esame su di un fatto decisivo e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver escluso che il testatore fosse affetto da patologie tali da farne scemare la capacità intellettiva e volitiva al momento della redazione del testamento.
Z.G. assume che tale convincimento è basato sulle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio medico – psichiatrica, senza tener conto delle considerazioni espresse nella consulenza tecnica d’ufficio di natura grafologica, e che quindi il “maggior calibro della grafia del testo” rispetto alla grafia della firma avrebbe invece dovuto indurre a credere che presumibilmente la sottoscrizione del testamento fosse avvenuta in epoca precedente a quella di redazione del testo, e che Z.F., allorchè aveva redatto le sue disposizioni testamentarie, fosse sotto l’influenza di un farmaco ipnotico, che assumeva nelle ore serali, in grado di far scemare:, fino ad abolirla, la sua capacità di intendere e di volere.
La censura è infondata.
La Corte territoriale, premesso che lo stato di capacità del testatore rappresenta la regola e quello di incapacità l’eccezione, ha rilevato che l’appellante, su cui gravava l’onere della prova della allegata incapacità materiale del testatore, non aveva dedotto elementi significativi tali da superare gli accertamenti compiuti nel giudizio di primo grado che avevano escluso che Z.F. fosse stato incapace di intendere e di volere all’atto della redazione delle sue disposizioni testamentarie, del resto finalizzate all’attribuzione del suo patrimonio in parti uguali tra tutti gli eredi e quindi coerenti con i verosimili sentimenti di un genitore nei riguardi dei figli.
Il Giudice di appello in particolare ha ritenuto l’irrilevanza anche del riferimento alla assunzione da parte del testatore di un ipnotico serale (elemento peraltro già valutato dalla consulenza tecnica d’ufficio medico – legale) in quanto non collegato alla redazione del testamento in ora notturna. Infine la sentenza impugnata ha disatteso in quanto ininfluente anche le considerazioni del consulente psicografologo di parte dell’appellante, poichè non escludevano l’autografia della scrittura da parte del testatore e negavano la capacità di autodeterminazione di quest’ultimo senza convincenti riscontri scientifici.

 

 

 

 


Si è quindi in presenza di un accertamento di fatto da parte del Giudice di merito sorretto da congrua e logica motivazione – avendo quest’ultimo esaurientemente esaminato e confutato argomentazioni dedotte dall’appellante a sostegno del suo assunto – come tale immune dalle censure sollevate dal ricorrente, che invero in questa sede si limita a prospettare in termini generici ed anche probabilistici una diversa realtà, ovvero la dedotta incapacità del testatore, trascurando di considerare i ristretti limiti (attinenti a vizi di motivazione, nella specie del tutto insussistenti) entro i quali è censurabile in sede di legittimità il convincimento di fatto maturato dal giudice di merito.
Le conclusioni cui è giunta la sentenza impugnata sono del resto rafforzate dal rilievo che, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, l’annullamento del testamento per incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del “de cuius”, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi, così da versare in condizioni analoghe a quelle che, con il concorso dell’abitualità, legittimano la pronuncia di interdizione (Cass. 22.5.1995 n. 5620; Cass. 6.12.2001 n. 15480); di qui quindi il rigoroso onere probatorio a carico di colui che deduce lo stato di incapacità del testatore, onere nella specie non assolto da Z.G.. Con il terzo motivo il ricorrente, deducendo vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per non aver ammesso la prova per interrogatorio e testi richiesta dall’esponente diretta a fornire un ulteriore elemento di valutazione al giudicante in ordine alla reale volontà del “de cuius”, alle condizioni ambientali e familiari ed ai presumibili sentimenti del testatore proprio nei giorni corrispondenti alla data apparente della disposizione testamentaria del 17.7.1993.
La censura è inammissibile.
Premesso che nel ricorso non sono stati riportati i capitoli di prova di cui è stata dedotta la mancata ammissione, e ciò invece è avvenuto inammissibilmente soltanto con la memoria depositata ex art. 378 c.p.c., (destinata invero solo ad illustrare e chiarire i motivi di ricorso), si rileva che il ricorrente che in sede di legittimità denunci la mancata ammissione in appello di una prova per interrogatorio e per testi, ha l’onere di indicare specificatamente le circostanze che formavano oggetto della prova al fine di consentire il controllo sulla decisività dei fatti da provare in ordine alla risoluzione della controversia e sulle prove stesse, in quanto, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, questa Corte deve essere in grado di compiere tale verifica in base alle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative.


 

Con il terzo motivo il ricorrente, deducendo vizio di motivazione, assume che la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi sul motivo di appello con il quale era stata censurata la statuizione del Giudice di primo grado che aveva ammesso le prove orali formulate dai convenuti in corso di causa ma non più riproposte in sede di precisazione delle conclusioni, e quindi da ritenersi rinunciate.
Il motivo è inammissibile.
Invero il ricorrente ha del tutto omesso di indicare il contenuto delle prove orali dedotte dalle controparti ed ammesse dal giudice di primo grado e soprattutto di evidenziare la loro incidenza in ordine alla decisione assunta dal Giudice di merito.
Pertanto la censura è inammissibile per difetto di interesse, non essendo stato minimamente chiarito se ed in quali termini il mancato espletamento delle suddette prove avrebbe condotto ad una diversa decisione più favorevole al ricorrente, e quindi non essendo stata prospettata l’utilità giuridica che il ricorrente conseguirebbe;
dall’accoglimento del motivo in esame.

 


Con il quinto motivo il ricorrente, denunciando vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per non aver disposto il sollecitato ordine di esibizione di documenti contabili presso il Banco Ambrosiano, considerato che vi erano state operazioni di cointestazione e di sottrazione di beni del “de cuius” depositati presso il suddetto istituto poste in essere dalle controparti.
Z.G. afferma che, contrariamente a quanto sostenuto sul punto dal Giudice di appello, tale ordine di esibizione era giustificato dal fatto che l’esponente aveva formulato nella sostanza una domanda di petizione di eredità tendente quindi alla restituzione; dell’asse ereditario nel quale dovevano essere ricompresi anche i beni sottratti al “de cuius” dagli altri eredi, ovvero il denaro di cui Z.F. disponeva sui depositi bancari; inoltre l’ordine di esibire era funzionale anche alla richiesta divisione di tutto il patrimonio ereditario, ivi inclusi il denaro e gli altri beni mobili.
La censura è infondata.
La Corte territoriale ha ritenuto che il richiesto ordine di esibizione mirava ad accertare non la sussistenza di beni nel patrimonio del “de cuius” all’atto della sua morte ed asseritamente sottratti dai coeredi, bensì di beni di cui Z.F. aveva perso la disponibilità in epoca ben anteriore alla sua morte, riguardo ai quali l’appellante non poteva rivendicare alcun titolo senza ricondurlo prima, omettendo però di farlo, al suo dante causa.
Orbene tale convincimento è corretto, avendo in altri termini il giudice di appello affermato che il richiesto ordine di esibizione postulava la prova della sicura appartenenza al “de cuius” di determinante somme di denaro in epoca precedente alla sua morte, posto che la dedotta sottrazione di tale denaro da parte degli altri coeredi (sottrazione di cui non sono stati minimamente chiariti nè i tempi nè le modalità) presupponeva logicamente la titolarità delle suddette somme in capo a Z.F. onde pretendere la loro riconducibilità al patrimonio ereditario. Il ricorrente, invece, non censura almeno specificatamente tale statuizione, in ordine alla evidenziata carenza, sul piano deduttivo, del motivo di appello, cosicchè il motivo in esame è privo di fondamento.
Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di Euro 100,00, per spese e di Euro 2.500,00, per onorari di avvocato.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2008.
Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2008

AVVOCATO SERGIO ARMAROLI BOLOGNA

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