RESPONSABILITA’ STRUTTURA SANITARIA MALASANITA’
OCCORRE TROVARE LA GIUSTA SOLUZIONE CON IMPEGNO E PREPARAZIONE
*L’avvocato SERGIO ARMAROLI si occupa di assistenza legale alle vittime di malasanità per errori medici.
La responsabilità tra medico e struttura sanitaria è un argomento di grande rilevanza nel contesto dell’assistenza sanitaria, poiché coinvolge una serie di dinamiche complesse che riguardano la qualità dell’assistenza, la sicurezza del paziente e l’integrità professionale. Esaminiamo più da vicino questo rapporto di responsabilità:
Responsabilità del Medico:
- Standard di Cura: I medici sono tenuti a fornire cure di alta qualità ai loro pazienti, conformemente agli standard professionali accettati. Questo implica una corretta diagnosi, un trattamento appropriato e una cura continua del paziente.
- Consulenza Informativa: I medici devono fornire informazioni accurate e comprensibili ai pazienti, consentendo loro di prendere decisioni informate riguardo al proprio trattamento. Questo include la divulgazione di rischi, benefici, alternative e prognosi.
- Conservazione delle Informazioni: I medici devono tenere accuratamente e rispettare la riservatezza delle informazioni mediche dei pazienti, garantendo che i dati sensibili siano trattati in modo sicuro e conforme alle leggi sulla privacy.
- Comunicazione Efficace: I medici devono comunicare in modo chiaro e rispettoso con i pazienti, i loro familiari e gli altri membri del team sanitario, garantendo una comprensione reciproca e una collaborazione efficace nell’assistenza al paziente.
- Consapevolezza dei Limiti: I medici devono essere consapevoli dei propri limiti di competenza e, quando necessario, consultare altri professionisti sanitari o rifiutarsi di praticare interventi al di fuori del proprio campo di specializzazione.
Responsabilità della Struttura Sanitaria:
- Ambiente Sicuro: Le strutture sanitarie sono responsabili di fornire un ambiente sicuro per i pazienti, il personale e i visitatori. Ciò include la prevenzione delle infezioni nosocomiali, la gestione dei rischi e l’adeguata manutenzione delle attrezzature e delle infrastrutture.
- Risorse Adeguatamente Allocate: Le strutture sanitarie devono allocare in modo efficiente le risorse, assicurando che il personale abbia le competenze e gli strumenti necessari per fornire cure di alta qualità.
- Sorveglianza della Qualità: Le strutture sanitarie sono tenute a monitorare e valutare la qualità dei servizi offerti, identificando e correggendo eventuali problemi o lacune nell’assistenza.
- Formazione e Sviluppo Professionale: Le strutture sanitarie devono promuovere la formazione continua e lo sviluppo professionale del personale, garantendo che siano aggiornati sulle nuove pratiche cliniche, le tecnologie mediche e le normative di settore.
- Gestione dei Rischi e Assicurazione della Qualità: Le strutture sanitarie devono adottare misure per mitigare i rischi e garantire la sicurezza dei pazienti, compresa la gestione delle reclamazioni, la sicurezza del paziente e la prevenzione degli errori medici.
In caso di negligenza o violazione delle normative da parte di un medico o della struttura sanitaria, possono sorgere questioni di responsabilità legale. In tali casi, è importante condurre un’indagine accurata per stabilire le cause del problema e adottare le misure appropriate per prevenire futuri incidenti.
In definitiva, la responsabilità condivisa tra medico e struttura sanitaria è fondamentale per garantire la fornitura di cure sicure, efficaci ed etiche ai pazienti. Un’efficace collaborazione e comunicazione tra tutte le parti coinvolte sono essenziali per garantire che gli interessi dei pazienti siano sempre al centro delle attività sanitarie.
Responsabilità all’interno delle Strutture Sanitarie: Un’esplorazione della Complessità e delle Implicazioni
Nell’ambito delle strutture sanitarie, la questione della responsabilità gioca un ruolo fondamentale. La gestione di responsabilità, sia a livello individuale che istituzionale, riveste un’importanza cruciale nel garantire la qualità dell’assistenza fornita ai pazienti e nel mantenere elevati standard etici e professionali. Tuttavia, la natura complessa delle dinamiche all’interno delle strutture sanitarie rende la definizione e l’attuazione di responsabilità un processo intricato e multiforme.
La Struttura Organizzativa e la Responsabilità
Le strutture sanitarie sono organizzazioni complesse, composte da una vasta gamma di attori e processi. La responsabilità all’interno di tali strutture è distribuita tra diversi livelli e funzioni. A livello amministrativo, i dirigenti e i gestori sono responsabili della pianificazione strategica, della gestione delle risorse e dell’attuazione delle politiche. Essi devono garantire che le risorse siano allocate in modo efficiente e che siano adottate misure per assicurare la sicurezza dei pazienti e la qualità dei servizi.
A livello clinico, i medici, gli infermieri e altri professionisti della salute sono responsabili della diagnosi, del trattamento e della cura dei pazienti. Essi devono aderire a standard professionali elevati e praticare secondo le linee guida e le best practices accettate. La responsabilità clinica include anche la comunicazione efficace con i pazienti e la documentazione accurata delle informazioni mediche.
La Responsabilità Etica e Legale
Oltre alla responsabilità organizzativa e clinica, le strutture sanitarie devono anche affrontare questioni di responsabilità etica e legale. Queste questioni possono riguardare decisioni delicate riguardanti il trattamento dei pazienti, la riservatezza delle informazioni mediche, e il rispetto dei diritti dei pazienti. Ad esempio, i professionisti della salute devono rispettare il principio dell’autonomia del paziente, assicurando che le decisioni riguardanti il proprio trattamento siano prese in modo informato e consapevole.
Dal punto di vista legale, le strutture sanitarie sono soggette a una serie di normative e regolamenti che stabiliscono standard di cura e definiscono le responsabilità legali dei vari attori all’interno dell’organizzazione. In caso di negligenza o violazione delle normative, le strutture sanitarie possono essere soggette a azioni legali e sanzioni.
Gestione delle Responsabilità
La gestione efficace delle responsabilità all’interno delle strutture sanitarie richiede un approccio olistico e collaborativo. È essenziale promuovere una cultura organizzativa che valorizzi l’etica, la trasparenza e la responsabilità individuale e collettiva. Ciò può essere raggiunto attraverso la formazione del personale, la definizione chiara dei ruoli e delle responsabilità, e la promozione di un ambiente di lavoro sicuro e collaborativo.
Inoltre, le strutture sanitarie dovrebbero investire nella creazione di sistemi di monitoraggio e valutazione della qualità, al fine di identificare e affrontare tempestivamente eventuali problematiche e migliorare continuamente le pratiche cliniche e organizzative.
Infine, è importante sottolineare che la responsabilità nelle strutture sanitarie non riguarda solo il rispetto degli standard professionali e legali, ma anche il benessere e la sicurezza dei pazienti. Le strutture sanitarie devono assumersi la responsabilità di fornire un’assistenza sicura, efficace ed empatica, ponendo sempre al centro delle proprie attività il miglior interesse dei pazienti.
In conclusione, la gestione della responsabilità all’interno delle strutture sanitarie è un processo complesso che richiede un impegno costante da parte di tutti gli attori coinvolti. Promuovere una cultura della responsabilità, definire chiaramente i ruoli e le responsabilità, e investire nella qualità e nella sicurezza dei servizi sono tutti elementi fondamentali per garantire che le strutture sanitarie possano svolgere il loro ruolo nel fornire un’assistenza sanitaria di alta qualità e nel rispettare gli standard etici e legali più elevati.
Se pensi di aver subito un danno fisico dovuto ad un errore medico, se un tuo familiare è deceduto a causa di un errore commesso da un medico, rivolgiti all’avvocato Sergio Armaroli di Bologna Revenna Forli Cesena Rimini
con sede a Bologna
Errata diagnosi, errato intervento chirurgico, omessa o tardiva diagnosi oncologica, danno da vaccino, danno estetico, errata terapia farmacologica, ecc.
Purtroppo, sono molto frequenti i casi di danni subiti, causa fatto colposo di un professionista o di una struttura medico-sanitaria.
- Gestione completa della pratica;
- Perizie medico legali;
- In caso di necessità, ti raggiungeremo anche a domicilio, o presso gli ospedali;
INOLTRE RIVOLGENDOTI ALL’AVVOCATO MALASANITA’ SERGIO ARMAROLI AVRAI :
- A tua disposizione un team di specialisti e di medici legali che ti forniranno una relazione dettagliata per capire l’entità del danno che hai subito.
E hai subito un danno biologico
Ti da’ diritto al risarcimento del danno nel caso in cui lo stesso sia imputabile a colpa o dolo.
Rivolgiti subito all’avvocato Sergio Armaroli se sei stato vittima di:
• una diagnosi sbagliata;
• una diagnosi ritardata (il cui ritardo ha generato complicazioni nelle condizioni di salute);
• un’omissione sugli esami da eseguire (che avrebbero chiarito le condizioni di salute);
• un intervento chirurgico eseguito in modo errato;
• una cattiva gestione delle cure successive ad un intervento
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Anestesia: morte sopraggiunta nel corso dell’anestesia lesioni dovute all’intubazione
Chirurgia: errata esecuzione dell’intervento inefficacia dell’intervento scarsa assistenza post-operatoria esecuzione di interventi inadeguati errata o mancata diagnosi patologica I casi più frequenti di malasanità riguardano l’anestesia, la chirurgia generale, la neurochirurgia, l’oncologia, l’ortopedia, l’ostetricia e la ginecologia.
Si sono avuti errori medici nella somministrazione sbagliata di farmaci, nella lesione di organi durante un intervento chirurgico, mancanza di guarigione per diagnosi sbagliata, non riconoscimento di una frattura, accertamenti diagnostici non eseguiti, decesso durante il parto, mancata diagnosi di eventuali malformazioni del nascituro prima del parto.
Chirurgia Estetica: errata esecuzione dell’intervento
Medicina Interna: errata o mancata diagnosi patologica errato approccio terapeutico
Oculistica: infezioni contratte durante gli interventi errata esecuzione di interventi di cataratta e di correzione laser della miopia
Odontoiatria: mancato raggiungimento dei risultati sperati
Oncologia: diagnosi ritardata dei tumori trattamento tumorale ritardato
Ortopedia: errata diagnosi presso il Pronto Soccorso ,
mancata diagnosi dell’infarto del miocardio, errato approccio terapeutico per le fratture, mancata esecuzione di esami ai Raggi X,
Quando si pensa di essere vittima di un episodio di malasanità, alla sofferenza per il torto subito si aggiunge un senso di smarrimento: a chi è meglio rivolgersi? Sì, perché non è agevole individuare la strada giusta da seguire per accertare se, effettivamente, vi siano i presupposti di una responsabilità sanitaria.
Neppure è facile capire quale sia il soggetto più indicato al quale rivolgersi per ottenere giustizia.
Giustizia che, in ambito civile, significa vedersi riconosciuto un equo risarcimento danni (in altra sede parleremo dei rapporti tra azione civile e azione penale, tema spesso oggetto di fraintendimenti e inopportune semplificazioni).
errata esecuzione dell’intervento per la sintesi delle fratture, sopraggiungere di infezioni nosocomiali,
Responsabilità della Struttura Ospedaliera: infezioni nosocomiali
E’ sempre opportuno valutare la figura professionale, le esperienze, il curriculum dell’avvocato a cui ci si intende affidara.
- Diagnosi errata, ritardata o mancata
- Prescrizione Farmacologica Errata
- Errore Chirurgico
- Malasanità Pediatrica
- Dispositivi medici difettosi
Per avere buone probabilità di ottenere giustizia e venire risarciti dopo essere rimasti vittima di un errore medico le pratiche devono necessariamente essere seguite da professionisti (medici legali e avvocati) specializzati nel settore della malasanità, ambito particolarmente complesso che richiede un’ottima conoscenza degli aspetti medico legali, legali e di medicina specialistica.
Per dare un valore economico ad un bene come quello della salute o della vita stessa, corrono in soccorso le note Tabelle del Tribunale di Milano, adottate ormai da tutti i Tribunali d’Italia, che attribuiscono ad ogni punto di invalidità permanente una determinata somma di denaro che varia a seconda dell’età del danneggiato e che prevedono un determinato importo per ogni giorno di convalescenza (da adeguarsi in considerazione delle caratteristiche della degenza stessa).
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Tali valori monetari sono poi suscettibili di aumento personalizzato che potrà essere riconosciuto in considerazione delle circostanze specifiche del caso concreto ove le sofferenze patite dal danneggiato siano state più gravose in ragione di vari fattori.
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CHI PUO’ CHIEDERE IL RISARICMENTO PER I CONGIUNTI?
L’assetto sistematico sancito dai giudici di legittimità in ordine all’individuazione dei soggetti legittimati ad agire per il risarcimento dei danni derivanti dalla morte del prossimo congiunto è stato, infatti, edificato sulla nozione della causalità e, quindi, sulla propagazione intersoggettiva delle conseguenze di uno stesso fatto illecito (per danno morale soggettivo da morte di congiunto cfr. Cass. 2915/71 1016/73 11396/97).
Un illecito di tale genere può, infatti, essere efinito “plurioffensivo” in quanto è idoneo a ledere interessi diversi in capo ad altrLa Cassazione ha affermato il principio della “prevedibilità della colpa”, ritenendo che“ove l’uccisione di una persona abbia leso in pari tempo situazioni giuridiche di soggetti diversi, legati alla vittima primaria da un vincolo coniugale o parentale, deve ritenersi sussistente, in capo al soggetto che ha posto in essere la condotta che ha causato la morte, l’elemento della prevedibilità dell’evento in relazione alla lesione, in danno dei superstiti, dell’interesse all’intangibilità delle relazioni familiari, atteso che la prevedibilità dell’evento dannoso deve essere valutata in astratto, e non in concreto, e che rientra nella normalità il fatto che la vittima sia inserita in un nucleo familiare, come coniuge, genitore, figlio o fratello“.(cfr. Cassazione civile, sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828)
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La responsabilità contrattuale (o da inadempimento),
disciplinata dall’art. 1218 c.c., si distingue dalla responsabilità extracontrattuale (o aquiliana), ex art. 2043 c.c., a seconda del dovere giuridico violato.
La responsabilità contrattuale deriva dalla violazione di un obbligo specifico qualunque ne sia a sua volta la fonte: contratto, illecito o altro fatto idoneo.
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Con sentenza n. 9962 del 2008 il Tribunale di Milano – decidendo sulla domanda proposta con citazione del giugno 2004 da F. G. e S.L. nei confronti del Ministero del Lavoro, della Salute e delle politiche sociali (già Ministero della Sanità e oggi Ministero della Salute) e dell’Azienda ospedaliera Ospedale Fatebenefrateili e Oftalmico di (OMISSIS) (di seguito brevemente Ospedale Fatebenefrateili), nonchè sulle chiamate in causa della Milano Assicurazioni s.p.a., dell’AVIS comunale di Milano e dell’Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda CàGranda di Milano (di seguito, brevemente, rispettivamente, AVIS e Ospedale Niguarda) condannava il Ministero della Salute e l’Ospedale Fatebenefrateili al pagamento, in solido tra loro, della somma di Euro 559.981,00 oltre accessori, a titolo di risarcimento danni conseguenti a ripetute somministrazioni di sangue e plasma subite dal F. (nell’anno (OMISSIS)), a seguito delle quali l’attore aveva contratto infezioni da HBV e HCV, evolute (nell’anno (OMISSIS)) in cirrosi epatica e, quindi, in carcinoma del fegato; condannava la Milano Assicurazioni s.p.a. a manlevare, entro il limite del 70%, l’Ospedale Fatebenefrateili di quanto dovuto all’attore; rigettava, invece, la domanda dell’Ospedale Fatebenefrateili nei confronti dell’AVIS e, di conseguenza, disattendeva anche la domanda dell’AVIS nei confronti dell’Ospedale Niguarda.
La decisione, gravata da impugnazione sia del Ministero della Salute, sia in via incidentale dell’Ospedale Fatebenefratelli, era confermata dalla Corte di appello di Milano, la quale con sentenza n. 1330/2011 rigettava entrambi gli appelli.
Invero – pur avendo il diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto natura diversa rispetto all’attribuzione indennitaria regolata dalla L. n. 210 del 1992 – nel giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della salute per omessa adozione delle dovute cautele, l’indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (in applicazione del principio della compensatici lucri cum damno), venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo (Cass. civ., Sez. Unite, 11 gennaio 2008, n. 584).
Nè rileva che – diversamente dal caso esaminato dalle SS.UU. – nel caso di specie l’indennizzo e il risarcimento del danno facciano carico anche ad altro ente pubblico (l’Ospedale) diverso dal Ministero; dovendo, piuttosto, porsi l’accento sulla circostanza che entrambe le attribuzioni patrimoniali hanno causa nel medesimo fatto lesivo (trasfusione di sangue). In particolare – considerato che il diritto al risarcimento del danno conseguente ad una lesione si concreta in un diritto di credito (diverso da quello inciso) ad essere tenuto, per quanto possibile, indenne delle conseguenze negative che da quell’evento lesivo derivano, mediante il ripristino del bene perduto o la riparazione/eliminazione della perdita (ovvero la consolazione/soddisfazione/compensazione, se la riparazione non è possibile) – è evidente che tale diritto di credito può essere riconosciuto nei limiti in cui quelle conseguenze negative non siano state eliminate per effetto della corresponsione dell’indennizzo riconosciuto in dipendenza del medesimo evento, altrimenti verificandosi un’indebita locupletazione (cfr. Cass. 11 dicembre 2012, n. 22622 in motivazione).
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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SEGRETO Antonio – Presidente – Dott. PETTI Giovanni B. – Consigliere – Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere – Dott. SESTINI Danilo – Consigliere – Dott. RUBINO Lina – Consigliere – ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 18840/2011 proposto da: MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, considerato domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è rappresentato e difeso per legge; – ricorrente – contro F.G. (OMISSIS), S.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEL MASCHERINO 72, presso lo studio dell’avvocato VALENTI Valerio, che li rappresenta e difende giusta procura speciale del Dott. Notaio MARCO LOVISETTI, in MILANO 3/10/2014, Rep. N. 1377; – controricorrenti – e contro AZIENDA OSPEDALIERA FATEBENEFRATELLI E OFTALMICO (OMISSIS), AVIS COMUNALE MILANO (OMISSIS), AZIENDA OSPEDALIERA NIGUARDA CA’ GRANDA (OMISSIS), MILANO ASSICURAZIONI SPA; – intimati – nonchè da: OSPEDALE FATEBENEFRATELLI E OFTALMICO – AZIENDA OSPEDALIERA (OMISSIS), in persona del Direttore Generale Dott. M. G., legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, L.GO DI TORRE ARGENTINA 11, presso lo studio dell’avvocato DARIO MARTELLA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DARIO DE PASCALE giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale; – ricorrente incidentale – contro AZIENDA OSPEDALIERA NIGUARDA CA’ GRANDA DI MILANO (OMISSIS), in persona del Direttore Generale e legale rappresentante Dr. C.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO SPADAFORA, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso; AVIS COMUNALE MILANO (OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante Dott. M.L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DONATELLO 23, presso lo studio dell’avvocato PIERGIORGIO VILLA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CORRADO COCUZZA giusta procura speciale in calce al controricorso; F.G. (OMISSIS), S.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEL MASCHERINO 72, presso lo studio dell’avvocato VALERIO VALENTI, che li rappresenta e difende giusta procura speciale del Dott. Notaio MARCO LOVISETTI, in MILANO 3/10/2014, Rep. N. 1377; – controricorrenti all’incidentale – e contro MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), MILANO ASSICURAZIONI SPA; – intimati – avverso la sentenza n. 1330/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 10/05/2011, R.G.N. 3682/2008; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/10/2014 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO; udito l’Avvocato dello Stato VINCENZO RAGO; udito l’Avvocato VALERIO VALENTI; udito l’Avvocato DARIO DE PASCALE; udito l’Avvocato PIERGIORGIO VILLA; udito l’Avvocato GIORGIO SPADAFORA; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del 4 motivo del ricorso principale e per l’accoglimento del 5 motivo del ricorso incidentale.
Fatto
Con sentenza n. 9962 del 2008 il Tribunale di Milano – decidendo sulla domanda proposta con citazione del giugno 2004 da F. G. e S.L. nei confronti del Ministero del Lavoro, della Salute e delle politiche sociali (già Ministero della Sanità e oggi Ministero della Salute) e dell’Azienda ospedaliera Ospedale Fatebenefrateili e Oftalmico di (OMISSIS) (di seguito brevemente Ospedale Fatebenefrateili), nonchè sulle chiamate in causa della Milano Assicurazioni s.p.a., dell’AVIS comunale di Milano e dell’Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda CàGranda di Milano (di seguito, brevemente, rispettivamente, AVIS e Ospedale Niguarda) condannava il Ministero della Salute e l’Ospedale Fatebenefrateili al pagamento, in solido tra loro, della somma di Euro 559.981,00 oltre accessori, a titolo di risarcimento danni conseguenti a ripetute somministrazioni di sangue e plasma subite dal F. (nell’anno (OMISSIS)), a seguito delle quali l’attore aveva contratto infezioni da HBV e HCV, evolute (nell’anno (OMISSIS)) in cirrosi epatica e, quindi, in carcinoma del fegato; condannava la Milano Assicurazioni s.p.a. a manlevare, entro il limite del 70%, l’Ospedale Fatebenefrateili di quanto dovuto all’attore; rigettava, invece, la domanda dell’Ospedale Fatebenefrateili nei confronti dell’AVIS e, di conseguenza, disattendeva anche la domanda dell’AVIS nei confronti dell’Ospedale Niguarda.
La decisione, gravata da impugnazione sia del Ministero della Salute, sia in via incidentale dell’Ospedale Fatebenefratelli, era confermata dalla Corte di appello di Milano, la quale con sentenza n. 1330/2011 rigettava entrambi gli appelli.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero della Salute, svolgendo cinque motivi.
A sua volta l’Ospedale Fatebenefrateili, depositando controricorso, ha svolto ricorso incidentale articolato in cinque motivi.
F.G. e S.L. hanno resistito, depositando distinti controricorsi, avverso, rispettivamente, il ricorso principale e il ricorso incidentale.
A seguito del ricorso incidentale anche l’AVIS e l’Ospedale Niguarda hanno depositato controricorso.
Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte della Milano Assicurazioni s.p.a..
E’ stata depositata memoria da parte dell’Ospedale Niguarda. Diritto MOTIVI DELLA DECISIONE
- Prima di ogni altra considerazione – relativamente all’eccezione di difetto di notificazione del controricorso dell’Ospedale Niguarda, eccezione sollevata in udienza dall’Ospedale Fatebenefrateili – rileva il Collegio che tale controricorso è regolarmente notificato al ricorrente incidentale che è legittimato a eccepire solo vizi di notifica che lo riguardano.
- I ricorsi principale e incidentale sono oggetto di trattazione congiunta ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
RICORSO PRINCIPALE. 2.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2035 c.c. e dell’art. 2947 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c.. Al riguardo parte ricorrente lamenta che i giudici di merito abbiano assunto come dies a quo della prescrizione quello della presentazione della domanda di indennizzo ex lege n. 210 del 1992 nell’agosto 2002 (ritenendo, di conseguenza, tempestiva la domanda risarcitoria formulata nell’anno 2004), sebbene la parte danneggiata fosse a conoscenza del contagio sin dall’anno (OMISSIS).
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione dei principi in materia di esclusione della responsabilità per la sussistenza di una causa di giustificazione, art. 51 c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c.. Al riguardo parte ricorrente deduce l’insussistenza della fattispecie criminosa e del nesso di causalità per la presenza di una causa di giustificazione (consenso dell’avente diritto ovvero stato di necessità o forza maggiore ovvero ancora esercizio di attività lecita e/o autorizzata, attività medico- chirurgica).
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2947 c.c. e dell’art. 158 c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c.. Al riguardo parte ricorrente deduce che la prescrizione più lunga, prevista per il reato, avrebbe dovuto farsi decorrere dalla consumazione del reato (1979) ovvero dal periodo immediatamente successivo alle trasfusioni o, comunque, per quanto esposto nel primo motivo, dal 1992.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c..
Al riguardo parte ricorrente deduce il difetto del nesso causale tra i danni lamentati e il (mancato) comportamento ascritto al Ministero, nonchè la carenza dell’elemento psicologico della colpa, per essere stata la trasfusione effettuata in un’epoca antecedente a quella (1988) in cui il virus dell’epatite C (HCV) è stato scoperto.
2.5. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia violazione dei principi in materia di compensatio lucri cura davano, nonchè dell’art. 2033 c.c.. Al riguardo parte ricorrente lamenta che erroneamente la Corte di appello abbia ritenuto la cumulabilità dell’indennizzo ex lege n. 210 del 1992, con l’importo dovuto a titolo di risarcimento danni; richiama, quindi, il principio enunciato da Sez. Unite n. 584/2008, secondo cui la somma corrisposta a titolo di indennizzo è scomputabile dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento danni, attesa la loro riconducibilità dal medesimo fatto (somministrazione di sangue o emoderivati).
- RICORSO INCIDENTALE. 3.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 1946 c.c., in ordine all’individuazione del dies a quo della prescrizione. Al riguardo parte ricorrente – premesso che il riferimento alla domanda di pagamento dell’indennizzo deve costituire un criterio residuale – osserva che, nella specie, il F. era a conoscenza dell’esistenza e della gravità del danno (o comunque avrebbe dovuto percepirlo come tale) quantomeno dal primo riscontro diagnostico nell’anno 1992 della sussistenza dell’epatite B e C, a nulla rilevando i successivi aggravamenti della malattia.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 1176 c.c.. Al riguardo parte ricorrente lamenta che i Giudici del merito abbiano ritenuto che fosse obbligo dell’Ospedale quello di controllare attraverso esami specifici il contenuto delle sacche di sangue e di plasma somministrate e di verificare, attraverso un accurato screening la loro bontà, nonchè la natura, l’identità dei donatori, la loro provenienza. In contrario senso deduce che l’Ospedale non disponeva di un proprio centro di raccolta plasma, ma si approvvigionava dall’esterno (AVIS comunale di Milano) e che all’epoca neppure esistevano markers obbligatori per legge.
3.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione, nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 106 e 269 c.p.c., sul punto della responsabilità dell’AVIS e dell’obbligo di manleva di quest’ultimo.
Al riguardo parte ricorrente deduce che il rapporto contrattuale dell’Ospedale Fatebenefrateili con il paziente andava distinto da quello della medesima struttura con l’AVIS e lamenta che la Corte di appello, ripetendo un errore in cui era incorso il primo giudice, abbia interpretato la chiamata in causa dell’AVIS come un tentativo di fornire una “prova liberatoria”, piuttosto che come una domanda di manleva, peraltro omettendo di considerare elementi documentali, quali la CT di parte AVIS e le difese dell’Ospedale Niguarda, da cui sarebbe emersa la conferma che le sacche trasfuse al F. provenivano dall’AVIS. 3.4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione, nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 106 e 269 c.p.c., sul punto dell’esclusiva responsabilità del Ministero e dell’obbligo di manleva verso l’Ospedale Fatebenefrateili. Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di appello – confermando le ragioni del rigetto della domanda di manleva nei confronti del Ministero, per la considerazione dell’insussistenza di un obbligo del Ministero di rispondere del fatto ascrivibile ad altre persone giuridiche pubbliche – abbia trascurato che gravava sul Ministero l’obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di impiego del sangue umano per uso terapeutico e che, dal canto suo, l’Ospedale Fatebenefrateili non aveva un proprio centro trasfusionale, approvvigionandosi dall’AVIS;
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e poichè l’AVIS operava sotto il controllo del Ministero, quest’ultimo era tenuto in via solidale con l’AVIS o in via esclusiva, a manlevare l’Ospedale Fatebenefrateili di quanto dovuto al F. per i fatti per cui è causa.
3.5. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia violazione dei principi in materia di compensatio lucri cum damni, nonchè dell’art. 2033 c.c., deducendo l’indebito arricchimento attoreo per effetto della riconosciuta cumulabilità dell’indennizzo ex lege n. 210 del 1992 e del risarcimento del danno.
- Alcuni motivi, proposti in via principale e incidentale, saranno esaminati congiuntamente, per l’affinità o almeno la stretta connessione delle censure.
4.1. LA PRESCRIZIONE.- La questione è oggetto del primo e del terzo motivo del ricorso principale e del primo del ricorso incidentale.
La ragione delle censure riguarda l’ individuazione del dies a quo della prescrizione. Nulla quaestio, invece, sull’individuazione del termine di prescrizione che è stato indicato in quello decennale con riguardo all’azione contrattuale proposta nei confronti dell’Ospedale Fatebenefrateili; mentre, per quanto riguarda l’azione extracontrattuale verso il Ministero, il riferimento (recepito nella sentenza impugnata dalla decisione di primo grado) al termine di prescrizione di cui all’art. 2947 c.c., comma 3, in relazione al reato di lesioni colpose ex art. 113 c.p., art. 590 c.p., comma 2, non sposta la durata quinquennale prevista dal cit. art. 2947, comma 1, dovendosi fare ai fini civilistici riferimento alla disciplina della prescrizione penale vigente all’epoca del fatto e antecedente all’entrata in vigore della L. 5 dicembre 2005, n. 251.
4.2. Ciò precisato, ritiene il Collegio che la decisione impugnata è conforme ai principi predicati dalle Sezioni Unite, con le note sentenze del 11 gennaio 2008, nn. 576 e segg., secondo cui – in applicazione del principio della “percepibilità” e “conoscibilità” del danno unitamente a quello della “rapportabilità causale” – il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno di chi assume di aver contratto per contagio una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, a norma dell’art. 2935 c.c. e art. 2947 c.c., comma 1, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione che produce il danno altrui o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, ma dal momento in cui la stessa viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche (cfr. anche Cass. 21 febbraio 2003, n. 2645).
Non si richiede, dunque, la certezza della conoscenza, bensì la conoscibilità della riconducibilità della malattia al fatto del terzo, valutata alla stregua di un duplice parametro, l’uno interno e l’altro esterno al soggetto – rappresentati rispettivamente dall’ordinaria diligenza e dal livello di conoscenze scientifiche dell’epoca – entrambi verificabili dal Giudice senza scivolare verso un’indagine di tipo psicologico, non potendosi dare rilevanza della mera conoscibilità soggettiva del danneggiato. E poichè l’indennizzo ex lege n. 210 del 1992 è dovuto solo in presenza di danni irreversibili da vaccinazioni, emotrasfusioni o somministrazioni di emoderivati, appare ragionevole ipotizzare (come hanno ritenuto, nella specie, i giudici del merito) che dal momento della proposizione della domanda amministrativa la vittima del contagio deve, comunque, aver avuto una sufficiente percezione sia della malattia, sia del tipo di malattia che delle possibili conseguenze dannose, percezione la cui esattezza viene solo confermata con la certificazione emessa dalle commissioni mediche.
L’analisi svolta nella decisione impugnata sul contenuto della diligenza esigibile dalla vittima nel caso concreto – ovvero sulle informazioni che erano in suo possesso, o alle quali doveva esser messa in condizioni di accedere, o che doveva attivarsi per procurarsi – risulta accurata e diligente. In particolare i Giudici di appello – dopo aver individuato i dati storici rilevanti nel passaggio dal danno “occulto” a quello della manifestazione nelle sue componenti essenziali ed irreversibili, hanno evidenziato – con valutazione in fatto, qui non sindacabile – da un lato, che la “semplice” positività ai virus HBV e HCV, pur riscontrata durante una degenza nell'(OMISSIS), non aveva comportato per il F. alcuna “percepibilità” della lesione nel senso innanzi precisati, giacchè, come affermato anche dal c.t.u., “il F. in quel periodo stava bene, continuava a lavorare, insomma a vivere la sua vita normalmente anche nei suoi rapporti affettivi nell’ambito famigliare” (id est il danno non si era manifestato ancora nelle sue componenti essenziali ed irreversibili) e, dall’altro, che solo a partire dall’ecografia 19.01.2001 (che per la prima volta, dal 1979, fece rilevare un fegato di dimensioni ai limiti inferiori della norma) e fino alle successive conferme della malattia (diagnosi di cirrosi epatica nell'(OMISSIS) e di carcinoma al (OMISSIS)) i dati via via acquisiti dall’originario attore gli consentirono una conoscenza, ragionevolmente completa, circa gli elementi necessari per l’instaurazione del giudizio (non solo il danno, ma anche il nesso di causa e le azioni/omissioni rilevanti).
Ne consegue la tempestività della domanda introdotta nel (OMISSIS).
In definitiva i motivi di ricorso all’esame sono infondati, sotto il profilo della violazione di legge, mentre sono inammissibili sotto quello motivazionale, giacchè si limitano a censurare aspetti del giudizio interni all’ambito della discrezionalità di valutazione delle prove e dell’apprezzamento dei fatti e non già ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento, che sarebbero stati rilevanti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
Tutti i suddetti motivi vanno, pertanto, rigettati. 5. RESPONSABILITA’ DEL MINISTERO. La questione è oggetto del secondo e del quarto motivo del ricorso principale.
5.1. Il secondo motivo è inammissibile.
Invero – a parte la considerazione che le scriminanti reclamate dal Ministero risultano eccentriche rispetto alle ragioni di responsabilità, rinvenute nell’omesso controllo e vigilanza in materia di sangue umano – il motivo propone questioni nuove, non prospettate in sede di impugnazione in appello e, quindi, come tali, inammissibili. Infatti è giurisprudenza pacifica di questa Corte che i motivi del ricorso per Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili di ufficio (Cass. 29 marzo 1996; Cass. 10 maggio 1995,n. 5106; Cass. 8 luglio 1994, n. 6428).
Peraltro, ove anche si volesse ritenere che dette censure erano implicitamente contenute nei motivi di appello, in quanto ne costituivano il presupposto logico – giuridico, il suddetto motivo si risolverebbe in una censura di omessa di pronuncia; ed anche sotto tale profilo il motivo, cosi come proposto, è inammissibile. Infatti tale censura integra una violazione dell’art. 112 c.pc. e avrebbe dovuto essere fatta valere come tale (nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4) e non come violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Inoltre il ricorrente aveva avuto l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al Giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 22 maggio 2006, n. 11922; Cass. 19 maggio 2006, n. 11874; Cass. 21 febbraio 2006, n. 3664).
5.2. Il quarto motivo del ricorso principale è infondato.
Rinviando alle più diffuse argomentazioni svolte nelle già cit.
sentenze delle Sezioni Unite – segnatamente laddove sono individuate le fonti normative di riferimento – va qui ribadito che, anche prima dell’entrata in vigore della L. 4 maggio 1990, n. 107, contenente la disciplina per le attività trasfusionali e la produzione di emoderivati, deve ritenersi che sussistesse in materia, sulla base della legislazione vigente, un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di sangue umano da parte del Ministero della sanità, anche strumentale alla funzione di programmazione e coordinamento in materia sanitaria. L’omissione da parte del Ministero di attività funzionali alla realizzazione dello scopo per il quale l’ordinamento attribuisce il potere (qui concernente la tutela della salute pubblica) lo espone a responsabilità extracontrattuale, quando, come nella fattispecie, dalla violazione del vincolo interno costituito dal dovere di vigilanza nell’interesse pubblico, il quale è strumentale ed accessorio a quel potere, siano derivate violazioni dei diritti soggettivi dei terzi.
Così qualificata la responsabilità del Ministero nell’ambito della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., da omessa vigilanza, la questione della responsabilità omissiva per contagio va risolta inquadrando il problema della conoscenza del virus anzitutto nell’ambito della regolarità causale e quindi del nesso causale e solo in via residuale nell’ambito dell’elemento soggettivo: ciò in quanto ciascuno è responsabile soltanto delle conseguenze della sua condotta, attiva o omissiva, che appaiono sufficientemente prevedibili al momento nel quale ha agito, escludendosi in tal modo la responsabilità per tutte le conseguenze assolutamente atipiche o imprevedibili.
In particolare le Sezioni Unite – muovendo dalla considerazione che i principi generali che regolano la causalità materiale (o di fatto) sono anche in materia civile quelli delineati dagli artt. 40 e 41 c.p. e dalla regolarità causale, salva la differente regola probatoria che in sede penale è quella dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, mentre in sede civile vale il principio della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non” – hanno precisato che la regola della “certezza probabilistica” non può essere ancorata esclusivamente alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classe di eventi (c.d. probabilità quantitativa), ma va verificata riconducendo il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (c.d. probabilità logica) (cfr. Sez. Unite, sentenza 11 gennaio 2008, n. 581).
Da tale premessa concettuale è derivato con specifico riferimento all’azione – come quella in oggetto – per contagio da somministrazione di sangue ed emoderivati infetti, il seguente principio: premesso che sul Ministero gravava un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di impiego di sangue umano per uso terapeutico (emotrasfusioni o preparazione di emoderivati) anche strumentale alle funzioni di programmazione e coordinamento in materia sanitaria, affinchè fosse utilizzato sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli standars di esclusione di rischi, il giudice, accertata l’omissione di tali attività, accertata, altresì, con riferimento all’epoca di produzione del preparato, la conoscenza oggettiva ai più alti livelli scientifici della possibile veicolazione di virus attraverso sangue infetto ed accertata – infine – l’esistenza di una patologia da virus HIV o HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell’insorgenza della malattia, e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito la versificazione dell’evento.
Dal principio sopra esposto in tema di nesso causale da comportamento omissivo, emerge anche il criterio per la delimitazione temporale della responsabilità del Ministero: in altri termini si tratta di verificare se, ai fini della regolarità causale, il virus dell’epatite C e B, all’epoca in cui intervenne le trasfusioni individuate come causa della stessa malattia, fossero un evento assolutamente eccezionale ed imprevedibile e quindi estraneo alla regolarità causale. Ciò in quanto in tema di patologie conseguenti ad infezione con i virus HBV (epatite B) , HIV (AIDS) e HCV (epatite C) contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, non sussistono tre eventi lesivi, bensì un unico evento lesivo, cioè la lesione dell’integrità fisica (essenzialmente del fegato) in conseguenza dell’assunzione di sangue infetto; ne consegue che già a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B – la cui individuazione spetta all’esclusiva competenza del giudice di merito, costituendo un accertamento di fatto – sussiste la responsabilità del Ministero della salute, sia pure col limite dei danni prevedibili, anche per il contagio degli altri due virus, che non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo.
(Sez. Unite, n. 576 del 2008 cit.).
5.3. Orbene, nella specie, la Corte di appello ha evidenziato, non solo che la presenza di virus nel sangue era nota già alla fine degli anni sessanta, ma anche e soprattutto che nel 1978 era stati introdotti specifici tests per l’individuazione del virus dell’epatite B (il F. ha contratto sia l’HBV che HCV a seguito di trasfusioni subite nel (OMISSIS)), correttamente rinvenendo il fondamento della responsabilità del Ministero nell’omessa predisposizione di screening accurati dei donatori con specifico riferimento ai markers indiretti (transaminasi) Ciò posto e considerato che l’individuazione della data di conoscenza dell’epatite B costituisce un accertamento fattuale, che rientra nell’esclusiva competenza del giudice di merito, correttamente la Corte di appello ha ritenuto che sussiste la responsabilità del Ministero anche per il contagio dell’altro virus, che non costituisce evento autonomo e diverso, ma solo una forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell’integrità fisica da virus veicolati dal sangue infetto, che il Ministero non aveva controllato, come pure era obbligato per legge.
- LA RESPONSABILITA’ DELL’OSPEDALE FATEBENEFRATELLI. La questione è oggetto del secondo motivo di ricorso.
La responsabilità (contrattuale) dell’Ospedale Fatebenefrateili è stata affermata nella decisione impugnata, sulla premessa dell’operatività dei principi di regolarità causale già richiamati con riguardo alla posizione del Ministero, nonchè sulla base dell’essenziale e risolutivo rilievo che nel 1979, allorchè, nel corso della degenza presso la struttura in oggetto il F. contrasse anche il virus HBV, già esisteva in Italia il test diagnostico di tale virus.
6.1. Nulla quaestio per l’inquadramento della responsabilità della struttura sanitaria verso il paziente nell’ambito di quella da inadempimento contrattuale.
Dalla giurisprudenza il suddetto rapporto è stato riconsiderato in termini autonomi dal rapporto paziente-medico, e riqualificato come un autonomo ed atipico contratto a prestazioni corrispettive (da taluni definito contratto di spedalità, da altri contratto di assistenza sanitaria) al quale si applicano le regole ordinarie sull’inadempimento fissate dall’art. 1218 c.c.. In virtù del contratto, la struttura deve quindi fornire al paziente una prestazione assai articolata, definita genericamente di “assistenza sanitaria”, che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi c.d. di protezione ed accessori. Ciò comporta che si può avere una responsabilità contrattuale della struttura verso il paziente danneggiato non solo per il fatto del personale medico dipendente, ma anche del personale ausiliario, nonchè della struttura stessa (per insufficiente o inidonea organizzazione).
Per quanto concerne, in particolare, l’ipotesi del contagio da emotrasfusione eseguita all’interno della struttura sanitaria, gli obblighi a carico della struttura ai fini della declaratoria della sua responsabilità, vanno posti in relazione sia agli obblighi normativi esistenti al tempo dell’intervento e relativi alle trasfusioni di sangue, quali quelli relativi alla identificabilità del donatore e del centro trasfusionale di provenienza (c.d.
tracciabilità del sangue), sia agli obblighi più generali di cui all’art. 1176 c.c., nell’esecuzione delle prestazioni che il medico o la struttura possono aver violato nella singola fattispecie.
6.2. Inoltre, in ragione della natura contrattuale del rapporto, il riparto dell’onere probatorio deve seguire i criteri fissati in materia contrattuale, alla luce del principio enunciato in termini generali dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 30 ottobre 2001, n. 13533, con la precisazione che spetta al creditore/paziente allegare un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno.
Va, infatti, ribadito che in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (Cass. civ., Sez. Unite, 11 gennaio 2008, n. 577 Orbene – pacifico, nella specie, che l’originario attore ha fornito la prova del contratto relativo alla prestazione sanitaria (contratto di spedalità) e il danno assunto (epatite), allegando che l’Ospedale era inadempiente avendolo sottoposto ad emotrasfusione con sangue infetto – competeva al suddetto Ospedale fornire la prova che tale inadempimento non vi era stato, poichè non era stata effettuata una trasfusione con sangue infetto, oppure che, pur esistendo l’inadempimento, esso non era eziologicamente rilevante nell’azione risarcitoria proposta, per una qualunque ragione.
Parte ricorrente incidentale insiste nel rilievo che non aveva un proprio centro di raccolta, osservando a margine che neppure esistevano tests obbligatori. Senonchè l’uno e l’altro argomento non valgono ad esonerarla da responsabilità nell’ambito del rapporto contrattuale con il paziente, posto che il primo risulta eccentrico rispetto all’addebito che è stato rivolto alla struttura sanitaria e l’altro, oltre che meramente assertivo, deve confrontarsi con il dato risultante nella decisione impugnata della possibilità di effettuare il controllo delle transaminasi. Il nucleo centrale della decisione impugnata si fonda, infatti, sul rilievo dell’inosservanza degli specifici obblighi di protezione gravanti sulla struttura per avere omesso i necessari controlli sul sangue utilizzato per le trasfusioni. In altri termini l’Ospedale risponde dei danni subiti dal paziente per inosservanza della diligenza richiesta ex art. 1176 c.c., non avendo controllato il sangue utilizzato (come pure sarebbe stato possibile) a prescindere dalla circostanza che lo avesse raccolto con una propria struttura o lo avesse reperito aliunde.
Il secondo motivo di ricorso incidentale va, dunque, rigettato.
- LE AZIONI DI MANLEVA. Non meritano accoglimento neppure il terzo e il quarto motivo di ricorso incidentale.
7.1. In particolare – contrariamente a quanto profilato nel terzo motivo di ricorso – la Corte di appello non ha affatto “equivocato” le ragioni della domanda, ritenendo che la domanda risarcitoria non potesse “estendersi” all’AVIS in ragione dell’inesistenza di un rapporto contrattuale con la vittima; bensì ha escluso che l’Ospedale potesse avere un diritto di rivalsa verso il terzo chiamato; e ciò per l’assorbente considerazione che occorreva la dimostrazione che le sacche di plasma e sangue utilizzate sulla vittima fossero provenienti proprio dall’Avis.
E’ il caso di aggiungere – dal momento che la Corte di appello ha dichiaratamente condiviso le valutazioni espresse dal primo Giudice in punto di mancato assolvimento della prova della domanda nei confronti dell’AVIS (“manca la appostazione in cartella clinica”) – che le argomentazioni di segno contrario svolte a pag. 39 del controricorso e ricorso incidentale, ove intendessero profilare un errore di fatto, risulterebbero inammissibili, trattandosi di censura prospettabile con il diverso mezzo della revocazione.
7.2. Dall’autonomia del rapporto contrattuale che si instaura solo tra il paziente e la struttura sanitaria e dal rilievo dell’inosservanza di obblighi di protezione propri della struttura emergono con evidenza le ragione del rigetto anche della domanda di manleva nei confronti del Ministero. D’altra parte tra lo Stato e l’ente erogatore del servizio sanitario esiste una piena autonomia giuridica, di tal che anche sotto tale aspetto non si giustifica la domanda di manleva.
Parte ricorrente insiste sugli specifici obblighi di vigilanza e controllo propri del Ministero, ma l’argomento non vale ad estendere le obbligazioni del Ministero nei confronti dell’Ospedale oltre quella di regresso proprie della responsabilità solidale.
- DEDUCIBILITA’ DELL’INDENNIZZO EX LEGE N. 210 DEL 1992. La questione è oggetto del quarto motivo di ricorso principale e del quinto motivo di ricorso incidentale.
8.1 I suddetti motivi sono fondati.
Invero – pur avendo il diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto natura diversa rispetto all’attribuzione indennitaria regolata dalla L. n. 210 del 1992 – nel giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della salute per omessa adozione delle dovute cautele, l’indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (in applicazione del principio della compensatici lucri cum damno), venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo (Cass. civ., Sez. Unite, 11 gennaio 2008, n. 584).
Nè rileva che – diversamente dal caso esaminato dalle SS.UU. – nel caso di specie l’indennizzo e il risarcimento del danno facciano carico anche ad altro ente pubblico (l’Ospedale) diverso dal Ministero; dovendo, piuttosto, porsi l’accento sulla circostanza che entrambe le attribuzioni patrimoniali hanno causa nel medesimo fatto lesivo (trasfusione di sangue). In particolare – considerato che il diritto al risarcimento del danno conseguente ad una lesione si concreta in un diritto di credito (diverso da quello inciso) ad essere tenuto, per quanto possibile, indenne delle conseguenze negative che da quell’evento lesivo derivano, mediante il ripristino del bene perduto o la riparazione/eliminazione della perdita (ovvero la consolazione/soddisfazione/compensazione, se la riparazione non è possibile) – è evidente che tale diritto di credito può essere riconosciuto nei limiti in cui quelle conseguenze negative non siano state eliminate per effetto della corresponsione dell’indennizzo riconosciuto in dipendenza del medesimo evento, altrimenti verificandosi un’indebita locupletazione (cfr. Cass. 11 dicembre 2012, n. 22622 in motivazione).
Nel caso specifico i vantaggi patrimoniali acquisiti dal danneggiato a seguito del riconoscimento dell’indennizzo ex lege n. 210 del 1992, per effetto del medesimo evento lesivo avrebbero, dunque, dovuto essere oggetto di valutazione da parte del Giudice di appello, al fine di verificare se e in quali limiti il pregiudizio subito risultava eliminato o ridotto per effetto di siffatto riconoscimento, con conseguente deducibilità dell’indennizzo (indipendentemente dall’effettivo pagamento, poichè ciò attiene alla fase dell’esecutiva) dalle somme per cui vi è condanna a titolo risarcimento a carico del Ministero e dell’Ospedale.
In definitiva vanno accolti il quarto motivo di ricorso principale e il quinto motivo di ricorso incidentale; ciò comporta la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, accoglie il quarto motivo di ricorso principale e il quinto dell’incidentale; rigetta nel resto i ricorsi; cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2015
DANNO DA ERRORE MEDICO RISARCIMENTO DANNI DEL MEDICO E DELL’OSPEDALE- DANNO MALASANITÀ’ VICENZA
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In sintesi questa Corte ha avuto modo di affermare (V Sez. 4^, Sentenza n. 16237 del 29/01/2013 Ud. Rv. 255105) che, già ad una prima lettura della norma (art. 3) risulta chiaro che due sono i tratti di nuova emersione. Da un lato la distinzione tra colpa lieve e colpa grave, per la prima volta normativamente introdotta nell’ambito della disciplina penale dell’imputazione soggettiva.
Dall’altro, la valorizzazione delle linee guida e delle virtuose pratiche terapeutiche, purché corroborate dal sapere scientifico. Si tratta di novità di non poco conto. La colpa penale, sia pure in un contesto limitato, assume ora una duplice configurazione.
E d’altra parte viene abbozzato, in ambito applicativo, un indirizzo sia per il terapeuta che per il giudice, nel segno della documentata aderenza al più accreditato sapere scientifico e tecnologico.
Si è ribadito (essendo patrimonio già della giurisprudenza dei questa Corte) che le linee guida costituiscono sapere scientifico e tecnologico codificato, reso disponibile in forma condensata, in modo che possa costituire un’utile guida per orientare agevolmente, in modo efficiente ed appropriato, le decisioni terapeutiche. Si tenta di oggettivare, uniformare le valutazioni e le determinazioni; e di sottrarle all’incontrollato soggettivismo del terapeuta. I vantaggi di tale sistematizzata opera di orientamento sono tanto noti quanto evidenti.
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Tali regole, non danno luogo a norme propriamente cautelari e non configurano, quindi, ipotesi di colpa specifica. Esse, tuttavia hanno a che fare con le forti istanze di determinatezza che permeano la sfera del diritto penale. Tale enunciazione, assai utile alla comprensione del sistema e delle implicazioni di fondo connesse alla riforma, ha bisogno di un breve chiarimento.
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Suprema CORTE DI CASSAZIONE
sezione IV
SENTENZA 3 febbraio 2016, n. 4468
est. dott. Claudio D’Isa
Ritenuto in fatto
S.G. ricorre per cassazione avverso la sentenza, indicata in epigrafe, della Corte d’appello di Caltanissetta che ha confermato la sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal locale Tribunale in ordine al delitto di lesioni colpose.
In sintesi, per una migliore intelligenza dei motivi posti a base del ricorso, il fatto: in data (OMISSIS), P.G. veniva sottoposta, a cura del medico S.G. , (alle ore 16.00) a colonscopia presso la Casa di Cura Regina Pacis in (omissis) ; all’esito dell’intervento, tornata a casa, cominciava ad accusare forti dolori all’addome; quindi, veniva ricoverata, nello stesso giorno, presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale (…) del medesimo centro e, dopo gli esami clinici, sottoposta, alle ore 00,20, ad urgente intervento chirurgico, nel corso del quale si rilevava la lacerazione di tre centimetri del sigma. Fu effettuata la riparazione di tale tratto intestinale e confezionato un ano sigmoideo. La paziente, dimessa il (omissis) , successivamente, fu di nuovo ricoverata, per versamento pleurico intestinale, fino al giorno 23 dello stesso mese. Disposta consulenza medico legale dal P.M., l’ausiliario riferiva, in ordine alle modalità di esecuzione della colonscopia, che – a livello del sigma, tratto molto circumvoluto e di difficile esplorazione – il rischio perforativo, pur sussistente, può ritenersi eccezionale. Nel caso di specie la lesione era da ricondurre all’azione meccanica della sonda, azionata dal sanitario, e doveva escludersi la presenza di cause concorrenti che avrebbero potuto aumentare il rischio di lacerazioni (ad es. fragilità delle parti del colon, retocolite ulcerosa o diverticolite).
Il giudice di primo grado riteneva sussistente il nesso di causalità tra la condotta ascritta all’imputato e l’evento, anche sottolineando che, fra il momento della colonscopia ed il momento del successivo ricovero ospedaliere, non era intervenuta alcuna causa interruttiva.
La Corte d’appello, adita dall’imputato e dal responsabile civile società ‘Skema Iniziative sanitarie s.r.l.’, nella persona del legale rappresentante, nel fare proprio l’impianto motivazionale della sentenza di primo grado, ha ritenuto infondati i motivi posti a base dei gravame di merito.
Con l’odierno ricorso e con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge per la mancata applicazione della normativa introdotta dalla legge n. 189 del 2012 (Legge Balduzzi) in materia di responsabilità medica per colpa lieve per un errore di manovra eseguito nel rispetto delle linee guida.
In particolare, si premette che il Tribunale aveva escluso l’applicazione della normativa de qua confondendo il concetto di perizia con quello di negligenza, a ciò poneva rimedio – solo in parte – la Corte d’appello che riconosce che l’errata esecuzione della manovra attiene alla perizia, ma trova un altro motivo di esclusione: non sarebbe stato provato il rispetto delle linee guida, né tale indagine sarebbe necessaria per la genericità della contestazione sul punto.
Si rileva che, non solo è evidente che il rispetto della linea guida è stato pacificamente accertato in primo grado, ma, in ogni caso, laddove si ritenesse non provato, non si comprende per quale ragione la Corte non ha accolto la richiesta di una consulenza di ufficio basandosi solo su quella del Consulente del PM.
Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione nel ritenere la ricostruzione operata dal consulente del PM idonea a superare le doglianze avanzate dall’imputato. In sostanza, si censura il mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, evidenziando che l’affidarsi esclusivamente al consulente di parte, in presenza di una indicazione contraria di parte avversa, rende il consulente del P.M. l’arbitro che decide il processo. A fronte di insanabili discordanze il giudice, privo di competenze mediche, avrebbe dovuto affidarsi ad un esperto che avrebbe potuto esporre il quadro del sapere scientifico nell’ambito del giudizio. Il Tribunale si è trovato di fronte a due ricostruzioni mediche del fatto: quella del consulente del P.M., che ha attribuito la responsabilità penale del fatto al ricorrente sulla base di un errore di esecuzione, e quella dell’imputato stesso, medico specialista in gastroenterologia, che ha fornito una spiegazione alternativa delle lesioni, ovvero una lacerazione delle pareti conseguenti alla pressione dell’aria, il c.d. barotrauma.
Considerato in diritto
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I motivi addotti sono da ritenersi infondati e determinano il rigetto del ricorso.
Preliminare è l’esame della censura relativa al mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale mediante l’affidamento di incarico peritale ad perito di ufficio.
In merito si osserva che l’istituto della rinnovazione del dibattimento in appello costituisce istituto eccezionale che deroga al principio di completezza dell’istruzione dibattimentale di primo grado, per cui ad esso può e deve farsi ricorso soltanto quando il giudice lo ritenga assolutamente indispensabile ai fini del decidere (nel senso che non sia altrimenti in grado di farlo allo stato degli atti). La determinazione del giudice, in proposito, è incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata (v. ex pluribus Cass. 4^, 10 giugno 2003, Vassallo).
La Corte distrettuale rileva che la perizia medico legale, come emerge dalla stessa richiesta del ricorrente, aveva la finalità di accertare una diversa causa della lacerazione del sigma, al di là di quella individuata dell’errata manovra nell’esecuzione della colonscopia, ed, in particolare, una lacerazione delle pareti conseguente alla pressione dell’aria, c.d. barotrauma, introdotta in maniera eccessiva e non adeguata, ovvero nell’accertare se sussistessero patologie o condizioni particolare che avrebbero potuto avere incidenza sull’esame, innalzando la soglia del rischio di una complicanza.
Con riferimento al primo accertamento, in sentenza si legge che ‘non risultano, invero, espressi rilievi tecnici specifici – fondati su considerazioni medico-legali – alle conclusioni del consulente del P.M., Dott. R. , il quale, sentito sul punto in dibattimento, ha ritenuto di escludere che la lesione riportata dalla paziente possa essere attribuita ad un barotrauma, lasciando chiaramente intendere che un barotrauma rappresenta un errore madornale, certamente non scusabile’. In ordine a tale osservazione, in maniera del tutto adeguata, la Corte del merito rileva che l’eventuale accertamento del barotrauma non potrebbe condurre al risultato sperato dalla Difesa, vale a dire l’elisione ad opera di una circostanza sopravvenuta del nesso causale tra la condotta contestata e l’evento, implicando il barotrauma un più severo giudizio di colpevolezza, atteso che a praticare l’insufflazione dell’aria era stato lo stesso S. .
Quanto al secondo accertamento, parimenti ritenuto del tutto non necessario ai fini del giudizio, i giudici dell’appello, sempre condividendo il parere espresso sul punto dal Dott. R. , hanno considerato che lo stesso referto medico, stilato dal medico operatore, non ha evidenziato alcuna circostanza obiettiva tale da ostacolare la progressione della sonda al momento dell’esecuzione dell’esame.
Conclude la Corte territoriale: ‘né la nomina di un perito appare necessaria al fine di ricostruire la dinamica degli eventi, dovendosi rilevare che – attraverso la documentazione sanitaria acquisita in atti ed il parere chiaro e preciso espresso dal consulente del P.M., in quanto fondato su corrette conoscenze medico legali e privo di vizi logici, tali da inficiarne la validità – non si ravvisano zone d’ombra nella ricostruzione dei fatto, risultando nettamente individuata la condotta posta in essere dall’imputato e non essendo posto in dubbio il nesso di causalità tra condotta ed evento e i profili della imputazione dello stesso evento’.
Dunque, la Corte di merito ha spiegato, con motivazione esaustiva e congrua perché si sia convinta della superfluità della assunzione della prova richiesta dalla difesa, evidenziando la ricchezza dei dati dimostrativi della responsabilità dell’imputato, secondo un itinerario logico che non presenta smagliature o contraddizioni interne e che, in quanto tale, non può essere messo in discussione in questa sede.
A questo si aggiunga che il sindacato che la Corte di cassazione può esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato su una richiesta di rinnovazione del dibattimento non può mai essere esercitato sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (v. Cass. S.U. 23 novembre 1995, P.G. in c. Fachini).
Ed in ogni caso va per completezza rivelato che il ricorrente, pur deducendo formalmente la mancata assunzione di prove decisive quale effetto di un immotivato diniego opposto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, nella sostanza prospetta – come si diceva sopra – una ricostruzione dei fatti diversa da quella accolta nella sentenza impugnata o, quanto meno, un’interpretazione alternativa dei medesimi, indugiando in considerazioni di merito incompatibili con il giudizio di legittimità.
Inoltre, è inaccettabile l’osservazione secondo cui la consulenza di ufficio andava disposta essendosi la Corte attestata sulle dichiarazioni del Dott. R. , che, in quanto consulente del P.M., è espressione della posizione di una parte processuale, dimenticando il ricorrente che il consulente, nella sua qualità di testimone in dibattimento, è tenuto a riferire in merito al suo operato di ausiliario indipendentemente dal fatto che l’incarico l’abbia ricevuto dal Pubblico Ministero.
A tal riguardo, la giurisprudenza costante di questa Corte ammette, in virtù del principio del libero convincimento del giudice e di insussistenza di una prova legale o di una graduazione delle prove la possibilità del giudice di scegliere fra varie tesi, prospettate da differenti periti, di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purché dia conto con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermate sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti, sicché, ove una simile valutazione sia stata effettuata in maniera congrua in sede di merito, è inibito al giudice di legittimità di procedere ad una differente valutazione, poiché si è in presenza di un accertamento in fatto come tale insindacabile dalla Corte di Cassazione, se non entro i limiti del vizio motivazionale (Sez. 4, Sentenza n. 34747 del 17/05/2012 Ud. Rv. 253512;Sez. 4, Sentenza n. 45126 del 06/11/2008 Ud. Rv. 241907Cass. sez. IV 20 maggio 1989 n.7591 rv.181382).
Circa l’applicazione dell’invocata disposizione normativa di cui alla c.d. Legge Balduzzi, parimenti condivisibile è la motivazione sul punto della sentenza impugnata.
In sintesi questa Corte ha avuto modo di affermare (V Sez. 4^, Sentenza n. 16237 del 29/01/2013 Ud. Rv. 255105) che, già ad una prima lettura della norma (art. 3) risulta chiaro che due sono i tratti di nuova emersione. Da un lato la distinzione tra colpa lieve e colpa grave, per la prima volta normativamente introdotta nell’ambito della disciplina penale dell’imputazione soggettiva. Dall’altro, la valorizzazione delle linee guida e delle virtuose pratiche terapeutiche, purché corroborate dal sapere scientifico. Si tratta di novità di non poco conto. La colpa penale, sia pure in un contesto limitato, assume ora una duplice configurazione. E d’altra parte viene abbozzato, in ambito applicativo, un indirizzo sia per il terapeuta che per il giudice, nel segno della documentata aderenza al più accreditato sapere scientifico e tecnologico. Si è ribadito (essendo patrimonio già della giurisprudenza dei questa Corte) che le linee guida costituiscono sapere scientifico e tecnologico codificato, reso disponibile in forma condensata, in modo che possa costituire un’utile guida per orientare agevolmente, in modo efficiente ed appropriato, le decisioni terapeutiche. Si tenta di oggettivare, uniformare le valutazioni e le determinazioni; e di sottrarle all’incontrollato soggettivismo del terapeuta. I vantaggi di tale sistematizzata opera di orientamento sono tanto noti quanto evidenti.
Tali regole, non danno luogo a norme propriamente cautelari e non configurano, quindi, ipotesi di colpa specifica. Esse, tuttavia hanno a che fare con le forti istanze di determinatezza che permeano la sfera del diritto penale. Tale enunciazione, assai utile alla comprensione del sistema e delle implicazioni di fondo connesse alla riforma, ha bisogno di un breve chiarimento.
Ebbene ciò che va rilevato nel caso di specie è che, a parte il rilievo puntuale della Corte d’appello che in nessun momento del giudizio è stato effettuato un riferimento ad una eventuale conformità della condotta medica rispetto a linee guida esistenti, e che, quindi, è mancata l’indicazione delle stesse onde poter verificare la corrispondenza dell’operato del ricorrente ad esse, ciò che rileva al fine della non configurabilità della colpa lieve è che, rimasta accertata una errata manovra di esecuzione dell’esame strumentale in parola, tale condotta, come delineata e censurata dal C.T., e come ritenuta dai giudici del merito (V. supra), indubitabilmente non può integrare l’ipotesi di colpa lieve, nell’accezione della novella, atteso che essa è sintomatica della mancata adozione di quelle necessarie attività mediche (linee guida) che avrebbero evitato la lesione procurata alla paziente.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile P.G. che si liquidano in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.
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Nell’accertamento della colpa medica per omissione il nesso causale non può essere desunto da dati statistici. Infatti nella ricostruzione del nesso eziologico, non può assolutamente prescindersi da tutti gli elementi concernenti la causa dell’evento: solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, è poi possibile analizzare la condotta (omissiva) colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l’evento lesivo sarebbe stato evitato al di là di ogni ragionevole dubbio.
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In particolare, è aspirazione del presente scritto, indicare sinteticamente i caratteri del nesso di causalità in relazione alla responsabilità medica che si configura nelle controversie civili.
Lo spunto può essere tratto dalla sentenza 15 dicembre 2011, n. 27000 della Corte di Cassazione.
La vicenda portata all’attenzione della Suprema Corte trae origine dalla richiesta di risarcimento del danno subito da un militare di leva che, a causa di un meningioma del nervo ottico, aveva perso la vista dall’occhio sinistro.
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Si ha concorso di cause nel momento in cui più circostanze intervengono contemporaneamente nella produzione di un evento lesivo. Se la causa sopravvenuta, da sola, è idonea a produrre l’evento, a seconda dei casi può essere ritenuta dal giudice causa principale ed esclusiva di causazione; al contrario, nel momento in cui, come nel procedimento logico previsto dalla teoria condizionalistica, sottraendo una causa determinata l’evento si verifica comunque, significa che tale circostanza non è stata idonea a provocare la lesione. Il ruolo della giurisprudenza, nella ricostruzione dei fatti caso per caso, è determinante.
Ad eliminare ogni dubbio sull’ adozione del criterio di probabilità statistica in campo civile, sono intervenute le Sezioni Unite della S.C. con due rilevanti decisioni. La prima, la sent. 21619 del 16/01/2007, ha statuito che il concetto di causalità del processo civile non coincide con quello presente in sede penale, poiché il nesso causale nel primo ambito si caratterizza per l’elemento della probabilità relativa; in sostanza, nel processo civile, il nesso causale risponde alla regola del “più probabile che non”. Con la sent. 581 dell’11/01/2008, le SS. UU. hanno ancor di più illustrato la natura del nesso causale operante in sede civile in tema di responsabilità medica. Il sanitario, reo di aver cagionato danni al paziente, risponde soltanto delle conseguenze derivanti dalla propria condotta, ma solo di quelle che appaiono prevedibili in base ad una valutazione ex ante ed in astratto. Tale accertamento va però fondato sulle regole statistiche che la scienza può indicare in un dato momento storico. In campo penale, al contrario, l’accertamento del nesso di causalità si fonda sul principio dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”, giustificandosi così l’adozione del più rigoroso criterio della probabilità logica.
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