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ROVIGO Responsabilità medica – Medico pediatra – Guardia medica – Omicidio colposo

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ROVIGO Responsabilità medica – Medico pediatra – Guardia medica – Omicidio colposo – – Violazione delle linee guida –

Questa Corte, infatti, ha evidenziato che nel giudizio abbreviato, mancando la fase del dibattimento, e’ inapplicabile il divieto di utilizzabilita’ di prove diverse da quelle in esso acquisite, sancito dall’articolo 526 c.p.p. e vige, invece, il principio della decisione allo stato degli atti, stabilito dall’articolo 442 c.p.p., comma 1-bis, che comporta la facolta’ di utilizzare tutti gli atti legittimamente acquisiti al fascicolo del pubblico ministero; con la richiesta di giudizio abbreviato infatti, l’imputato non soltanto rinuncia ad avvalersi delle regole ordinarie in cambio di un trattamento san-zionatorio piu’ favorevole attraverso l’applicazione della diminuente di un terzo, ma accetta che rientrino nel novero delle risultanze probatorie utilizzabili tutte le emergenze acquisite anteriormente alla sua istanza e legittimamente confluite nel fascicolo del pubblico ministero (Sez. 2, n. 39342 del 15/09/2016, Lionti, Rv. 268378; Sez. 3, n. 44004 del 24/09/2015, P., Rv. 265236).

Tale principio, di carattere generale, e’ stato anche affermato in tema di consulenza del P.M. e di inosservanza delle disposizioni di cui all’articolo 360 c.p.p. (Sez. 1, n. 28459 del 23/04/2013, Ramella, Rv. 256106, in tema di nullita’ derivante dall’effettuazione di un accertamento tecnico irripetibile, non preceduto dagli avvisi alle parti; Sez. 2, n. 43726 del 11/11/2010, Paglino, Rv. 249221, in fattispecie di accertamento tecnico effettuato su tracce di sangue e sul DNA dell’imputato).

Nel caso in esame, non versandosi in ipotesi di inutilizzabilita’ patologica (cioe’ di prova assunta contra legem), il ricorrente avrebbe dovuto proporre la relativa eccezione anteriormente alla proposizione dell’istanza di giudizio abbreviato.

  1. Il quarto motivo di ricorso, con cui si rilevano l’insussistenza del nesso di causalita’ e il verificarsi di fattori eccezionali interruttivi di detto nesso, e’ infondato.

I giudici di merito hanno svolto un’esauriente analisi del materiale probatorio acquisito, descrivendo in dettaglio lo sviluppo della vicenda criminosa e recependo le valutazioni del consulente del pubblico ministero e del perito d’ufficio.

Il Tribunale – con argomentazioni condivise dalla Corte di appello – ha sottolineato che la sintomatologia dispnoica, in un’ottica valutativa ex ante, rappresentava un elemento anamnestico-clinico sufficiente per porre il sospetto diagnostico di un quadro di importante disidratazione, per cui le plurime rassicurazioni della madre sull’abbondante e continuativa assunzione orale di liquidi non consentivano di ritenere lo strumento della consulenza telefonica da parte del medico di guardia adeguato a fini diagnostici e terapeutici, risultando indicato e doveroso l’invito a condurre il bambino presso la struttura ospedaliera per la visita clinico-strumentale, condotta che, con elevata probabilita’ prossima alla certezza, avrebbe evitato la successiva insorgenza di un grave shock ipovolemico da disidratazione.

In ordine al tentativo difensivo di riversare la responsabilita’ sull’operatore triagista del 118, si e’ evidenziato che, nonostante gli inequivocabili sintomi di allarme appresi dalla madre del bambino – dispnea e stato di sopore – (OMISSIS) non si curava di integrare tali notizie con ulteriori dati idonei all’inquadramento del caso, chiedendo dell’esistenza di eventuali malattie croniche del bambino, del numero delle scariche diarroiche e dell’indicazione della diuresi.

Con riferimento alla presunta insussistenza di condizioni di allarme quali la disidratazione o lo stato soporoso, i giudici di merito hanno osservato quanto segue: a) l’imputato incentrava correttamente la propria attenzione proprio sulla perdita di liquidi, apprendendo che il bambino aveva assunto nei tre giorni precedenti solo the’ alla pesca, ma non indicava alla madre i segni per verificare detto stato e non svolgeva accertamenti sulla frequenza delle indagini (dati della copiosita’ e della frequenza delle scariche) mentre avrebbe dovuto consigliare di bere liquidi in quantita’ prestabilita; pur ipotizzando che il bimbo bevesse continuamente, come asserito dalla madre, era immaginabile che effettuasse solo piccoli sorsi; b) il medico sottovalutava il quadro descritto dalla madre, secondo la quale il bimbo continuava a dormire, svegliandosi poco, rispondendo con voce flebile e respirando “a fiatoni”, mentre avrebbe dovuto approfondire l’analisi sull’iporeattivita’ del piccolo e sulla compromissione del circolo cerebrale quale causa della letargia.

In relazione alla sintomatologia descritta dalla madre al medico di guardia, la Corte di appello ha chiarito con motivazione immune da censure che le indicazioni sul temporaneo miglioramento delle condizioni di salute erano troppo vaghe per potervi fare affidamento e che, alla luce delle indicazioni sullo stato febbrile elevato, appariva del tutto insufficiente il prosieguo della consulenza telefonica, senza disporre l’immediato ricovero ospedaliero.

I giudici di merito hanno evidenziato le cause della morte, riferendo che il minore era trasportato in ospedale solo dopo dieci ore e che, nonostante le cure praticategli, decedeva in seguito ad una grave disidratazione riconducibile ad un’infezione intestinale da virus e alla conseguente patologia diarroica.

Il Tribunale ha altresi’ chiarito quanto segue: l’agente eziologico o la compartecipazione dei processi patologici determinanti (sepsi o ipovolemia) appariva indifferente nell’evoluzione della fisiopatologia del quadro clinico; la diagnosi precoce costituisce l’imperativo delle linee guida; il contributo epidemiologico-statistico consente di evidenziare una sopravvivenza in media del 98% in caso di sepsi severa, che scende al 92% in caso di preesistenti condizioni patologiche del bambino. Da tali considerazioni deriva l’irrilevanza delle deduzioni difensive circa le possibili cause alternative del decesso.

ROVIGO Responsabilità medica – Medico pediatra – Guardia medica – Omicidio colposo – – Violazione delle linee guida –

AVVOCATO ESPERTO RISARCIMENTO GRAVI DANNI MALASANITA’ BOLOGNA  051 6447838 AVVOCATO PENALISTA 051 6447838 

051 6447838

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Corte di Cassazione|Sezione 4|Penale|Sentenza|12 settembre 2019| n. 37762

Data udienza 20 marzo 2019

Integrale

Responsabilità medica – Medico pediatra – Guardia medica – Deve essere in grado di eseguire le più comuni prestazioni con carattere di urgenza – Omicidio colposo – Patologia diarroica – Disidratazione grave – Omessa valutazione dell’esame clinico obiettivo – Violazione delle linee guida – Nesso di causalità – Sussistenza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MENICHETTI Carla – Presidente

Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere

Dott. NARDIN Maura – Consigliere

Dott. ESPOSITO Aldo – rel. Consigliere

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:


SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 15/02/2018 della CORTE APPELLO di VENEZIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ALDO ESPOSITO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. TAMPIERI LUCA, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di PADOVA, che deposita nomina a sostituto processuale dell’avv. (OMISSIS) del foro di PADOVA difensore di (OMISSIS); l’avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

  1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del G.U.P. del Tribunale di Rovigo del 1 ottobre 2014, emessa a seguito di giudizio abbreviato, concesse le attenuanti generiche, ha ridotto ad anni uno di reclusione la pena inflitta a (OMISSIS) per il reato di cui all’articolo 589 c.p.(per avere, quale medico specialista in pediatria, in servizio di Guardia Medica presso il Presidio Ospedaliero di (OMISSIS), in turno di reperibilita’ alle ore 4.00 del (OMISSIS) presso il punto di chiamata di (OMISSIS), avendo ricevuto la telefonata di (OMISSIS), madre del piccolo (OMISSIS), di anni due, dalla quale emergevano elementi anamnestico-clinici non rassicuranti, quali la grave sintomatologia diarroica continua, l’iperpiressia non regredita all’assunzione farmacologica gia’ prescritta dal pediatra di libera scelta, la dispnea e lo stato soporoso, focalizzando la propria attenzione sulla sola sintomatologia diarroica e sull’eventuale disidratazione, per colpa specifica consistita nell’inosservanza delle linee guida per la diagnosi ed il trattamento delle diarree nei bambini, omettendo di valutare mediante un esame clinico-obiettivo la gravita’ della disidratazione e fornendo una mera consulenza telefonica, valutando lo stato di disidratazione solo sulla base dei liquidi dichiaratamente assunti rispetto a quelli persi con la diarrea, omettendo di valutare gli altri sintomi – dispnea, stato soporoso – proponendo la somministrazione di terapia reidratante nel caso in cui l’idratazione praticata al domicilio non fosse stata adeguata, omettendo di fornire una chiara, prudenziale e doverosa indicazione al trasporto immediato presso una struttura ospedaliera, per la visita clinico-strumentale, quale unico strumento proporzionato nella vicenda in valutazione per la diagnosi e l’impostazione della corretta terapia, cagionato la morte del piccolo, il quale veniva trasportato alle ore 13.55 del (OMISSIS), dopo dieci ore dalla consulenza telefonica, presso il Pronto Soccorso Pediatrico, dove, nonostante le manovre rianimatorie praticate, decedeva alle ore 16.05 per shock ipovolemico produttivo di insufficienza multiorgano, instauratosi in seguito alla grave disidratazione riconducibile ad un’infezione intestinale da virus e conseguente patologia diarroica).

1.1. In ordine allo svolgimento dei fatti, la mattina del (OMISSIS), (OMISSIS), di due anni e mezzo, manifestava diarrea ed iperpiressia. Su prescrizione del pediatra, la madre iniziava a somministrare al figlio paracetamolo e fermenti lattici, senza pero’ che il bambino ottenesse benefici.

Alle ore 4.00 del (OMISSIS), per la persistenza di iperpiressia (temperatura corporea fino a 40) e diarrea, la madre del bambino contattava telefonicamente il numero di emergenza 118: l’operatore metteva la madre in contatto con (OMISSIS), medico di guardia presso il presidio ospedaliero di (OMISSIS), che suggeriva di proseguire la somministrazione dei farmaci gia’ prescritti dal pediatra e di usare un antidiarroico.

Alle ore 13.00 dello stesso giorno, il minore era trasportato presso il Pronto Soccorso, dove, dopo circa due ore di manovre rianimatorie decedeva.

1.2. Secondo quanto affermato dal consulente del P.M. Dott. (OMISSIS) la causa del decesso del minore doveva essere ricondotta ad uno shock acuto produttivo di insufficienza multiorgano. La patologia diarroica, indipendentemente dal meccanismo etio-patologico determinante, conduceva a ipotensione, oliguria, tachicardia, tachipnea e febbre, per cui era possibile affermare che lo shock era di tipo ipovolemico, instauratosi a seguito alla grave disidratazione. L’ipotensione e lo squilibrio elettrolitico comportavano la manifestazione di compromissione della motilita’ cardiaca, con verosimile fibrillazione ventricolare e successiva asistolia. Il consulente del P.M. spiegava che al momento dell’accesso del piccolo al Presidio Ospedaliero coesistevano due patologie: settica e ipovolemica, quest’ultima particolarmente rilevante nel determinismo dell’insufficienza multiorgano, poiche’ nei bambini la morte per shock era piu’ frequentemente associata ad un’insufficienza cardiaca progressiva, anziche’ vascolare. In base alle linee guida, nei bambini piu’ piccoli la funzionalita’ renale non e’ ancora matura, per cui cio’ poteva ostacolare il mantenimento di un adeguato equilibrio elettrolitico e comportare un quadro di disidratazione piu’ grave e protratto e, proprio in presenza di uno dei segni proposti dal Center for Disease Control (2003), doveva essere effettuata una valutazione medica diretta.

1.3. Il consulente dell’imputato prof. (OMISSIS) identificava la causa della morte in uno shock con insufficienza multiorgano, di natura probabilmente settica. A fronte delle rassicurazioni della madre circa la frequente assunzione di liquido, il medico di guardia consigliava, secondo un condivisibile approccio di attesa, trattandosi di una patologia di recente insorgenza, l’aumento della frequenza di assunzione di tachipirina e l’assunzione di un farmaco antidiarroico, al fine di bloccare la perdita di liquidi da parte del piccolo, il trasporto in struttura ospedaliera per instaurare una terapia idratante. Egli, quindi, si atteneva alle raccomandazioni delle piu’ recenti linee guida. La precisa causa della morte non poteva essere individuata sulla base dei dati a disposizione, essendo altamente prospettabile la sussistenza di un quadro settico.

1.4. Il perito d’ufficio Dott. (OMISSIS) individuava nello stato di idratazione l’aspetto di maggiore rilievo per stabilire l’opportunita’ di un trattamento ospedaliero o di uno domiciliare. Al momento del colloquio telefonico, l’alvo era alterato in modo sensibile da circa ventiquattro ore ed appariva di intensita’ importante (scariche continue); a cio’, si associava sintomatologia sistemica (ipertermia, compromissione dello stato di coscienza, polipnea); era data notizia dell’inefficacia della terapia indicata dal pediatra di libera scelta. In caso di disidratazione moderata o grave sarebbe stato necessario l’approccio endovenoso e, quindi, l’ospedalizzazione. La consulenza telefonica non consentiva il rilievo diretto di segni e sintomi del grado di disidratazione ed era inadeguata rispetto ai segni di allarme e meritevole di approfondimento clinico.

1.5. Il G.U.P. ha affermato la responsabilita’ di (OMISSIS), per non aver disposto il trasporto immediato in una struttura ospedaliera del minore, pur avendo appreso telefonicamente alle ore 4.00 del mattino che lo stesso era affetto da una persistente diarrea, da un’iperpiressia non regredita, da dispnea e da stato soporoso.

L’imputato non osservava le linee guida previste per la diagnosi e per il trattamento della diarrea dei bambini. Egli, infatti, aveva valutato lo stato di disidratazione solo sulla base dei liquidi dichiaratamente assunti, aveva proposto una mera terapia farmacologica ed aveva subordinato il ricovero al solo caso di inadeguatezza dell’idratazione da praticare.

La madre del piccolo segnalava telefonicamente al medico di guardia la continua diarrea del bimbo, l’inefficace assunzione della tachipirina continuando la febbre ad oscillare tra i 38 e i 40 gradi.

La madre acquistava il farmaco alle ore 9.00, la febbre si abbassava un poco e la diarrea continuava. In base alla perizia d’ufficio del Dott. (OMISSIS), la sintomatologia descritta dalla madre imponeva al medico di guardia, non specializzato in pediatria, di ordinare l’immediato ricovero ospedaliero del bambino, stante la febbre elevata e la diarrea persistente. Col proprio comportamento l’imputato aveva favorito l’atteggiamento di attesa, tenuto dalla madre del piccolo.

  1. La Corte di appello ha respinto le questioni di rito proposte dall’imputato.

Circa la dedotta inutilizzabilita’ dell’elaborato del perito d’ufficio, nella parte in cui era stato redatto dalla Dott.ssa (OMISSIS), ausiliario non specificamente autorizzato dal giudice, la Corte territoriale ha osservato che egli, l’aveva fatto proprio mediante l’allegazione del medesimo e, in ogni caso, nella motivazione della sentenza di primo grado non si era tenuto conto di tale contributo.

In ordine al mancato avviso per l’accertamento disposto ai sensi dell’articolo 360 c.p.p., la Corte di merito ha affermato che la richiesta di giudizio abbreviato aveva comportato la rinuncia ad eccepire la suindicata nullita’.

Relativamente alla richiesta di rinnovazione della perizia, la Corte di merito ha rilevato che, essendo state espletate due consulenze ed una perizia pienamente utilizzabili, non occorreva un’ulteriore attivita’ istruttoria.

Il perito d’ufficio concludeva per una morte dovuta a shock ipovolemico da diarrea profusa produttivo di insufficienza multi organo; l’ipovolemia impiegava diverse ore ad instaurarsi, per cui, in base ai sintomi descritti dalla madre nel corso della telefonata, risultava una condizione di shock ancora in fase di compenso. Una diagnosi tempestiva dello shock avrebbe permesso l’adozione di una terapia immediata l’espansione volemica nella fase di reversibilita’ temporanea dallo shock – che avrebbe consentito di evitare il decesso con grado di probabilita’ elevato quasi a certezza.

Il miglioramento mattutino ipotizzato dalla difesa derivava da una mera impressione della madre, in quanto la disidratazione persisteva e il bambino continuava nei fenomeni diarreici. Il personale del 118 non aveva svolto nessuna valutazione specifica ma passava subito la telefonata al medico di guardia. L’imputato si limitava a dare consigli ponendo l’insufficiente bevuta di liquidi quale condizione per portare il piccolo in ospedale. In base alle linee guida, la sonnolenza prolungata, la febbre tra 39 e 40, la diarrea incessante e il respiro a fiatone configuravano un quadro non gestibile al telefono. Il criterio piu’ preciso per stabilire l’eventuale disidratazione consisteva nel valutare la percentuale di peso perso durante l’episodio acuto, attivita’ non eseguibile dalla madre. Il consiglio di acquistare in farmacia un farmaco antidiarroico al sorgere della luce costituiva un ulteriore segno di superficialita’.

Non era invocabile la disciplina di cui all’articolo 3, comma 1, L. Balduzzi, non essendosi l’imputato attenuto alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunita’ scientifica.

  1. (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, proponendo sei motivi di impugnazione.

3.1. Violazione di legge per mancata assunzione di una prova decisiva richiesta dalla difesa nel corso dell’istruttoria dibattimentale, limitatamente ai casi previsti dall’articolo 495 c.p.p., comma 2.

Si rileva l’esistenza di un profondo contrasto tra le fuorvianti risultanze della perizia d’ufficio e le conclusioni della consulenza di difesa, contenente un’accurata critica scientifica della prima. Il perito non valutava che al Pronto Soccorso era stato effettuato uno stick urinario, segno evidente che all’atto dell’ingresso nella vescica del piccolo l’urina era presente, per cui doveva escludersi che la disidratazione fosse in corso. Cio’ dimostrava che il perito non aveva adeguatamente accertato le cause della morte. Occorreva quindi la rinnovazione o, quantomeno, un supplemento di perizia.

3.2. Inosservanza di norme processuali stabilite a titolo di nullita’, inutilizzabilita’, inammissibilita’ o decadenza.

Si deduce l’inutilizzabilita’ della perizia d’ufficio ai fini della decisione, nella parte in cui era stata redatta e sottoscritta dalla Dott.ssa (OMISSIS), terzo estraneo al procedimento, ausiliario del quale il perito era stato autorizzato ad avvalersi. Il perito, tuttavia, aveva erroneamente allegato al proprio elaborato quello dell’ausiliario, facendolo proprio. Contrariamente a quanto riportato nella sentenza di primo grado, il Tribunale aveva tenuto conto di tale elaborato, nella parte in cui riteneva insufficiente la indicazione a fronte di un quadro clinico di disidratazione severa.

In base all’articolo 228 c.p.p., comma 2, il perito d’ufficio puo’ servirsi di ausiliari di propria fiducia per attivita’ meramente materiali solo se non implicano valutazioni e apprezzamenti, i quali sono riservati a lui in via esclusiva.

3.3. Inosservanza di norme processuali stabilite a titolo di nullita’, inutilizzabilita’, inammissibilita’ o decadenza.

Si osserva che la relazione svolta dal consulente tecnico del P.M., era inutilizzabile ai sensi dell’articolo 191 c.p.p., non essendo stato notificato l’avviso per il conferimento dell’incarico e per la facolta’ di nominare un consulente di parte. Al momento dell’esame autoptico il P.M. avrebbe dovuto iscrivere tutti i sanitari che avevano qualsiasi titolo preso parte alle cure del piccolo; il consulente di difesa non aveva potuto partecipare agli accertamenti irripetibili. Si era quindi determinata una nullita’ assoluta ai sensi dell’articolo 179 c.p.p. e articolo 178 c.p.p., lettera c).

3.4. Violazione di legge per insussistenza del nesso di causalita’ tra la condotta dell’imputato e l’evento-morte.

Si sostiene che, stante la gravita’ dell’eziologia settica, non era possibile imputare l’evento-morte al medico di guardia intervenuto dieci ore prima, in un momento di insussistenza dello stato di shock, neppure in fase iniziale. Il medico di guardia aveva adottato un corretto approccio tecnico-scientifico, prescrivendo una terapia adeguata (abbondante idratazione, antipiretico, fermenti lattici e antidiarroico).

L’operatore triagista specializzato del 118 aveva escluso l’urgenza nel caso in esame, decidendo di passare la chiamata al modello di continuita’ assistenziale, anziche’ a quello di Pronto Soccorso o al pediatra di reperibilita’. Nonostante una prima valutazione negativa sull’urgenza, l’imputato approfondiva la situazione generale del piccolo e lo stato di idratazione, indicava la prosecuzione della terapia farmacologica (tachipirina e fermenti lattici) in atto, aggiungendo un ulteriore farmaco antidiarroico per bocca e prescrivendo di recarsi in ospedale in caso di idratazione insufficiente.

Dovevano ravvisarsi i seguenti ulteriori fattori sopravvenuti interruttivi del nesso causale: a) la somministrazione dei farmaci prescritti al figlio (antipiretico e antidiar-roico) per una sola volta, dopo oltre cinque ore dalla telefonata, nonostante la raccomandazione di somministrare immediatamente la tachipirina e la decisione unilaterale della madre di interrompere l’assunzione dell’antidiarroico; b) il miglioramento del piccolo di mattina, a seguito dell’esecuzione della terapia prescritta, sintomo di un decesso di natura settica e non di shock ipovolemico, fenomeno di evoluzione piu’ lunga, incompatibile con le dichiarazioni della madre; c) il mancato approfondimento dell’eventuale adeguata idratazione del bimbo dopo la telefonata; il mantenimento dell’idratazione o una reidratazi’one dopo la telefonata non avrebbe consentito di evitare l’insufficienza multi organo; d) l’accettazione del bimbo al Pronto Soccorso con codice arancione, per cui la visita medica era espletata dopo oltre un’ora.

Dalla sintomatologia descritta dalla madre non emergevano disidratazione in corso, sopore, letargia, shock o altri elementi dai quali prefigurare l’evento-morte. Non era scientificamente possibile dimostrare che una diversa terapia di supporto, in una fase non irreversibile dello shock, avrebbe modificato la prognosi quoad vitam.

3.5. Violazione di legge in riferimento alle linee guida.

Si rileva che le linee guida erano state rispettate, in quanto, al momento della telefonata non emergeva nessuna indicazione di ricovero quali la sussistenza di uno stato di shock, di disidratazione severa, alterazioni nEurologiche, fallimento della terapia reidratante orale, inaffidabilita’ dei genitori e sospetta patologia chirurgica.

3.6. Vizio di motivazione.

Si osserva che (OMISSIS) era medico generico, non specializzato in pediatria. Egli, con toni cogenti, consigliava alla madre di recarsi in farmacia (“non appena fa luce”), evidenziando la necessita’ di ospedalizzazione in caso di sopravvenuta disidratazione. La febbre di 39-40 gradi non costituiva un elemento preoccupante, perche’ l’ospedalizzazione era prevista per temperature da 41,1 in poi. Nella telefonata non v’erano riferimenti alla circostanza che il bimbo faticasse a risvegliarsi.

All’arrivo al Pronto Soccorso di (OMISSIS) il piccolo presentava segni patognomonici di shock, mai manifestati in precedenza. La mattina del fatto il bimbo era cosciente e indicava il pancino ai genitori dicendo di avere male; non versava in stato di shock, la cui evoluzione in shock irreversibile avviene al massimo entro tre ore.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso e’ infondato.

Il primo motivo di ricorso, con cui si chiede l’espletamento di una nuova perizia o un supplemento di quella gia’ eseguita per accertare le cause della morte del piccolo (OMISSIS), e’ manifestamente infondato.

La richiesta di rinnovazione istruttoria, formulata in termini estremamente generici, era basata principalmente sulla contrapposizione tra l’esito della consulenza del pubblico ministero e della perizia d’ufficio, da un lato, e della consulenza di difesa, dall’altro. Il dato dell’espletamento di uno stick urinario all’atto del ricovero del minore in ospedale non e’ documentato in violazione del principio di autosufficienza e comunque appare chiaramente di scarso rilievo alla luce dell’approfondita ed accurata analisi svolta dalla Corte di appello, che ha recepito le conclusioni di cui alla consulenza del P.M. ed alla perizia d’ufficio sulle cause della morte.

In particolare, circa l’ipotesi difensiva di una morte dovutctad uno shock settico improvviso, la Corte di appello ha condiviso le indicazioni del consulente tecnico del pubblico ministero, secondo il quale mancavano i segni istopatologici caratteristici di tale fenomeno, quali embolismo magacariocitico del polmone, membrane ialine, necrosi centro lobulare epatica. Il ricorrente non si confronta con le argomentazioni formulate al riguardo, limitandosi a reiterare la propria ricostruzione alternativa sullo sviluppo degli eventi e senza precisare in dettaglio le ragioni scientifiche utili a confutare le conclusioni a cui sono pervenuti i giudici di merito.

  1. E’ infondato anche il secondo motivo di ricorso, con cui si sostiene la tesi dell’inutilizzabilita’ della perizia d’ufficio ai fini della decisione, nella parte in cui era stata redatta e sottoscritta dalla Dott.ssa (OMISSIS) – terzo estraneo al procedimento – ausiliario nominato dal perito d’ufficio previa autorizzazione del giudice.

Come rilevato dal ricorrente, in tema di perizia, il perito puo’ delegare ad ausiliari di sua fiducia attivita’ materiali che non implichino apprezzamenti o valutazioni (Sez. 5, n. 26817 del 04/03/2016, Iodice, Rv. 267890).

Nella fattispecie, la Corte di merito ha osservato che il perito d’ufficio, mediante l’allegazione dell’elaborato dell’ausiliario l’aveva fatta proprio e che, in ogni caso, il G.U.P. non aveva tenuto conto di tale contributo nello stendere la motivazione.

Dalla lettura delle sentenze di merito – e soprattutto quella di primo grado – nel riepilogare le valutazioni del perito, non emerge una distinzione tra i contenuti della perizia vera e propria e dell’elaborato redatto dall’ausiliario, per cui non si puo’ comprendere se e in quali parti il perito abbia recepito acriticamente attivita’ valutative che il predetto non avrebbe potuto compiere. Il ricorrente avrebbe dovuto allegare al ricorso la perizia d’ufficio e la consulenza di difesa ai fini dell’autosufficienza.

Il ricorrente, infatti, aveva l’onere di dimostrare che l’elaborato dell’ausiliario aveva travalicato il compimento di una mera attivita’ materiale, trascendendo in un non consentito intervento di natura valutativa (vedi Sez. 4, n. 6405 del 22/01/2019, Bonarrigo, Rv. 275573, in fattispecie in cui era stato dichiarato inammissibile il motivo di ricorso con cui veniva dedotta la violazione dell’articolo 228 c.p.p., comma 2, non avendo il ricorrente chiarito perche’ le attivita’ svolte dall’ausiliario dovessero essere ritenute di natura valutativa).

Peraltro, l’aspetto dell’inadeguatezza della diagnosi effettuata telefonicamente a fronte di un quadro significativo di disidratazione richiamato nel motivo di ricorso in esame, ha formato oggetto di un giudizio del Tribunale e della Corte di appello, basatosi non soltanto sulle affermazioni del perito d’ufficio, ma anche su quelle rese al riguardo dal consulente del P.M. nonche’ sulle considerazioni di ordine logico formulate in base alla cronologia degli eventi come desumibile dagli atti di causa. Secondo quanto riportato nella sentenza impugnata, lo stesso perito d’ufficio, d’altronde, poneva quale dato fondante e centrale del proprio studio il dato della tardivita’ dell’intervento nonostante la grave disidratazione, e non circoscriveva il proprio assunto ad un mero richiamo de relato al contributo dell’ausiliario.

  1. Il terzo motivo di ricorso, con cui si deduce l’inutilizzabilita’ ai sensi dell’articolo 191 c.p.p.della consulenza del pubblico ministero per omessa notifica dell’avviso per il conferimento dell’incarico e per la facolta’ di nominare un consulente di parte, e’ manifestamente infondato.

Al riguardo, va premesso che l’opzione per il rito abbreviato, per definizione a prova contratta e allo stato degli atti, ne presuppone la conoscenza da parte dell’imputato, che ne accetta l’utilizzabilita’ ai fini della decisione purche’ non affetta da nullita’ assolute, nella specie non ravvisabili ne’ dedotte.

Questa Corte, infatti, ha evidenziato che nel giudizio abbreviato, mancando la fase del dibattimento, e’ inapplicabile il divieto di utilizzabilita’ di prove diverse da quelle in esso acquisite, sancito dall’articolo 526 c.p.p. e vige, invece, il principio della decisione allo stato degli atti, stabilito dall’articolo 442 c.p.p., comma 1-bis, che comporta la facolta’ di utilizzare tutti gli atti legittimamente acquisiti al fascicolo del pubblico ministero; con la richiesta di giudizio abbreviato infatti, l’imputato non soltanto rinuncia ad avvalersi delle regole ordinarie in cambio di un trattamento san-zionatorio piu’ favorevole attraverso l’applicazione della diminuente di un terzo, ma accetta che rientrino nel novero delle risultanze probatorie utilizzabili tutte le emergenze acquisite anteriormente alla sua istanza e legittimamente confluite nel fascicolo del pubblico ministero (Sez. 2, n. 39342 del 15/09/2016, Lionti, Rv. 268378; Sez. 3, n. 44004 del 24/09/2015, P., Rv. 265236).

Tale principio, di carattere generale, e’ stato anche affermato in tema di consulenza del P.M. e di inosservanza delle disposizioni di cui all’articolo 360 c.p.p. (Sez. 1, n. 28459 del 23/04/2013, Ramella, Rv. 256106, in tema di nullita’ derivante dall’effettuazione di un accertamento tecnico irripetibile, non preceduto dagli avvisi alle parti; Sez. 2, n. 43726 del 11/11/2010, Paglino, Rv. 249221, in fattispecie di accertamento tecnico effettuato su tracce di sangue e sul DNA dell’imputato).

Nel caso in esame, non versandosi in ipotesi di inutilizzabilita’ patologica (cioe’ di prova assunta contra legem), il ricorrente avrebbe dovuto proporre la relativa eccezione anteriormente alla proposizione dell’istanza di giudizio abbreviato.

  1. Il quarto motivo di ricorso, con cui si rilevano l’insussistenza del nesso di causalita’ e il verificarsi di fattori eccezionali interruttivi di detto nesso, e’ infondato.

I giudici di merito hanno svolto un’esauriente analisi del materiale probatorio acquisito, descrivendo in dettaglio lo sviluppo della vicenda criminosa e recependo le valutazioni del consulente del pubblico ministero e del perito d’ufficio.

Il Tribunale – con argomentazioni condivise dalla Corte di appello – ha sottolineato che la sintomatologia dispnoica, in un’ottica valutativa ex ante, rappresentava un elemento anamnestico-clinico sufficiente per porre il sospetto diagnostico di un quadro di importante disidratazione, per cui le plurime rassicurazioni della madre sull’abbondante e continuativa assunzione orale di liquidi non consentivano di ritenere lo strumento della consulenza telefonica da parte del medico di guardia adeguato a fini diagnostici e terapeutici, risultando indicato e doveroso l’invito a condurre il bambino presso la struttura ospedaliera per la visita clinico-strumentale, condotta che, con elevata probabilita’ prossima alla certezza, avrebbe evitato la successiva insorgenza di un grave shock ipovolemico da disidratazione.

In ordine al tentativo difensivo di riversare la responsabilita’ sull’operatore triagista del 118, si e’ evidenziato che, nonostante gli inequivocabili sintomi di allarme appresi dalla madre del bambino – dispnea e stato di sopore – (OMISSIS) non si curava di integrare tali notizie con ulteriori dati idonei all’inquadramento del caso, chiedendo dell’esistenza di eventuali malattie croniche del bambino, del numero delle scariche diarroiche e dell’indicazione della diuresi.

Con riferimento alla presunta insussistenza di condizioni di allarme quali la disidratazione o lo stato soporoso, i giudici di merito hanno osservato quanto segue: a) l’imputato incentrava correttamente la propria attenzione proprio sulla perdita di liquidi, apprendendo che il bambino aveva assunto nei tre giorni precedenti solo the’ alla pesca, ma non indicava alla madre i segni per verificare detto stato e non svolgeva accertamenti sulla frequenza delle indagini (dati della copiosita’ e della frequenza delle scariche) mentre avrebbe dovuto consigliare di bere liquidi in quantita’ prestabilita; pur ipotizzando che il bimbo bevesse continuamente, come asserito dalla madre, era immaginabile che effettuasse solo piccoli sorsi; b) il medico sottovalutava il quadro descritto dalla madre, secondo la quale il bimbo continuava a dormire, svegliandosi poco, rispondendo con voce flebile e respirando “a fiatoni”, mentre avrebbe dovuto approfondire l’analisi sull’iporeattivita’ del piccolo e sulla compromissione del circolo cerebrale quale causa della letargia.

In relazione alla sintomatologia descritta dalla madre al medico di guardia, la Corte di appello ha chiarito con motivazione immune da censure che le indicazioni sul temporaneo miglioramento delle condizioni di salute erano troppo vaghe per potervi fare affidamento e che, alla luce delle indicazioni sullo stato febbrile elevato, appariva del tutto insufficiente il prosieguo della consulenza telefonica, senza disporre l’immediato ricovero ospedaliero.

I giudici di merito hanno evidenziato le cause della morte, riferendo che il minore era trasportato in ospedale solo dopo dieci ore e che, nonostante le cure praticategli, decedeva in seguito ad una grave disidratazione riconducibile ad un’infezione intestinale da virus e alla conseguente patologia diarroica.

Il Tribunale ha altresi’ chiarito quanto segue: l’agente eziologico o la compartecipazione dei processi patologici determinanti (sepsi o ipovolemia) appariva indifferente nell’evoluzione della fisiopatologia del quadro clinico; la diagnosi precoce costituisce l’imperativo delle linee guida; il contributo epidemiologico-statistico consente di evidenziare una sopravvivenza in media del 98% in caso di sepsi severa, che scende al 92% in caso di preesistenti condizioni patologiche del bambino. Da tali considerazioni deriva l’irrilevanza delle deduzioni difensive circa le possibili cause alternative del decesso.

Contrariamente a quanto indicato dal ricorrente, non rileva la successiva presunta sottovalutazione delle condizioni di salute del piccolo. In caso di condotte colpose indipendenti, infatti, non puo’ invocare il principio di affidamento l’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiche’ la sua responsabilita’ persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalita’ e imprevedibilita’ (Sez. 4, n. 50038 del 10/10/2017, De Fina, Rv. 271521; Sez. 4, n. 692 del 14/11/2013, dep. 2014, Russo, Rv. 258127).

La Corte di appello ha precisato al riguardo che non si comprendeva l’effetto salvifico che sarebbe stato prodotto in conseguenza dell’anticipazione dei tempi di cura, di un quarto d’ora circa)in occasione del ricovero con codice arancione.

  1. Anche il quinto motivo di ricorso, con cui si sostiene che l’imputato ha rispettato le linee guida previste per la fattispecie in esame, e’ infondato.

Il Tribunale ha illustrato in dettaglio le plurime ragioni del mancato rispetto delle linee guida da parte dell’imputato, in quanto il piccolo manifestava piu’ di un segno tra quelli indicati per il caso in esame: a) la febbre maggiore di 39 in eta’ compresa tra tre e trentasei mesi; b) la diarrea importante, con alterazione del sensorio; c) la scarsa risposta alla somministrazione di soluzione reidratante orale; d) la mancata specializzazione in pediatria del medico contattato; e) l’inefficacia dei rimedi assistenziali-farmacologici prescritti dal pediatra di libera scelta; f) la mancata richiesta di informazioni sulle eventuali malattie croniche del bambino, sul numero delle scariche diarroiche e sull’indicazione della diuresi.

In base alle linee guida, tali fattori rendevano inappropriata la modalita’ di valutazione telefonica nonostante gli inequivocabili sintomi di allarme (dispnea e stato di sopore) ed imponevano un’immediata valutazione medica mediante ricovero ospedaliero.

Il Tribunale ha riportato integralmente la telefonata tra la madre del bambino e l’imputato, in cui la medesima evidenziava: l’eta’ di due anni e mezzo; la febbre elevata a 39,5 con pregresse variazioni comprese tra i 38 e 40, nonostante la ripetuta somministrazione di tachipirina; la somministrazione di solo the’ alla pesca e non di acqua; lo stato di sonno continuo; il respiro “a fiatoni”; la continuita’ incessante di scariche diarroiche. Le censure sul punto – piu’ che criticare la congruita’ e la consequenzialita’ logica delle argomentazioni del provvedimento gravato – si pongono in diretto confronto col materiale probatorio, di cui il ricorrente prospetta una lettura alternativa e sollecita un diverso apprezzamento in punto di fatto, secondo lo schema tipico di un gravame di merito, che esula completamente dalle funzioni dello scrutinio di legittimita’.

I giudici di merito, quindi, hanno coerentemente rilevato le linee guida (depositate dalla difesa dell’imputato) che regolavano il caso concreto, hanno valutato il nesso di causalita’ tenendo conto del comportamento salvifico indicato dai predetti parametri, hanno specificato la forma di colpa ascrivibile all’imputato e hanno appurato che la condotta del sanitario si discostava dalle medesime (Sez. 4, n. 37794 del 22/06/2018, De Renzo, Rv. 273463).

Sotto il profilo della colpa professionale, d’altronde, il medico di guardia deve essere in grado di eseguire le piu’ comuni prestazioni con carattere di urgenza (Sez. 4, n. 10210 del 10/04/1984, Catena, Rv. 166750).

  1. Il sesto motivo di ricorso, con cui si censurano le interpretazioni di vari aspetti fattuali, e’ manifestamente infondato.

Circa la mancanza di specializzazione in pediatria del medico di guardia, i giudici di merito hanno sottolineato che proprio la mancanza di conoscenza approfondita di tale ramo della scienza medica – unitamente al quadro lacunoso dovuto all’incompletezza delle informazioni fornite dalla madre, alla propria mancata richiesta di precisazioni e alla propria mancata indicazione di terapie piu’ precise – avrebbe dovuto indurlo ad una maggiore prudenza e a prescrivere un ricovero immediato.

Circa il consiglio dell’imputato alla madre del bambino di recarsi in farmacia (“non appena fa luce”) riferito alle ore 4.00 di un mattino del mese di febbraio, e’ stato correttamente rilevato che non si trattava di una prescrizione cogente e da attuare immediatamente, perche’, a seguire tale indicazione, sarebbero dovute trascorrere ben tre ore prima di andare a comprare ulteriori farmaci.

La tesi difensiva della non necessita’ dell’ospedalizzazione in caso di febbre a 39/40 non tiene conto del quadro negativo complessivo emergente dai plurimi fattori piu’ volte sopra riportati.

  1. Per le ragioni che precedono, il ricorso va rigettato.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali (articolo 616 c.p.p.).

Poiche’ la vittima del reato e’ un minorenne, va ordinata l’esecuzione degli adempimenti di cui al Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

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