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BOLOGNA AVVOCATI DIVORZISTI , MATRIMONIALISTI

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  1. BOLOGNA DIRITTO CIVILE DIVORZI BOLOGNA chiama l’avvocato Sergio Armaroli , risolviamo insieme la tua separazione forza e coraggio avvocato matrimonialista Bologna DIRITTO CIVILE DIVORZI

 

  1. BOLOGNA DIRITTO CIVILE SEPARAZIONE

 

  1. BOLOGNA DIRITTO CIVILE DIRITTO DI FAMIGLIA

 

 

Particolare attenzione e’ riservata al Diritto di Famiglia e al Diritto Minorile nelle sue varie sfaccettature e quindi : a separazione e divorzio , modifica delle condizioni di separazione e divorzio, adozioni, affidamento di figli minori, casa coniugale , coppie di fatto, interdizione.

SEPARAZIONE CONSENSUALE E GIUDIZIALE:

Con la separazione legale i coniugi non pongono fine al rapporto matrimoniale, ma ne sospendono gli effetti in attesa di una riconciliazione oppure di un provvedimento di divorzio.

 

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La separazione non pone fine al matrimonio, né fa venir meno lo status giuridico di coniuge, ha solo effetti su alcune condizioni proprie del matrimonio come la comunione legale dei beni, l’obbligo di fedeltà e di coabitazione.

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Fonte: Gli effetti della separazione legale sui rapporti personali fra i coniugi

(www.StudioCataldi.it)

Diversamente dal passato, oggi la separazione può essere dichiarata per cause oggettive, cioè indipendentemente dalla colpa di uno dei due coniugi.

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È possibile quindi che i coniugi si separino perché avvenimenti esterni si frappongono alla coppia, perché sopraggiungono circostanze non previste, né prevedibili, al momento della celebrazione del matrimonio, perché ci si rende conto dell’esistenza di un’incompatibilità caratteriale insuperabile e, in generale, per tutti quei fatti che “rendono intollerabile la prosecuzione della convivenza o recano grave pregiudizio all’educazione della prole” (art. 151, 1°co. c.c.).

abbiamo  due tipo di separazione:

  • Separazione di fatto

Separazione legale

La separazione può essere legale (consensuale o giudiziale) o semplicemente “di fatto”, cioè conseguente all’allontanamento di uno dei coniugi per volontà unilaterale, o per accordo, ma senza l’intervento di un Giudice. 
La separazione di fatto non fa decorrere i termini per il divorzio

 

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BOLOGNA DIRITTO CIVILE, BOLOGNA AVVOCATO CIVILISTA

 

 

La separazione legale (consensuale o giudiziale) è una delle condizioni (quella più frequente) per giungere al divorzio.

 

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QUANDO ABBIAMO LA SEPARAZIONE CONSENSUALE?

La separazione consensuale è possibile soltanto se tra i coniugi viene raggiunto un accordo sulle condizioni che dovranno reggere i rapporti personali e patrimoniali reciproci e i rapporti di ciascuno con i figli.

 

Quando l’accordo per una separazione consensuale non viene raggiunto, la separazione sarà inevitabilmente giudiziale, nel senso che le condizioni della separazione verranno stabilite dal Tribunale con notevole aggravio di costi .

 

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un accordo puo’ essere raggiunto  durante lo svolgimento della causa di separazione nel quale caso una separazione, avviata come giudiziale, potrà chiudersi come separazione consensuale.

 

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La legge sul divorzio (L. n. 898 del 1970 e successive modifiche) prevede (all’artico 3) che uno dei coniugi può chiedere lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato con rito religioso nei seguenti casi:

– in talune ipotesi – tassativamente indicate- concernenti delitti commessi dall’altro coniuge;

– quando l’altro coniuge ha ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento del matrimonio o ha contratto all’estero nuovo matrimonio;

– quando il matrimonio non è stato consumato;

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DIVORZIO:

Attraverso il divorzio (Legge del 1.12.1970 n. 898) viene invece pronunciato lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili. Col divorzio cessano definitivamente gli effetti del matrimonio, sul piano personale (uso del cognome del marito, presunzione di concepimento, ecc…) e sul piano patrimoniale.

 

 

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Secondo la L. n. 898 del 1970, art. 5, l’accertamento del diritto all’assegno divorzile deve essere effettuato verificando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto, mentre la liquidazione in concreto dell’assegno, ove sia riconosciuto tale diritto per non essere il coniuge richiedente in grado di mantenere con i propri mezzi detto tenore di vita, va compiuta tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché del reddito di entrambi, valutandosi tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.

Occorre avere riguardo non soltanto ai redditi ed alle sostanze del richiedente, ma anche a quelli dell’obbligato, i quali assumono rilievo determinante sia ai fini dell’accertamento del livello economico-sociale del nucleo familiare, sia ai fini del necessario riscontro in ordine all’effettivo deterioramento della situazione economica del richiedente in conseguenza dello scioglimento del vincolo. 

 

Gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico – patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale, espresso dall’art. 160 cod. civ.. Pertanto, di tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludono il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto è necessario per soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente dette esigenze, per il rilievo che una preventiva pattuizione – specie se allettante e condizionata alla non opposizione al divorzio potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione degli effetti civili del matrimonio. Per poter determinare lo standard di vita mantenuto dalla famiglia in costanza di matrimonio, occorre infatti conoscerne con ragionevole approssimazione le condizioni economiche, dipendenti dal complesso delle risorse reddituali e patrimoniali di cui ciascuno dei coniugi poteva disporre e di quelle da entrambi effettivamente destinate al soddisfacimento dei bisogni personali e familiari, mentre per poter valutare la misura in cui il venir meno dell’unità familiare ha inciso sulla posizione del richiedente è necessario porre a confronto le rispettive potenzialità economiche, intese non solo come disponibilità attuali di beni ed introiti, ma anche come attitudini a procurarsene in grado ulteriore.

 

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione I civile

sentenza 6 marzo 2017, n. 5509

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERNABAI Renato – Presidente

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avv. (OMISSIS), dal quale e’ rappresentata e difesa in virtu’ di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’avv. (OMISSIS), dalla quale e’ rappresentato e difeso in virtu’ di procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 5821/13, pubblicata il 30 ottobre 2013.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 1 dicembre 2016 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

uditi i difensori delle parti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. CERONI Francesca, la quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso, con la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Civitavecchia ed alla Procura generale presso la Corte d’Appello di Roma.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

  1. Con sentenza del 7 dicembre 2010, il Tribunale di Civitavecchia pronuncio’ la separazione personale dei coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), accogliendo la domanda di addebito proposta dalla prima e rigettando quella proposta dal secondo, disponendo l’affidamento condiviso dei due figli minori, con collocazione prevalente presso la madre, alla quale assegno’ la casa coniugale, e ponendo a carico del (OMISSIS) l’obbligo di corrispondere un assegno mensile di Euro 800,00 a titolo di contributo per il mantenimento della (OMISSIS) ed un assegno mensile di Euro 1.000,00 a titolo di contributo per il mantenimento di ciascun figlio, oltre al 75% delle spese straordinarie.
  2. – L’impugnazione proposta dalla (OMISSIS) e’ stata rigettata dalla Corte d’Appello di Roma, che con sentenza del 30 ottobre 2013 ha parzialmente accolto il gravame incidentale proposto dal (OMISSIS), riducendo ad Euro 600,00 l’assegno mensile dovuto per il mantenimento di ciascun figlio, con decorrenza dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado.

A fondamento della decisione, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto non decisivo, ai fini della valutazione della capacita’ reddituale del (OMISSIS), l’ammontare lordo del ricavato della sua attivita’ imprenditoriale, considerandolo espressivo della capacita’ produttiva dell’impresa, ma inidoneo ad evidenziare la capacita’ di guadagno del titolare, sulla quale incidevano anche i costi delle materie prime, del personale, etc.; esclusa inoltre la possibilita’ di avvalersi del notorio per l’individuazione di importi non fatturati, ha richiamato le dichiarazioni fiscali prodotte in giudizio, relative agli ultimi tre anni d’imposta, osservando che dalle stesse emergeva la conduzione di un’attivita’ nel settore meccanico in grado di generare ricavi ed utili, anche se con andamento incostante, e ritenendola pertanto indicativa di un reddito medio mensile collocabile intorno ai 3.000,00-3.500,00 Euro, sulla base del quale ha determinato l’importo dell’assegno. In proposito, ha disatteso i rilievi sollevati dall’appellante, osservando che il divario tra i dati contabili riportati nelle dichiarazioni e le entrate complessive del conto corrente trovava giustificazione nella circostanza che nella dichiarazione i ricavi sono indicati al netto dell’IVA: ha aggiunto che i beni immobili risultavano indicati, mentre i fondi pensione non devono essere riportati nella dichiarazione dei redditi, e l’esistenza di prestiti avrebbe dovuto essere considerata indicativa di uno stato debitorio. Quanto alla situazione economico-patrimoniale della (OMISSIS), ha rilevato che essa era titolare soltanto del reddito derivante dall’assegno di mantenimento, avendo lavorato soltanto per qualche mese come donna delle pulizie, non ricavando alcun utile dalla quota dell’impresa dei propri familiari di cui era titolare, ed usufruendo della casa familiare in comproprieta’ con il coniuge: ha ritenuto pertanto congruo l’importo riconosciutole dal Tribunale, riducendo invece quello stabilito per il mantenimento dei figli, in considerazione della percentuale delle spese straordinarie posta a carico del (OMISSIS) e dell’utilizzazione della casa coniugale in comproprieta’ tra i genitori.

  1. Avverso la predetta sentenza la (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi. Il (OMISSIS) ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, affidato ad un solo motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. – Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, affermando che, nel far decorrere dalla pubblicazione della sentenza di primo grado la riduzione dell’assegno previsto per il mantenimento dei figli, la sentenza impugnata non ha tenuto conto del carattere sostanzialmente alimentare del contributo in questione, il quale impone di contemperare la normale retroattivita’ della relativa statuizione con i principi d’irripetibilita’, impignorabilita’ e non compensabilita’ delle prestazioni alimentari.

1.1. Il motivo e’ fondato.

In tema di separazione personale dei coniugi, il carattere sostanzialmente alimentare dell’assegno liquidato a titolo di contributo per il mantenimento del coniuge e dei figli ha indotto questa Corte ad affermare ripetutamente che, qualora ne sia stata disposta la riduzione, l’operativita’ della stessa decorre dal momento della pronuncia giudiziale che ne abbia modificato la misura: il principio secondo cui la statuizione giudiziale di riduzione opera retroattivamente dalla domanda dev’essere infatti contemperato con il principio d’irripetibilita’, impignorabilita’ e non compensabilita’ della prestazione in esame, con la conseguenza che la parte che abbia gia’ ricevuto, per ogni singolo periodo, l’importo originariamente stabilito non puo’ essere costretta a restituirlo, ne’ puo’ vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo (cfr. Cass., Sez. 6, 4 luglio 2016, n. 13609; Cass., Sez. 1, 20 luglio 2015, n. 15186; 10 dicembre 2008, n. 28987). Non puo’ pertanto condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui, dopo aver disposto la riduzione dell’assegno dovuto dal (OMISSIS) per il mantenimento dei figli, collocati prevalentemente presso la (OMISSIS), ha fatto decorrere gli effetti di tale statuizione dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado, in tal modo incidendo retroattivamente sulla misura del predetto contributo, e facendo sorgere a carico della ricorrente l’obbligo di restituire le somme ricevute in eccedenza rispetto all’importo definitivamente liquidato, in contrasto con il principio d’irripetibilita’ e con la funzione alimentare dell’assegno, destinato al sostentamento dei minori.

  1. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostenendo che, nella determinazione dello assegno di mantenimento, la sentenza impugnata non ha considerato che lo stesso dev’essere tale da consentire al coniuge separato la conservazione del tenore di vita goduto nel corso della convivenza, ovverosia di quello che l’altro coniuge avrebbe dovuto garantirgli in base alle sue possibilita’ economiche, il cui indicatore puo’ essere individuato nel divario reddituale tra i coniugi. Nel valutare la capacita’ reddituale del (OMISSIS), la Corte di merito si e’ attenuta alle risultanze delle sue dichiarazioni dei redditi, ritenute inverosimili dalla sentenza di primo grado, omettendo di rilevare che a) quelle relative agli anni 2009 e 2010 non recavano l’attestazione di coerenza e congruita’ agli studi di settore, mentre quella relativa allo anno 2011 mancava degli studi di settore, b) i componenti positivi del reddito, i ricavi delle vendite e le entrate del conto corrente non coincidevano, c) i fondi pensione erano stati indicati ed avrebbero quindi dovuto essere valutati, d) i mutui contratti costituivano manifestazione di capacita’ contributiva. A fronte di tali incongruenze, la sentenza impugnata ha immotivatamente rifiutato di procedere ai necessari approfondimenti istruttori, trascurando anche la circostanza che, in conseguenza della separazione, essa ricorrente era venuta a trovarsi in situazione di reale indigenza, essendo stata arbitrariamente estromessa dall’impresa comune al cui sviluppo aveva contribuito con il suo impegno, anche economico, e la sua capacita’ imprenditoriale. Nel disporre la riduzione dell’assegno dovuto per il mantenimento dei figli, la Corte di merito si e’ infine discostata ingiustificatamente dai parametri di cui all’articolo 155 c.c., comma 4, non avendo tenuto conto delle condizioni economiche delle parti, del pregresso tenore di vita, delle attuali esigenze dei figli, dei tempi di permanenza con ciascun genitore e della valenza economica dei compiti domestici e di cura.

2.1. – Il motivo e’ inammissibile.

Ai fini del riconoscimento e della liquidazione dell’assegno di mantenimento, la sentenza impugnata si e’ puntualmente attenuta al principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimita’, secondo cui l’insorgenza del relativo diritto e’ subordinata all’indisponibilita’ di adeguati redditi propri, ovverosia di redditi che consentano al richiedente di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, ed alla sussistenza di una disparita’ economica tra le parti, da valutarsi in relazione alle risorse patrimoniali ed alle potenzialita’ reddituali complessive di ciascuna di esse (cfr. Cass., Sez. 1, 27 giugno 2006, n. 14840; 30 marzo 2005, n. 6712; 22 ottobre 2004, n. 20368). Pur affermando di non poter procedere ad un approfondito esame dei rilievi sollevati dalla (OMISSIS) in ordine alla documentazione fiscale prodotta dal (OMISSIS), la Corte di merito ne ha ampiamente riportato le risultanze, valutandone motivatamente l’attendibilita’ in relazione alle critiche mosse dalla ricorrente, comparandole con gli elementi acquisiti in ordine alla situazione lavorativa e reddituale di quest’ultima, e pervenendo in tal modo all’accertamento di un divario economico ritenuto superabile attraverso la corresponsione dell’importo posto a carico del controricorrente. Tale apprezzamento trova conforto nel consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui lo accertamento delle condizioni economiche delle parti, ai fini della liquidazione dell’assegno di mantenimento sia per il coniuge che per i figli, non richiede la determinazione dell’esatto importo dei redditi posseduti mediante l’acquisizione di dati numerici o rigorose analisi contabili e finanziarie, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi, attraverso la quale sia possibile pervenire a fissare l’erogazione di una somma corrispondente alle esigenze dell’avente diritto (cfr. Cass., Sez. 1, 7 dicembre 2007, n. 25618: 5 novembre 2007, n. 23051).

Nel contestare la predetta valutazione, la ricorrente non e’ in grado di indicare le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, ma si limita ad insistere sui rilievi gia’ sollevati nella precedente fase processuale, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del vizio di motivazione, un nuovo apprezzamento delle risultanze istruttorie, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logica della valutazione compiuta nella sentenza impugnata, nei limiti in cui la stessa e’ censurabile in sede di legittimita’, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. Tale disposizione, circoscrivendo l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimita’ ai soli casi in cui il vizio si converte in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all’articolo 132 c.p.c., n. 4, esclude infatti la possibilita’ di estendere l’ambito di applicabilita’ dell’articolo 360, comma 1, n. 5 cit. al di fuori delle ipotesi, nella fattispecie non ricorrenti, in cui la motivazione manchi del tutto sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere d’individuarla, cioe’ di riconoscerla come giustificazione del decisum, e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. 6, 8 ottobre 2014, n. 21257).

  1. – Per analoghe ragioni, e’ inammissibile l’unico motivo del ricorso incidentale, con cui il controricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Premesso infatti che la conferma dell’importo dell’assegno riconosciuto in favore del coniuge si pone in contrasto con la riduzione di quello posto a suo carico per il mantenimento dei figli, in conseguenza dell’accertata insussistenza della situazione economico-patrimoniale prospettata a sostegno della relativa domanda, il (OMISSIS) sostiene che, nel confermare il predetto importo, la Corte di merito non ha considerato che il coniuge percettore di redditi non puo’ essere condannato a corrispondere all’altro una somma pari alla meta’ dei propri redditi.

3.1. La mera insufficienza o contraddittorieta’ della motivazione e’ di per se’ inidonea ad integrare il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo modificato dal citato Decreto Legge n. 83, articolo 54 in quanto tale disposizione, attribuendo rilievo esclusivamente all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, richiede, ai fini della censurabilita’ dell’accertamento compiuto dal giudice di merito, che sia stato totalmente pretermesso un fatto storico idoneo ad orientare diversamente la decisione, ovvero che la motivazione svolta al riguardo risulti meramente apparente oppure perplessa ed obiettivamente incomprensibile, o ancora caratterizzata da argomentazioni tra loro inconciliabili (cfr. Cass., Sez. 6, 6 luglio 2015, n. 13928; 8 ottobre 2014, n. 21257; 9 giugno 2014, n. 12928).

  1. Il ricorso principale va pertanto accolto, limitatamente al primo motivo, mentre il secondo motivo va dichiarato inammissibile, cosi’ come il ricorso incidentale.

La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, nei limiti segnati dal motivo accolto, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., u.c., disponendo che la riduzione dell’assegno dovuto dal controricorrente per il mantenimento dei figli decorra dalla data di pubblicazione della sentenza d’appello.

L’esito complessivo della lite, caratterizzato dall’accoglimento soltanto parziale della domanda proposta dalla ricorrente, giustifica la dichiarazione dell’integrale compensazione tra le parti delle spese dei tre gradi di giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara inammissibile il secondo motivo ed il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, dispone che la riduzione dell’assegno posto a carico di (OMISSIS) a titolo di contributo per il mantenimento dei figli decorra dalla data di pubblicazione della sentenza d’appello; dichiara interamente compensate tra le parti le spese dei tre gradi di giudizio.

Ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 52 dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omessi le generalita’ e gli altri dati identificativi delle parti

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Suprema Corte di Cassazione

sezione I civile

sentenza 13 gennaio 2017, n. 789

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9549-2014 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BARI, depositato il 08/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/11/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO IMMACOLATA, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(OMISSIS) e (OMISSIS) addivenivano nel 2007 a una separazione consensuale con cui stabilivano, tra l’altro, che il marito corrispondesse alla moglie l’importo mensile di Euro 550,00, soggetto a rivalutazione secondo gli indici ISTAT, di cui Euro 300,00 per il mantenimento del figlio minore (OMISSIS) e Euro 250,00 quale assegno in favore della consorte; nella convenzione di separazione le parti prevedevano, inoltre, che le spese straordinarie per il mantenimento del figlio, fino alla concorrenza di Euro 600,00 annui, fossero a carico di (OMISSIS), mentre gli importi ulteriori dovessero riversarsi su entrambi i genitori nella misura del 50% ciascuno.

Con proprio ricorso ex articolo 710 c.p.c. (OMISSIS) adiva il Tribunale di Trani per richiedere la modifica dei patti di separazione e, in particolare: perche’ si riducesse al 50% il contributo al mantenimento posto a suo carico a favore del figlio minore; perche’ si escludesse o, in subordine, si riducesse congruamente l’assegno di mantenimento in favore della moglie; perche’ si escludesse il tetto massimo annuale delle spese straordinarie posto interamente a suo carico, prevedendo che tali spese fossero ripartite tra i genitori nella misura del 50%.

Costituitasi in giudizio, (OMISSIS) chiedeva il rigetto del ricorso e, in via riconvenzionale, la maggiorazione dell’assegno di mantenimento, il versamento degli assegni familiari, l’affidamento esclusivo del figlio minore, nonche’ l’ammonimento ex articolo 709 ter c.p.c. per asserite reiterate violazioni della convenzione di separazione.

Il Tribunale di Trani, con decreto depositato il 2 agosto 2012, accoglieva quest’ultima istanza e poneva a carico del datore di lavoro del ricorrente l’onere del pagamento diretto del contributo di mantenimento; rigettava le altre richieste.

Proponeva reclamo (OMISSIS), affermando che il decreto del Tribunale dovesse essere riformato con riguardo alle statuizione che concernevano l’ammonimento, l’ordine di pagamento diretto dell’assegno di mantenimento a carico del datore di lavoro, la riduzione del predetto assegno e la regolamentazione delle spese straordinarie; si costituiva anche in questa fase di gravame (OMISSIS), la quale spiegava appello incidentale domandando che le fossero riconosciuti gli assegni familiari con decorrenza dal provvedimento presidenziale assunto in data 20 aprile 2006.

La Corte di appello di Bari, con decreto depositato l’8 gennaio 2014, accoglieva parzialmente il reclamo principale e per l’effetto revocava sia l’ammonimento, sia l’obbligo di pagamento diretto dell’assegno di mantenimento posto a carico del datore di lavoro del reclamante, sia l’obbligo di (OMISSIS) di versare alla moglie l’assegno di mantenimento, fermo restando l’obbligo del contribuito in favore del figlio (OMISSIS); disponeva inoltre che le spese straordinarie relative a detto mantenimento dovessero gravare per il 70% sul marito e per il 30% sulla moglie, senza fissazione di alcun tetto di spesa. La stessa Corte distrettuale accoglieva, poi, il reclamo incidentale di (OMISSIS) e statuiva che gli assegni familiari andassero versati – da (OMISSIS) ove gia’ dallo stesso percepiti e dalla sua amministrazione di appartenenza ove da lui non riscossi – all’avente diritto, e cio’ a far data dal decreto di omologa della separazione.

Il suddetto decreto e’ stato oggetto dell’impugnazione per cassazione proposta da (OMISSIS). Il ricorso si basa su di un unico, articolato motivo.

Resiste con controricorso (OMISSIS).

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il motivo di ricorso e’ rubricato come segue:

violazione e falsa applicazione degli articoli 143, 155, 156 e 2697 c.c. e articolo 710 c.p.c. e dei principi in tema di revisione dell’assegno di mantenimento, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4 e articolo 111 Cost.. La ricorrente muove dal rilievo per cui l’ammontare dello stipendio mensile del marito, all’atto della convenzione di separazione consensuale, era di Euro 1.100,00 1.200,00 mensili: cio’ che il controricorrente aveva ribadito anche nel ricorso per reclamo ex articolo 739 c.p.c.. L’istante aveva peraltro contestato tale affermazione, deducendo che lo stipendio mensile netto di (OMISSIS) era pari a Euro 1.895,31. La Corte di appello era poi pervenuta alla riduzione dell’assegno di mantenimento decurtando da tale importo la somma mensile di Euro 420,00 mensili affermando, del tutto apoditticamente, che tale importo era riferito a crediti al consumo contratti nell’interesse della famiglia. Quest’ultima affermazione era totalmente priva di motivazione; inoltre il giudice del reclamo aveva preso in considerazione finanziamenti non gia’ sopravvenuti, ma gia’ esistenti all’epoca della separazione. Allorquando la Corte territoriale aveva affermato che finanziamenti erano stati contratti da (OMISSIS) nell’interesse della famiglia, essa si era riferita evidentemente alla famiglia costituita con la ricorrente: di contro, controparte, seppure falsamente, aveva sostenuto che i finanziamenti erano tutti posteriori alla separazione, sicche’ l’affermazione del giudice di secondo grado era contraddetta da quanto sostenuto in causa dal controricorrente. Lamenta inoltre la ricorrente che il decreto impugnato non aveva conferito alcun rilievo al miglioramento della capacita’ reddituale di (OMISSIS): miglioramento che era sopravvenuto alla separazione. In particolare, l’istante sottolinea che lo stipendio della controparte si era incrementato dall’importo di Euro 1.100,00 – 1.200,00 mensili a quello di Euro 1.895,00: ne’ lo stesso poteva essere ridotto di Euro 420,00 mensili in ragione dei finanziamenti, dal momento che questi erano gia’ esistenti all’epoca della separazione. Tale incremento ben avrebbe potuto consentire la corresponsione, in favore della ricorrente, casalinga priva di reddito, dell’assegno di mantenimento del modestissimo importo di Euro 250,00 mensili. Oltretutto, aggiunge, ove pure si trascurasse l’importo dei finanziamenti, risulterebbe confermato che il controricorrente aveva ottenuto un incremento stipendiale, rispetto al momento della separazione, di Euro 275,00 – 375,00.

Il mantenimento dell’assegno si imponeva, altresi’, per il venir meno della spesa mensile originariamente affrontata da (OMISSIS) per il canone di locazione dell’immobile da lui non piu’ occupato. Con riferimento poi alle ragioni specifiche fondanti la soppressione dell’assegno di mantenimento, assume la ricorrente che la Corte di merito aveva operato un inaccettabile automatismo, ritenendo che la nascita della nuova figlia del controricorrente comportasse di per se’ l’esclusione del diritto della moglie separata alla percezione del contributo convenuto. Sul punto, il giudice del gravame aveva omesso qualsiasi riferimento al miglioramento della situazione economica di (OMISSIS), ne’ aveva spiegato per quale ragione la nascita della nuova figlia escludesse che lo stesso controricorrente potesse essere chiamato a una contribuzione in favore della moglie.

Ai fini della revoca dell’assegno di mantenimento non poteva del resto assumere rilievo la circostanza per cui l’istante non avesse trovato una propria sistemazione lavorativa: tra l’altro, la stessa ricorrente aveva 43 anni ed era priva di qualsiasi specifica professionalita’. La ricorrente si duole infine del fatto che la Corte di appello, incorrendo in violazione di legge, aveva eliminato il tetto massimo delle spese straordinarie convenuto della convenzione di separazione consensuale, ponendo l’onere relativo per il 70% a carico del marito e per la restante quota del 30% a carico della moglie. Evidenziava, in particolare, l’assenza dei presupposti per la modifica degli originari accordi, dovendosi aver riguardo, a tal fine, alle sole eventuali modifiche delle condizioni economiche delle parti.

Occorre premettere che il decreto emesso in camera di consiglio dalla corte d’appello a seguito di reclamo avverso i provvedimenti emanati dal tribunale sull’istanza di revisione delle disposizioni accessorie alla separazione, in quanto incidente su diritti soggettivi delle parti, nonche’ caratterizzato da stabilita’ temporanea, che lo rende idoneo ad acquistare efficacia di giudicato, sia pure rebus sic stantibus, e’ impugnabile dinanzi alla Corte di cassazione con il ricorso straordinario ai sensi dell’articolo 111 Cost., e, dovendo essere motivato, sia pure sommariamente, puo’ essere censurato anche per carenze motivazionali, le quali sono prospettabili in rapporto all’articolo 360 c.p.c., u.c., nel testo novellato dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, che qualifica come violazione di legge il vizio di cui al n. 5 del primo comma, alla luce dei principi del giusto processo, che deve svolgersi nel contraddittorio delle parti e concludersi con una pronuncia motivata (Cass. S.U. 21 ottobre 2009, n. 22238).

Va nondimeno osservato che il novellato articolo 360 c.p.c., n. 5 esclude la censura del vizio di motivazione in quanto tale (consentendo il ricorso per cassazione per il solo caso dell’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione), con la sola eccezione dell’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante.

Puo’ anticiparsi fin d’ora che l’impugnazione proposta risulta fondata avendo riguardo non gia’ alla fattispecie di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, ma a quella di cui al n. 3 dello stesso articolo.

Le censure sottendono tre diversi ordini di questioni: la variazione delle condizioni economiche che interessano il controricorrente, il rilievo attribuito dal decreto impugnato alla condizione di disoccupazione della ricorrente e l’ammissibilita’ del disposto mutamento della disciplina delle spese straordinarie. Le prime due sono tra loro intimamente connesse in quanto afferiscono entrambe al tema dell’eliminazione dell’assegno di mantenimento di cui fruiva l’odierna ricorrente in forza della convenzione di separazione.

Avendo riguardo ai primi due profili, che possono dunque esaminarsi congiuntamente, la Corte di merito, dopo aver dato atto che il controricorrente aveva avuto una figlia dalla relazione di fatto instaurata con altra donna a seguito della separazione, ha evidenziato che il maggior onere che egli doveva sopportare per sostenere la nuova nata non poteva non ripercuotersi sul diritto di (OMISSIS) a continuare a godere dell’assegno di mantenimento. Ha quindi osservato che la situazione reddituale del ricorrente (Euro 1.450,00 mensili, dovendosi detrarre dallo stipendio mensile di Euro 1.895,00 le trattenute alla fonte per Euro 420,00 relative a rate di rimborso per debiti contratti da (OMISSIS) nell’interesse della famiglia) escludeva che lo stesso controricorrente potesse essere chiamato a un qualsiasi contributo economico in favore della moglie, dato che l’aumento dei costi determinati dalla situazione di dissociazione della famiglia imponeva un contenimento delle esigenze degli interessati, a meno di non voler sensibilmente pregiudicare l’analogo paritetico diritto dell’obbligato a conservare anch’egli un tenore di vita simile (non uguale) a quello condotto in precedenza. Ha aggiunto, in proposito, che il diritto della moglie al mantenimento doveva ritenersi recessivo rispetto al diritto del minore – quantunque nato da una relazione di fatto – di essere mantenuto dal genitore. La Corte di Bari ha evidenziato, poi, che (OMISSIS), in violazione dei patti di separazione, pur essendo ancora giovane e avendo un figlio ormai sedicenne che non necessitava della sua costante presenza fisica, non si era procurata una sistemazione lavorativa neppure part-time; ha sottolineato, al riguardo, che l’odierna istante per un verso aveva inviato il suo curriculum presso strutture alberghiere senza avere alcuna specifica competenza del settore e continuato a collaborare (a suo dire, senza essere retribuita) col fratello nell’esercizio commerciale da lui gestito, cosi’ sottraendo impegno e risorse alla ricerca di un lavoro adeguatamente compensato.

Ora, in materia di separazione personale dei coniugi, la formazione di una nuova famiglia e la nascita di figli dal nuovo partner, pur non determinando automaticamente una riduzione degli oneri di mantenimento dei figli nati dalla precedente unione, deve essere valutata dal giudice come circostanza sopravvenuta che puo’ portare alla modifica delle condizioni originariamente stabilite in quanto comporta il sorgere di nuovi obblighi di carattere economico (Cass. 12 luglio 2016, n. 14175; analogo principio trova applicazione in tema di divorzio: Cass. 28 settembre 2015, n. 19194; Cass. 11 aprile 2011, n. 8227; Cass 30 novembre 2007, n. 25010). Il criterio deve valere, evidentemente, nell’ipotesi in cui si faccia questione dell’assegno di mantenimento al coniuge separato. E’ da escludere, pero’ – in quanto non vi e’ alcun indice normativo che possa fondare una tale conclusione – che il diritto alimentare del coniuge separato sia recessivo rispetto a quello del nuovo figlio, come invece ritenuto dalla Corte distrettuale. Sicche’ anche in tale ipotesi dovra’ valutarsi l’incidenza della circostanza sopravvenuta per verificare se sia in concreto giustificata, a mente dell’articolo 156 c.p.c., u.c., la revoca o la modifica delle condizioni gia’ fissate.

La Corte di appello si e’ fatta carico di tale apprezzamento e deve escludersi che quest’ultimo possa essere censurato avendo riguardo al dato dell’incremento reddituale di cui, secondo la ricorrente, avrebbe beneficiato (OMISSIS): rammenta infatti l’odierna istante che lo stipendio percepito dal coniuge al momento della convenzione di separazione era pari a circa Euro 1.200,00. In proposito, va pero’ rilevato che quel che rileva, ai fini del mutamento delle condizioni della separazione, e’ la situazione che maturi in momento successivo a quello in cui sono stati adottati i provvedimenti di cui all’articolo 156 c.c., o in cui sia stato concluso l’accordo di separazione (anch’esso soggetto alla clausola implicita rebus sic stantibus).

Il nuovo giudizio, rimesso al giudice del merito, esige che quest’ultimo valuti, nel loro insieme, le circostanze rilevanti per la determinazione circa la concessione e la misura dell’assegno di mantenimento. La Corte distrettuale, nel considerare, nello specifico, il tema della modificazione delle condizioni economiche di (OMISSIS), ha preso in considerazione due elementi che rivestivano importanza decisiva ai fini della ponderazione che ad essa era rimessa: la nuova paternita’ del controricorrente e la misura del suo stipendio (pari a Euro 1.895,00, da cui andava pero’ detratta la somma di Euro 420,00, oggetto di ritenuta per l’ammortamento dei finanziamenti contratti in precedenza). A fronte di quest’ultimo dato, poco rileva quale fosse lo stipendio percepito dallo stesso (OMISSIS) all’epoca della convenzione di separazione: conta, invece, l’entita’ dello stipendio al momento in cui doveva essere assunta la decisione e il raffronto dell’ultima misura della retribuzione con le sopravvenute esigenze del controricorrente legate al mantenimento della nuova figlia.

D’altro canto, la mancata esplicitazione, nel corpo della sentenza, di un percorso motivazionale afferente l’aumento dello stipendio e’ del tutto irrilevante, visto che il giudice del reclamo ha argomentato il proprio convincimento in ordine alle circostanze che potevano giustificare il mutamento delle condizioni della separazione e, come accennato in precedenza, nella nuova formulazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, attuata con il Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, convertito in L. n. 134 del 2012, e’ assente ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata: sicche’ il sindacato di legittimita’ in tema di motivazione e’ ridotto al “minimo costituzionale”, essendo denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’ (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053). Per altro verso, non potrebbe nemmeno sostenersi che ricorra l’ipotesi di “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”, visto che la circostanza dell’incremento reddituale (inteso come differenza matematica tra i due valori dello stipendio) non ha, in se’, il crisma della decisivita’, (essendo determinante, di contro, la comparazione del dato attuale della retribuzione con le esigenze di mantenimento della nuova nata nel frattempo sopraggiunte).

La valutazione svolta al riguardo dalla Corte di merito potrebbe essere quindi contestata solo in punto di fatto, con una censura non ammissibile nella presente sede.

Per quel che concerne, invece, l’aspetto del mancato reperimento, da parte della ricorrente, di una sistemazione lavorativa, occorre richiamare il principio, consolidato presso questa Corte di legittimita’, secondo cui in tema di separazione personale dei coniugi, l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacita’ di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, che deve al riguardo tenere conto non solo dei redditi in denaro ma anche di ogni utilita’ o capacita’ dei coniugi suscettibile di valutazione economica: con l’avvertenza, pero’, che l’attitudine del coniuge al lavoro assume in tal caso rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilita’ di svolgimento di un’attivita’ lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non gia’ di mere valutazioni astratte ed ipotetiche (Cass. 13 febbraio 2013, n. 3502; Cass. 25 agosto 2006, n. 18547; Cass. 2 luglio 2004, n. 12121).

La conclusione cui e’ pervenuta la Corte di merito non puo’ allora essere condivisa, dal momento che essa non si fonda sulla concreta possibilita’, da parte dell’istante di svolgere un’attivita’ lavorativa: infatti, sono stati scrutinati, quali unici dati fattuali, l’invio, da parte della ricorrente, del proprio curriculum a strutture alberghiere (per cui non avrebbe avuto specifica competenza) e una imprecisata collaborazione prestata dalla stessa istante presso l’esercizio commerciale del fratello (spiegandosi, al riguardo, che tale attivita’ avrebbe sottratto impegno e risorse alla ricerca di una occupazione): ma tali circostanze non sono in se’ rappresentative della effettiva possibilita’, da parte della ricorrente, di ottenere una collocazione sul mercato del lavoro.

Ai fini che qui interessano, rileva, invece, il sopraggiungere di fatti che abbiano determinato situazioni nuove rispetto a quelle tenute presenti dalle parti al momento della conclusione dell’accordo iniziale: occorreva, ad esempio, la dimostrazione che il coniuge beneficiato dell’assegno avesse acquisito professionalita’ diverse ed ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza, ovvero che lo stesso avesse ricevuto, nel periodo successivo al perfezionamento della convenzione di separazione, effettive offerte di lavoro, o che ancora avesse comunque potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione.

Sul punto relativo alla capacita’ lavorativa della ricorrente la sentenza va quindi cassata: competera’ al giudice di rinvio procedere a un nuovo apprezzamento della vicenda occorsa e giudicare, in conseguenza, del mantenimento, della riduzione o della soppressione dell’assegno di mantenimento. Cio’ tenendo conto che l’attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva sopravvenuta possibilita’ di svolgimento di un’attivita’ lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non gia’ di mere valutazioni astratte ed ipotetiche.

Pure fondata e’ la censura riguardante la statuizione con cui sono state regolamentate le spese straordinarie.

La decisione si fonda, infatti, sul duplice rilievo per cui la fissazione di un tetto massimo delle predette spese era, da un lato, potenzialmente foriera di incomprensioni e litigi tra i coniugi e, dall’altro, priva di coerenza, perche’ non teneva conto della necessita’ di assicurare sempre e comunque al figlio la tutela delle sue esigenze, anche oltre l’impegno economico predeterminato. In tal modo, pero’, la Corte distrettuale ha omesso di considerare che l’articolo 156 c.c., comma 7 ammette la modificazione delle condizioni di separazione allorquando “sopravvengono giustificati motivi”: ora, in tema di separazione consensuale, applicandosi in via analogica l’articolo 156 c.c., comma 7, i giustificati motivi che autorizzano il mutamento delle relative condizioni consistono in fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale gli accordi erano stati stipulati (Cass. 22 novembre 2007, n. 24321; cfr. pure Cass. 8 maggio 2008, n. 11488). Ne consegue che l’accordo non e’ modificabile in ragione di un semplice riesame circa l’opportunita’ delle soluzioni concordate dai coniugi nell’intercorsa convenzione.

Anche sul punto si impone, dunque, la cassazione. Il ricorso e’ dunque accolto nei sensi di cui alla motivazione.

Al giudice di rinvio e’ rimessa la statuizione circa le spese della presente fase di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa alla Corte di appello di Bari, in altra composizione, anche per le spese della fase di legittimita’