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SEPARAZIONE URGENTE BOLOGNA: INFEDELTA’ ?

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SEPARAZIONE URGENTE BOLOGNA: INFEDELTA’ ?

UNIONE CIVILE CONVIVENZE BOLOGNA AVVOCATO ESPERTO
UNIONE CIVILE CONVIVENZE BOLOGNA AVVOCATO ESPERTO

L’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale, costituendo una violazione particolarmente grave, normalmente idonea a rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, è ritenuta, di regola, sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, a meno che non si accerti, attraverso un’indagine rigorosa ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, che l’infedeltà non ha costituito la causa efficiente della crisi coniugale, essendosi manifestata in un contesto di relazioni già compromesse in modo irreparabile in un ambiente caratterizzato da una convivenza ormai solo nominale e formale.

Il danno estetico, infatti, può essere risarcito sotto diversi punti di vista: per l’aspetto patrimoniale, quindi il danno emergente o il lucro cessante derivante dalla lesione; per l’aspetto non patrimoniale, quindi il danno biologico e morale, cioè le conseguenze psicologiche che conseguono al peggioramento fisico (pensiamo ad un esaurimento da stress).
Il danno estetico, infatti, può essere risarcito sotto diversi punti di vista:
per l’aspetto patrimoniale, quindi il danno emergente o il lucro cessante derivante dalla lesione;
per l’aspetto non patrimoniale, quindi il danno biologico e morale, cioè le conseguenze psicologiche che conseguono al peggioramento fisico (pensiamo ad un esaurimento da stress).

La sentenza Cassazione civile sez. I, 29/04/2024, (ud. 15/11/2023, dep. 29/04/2024), n.11394

Massime

Con sentenza n. 2172/2021, il Tribunale di Taranto, dichiarata la separazione personale dei coniugi Cr.An. e Ca.El. , che avevano contratto matrimonio nel 2008, rigettava la domanda di addebito della separazione alla moglie, ponendo a carico del Cr.An. un contributo al mantenimento di quest’ultima di Euro 150,00 mensili. Il Tribunale affidava, inoltre, la figlia minore (nata nel 2009) congiuntamente ad entrambi i genitori, collocandola presso la madre, e disciplinava le visite e le frequentazioni del padre, ponendo a carico di quest’ultimo un contributo al mantenimento della figlia di Euro 400,00 mensili, oltre al pagamento del 50% delle spese straordinarie.

Avverso tale pronuncia, Cr.An. proponeva appello, impugnando la statuizione di primo grado nella parte in cui aveva respinto la domanda di addebito della separazione alla moglie e stabilito un contributo al mantenimento di quest’ultima e della figlia rispettivamente di Euro 150,00 mensili e 400,00 mensili, chiedendo la revoca del primo e la riduzione del secondo.

Nel contraddittorio delle parti, l’impugnazione veniva respinta dalla Corte d’appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto, con sentenza n. 436/2021, pubblicata il 22/12/2021.

Cr.An. ha, quindi, proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi di impugnazione.

L’intimata si è difesa con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria difensiva.

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Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Con il primo motivo di ricorso è formulata la seguente censura: ” I. – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 143,151,2967E 2698 C.C.NONCHÉ’ DEGLI ARTT. 2,3,29 E 111 COST. ED ANCORA DEGLI ARTT. 115 E 116 C.P.C. IN RELAZIONE ALL’ART. 360 COMMA 1 N. 3 C.P.C.”

Il ricorrente ha, in particolare, dedotto che la Corte di merito ha pronunciato una sentenza viziata, perché non aveva addebitato la separazione alla moglie nonostante avesse accertato il suo adulterio.

  1. Con il secondo motivo di ricorso è formulata la seguente censura: ” II. – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 143,151,2967E 2698 C.C.. NONCHÉ’ DEGLI ARTT. 2,3,29E 111 COST. ED ANCORA DEGLI ARTT. 115 E 116 C.P.C. IN RELAZIONE ALL’ART. 360 COMMA 1 N. 3 C.P.C. NULLITÀ DELLA SENTENZA PER MANCANZA DELLA MOTIVAZIONE E/O MOTIVAZIONE APPARENTE COME PREVISTO DALL’ART. 132 C.P.C. N. 4 IN RELAZIONE ALL’ART. 360 COMMA 1 N. 5 C.P.C.. OMESSO ESAME CIRCA UN FATTO DECISIVO PER IL GIUDIZIO CHE E’ STATO OGGETTO DI DISCUSSIONE TRA LE PARTI IN RELAZIONE ALL’ART. 360 COMMA 1 N. 5 C.P.C.”

Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata è viziata nella parte in cui la Corte territoriale, pur ritenendo chiaro e provato l’adulterio, ha affermato che non poteva ritenersi dimostrato che tale adulterio era stata la causa (e non l’effetto) del fallimento del matrimonio, tenuto conto: 1) del breve lasso di tempo intercorso tra il primo accertamento investigativo (gennaio 2015) ed il deposito del ricorso da parte della Ca.El. (febbraio 2015); 2) la circostanza che il Cr.An. , già intorno alla metà dell’anno precedente (quindi circa sette mesi prima) aveva colto un “comportamento improvvisamente freddo e distaccato” della moglie, al punto che anche la vita intima “era cessata”.

Una volta provata la violazione dell’obbligo di fedeltà, ha ritenuto il ricorrente, era la moglie onerata della prova dell’anteriorità della crisi coniugale, rispetto a tale circostanza, mentre tale prova non era stata fornita.

Per il Cr.An. , l’argomento di cui al punto 1) recava una motivazione del tutto inconsistente, non assumendo alcun significato giuridico la vicinanza temporale tra l’adulterio e il deposito del ricorso per la separazione da parte della ricorrente, che anzi, se proprio poteva avere un significato, certo costituiva la dimostrazione del fatto che la Ca.El., tradito il marito ed invaghita del nuovo compagno, avesse voluto liberarsi quanto prima del coniuge. Anche l’argomento di cui al punto 2) è ritenuto illogico e inconsistente, poiché il ricorrente aveva dedotto di avere notato una certa disaffezione della moglie, che non aveva prospettato quale dimostrazione dell’intollerabilità della convivenza, ma come sintomo di qualcosa che, poi, si è mostrato essere l’adulterio della donna, senza che fosse emersa nel processo alcuna altra causa.

  1. Con il terzo motivo di ricorso è formulata la seguente censura: “III. – NULLITÀ E/O ERRONEITÀ DELLA SENTENZA PER VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 156 C.C.E DELL’ART. 116C.P.C. IN RELAZIONE ALL’ART. 360 COMMA 1 N. 3 C.P.C.. NULLITÀ DELLA SENTENZA PER MANCANZA DELLA MOTIVAZIONE E/O MOTIVAZIONE APPARENTE COME PREVISTO DALL’ART. 132 C.P.C. N. 4 IN RELAZIONE ALL’ART. 360 COMMA 1 N. 5 C.P.C.. OMESSO ESAME CIRCA UN FATTO DECISIVO PER IL GIUDIZIO CHE E’ STATO OGGETTO DI DISCUSSIONE TRA LE PARTI IN RELAZIONE ALL’ART. 360 COMMA 1 N. 5 C.P.C.”

Secondo il ricorrente, in disparte il palese adulterio che, determinando l’addebito della separazione, avrebbe dovuto comportare il rigetto della domanda di assegno di mantenimento, anche la previsione di un contributo al mantenimento della moglie a carico del marito era in sé viziata, perché lo stato di disoccupazione della Ca.El. era sempre e solo dipeso dal di lei rifiuto a lavorare, tant’è che aveva espressamente rifiutato una proposta di lavoro, a lei inviata, proprio perché il marito si era preoccupato di cercarla, a seguito della richiesta della moglie.

  1. Il primo e il secondo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, risultando fondati nei termini di seguito evidenziati.

4.1. Com’è noto ai sensi dell’art. 151 c.c. “La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole. Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.”

Questa Corte ha, in via generale, affermato che la pronuncia di addebito della separazione non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri posti dall’art. 143 c.c. a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare che tale violazione, lungi dall’essere intervenuta quando era già maturata una situazione in cui la convivenza non era più tollerabile, abbia assunto efficacia causale nel determinare l’impossibilità per i coniugi di continuare a vivere insieme (Cass., Sez. 1, n. 18074/2014).

Secondo le regole generali di riparto dell’onere della prova, spetta alla parte che chiede l’addebito della separazione l’onere di provare la condotta violativa degli obblighi matrimoniali e la sua efficacia causale, nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre spetta a chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, fornire la prova delle circostanze su cui l’eccezione si fonda e, dunque, l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata violazione (cfr. Cass., Sez. 1, n. 25966/2022; Cass., Sez. 6-1, n. 3923/2018; Cass., Sez. 1, n. 2059/2012).

Occorre precisare che l’anteriorità della crisi della coppia rispetto alla violazione degli obblighi matrimoniali, quale causa di esclusione del nesso causale, integra un’eccezione in senso lato, ed è pertanto rilevabile d’ufficio, purché siano allegati dalla parte a ciò interessata i fatti che suffragano tale situazione e i menzionati fatti risultino provati dal materiale probatorio acquisito al processo (Cass., Sez. 1, n. 20866/2021).

L’indagine sull’intollerabilità della convivenza deve, peraltro, essere svolta sulla base della valutazione globale e sulla comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi, non potendo la condotta dell’uno essere giudicata senza un raffronto con quella dell’altro, consentendo solo tale comparazione di riscontrare se e quale incidenza esse abbiano riservato, nel loro reciproco interferire, nel verificarsi della crisi matrimoniale (Cass., Sez. 1, n. 14162/2001; Cass., Sez. 1, n. 15101/2004).

Tali principi sono stati ritenuti applicabili anche all’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale, la quale, costituendo una violazione particolarmente grave, normalmente idonea a rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, è stata ritenuta, di regola, sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, a meno che non si accerti, attraverso un’indagine rigorosa ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, che l’infedeltà non ha costituito la causa efficiente della crisi coniugale, essendosi manifestata in presenza di un deterioramento dei rapporti già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza divenuta ormai meramente formale (cfr. Cass., Sez. 1, n. 25966/2022; Cass., Sez. 6-1, n. 16859/2015; Cass., Sez. 1, n. 25618/2007; Cass., Sez. 1, n. 13592/2006).

Ovviamente, l’apprezzamento circa la responsabilità di uno o di entrambi i coniugi nel determinarsi della intollerabilità della convivenza è un accertamento in fatto riservato al giudice di merito e non può essere censurato in sede di legittimità in presenza di una motivazione che non sia viziata (Cass., Sez. 1, n. 18074/2014).

4.2. Proprio con riguardo alla motivazione della decisione, le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che la riformulazione operata dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 prel., come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v. Cass., Sez. U, n. 8053/2014; conf. da ultimo Cass., Sez. 1, n. 7090/2022).

In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. di nuovo Cass., Sez. U, n. 8053/2014 e Cass., Sez. 1, n. 13248/2020).

A tali principi si è uniformata negli anni successivi la giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte precisato che la violazione di legge, come sopra indicata, ove riconducibile alla violazione degli artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., determina la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. (così Cass., Sez. U, n. 22232/2016; conf. Cass. Sez. 63, n. 22598/2018; Cass., Sez. L, n. 27112/2018; Cass., Sez. 6-L, n. 16611/2018; Cass., Sez. 3, n. 23940/2017).

In particolare, questa Corte ha rilevato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice.

Secondo la medesima Corte, inoltre, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento del ragionamento del giudice (v. da ultimo Cass. , Sez. 3, n. 27411/2021).

Il giudice deve, infatti, dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o respingere la domanda formulata, dovendosi ritenere viziata per apparenza la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 14762/2019).

4.3. Nel caso di specie, la sentenza impugnata reca la seguente motivazione: “L’appellante, nel reiterare la richiesta di addebito della separazione a carico della moglie, evidenzia la lampante prova della sua infedeltà, così come emergente dagli appostamenti di un’agenzia investigativa, che ne aveva documentato gli incontri clandestini con un altro uomo nei mesi di gennaio e marzo 2015. La circostanza, da ritenersi pacifica anche alla luce delle dichiarazioni testimoniali rese dagli investigatori privati, non è tuttavia di per sé sufficiente ai fini della dichiarazione di addebito, mancando agli atti la prova certa che l’infedeltà della moglie sia stata la reale causa del fallimento dell’unione coniugale e non piuttosto un suo effetto (cfr. ex multis Cass n. 20866/2021). Per la seconda ipotesi, così come ampiamente motivato dal Tribunale, depongono in modo inconfutabile due insuperabili circostanze e cioè la vicinanza temporale tra i segnalati episodi e la presentazione nel febbraio 2015 da parte della Ca.El. del ricorso per separazione e l’ammissione da parte del Cr.An. che la crisi coniugale era iniziata già nella metà dell’anno precedente, manifestandosi con un “comportamento improvvisamente freddo e distaccato” della moglie nei confronti del marito”. Appare quindi del tutto condivisibile l’arresto del Giudice di prime cure, che ha escluso l’addebito a carico della Ca.El. e pronunziato la separazione dei coniugi per fatti oggettivi.”

Non è tuttavia esplicitato, né è indirettamente comprensibile, perché la presentazione della domanda di separazione da parte dello stesso coniuge a cui è ricondotta la condotta violativa degli obblighi coniugali escluda il nesso causale tra tale condotta e l’intollerabilità della convivenza (e, piuttosto, non dimostri invece tale connessione). Né è esplicitata la ragione per cui il fatto che il ricorrente abbia dedotto in giudizio che qualche mese prima della proposizione della domanda di separazione da parte della moglie si era accorto di una certa disaffezione della Ca.El., con la quale non aveva più rapporti intimi, costituisse ammissione della intollerabilità della convivenza già prima delle infedeltà (e non un’avvisaglia della violazione dell’obbligo di fedeltà da parte della donna).

La motivazione della sentenza, pure materialmente esistente, non esplicita in modo logico e comprensibile le ragioni della decisione sulla domanda di addebito della separazione, risultando pertanto viziata.

  1. L’accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, comportando il rinvio della causa per la statuizione sull’addebito della separazione, rende superfluo l’esame del terzo motivo, che deve dichiararsi assorbito.
  2. In conclusione, devono essere accolti il primo e il secondo motivo di ricorso, nei termini sopra evidenziati, e, assorbito il terzo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
  3. In caso di diffusione, devono essere omesse le qeneralita delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003.

PQM

P.Q.M.

La Corte

accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso nei limiti sopra evidenziati, e, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità;

dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati, a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 15 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2024.

Cassazione civile sez. I, 29/04/2024, n.11394

 

 APPREZZAMENTO CRISI DI COPPIA RISERVATO AL GIUDICE

L’apprezzamento circa la responsabilità di uno o di entrambi i coniugi nel rendere la convivenza intollerabilità è un accertamento in fatto riservato al giudice di merito e non può essere censurato in sede di legittimità in presenza di una motivazione che non sia viziata.

Cass. civ., sez. I, sent., 16 ottobre 2023, n. 28727

Presidente Genovese – Relatore Iofrida

Fatti di causa

I coniugi C.C. E B.R. , con ricorso congiunto depositato il 15/5/2023, dinanzi al Tribunale di Treviso, hanno chiesto di pronunciare la loro separazione personale e dare le consequenziali disposizioni relative all’affido e alla collocazione della loro figlia minorenne e al contributo economico del genitore non collocatario in favore di quest’ultima e del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente. Con lo stesso ricorso le parti hanno chiesto al Tribunale di pronunciare, decorso il periodo di tempo previsto dall’art. 3 della legge n. 898/1970 e previo il passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio alle stesse condizioni richieste per la separazione personale, ordinando all’ufficiale dello stato civile di procedere all’annotazione della sentenza.

All’udienza fissata per la comparizione delle parti, il giudice delegato dal Presidente del Tribunale ha prospettato ai coniugi l’esistenza di una questione pregiudiziale di puro diritto, relativa all’ammissibilità, in rito, del cumulo oggettivo della domanda congiunta di separazione personale con quella, parimenti congiunta, di divorzio, riservandosi di riferirne al collegio.

Con ordinanza di rinvio pregiudiziale del 31 maggio 2023, il Tribunale di Treviso ha investito la Suprema Corte di Cassazione della questione di rito relativa all’ammissibilità del cumulo oggettivo delle domande congiunte di separazione e divorzio.

Con decreto della Prima Presidenza in data 14 giugno 2023, ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., la questione è stata assegnata alla prima sezione civile, per l’enunciazione del correlato principio di diritto.

È stata fissata per la trattazione l’udienza pubblica del 6/10/2023.

Il P.G. ha depositato memoria, concludendo perché questa Corte formuli il principio di diritto “secondo il quale è ammissibile il cumulo, in caso di ricorso consensuale, delle domande di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti ci matrimonio.

In data 6/9/23 i sig.ri c. e B. hanno depositato memoria di costituzione.

All’udienza pubblica del 6/10/2023, sono stati sentiti il P.G. e il difensore delle parti.

Ragioni della decisione

1.Due importanti novità introdotte con la recente Riforma c.d., Cartabia, di cui al d.lgs. n. 149/2022, vengono al vaglio di questo giudice di legittimità.

1.1.La prima è rappresentata dall’istituto del cd. rinvio pregiudiziale da parte del giudice di merito.

Si tratta di uno strumento già presente in altri ordinamenti stranieri, in particolare in quello francese, consistente nella possibilità per il giudice di merito di sottoporre direttamente alla Suprema Corte una questione di diritto, sulla quale deve decidere e in relazione alla quale ha preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti.

Non essendo presente nell’ordinamento italiano alcun istituto volto a fornire una visione globale del contenzioso emergente nei tribunali e nelle corti d’appello, anticipando il possibile contenzioso futuro dinanzi al giudice di legittimità, tenendo conto dell’eventuale carattere seriale delle controversie, per poterne assicurare una trattazione congiunta, al fine di colmare questa lacuna, il legislatore italiano ha sentito la necessità di un maggior raccordo tra questa Corte e i giudici di merito. Per questo motivo, la lett. g) del comma 9 dell’articolo unico della legge delega n. 206 del 2021 ha demandato al legislatore delegato di introdurre la possibilità che “il giudice di merito”, quando deve decidere una questione di diritto, possa sottoporre d’ufficio direttamente la questione alla Corte di cassazione per la risoluzione del quesito di diritto. La legge delega, poi, ha delimitato il tipo di questione che il giudice può sottoporre

alla Suprema Corte, precisando che deve trattarsi di una questione:

  1. a) esclusivamente di diritto; b) nuova, non essendo stata ancora affrontata dalla Corte di cassazione; c) di particolare importanza; d) con gravi difficoltà interpretative; e) tale da riproporsi in numerose controversie.

È, altresì, necessario che la questione sia stata preventivamente sottoposta al contraddittorio delle parti.

In attuazione del principio di delega, il legislatore delegato, con il D.Lgs. n. 149 del 2022, ha introdotto l’art. 363 bis c.p.c., rubricato “Rinvio pregiudiziale”, prevedendo che il giudice, con ordinanza e dopo aver sentito le parti costituite, possa disporre il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di cassazione per la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto.

Il comma 1 dell’art. 363 bis c.p.c. elenca le caratteristiche che la questione di diritto deve avere, per l’utile accesso allo strumento in esame e segnatamente che: 1) la questione sia necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non sia stata ancora risolta dalla Corte di cassazione; 2) la questione presenti gravi difficoltà interpretative; 3) sia suscettibile di porsi in numerosi giudizi.

Il comma 2 prevede che l’ordinanza debba essere motivata (analogamente a quelle con cui viene sollevata una questione di legittimità costituzionale) e, in particolare, con riferimento al requisito delle gravi difficoltà interpretative, si richiede che venga data indicazione delle diverse interpretazioni possibili.

Alla luce di tale specificazione, si evince che la questione di diritto che presenta gravi difficoltà interpretative sia quella per la quale sono possibili diverse opzioni interpretative, tutte parimenti attendibili. Il deposito dell’ordinanza che dispone il rinvio pregiudiziale comporta, inoltre, la automatica sospensione del procedimento di merito, ma la disposizione fa salvo il compimento degli atti urgenti e dell’attività istruttoria non dipendente dalla soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale.

Il comma 3, infine, introduce una sorta di filtro delle ordinanze di rimessione da parte del Primo presidente della Corte di cassazione, il quale, ricevuti gli atti, entro il termine di novanta giorni, valuta la sussistenza dei presupposti previsti dalla norma. In caso di valutazione positiva, assegna la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice (secondo le ordinarie regole di riparto degli affari); mentre in caso di valutazione negativa, dichiara inammissibile la questione con decreto. Tale meccanismo conferma che lo strumento non integra un mezzo di impugnazione.

Trattandosi di questioni rilevanti, si è previsto che la Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronunci sempre in pubblica udienza con la requisitoria scritta del pubblico ministero e con la facoltà per le parti di depositare brevi memorie, nei termini di cui all’art. 378 c.p.c.

Una volta superato il vaglio di ammissibilità, il procedimento si conclude con l’enunciazione del principio di diritto da parte della Corte, espressamente previsto come vincolante nel giudizio nell’ambito del quale è stata rimessa la questione. Qualora, poi, tale giudizio si estingua, l’ultimo comma dell’articolo in esame estende il vincolo del principio di diritto enunciato dalla Corte anche al nuovo processo instaurato tra le stesse parti, con la riproposizione della medesima domanda.

Questo aspetto rappresenta uno dei più rilevanti profili di differenza tra l’istituto italiano e quello francese della saisine pour avis. (art. L. 441-1 del codice di organizzazione giudiziaria francese): mentre nell’ordinamento francese la Corte di cassazione esprime semplicemente un parere sulla questione sollevata, non vincolante per il giudice di merito, il principio di diritto enunciato dalla Corte Suprema italiana, ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., non si limita ad un mero parere, ma vincola la decisione del giudice di merito, che ha sollevato la questione, e tutti i giudici che interverranno nel medesimo procedimento.

La finalità del nuovo istituto è prettamente deflativa e viene perseguita attraverso l’enunciazione di un principio di diritto, che può costituire un precedente in una serie di giudizi, accomunati dalla difficoltà interpretativa di una disposizione nuova o sulla quale non si è ancora formato un univoco orientamento giurisprudenziale. Si è rilevato in dottrina che il nuovo istituto tende a realizzare una sorta di anomofilachia preventiva”, allo scopo di pervenire ad indirizzi giurisprudenziali uniformi, considerato che la prevedibilità della decisione oggi deve essere considerata come un “valore”, che si riflette sulla certezza del diritto, sulla tutela dei cittadini che vi fanno affidamento e sulla effettività del principio di uguaglianza, che impone uniforme trattamento, anche giurisdizionale, di fronte a casi simili.

In definitiva, oggetto del rinvio deve essere una questione esclusivamente di diritto (di merito, ma anche di rito), rilevante, in quanto necessaria per la risoluzione, anche parziale, della controversia pendente dinanzi al giudice remittente, e nuova, da intendersi nel senso che non sia stata ancora “risolta” dalla Corte di cassazione; la questione sollevata con il rinvio pregiudiziale deve inoltre presentare “gravi difficoltà interpretative”, tanto da essere richiesto che l’ordinanza, che dispone il rinvio pregiudiziale, rechi la specifica indicazione delle diverse interpretazioni possibili. è pertanto, necessario che il giudice di merito remittente esamini tutte le interpretazioni alternative, evidenziandone i contrasti e la grave difficoltà per la loro risoluzione; in ultimo, è necessario che la questione sia “suscettibile di porsi in numerosi giudizi”, ciò ricollegandosi alla funzione deflattiva dell’istituto.

1.2. La seconda novità che giunge all’attenzione di questa Corte è rappresentata dal disposto dell’art. 473 bis.49 c.p.c., che ha effetto a decorrere dal 28/2/2023 e si applica ai procedimenti instaurati successivamente a tale data, ai sensi dell’art. 35 comma 1 D.Lgs. n. 149/2022.

Il D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 149, ha introdotto la facoltà di presentare contestualmente la domanda di separazione e quella di divorzio, pur restando la seconda procedibile unicamente decorso il termine a tal fine previsto dalla legge (6 o 12 mesi, secondo i casi,

in ragione della procedura consensuale o contenziosa, ai sensi dell’art. 3 della legge sul divorzio).

Nel libro secondo (dedicato al processo di cognizione), all’interno del Titolo IV bis (Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie), Sezione II (dedicata ai “procedimenti di separazione, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento dell’unione civile e di regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, nonché di modifica delle relative condizioni”) del Capo II , l’art.47-bis.49 ( Cumulo di domande di separazione e scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio ), così recita : “Negli atti introduttivi del procedimento di separazione personale le parti possono proporre anche domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e le domande a questa connesse. Le domande così proposte sono procedibili decorso il termine a tal fine previsto dalla legge, e previo passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale. Se il giudizio di separazione e quello di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio sono proposti tra le stesse parti davanti a giudici diversi, si applica l’artico/o 40. In presenza di figli minori, la rimessione avviene in favore del giudice individuato ai sensi dell’articolo 473-bis. 11, primo comma. Se i procedimenti di cui al secondo comma pendono davanti allo stesso giudice, si applica l’articolo 274. La sentenza emessa all’esito dei procedimenti di cui al presente articolo contiene autonomi capi per le diverse domande e determina la decorrenza dei diversi contributi economici eventualmente previsti”.

L’art. 473 -bis.51 (Procedimento su domanda congiunta stabilisce che: “La domanda congiunta relativa ai procedimenti di cui all’artico/o 473-bis.47 – domande di separazione personale dei coniugi, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, scioglimento dell’unione civile e regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio, nonché per quelle di modifica delle relative condizioni – si propone con ricorso al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’una o dell’altra parte. Il ricorso è sottoscritto anche dalle parti e contiene le indicazioni di cui all’articolo 473- bis.12, primo comma, numeri 1), 2), 3) e 5), e secondo comma, e quelle relative alle disponibilità reddituali e patrimoniali dell’ultimo triennio e degli oneri a carico delle parti, nonché le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici. Con il ricorso le parti possono anche regolamentare, in tutto o in parte, i loro rapporti patrimoniali. Se intendono avvalersi della facoltà di sostituire l’udienza con il deposito di note scritte, devono farne richiesta nel ricorso, dichiarando di non volersi riconciliare e depositando i documenti di cui all’articolo 473-bis.13, terzo comma. A seguito del deposito, il presidente fissa l’udienza per la comparizione delle parti davanti al giudice relatore e dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero, il quale esprime il proprio parere entro tre giorni prima della data dell’udienza. All’udienza il giudice, sentite le parti e preso atto della loro volontà di non riconciliarsi, rimette la causa in decisione. Il giudice può sempre chiedere i chiarimenti necessari e invitare le parti a depositare la documentazione di cui all’articolo 473-bis.12, terzo comma. Il collegio provvede con sentenza con la quale omologa o prende atto degli accordi intervenuti tra le parti. Se gli accordi sono in contrasto con gli interessi dei figli, convoca le parti indicando loro le modificazioni da adottare, e, in caso di inidonea soluzione, rigetta allo stato la domanda. In caso di domanda congiunta inirenti all’esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli e ai contributi economici in favore di questi o delle parti, il presidente designa il relatore che, acquisito il parere del pubblico ministero, riferisce in camera di consiglio. Il giudice dispone la comparizione personale delle parti quando queste ne fanno richiesta congiunta o sono necessari chiarimenti in merito alle nuove condizioni proposte”.

Il legislatore, quindi, ha espressamente previsto l’ammissibilità della domanda cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, nell’art. 473 -bis.49 c.p.c., con riferimento al giudizio contenzioso (subordinando, come è naturale e giusto che sia, la procedibilità del divorzio al ricorrere dei presupposti indicati dall’art. 3, comma 1, n. 2, lett. b, I. div.), mentre analoga previsione non è stata riportata nell’art. 47 3 -bis.51 c.p.c., norma dedicata al “procedimento su domanda congiunta”, che detta una specifica disciplina relativa a tutti i procedimenti di cui all’art. 473 -bis.47 c.p.c. (e dunque separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, scioglimento dell’unione civile e regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, nonché di modifica delle relative condizioni), laddove presentati in forma congiunta.

È utile rammentare che, nel regime vigente ante Riforma 2022, il procedimento (artt. 711 c.p.c. e 158 e.e.) su domanda giudiziale di separazione consensuale (essendo stata introdotta con il d.lgs. n. 132/2014, conv. in L.n. 162/2014, anche la possibilità per i coniugi di presentare una richiesta congiunta all’Ufficiale di Stato civile o di stipulare un accordo di separazione con l’assistenza degli avvocati) inizia con ricorso, contenente l’accordo dei coniugi sulla decisione di separarsi e sulla eventuale regolamentazione dei rapporti reciproci e di quelli con i figli, atto di natura negoziale, produttivo di effetti con il decreto di omologazione da parte del Tribunale, e si articola in due fasi: la prima dinanzi al Presidente del Tribunale, ove vengono sentite entrambe le parti e viene tentata la conciliazione, con rimessione al collegio della causa, in caso di fallimento del tentativo di conciliazione; la seconda, dinanzi al collegio, in camera di consiglio, che si conclude con il decreto di omologazione o con il rifiuto “allo stato” dell’omologazione, quando si ravvisi nel contenuto negoziale un pregiudizio dell’interesse dei figli. Il procedimento abbreviato di divorzio dettato dall’art.4, comma 16, D. n. 898/1970, abrogato con il d.lgs. n. 149/2022, su domanda congiunta dei coniugi (essendosi introdotta, sempre con il d.lgs. n. 132/2014, limitatamente al caso in cui lo scioglimento del matrimonio dipenda da separazione legale protrattasi per il tempo previsto, una procedura stragiudiziale, con richiesta congiunta espressa davanti all’ufficiale di stato civile oppure con ricorso alla negoziazione assistita) si svolge in camera di consiglio: il Tribunale, sentiti i coniugi, deve verificare la sussistenza di una delle cause previste dalla legge per giustificare lo scioglimento del matrimonio (e in ciò la differenza rispetto al procedimento di separazione consensuale) e valutare se le condizioni pattuite non contrastino con l’interesse dei figli, e si conclude con sentenza, in caso di esito positivo di detto vaglio; se il Tribunale ritiene che l’accordo contrasta con l’interesse dei figli, il procedimento verrà trasformato in quello ordinario, operando il comma 8 dell’art.4, secondo il quale, fallito il tentativo d conciliazione tra i coniugi o se non compare il coniuge convenuto, il Presidente del Tribuna le, dinanzi al quale le parti devono comparire personalmente, pronuncia i provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse dei coniugi e/o dei figli, nomina il giudice istruttore e fissa l’udienza di comparizione e trattazione dinanzi a quest’ultimo).

1.3. La questione di diritto posta dall’ordinanza del Tribunale di Treviso , nell’ambito di un giudizio instaurato nel maggio 2023, promosso su domanda congiunta dei coniugi, al fine di sentire pronunciare la loro separazione personale alle condizioni concordate e, decorso il periodo di tempo previsto dall’art. 3 della legge n. 898/1970 e previo il passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, attiene per l’appunto al problema della cumulabilità, in un simultaneus processus, delle domande di separazione e divorzio, che già ha trovato soluzioni contrastanti nella giurisprudenza di merito che per prima se ne è occupata, come indicato nell’ordinanza del Tribunale di Treviso.

Nell’ordinanza viene evidenziata la presenza di gravi difficoltà interpretative, attesa la sussistenza di posizioni contrastanti, sia nella giurisprudenza di merito, sia in dottrina in relazione all’ammissibilità del cumulo delle domande proposte in via consensuale. Il Tribunale di Treviso ha, pertanto, richiamato l’emersione di due diversi orientamenti: uno favorevole all’ammissibilità del cumulo delle domande di separazione personale e divorzio in procedimenti non contenziosi; l’altro contrario all’ammissibilità del cumulo, incentrato sull’essere tale facoltà riservata dalla legge alle sole ipotesi di procedimento contenzioso.

  1. I diversi orientamenti che si sono espressi, a livello giurisprudenziale [con provvedimenti giurisdizionali o comunicazioni di carattere organizzativo da parte dei Presidenti degli uffici giudiziari: a) a favore dell’ammissibilità del cumulo, tra gli altri, i Tribunali di Genova, Milano, Vercelli, Lamezia Terme; b) in senso contrario, i Tribunali di Bari, Padova e Firenze] e dottrinale, hanno utilizzato criteri letterali e sistematici di interpretazione.

Quanto al criterio letterale, da una parte, si è osservato che l’art. 473 -bis.51 c.p.c. non prevede espressamente la possibilità di realizzare il cumulo oggettivo di domande congiunte, a differenza di quanto invece e previsto, per le domande contenziose, dall’art. 473 -bis.49 c.p.c.

Sulla scorta di tale osservazione, si è dunque concluso che “ubi /ex non dixit, non voluit”.

Si è, di contro, osservato, sempre su un piano letterale, che il riferimento, contenuto nel primo comma dell’art. 47 3 -bis. 51 c.p.c., alla “domanda congiunta relativa ai procedimenti di cui all’art. 473 bis.47”, sarebbe un indizio nel senso dell’ammissibilità del cumulo.

In altre parole, se il legislatore avesse inteso escludere il cumulo, non avrebbe usato il plurale (“…relativa ai procedimenti di cui all’art. 473 bis.47” ), ma si sarebbe riferito ad “uno dei procedimenti di cui all’art. 473 bis.47”.

Da un punto di vista sistematico: (a) sostenitori della tesi contraria all’ammissibilità hanno evidenziato che l’idea del cumulo è incompatibile con la natura di procedimento di volontaria giurisdizione che avrebbe quello scaturente dalla domanda congiunta dei coniugi (in particolare, si è detto che il processo volontario non potrebbe contenere una sentenza non definitiva, seguita da un rinvio per verificare la sussistenza, a distanza di sei mesi, delle condizioni di procedibilità e quindi da una sentenza definitiva sullo scioglimento del vincolo matrimoniale) e si è rilevato che il risparmio di energie processuali che si ottiene nel giudizio contenzioso non è – di fatto – comparabile con quello che si potrebbe astrattamente conseguire nel procedimento di cui all’art. 473- bis.51 c.p.c., essendo profondamente diversa la natura dei due giudizi, nonché l’attività processuale che negli stessi viene compiuta (in sostanza, si assume che, laddove si consentisse il cumulo delle domande nel procedimento congiunto si otterrebbe l’effetto contrario, provocando un allungamento della durata del procedimento, ora definibile nel giro di pochi giorni dal deposito, in quanto, in caso di cumulo delle domande, il medesimo procedimento resterebbe pendente per tutto il tempo necessario al maturare dei presupposti per il divorzio); (b) le pos1z1oni aperte all’ammissibilità hanno, invece, obiettato che la compatibilità strutturale del cumulo con un determinato procedimento deve essere vista in concreto, non sulla base della qualificazione astratta della natura di tale procedimento e che anche il procedimento a domanda congiunta è ormai interamente definito con sentenza (art. 47 3 -bis.51, comma 4, c.p.c.), con la conseguente possibilità di applicare l’art. 279 c.p.c., pronunciando sentenza non definitiva (art. 279, comma 2, n. 4 c.p.c.) o anche definitiva (art. 279, comma 2, n. 5 c.p.c.) su una delle domande congiunte di separazione e divorzio.

Un ulteriore argomento, evocato dai sostenitori della tesi contraria al cumulo in caso di domande consensuali, è il tema dell’indisponibilità dei diritti oggetto degli accordi: questi ultimi sarebbero dei “patti prematrimoniali” volti a incidere sugli effetti dell’ eventuale futuro divorzio e quindi nulli, ai sensi dell’art. 160 e.e., vieppiù se si considera che essi avrebbero ad oggetto diritti che, oltre ad essere indisponibili, non sarebbero ancora sorti. Secondo tale impostazione, dunque, i due procedimenti in esame non potrebbero essere assimilati, sia dal punto di vista funzionale sia dal punto di vista strutturale: con riguardo al cumulo della domanda di separazione con quella di divorzio, si osserva che nei procedimenti contenziosi le parti non stabiliscono, pattuendoli tra loro, gli effetti discendenti dalle rispettive domande, ma si limitano a chiedere al tribunale di procedere congiuntamente alla trattazione e all’istruttoria delle stesse, decidendo su entrambe, mentre nei procedimenti instaurati con ricorso congiunto delle due parti le stesse disciplinerebbero contemporaneamente i diritti conseguenti ad entrambi gli status, in netto contrasto con la costante giurisprudenza di legittimità, che qualifica come nullo, ai sensi dell’art. 160 e.e. (in forza del quale “gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio), l’accordo che, m sede d1 separazione, contenga patti volti a regolare gli effetti dello scioglimento del vincolo matrimoniale.

In ultimo, si pone l’accento sull’assenza di disposizioni destinate a gestire le “sopravvenienze” con riferimento al cumulo di domande congiunte. Mentre l’adattamento del processo contenzioso alle sopravvenienze sarebbe garantito dal disposto dell’art. 473-bis.19, secondo comma, c.p.c. (“Le parti possono sempre introdurre nuove domande e nuovi mezzi di prova relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli minori. Possono altresì proporre, nella prima difesa utile successiva e fino al momento della precisazione delle conclusioni, nuove domande di contributo economico in favore proprio e dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente e i relativi nuovi mezzi di prova, se si verificano mutamenti nelle circostanze o a seguito di nuovi accertamenti istruttori”), che offre la possibilità alle parti (i coniugi) di modificare e meglio calibrare il contenuto delle domande e delle difese nel caso in cui si verifichino “mutamenti nelle circostanze” (mentre il comma 29 affida la modificabilità dei provvedimenti giurisdizionali già adottati, a tutela dei minori e in materia di contributi economici, al sopravvenire di “giustificati motivi”).

Analoga disposizione non vi sarebbe con riferimento al cumulo di domande congiunte.

Il Tribunale di Treviso, alla luce di tali considerazioni, ritiene opportuno che questa Corte pronunci il principio di diritto al fine di evitare la persistenza di filoni giurisprudenziali di merito discordanti.

  1. Il P.G. ritiene ammissibile il cumulo delle domande di separazione e scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio nel caso di proposizione cumulativa delle stesse domande in via consensuale.

Da un punto di vista letterale, si rileva che il leglatore, pur avendo disciplinato in maniera espressa unicamente il cumulo delle domande nell’ambito dei procedimenti contenziosi, ha fatto riferimento (art. 473-bis.51) all’unicità del ricorso nel caso del procedimento su domanda congiunta e ha utilizzato il plurale (“relativo ai procedimenti”, in luogo di “relativo al procedimento”), dovendosi interpretare tale disposizione quali elemento favorevole all’ammissibilità del cumulo.

Altro elemento a favore dell’ammissibilità del cumulo, dovrebbe rinvenirsi nella ratio sottesa all’introduzione dello stesso per i procedimenti contenziosi, in quanto anche la proposizione cumulativa delle domande congiunte di separazione e divorzio realizza quel “risparmio di energie processuali” alla base della previsione dell’art. 47 3 -bis.49 c.p.c. Le parti, infatti, “data l’irreversibilità della crisi matrimoniale, potrebbero voler concentrare e concludere in un’unica sede e con un unico ricorso la negoziazione delle modalità di gestione complessiva di tale crisi e la definizione, benché progressiva, della stessa”.

Quanto poi al tema dell’indisponibilità dei diritti oggetto degli accordi, i quali sarebbero nulli ai sensi dell’art. 160 e.e., poiché avrebbero ad oggetto diritti che, oltre ad essere indisponibili, non sarebbero ancora sorti, si evidenzia, nella requisitoria, che “i coniugi che propongono due domande congiunte di separazione e divorzio, cumulate in simultaneus processus, non concludono, in sede di separazione, un accordo sugli effetti del loro eventuale futuro divorzio, tale da condizionare la volontà di un coniuge o da comprimere i suoi diritti indisponibili”.

Si rileva, infine, che il verificarsi di sopravvenienze di fatto che incidano sull’accordo concluso contenuto nella domanda congiunta di divorzio può avvenire anche nel caso in cui le domande di separazione e divorzio non siano proposte in cumulo, non potendosi considerare un impedimento “il semplice dilatarsi dell’arco temporale tra il deposito del ricorso e la sentenza che pronuncia il divorzio”.

In conclusione, ad avviso della Procura Generale, non si riscontrano ragioni che possano giustificare una disparità di trattamento tra il giudizio contenzioso e quello su istanza congiunta.

  1. In via preliminare, la specifica questione di diritto risulta pienamente ammissibile, come già risolto sulla base di un controllo prima facie : trattasi di questione rilevante nel giudizio in cui è stata sollevata perché pregiudiziale rispetto all’accoglimento delle conclusioni rassegnate dalle parti – dovendo, in caso di soluzione negativa, la domanda relativa allo scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio essere dichiarata inammissibile – , che involge il rito e l’interpretazione di norme processuali, dettate dal legislatore del 2022 in sede di Riforma del processo della famiglia, quindi di questione di diritto, di rilievo nomofilattico, perché destinata a riprodursi in una serie di controversie, non ancora “risolta” da questo giudice di legittimità e caratterizzata da gravi difficoltà interpretative, come manifestato dal contrasto insorto, in sede di prima attuazione della Riforma, tra i giudici di merito.
  2. Al fine di risolvere la questione interpretativa in oggetto è, anzitutto, utile un richiamo alla ratio della novità legislativa introdotta con l’art.473-bis.49, con la previsione del cumulo delle domande di separazione e divorzio nei procedimenti contenziosi.

Orbene, nella relazione illustrativa al decreto legislativo n. 149 del 2022, si evidenzia la “necessità di dettare disposizioni che possano prevedere un coordinamento tra i due procedimenti, nonché ove opportuna la loro contemporanea trattazione”.

Vengono, dunque, in rilievo, due profili: il primo, riguardante il “risparmio di energie processuali” realizzato con il simultaneus processus relativo a pretese identiche o implicanti accertamenti di fatto comuni o comunque almeno in parte rilevanti per entrambi i processi; l’altro, riguardante 11 coordinamento delle aec1s1orn rese nei distinti giudizi.

Una parte della dottrina ha messo in risalto le grandi difficoltà pratiche e tecniche derivanti dall’esistenza di due distinti procedimenti, che, anche nel loro articolarsi lungo il percorso delle impugnazioni, danno luogo a una sequela di decisioni provvisorie e definitive che si rincorrono nel tempo e che possono “dettare una difforme disciplina dei rapporti controversi con conseguenze di non agevole governo, sia sul piano sostanziale (si pensi al problema della ripetibilità delle somme), sia sul piano processuale (si pensi alle alterne sorti del titolo esecutivo)”. In questa prospettiva, il nuovo art. 47 3 -bis.49 c.p.c. cercherebbe di mitigare tali difficoltà di coordinamento dovute alla possibile sovrapposizione di giudizi volti a regolare lo sviluppo in progressione di una medesima crisi familiare, all’insegna di una più efficace tutela giurisdizionale dei diritti (art. 24, comma 1, Cost.).

Inoltre, il “risparmio di energie processuali” che si ottiene nel giudizio contenzioso non sarebbe affatto comparabile con quello che si potrebbe conseguire con il cumulo di domande congiunte, di cui all’art. 47 3 -bis.51 c.p.c., essendo profondamente diversa la natura dei due giudizi e l’attività processuale che in essi viene compiuta.

Sulla base di tali rilievi, da taluni si è negato che – ai fini dell’ammissibilità del cumulo di domande congiunte – ricorra la stessa ratio sottesa alla previsione espressa di ammissibilità del cumulo rispetto alle domande contenziose.

Deve, tuttavia, rilevarsi che le novità introdotte con l’art. 473- bis.49 c.p.c. rispetto alla disciplina previgente dei rapporti tra il processo di separazione giudiziale e quello di divorzio sono essenzialmente due: 1) la prevalenza data alle ragioni di connessione, rispetto al criterio della competenza per territorio inderogabile (art. 28 c.p.c., in relazione alle cause previste nei nn. 2 e 3 dell’art. 70 c.p.c.), tale da rendere poss1b1le l’attrazione a del giudizio di separazione, adito preventivamente (art. 40 c.p.c.), anche del giudizio di divorzio per il quale sia competente, in base alle regole dell’art. 473 -bis.47 c.p.c., un diverso foro; 2) l’ammissibilità del cumulo oggettivo delle domande contenziose di separazione e divorzio.

Orbene, se la prima delle due novità non può avere alcuna incidenza sui procedimenti a domanda congiunta, non potendo sostanzialmente, attesa in primis la ontologica speditezza degli stessi, verificarsi una contemporanea pendenza presso distinti tribunali tra il procedimento di separazione consensuale e quello di divorzio congiunto, la seconda novità non è strutturalmente incompatibile con i procedimenti a domanda congiunta.

Invero, il cumulo oggettivo di domande anche tra loro non connesse per titolo o petitum esiste da sempre nel nostro ordinamento processual-civilistico (artt. 10,104 c.p.c.), ed è espressione di un principio generale relativo all’esercizio dell’azione (titolo IV del libro I del codice di rito) e l’introduzione dell’art. 473- bis.49 c.p.c. ha “normativizzato, in subiecta materia, il cumulo condizionale cd. successivo”.

La possibilità, infatti, di realizzare il cumulo anche tra domande “non altrimenti connesse” è positivamente apprezzata dall’ordinamento (art. 104, comma I , c.p.c.) perché consente un “risparmio di energie processuali” inteso come concentrazione in un’unica sede processuale delle attività volte alla trattazione e alla decisione di diverse domande. La parte a ciò interessata potrà proporre, insieme con la domanda di separazione personale, anche la domanda di divorzio, senza condizionarne, volontariamente ed esplicitamente, la trattazione al passaggio in giudicato della sentenza sulla domanda di separazione e al decorso del periodo di separazione minimo previsto dalla legge: il cumulo sarà già condizionato ex lege.

Da un punto di vista sistematico, con riferimento ai principi generali, non si rinvengono ostacoli alla ammissibilità del cumulo anche con riferimento alle domande congiunte di separazione e divorzio: la trattazione della domanda congiunta di divorzio sarà condizionata all’omologazione (con sentenza passata in giudicato) della separazione consensuale, oltre che al decorso del termine minimo di separazione (sei mesi) previsto dalla legge, ed avverrà con il rito “comune” di cui all’art. 47 3 -bis.51 c.p.c.

Né può dirsi che la proposizione cumulativa delle domande congiunte di separazione e divorzio non realizzi quel “risparmio di energie processuali” nel quale consisterebbe una delle rationes della previsione dell’art. 473 -bis.49 c.p.c.: trovare per le parti, a fronte della irreversibilità della crisi matrimoniale, in un’unica sede, un accordo complessivo sia sulle condizioni di separazione che sulle condizioni di divorzio, concentrando in un unico ricorso l’esito della negoziazione delle modalità di gestione complessiva di tale crisi, disciplinando una volta per tutte i rapporti economici e patrimoniali tra loro e i rapporti tra ciascuno di essi e i figli minorenni o maggiorenni non ancora autosufficienti, realizza indubbiamente un

“risparmio di energie processuali” che può indurre le stesse a far ricorso al predetto cumulo di domande congiunte.

Né rappresenta una ragione ostativa il rallentamento dovuto ai tempi di definizione del processo perché le parti dovrebbero attendere il termine di sei mesi previsto dalla legge e il tribunale dovrebbe quindi rinviare a data successiva a una tale scadenza, trattandosi, infatti, di uno spazio di tempo che i coniugi devono comunque rispettare anche con l’opposta soluzione, e anzi con l’aggravio di dover riaprire un procedimento, introducendolo ex novo, con il provvedere a tutte le nuove incombenze a questo legate e di attendere gli ulteriori tempi ad esso correlati per la fissazione di udienza dopo la proposizione del ricorso per divorzio congiunto.

Il Tribunale, all’esito del positivo esame della domanda di separazione personale, con sentenza (che non definirà, quindi, tutte le domande proposte, il cui dispositivo, una volta passata in giudicato, sarà trasmesso in copia autentica all’Ufficiale di Stato civile per le debite annotazione e gli ulteriori incombenti di legge), provvederà, in relazione alla congiunta domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, non ancora procedibile, prima che sia decorso il termine indicato dall’art.3, n. 2, lett.b), l.n. 898/1970, a rimettere la causa, con separata ordinanza, dinanzi al giudice relatore perché questi acquisisca la dichiarazione delle parti di non volersi riconciliare e la conferma da parte delle stesse delle condizioni già formulate con riferimento a llo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Giova osservare che la novità più rilevante prevista dall’art. 473 – bis.51 c.p.c., nell’ipotesi di ricorso congiunto, è la possibilità per le parti di sostituire l’udienza dinanzi al giudice relatore con il deposito di note scritte: la disposizione precisa invero che “se – le parti – intendono avvalersi della facoltà di sostituire l’udienza con il deposito di note scritte, devono farne richiesta nel ricorso, dichiarando di non volersi riconciliare e depositando i documenti di cui all’articolo 473-bis.13, terzo comma”.

  1. In relazione all’argomento formale fondato sul silenzio della legge ( ubi /ex non dixit, non voluit), lo stesso è troppo debole, tanto da essere confutato, con argomenti contrari, parimenti plausibili (quali l’uso del plurale nel disposto dell’art. 473 -bis.51

c.p.c.,”…relativa ai procedimenti di cui all’art. 473 bis.47”).

È stato, in particolare, rilevato che, mentre nel sistema previgente, il procedimento congiunto di separazione e quello di divorzio erano disciplinati da due disposizioni distinte (l’art. 711 c.p.c. e l’art. 4, comma 16, I. div.), contenute in “canali normativi” che continuavano a rimanere separati, oggi dette previsioni sono state abrogate espressamente e la relativa disciplina è confluita in un unico contenitore processuale (TitoloIV bis, intitolato: “Norme per il procedimento in materia di persone minorenni e famiglie”).

Anche l’argomento letterale fondato sull’art.3 1.898/1970, quale risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 149/202 [“ Lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere domandato da uno dei coniugi:… b) è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970. In tutti i predetti casi, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dalla data dell’udienza di comparizione dei coniugi nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile. Nei casi in cui la legge consente di proporre congiuntamente la separazione personale e quella di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, quest’ultima domanda di o cessazione è procedibile una volta decorsi i termini sopra indicati” ] , non risulta decisivo: tale disposizione più che consentire il cumulo solo lì dove la legge espressamente lo preveda, sembra preoccuparsi prevalentemente di disciplinarlo e rappresenta una sostanziale duplicazione dell’ultimo periodo del primo comma dell’art. 47 3 -bis.49 c.p.c.

  1. Sotto il profilo sistematico, si può evidenziare che: a) il codice di rito prevede tra le disposizioni in generale (artt. 10,comma 2 e 104, comma I c.p.c.) il cumulo oggettivo di domande contro la stessa persona, sicché, anche se nelle domande si separazione e divorzio congiunto non esiste un attore e un convenuto non sembrano esservi ostacoli alla loro proponibilità in cumulo; b) nel caso delle domande congiunte di separazione e divorzio, si tratta, più precisamente, di un cumulo oggettivo di domande connesse in relazione alla causa petendi, in quanto tese a regolare, in successione, la crisi matrimoniale che i coniugi avvertono come irreversibile; c) l’art.473-bis.51 c.p.c. prevede ormai un procedimento uniforme sia per i ricorsi aventi ad oggetto le domande di separazione personale, sia per le domande di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e, nell’ordinamento processuale, in presenza di modelli processuali identici, risulta ancor più agevole immaginare (e disporre) il simultaneus processus (vedasi, in tema di riunione dei procedimenti, art. 40 c.p.c.e artt. 273 e 274 c.p.c.); d) la circostanza che la domanda congiunta di divorzio, cumulata con quella congiunta di separazione, diviene procedibile solo a determinate condizioni processuali, previste nel già citato art. 3 della legge n. 898 del 1970, e che quindi non possa essere decisa prima del passaggio in giudicato della sentenza che omologa la separazione consensuale e prima del decorso dei sei mesi dall’udienza di comparizione in sede di separazione personale (dalla quale i coniugi sono ex Jege autorizzati a vivere separatamente) non implica che essa non possa essere proposta in cumulo con la domanda congiunta di separazione; e) il passaggio dalla fase della decisione della domanda congiunta di separazione a quella della trattazione della domanda congiunta di divorzio trova poi disciplina nell’art. 279, comma 2, n. 5 c.p.c., in tema di sentenze definitive su domande (secondo cui il collegio pronuncia sentenza quando, valendosi delle facoltà di cui agli artt. 103, secondo comma, e 104, secondo comma, decide solo su alcune delle cause riunite sino a quel momento, disponendo, con d1stmt1 provved1menr1, l’ultrenore istruzione o la separazione).
  2. In merito alla contro-indicazione rappresentata dalla circostanza che, nei procedimenti congiunti, le parti disporrebbero contemporaneamente di entrambi gli status (conseguenti alla separazione e al divorzio) e dei consequenziali diritti, cosicché, ove si ammettesse, in difetto di previsione normativa esplicita in tal senso e di una puntuale indicazione da parte della legge delega (che non contiene alcuna disposizione che manifesti una siffatta intenzione del legislatore), la possibilità di cumulo di domande di separazione e divorzio nei procedimenti congiunti, “si opererebbe in deroga al principio di indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale”, ribadito da questo giudice di legittimità anche di recente (Cass. 20745/2022), occorre rilevare quanto segue. Anzitutto, sia nei procedimenti contenziosi, di separazione e divorzio, che in quelli congiunti, le parti propongono le proprie domande all’organo giudiziario e formulano le relative conclusioni e quindi non dispongono anticipatamente degli status.

Questa Corte, in tema di divorzio a domanda congiunta, ha già affermato (Cass. 6664/1998; Cass. 19540/2018)) che l’accordo “riveste natura meramente ricognitiva e non negoziale, con riferimento ai presupposti necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale, essendo soggetto alla verifica del tribunale che, in materia, ha pieni poteri decisionali” e non configura una ipotesi in senso stretto di “divorzio consensuale”, analogo alla separazione consensuale (ove la pronuncia del Tribunale è unicamente rivolta ad attribuire efficacia dall’esterno all’accordo tra coniugi, qualificabile come un negozio giuridico di natura familiare), poiché il giudice non è condizionato al consenso dei coniugi, ma deve verificare la sussistenza dei presupposti per la pronuncia, di natura costitutiva, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, mentre ha valore negoziale per quanto per quanto concerne i figli e i rapporti economici, consentendo al tribunale intervenire su tali accordi soltanto nel caso in cui essi risultino, quanto ai rapporti patrimoniali, contrari a norme inderogabili (secondo orientamento giurisprudenziale) e/o (alla luce del dettato normativo) all’interesse dei figli.

L’accordo dei coniugi, in sede divorzile, ha rilevanza negoziale, dunque, solo per quanto concerne le condizioni inerenti alla prole e i rapporti economici, nel cui merito il tribunale non deve entrare, salva l’ipotesi di contrasto delle condizioni stabilite rispetto all’interesse dei figli o rispetto a norme inderogabili.

E va rammentato che le Sezioni Unite (Cass. n. 16379/2014), nel sancire l’impossibilità di delibare pronunce ecclesiastiche di invalidità del matrimonio riferite a rapporti matrimoniali caratterizzati da una significativa stabilità e, segnatamente, da una convivenza come coniugi protratta per almeno un triennio, hanno ribadito che la garanzia di una tutela inderogabile a vantaggio della parte economicamente debole costituisce ormai un principio di ordine pubblico.

Anche aderendo, dunque, alla lettura estensiva dell’ipotesi del cumulo di domande di separazione e divorzio (proposte con ricorso congiunto), deve osservarsi che si tratta unicamente di domande proposte in funzione di una pronuncia di divorzio per la quale non è ancora decorso il termine di legge e il cumulo non incide sul c.d. carattere indisponibile dei patti futuri, trattandosi di un accordo, unitario, dei coniugi sull’intero assetto delle condizioni, che regolamenteranno oltre alla crisi anche la loro vita futura, pur sempre sottoposto al complessivo vaglio del Tribunale.

Peraltro, l’orientamento richiamato di questo giudice di legittimità dovrà presto confrontarsi con l’assetto attuale della Riforma, in cui la domanda di divorzio è espressamente proponibile all’interno del procedimento contenzioso per separazione personale, cosicché può accadere che le parti all’interno di uno stesso processo trovino, dopo una fase p1u o meno lunga d1 conflitto, un accordo tanto sulla separazione quanto sul divorzio e sulle domande agli stessi status consequenziali. È previsto quindi che il Tribunale, compiute le necessarie verifiche dell’effettiva rispondenza delle stesse pattuizioni all’interesse dei figli e la loro non contrarietà alla legge e all’ordine pubblico, prenderà atto delle domande e pronuncerà le relative sentenze.

Si è, invero, già evidenziato, in dottrina, come gli interventi in materia di negoziazione assistita (D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modifiche dalla L. 10 novembre 2014, n. 162) e di “divorzio breve” (L. 6 maggio 2015, n. 55), e oggi l’attuale intervento di Riforma (D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), abbiano via via incrementato il ruolo dell’autonomia dei coniugi nella definizione delle conseguenze economiche della crisi coniugale e, nel costante processo di privatizzazione del regime matrimoniale, già avviato dall’introduzione del divorzio (1970) e dalla separazione per cause oggettive (1975), ha inciso in maniera significativa sulla “caduta “

del dogma dell’indisponibilità degli status.

  1. Quanto poi alla controindicazione inerente all’assenza di disposizioni sulla gestione delle sopravvenienze, giova rilevare che la possibilità di sopravvenienze di fatto che incidano sull’accordo contenuto nella domanda congiunta di divorzio, questo rilievo accompagna anche il caso in cui le domande di separazione e divorzio non siano proposte insieme, cosicché essa non può rappresentare un impedimento giuridico al cumulo di domande congiunte.

Ciò che viene segnalato da una parte della dottrina e giurisprudenza come ostativo alla possibilità/configurabilità di un cumulo di domande consensuali di separazione e di divorzio (l’intervento di sopravvenienze rilevanti, la revoca del consenso da parte di un coniuge, la modifica unilaterale delle condizioni patrimoniali o riguardanti i figli) non vale ad impedire la loro stessa ammissibilità ma potrà, semmai, determinare l’applicazione, con il dovuto adattamento, di orientamenti giurisprudenziali da questo giudice di legittimità già affermati (si pensi a quanto ribadito in Cass. 10463/2018 e in Cass. 19540/2018, in ordine all’inefficacia della revoca unilaterale del consenso alla domanda di divorzio “in senso stretto”, con la conseguenza che non possa essere dichiarata l’improcedibilità della domanda congiunta presentata, dovendo essere comunque verificata la sussistenza dei presupposti necessari per la pronuncia, costitutiva, sul divorzio) o di disposizioni normative specifiche (quali, ad es., lo stesso art. 473-b s.51 c.p.c., per il procedimento consensuale, ove si prevede, dopo la convocazione delle parti e il suggerimento sulle modifiche da apportare ai patti, il rigetto “allo stato” della domanda “se gli accordi sono in contrasto con gli interessi dei figli”, o l’art.473- bis.19 c.p.c., che condiziona l’ammissibilità della modifica, nel corso del procedimento avviato, delle domande di contributo economico in favore proprio e dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, a “mutamenti di circostanze”, per il procedimento contenzioso).

  1. Per tutto quanto sopra esposto, deve essere affermato il seguente principio di diritto: “In tema di crisi familiare, nell’ambito del procedimento di cui all’art.473-bis.51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”.

Va disposta la restituzione degli atti al Tribunale di Treviso.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese sostenute nel procedimento di rinvio pregiudiziale, non sussistendo in relazione ad esso una soccombenza riferibile alla iniziativa delle parti.

P.Q.M .

La Corte, ai sensi dell’art.363 bis c.p.c., pronunciando pregiudiziale disposto dal Tribunale di Treviso, con ordinanza del 31 maggio 2023, enuncia il seguente principio di diritto:

“In tema di crisi familiare, nell’ambito del procedimento di cui all’art.473-bis.51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio “.

Si dispone la restituzione degli atti al Tribunale di Treviso.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri

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