rapporti tra coeredi, la resa dei conti di cui all’art. 723 c.c.
oltre che operazione inserita nel procedimento divisorio, può anche costituire un obbligo a sé stante, fondato – così come avviene in qualsiasi situazione di comunione – sul presupposto della gestione di affari altrui condotta da uno dei partecipanti; ne consegue che l’azione di rendiconto può presentarsi anche distinta ed autonoma rispetto alla domanda di scioglimento della comunione pur se le due domande abbiano dato luogo ad un unico giudizio, sicché le medesime possono essere scisse e decise senza reciproci condizionamenti.
L’azione di rendiconto e quella conseguente di pagamento dell’eventuale saldo
manifestando l’intento di acquisire all’asse ereditario beni ad esso spettanti – rispondono all’interesse di tutti gli eredi e possono essere esercitate da ognuno di questi singolarmente, nell’esercizio dei poteri di gestione dell’eredità e dell’interesse comune, fermo restando, ovviamente, l’obbligo di rendere il conto ai coeredi e di ripartire fra tutti l’attivo ereditario in sede di divisione, senza che siano ravvisabili, in linea di principio, gli estremi del litisconsorzio necessario, trattandosi di iniziativa che non può arrecare pregiudizio ai coeredi, salvo specifica dimostrazione in contrario da parte dell’interessato.
Il gestore di una comunione ereditaria ha diritto al rimborso delle spese necessarie od utili per la conservazione o il miglioramento dei beni comuni ma non può pretendere il pagamento dei debiti verso la massa da parte dei coeredi o legatari, in quanto l’obbligo di versamento, a loro carico, sorge al momento del giudizio di divisione e di resa nel conto e non nei confronti del gestore, privo del potere di rappresentanza della massa ereditaria.
effetti dell’art. 723 cod. civ
l coerede che abbia goduto in via esclusiva dei beni ereditari è obbligato, agli effetti dell’art. 723 cod. civ., per il fatto oggettivo della gestione, sia al rendiconto che a corrispondere i frutti agli altri eredi a decorrere dalla data di apertura della successione (o dalla data posteriore in cui abbia acquisito il possesso dei beni stessi), senza che abbia rilievo la sua buona o mala fede (nella specie, indipendentemente dalla conoscenza della falsità del testamento), non trovando applicazione, in tal caso, gli artt. 535 e 1150 cod. civ.
La domanda di rendimento del conto (nella specie, tra coeredi) include la domanda di condanna al pagamento delle somme che risultano dovute, in quanto il rendiconto, ai sensi degli artt. 263, secondo comma, e 264, terzo comma, cod. proc. civ., è finalizzato proprio all’emissione di titoli di pagamento. Ne consegue che non viola l’art. 112 cod. proc. civ. il giudice che, pur senza un’espressa domanda al riguardo, condanni chi rende il conto alla corresponsione delle somme dovute.
In tema di divisione ereditaria, l’art. 723 c.c. prevede che dopo la vendita, se ha avuto luogo, dei mobili e degli immobili, si procede ai conti che i condividenti si devono rendere tra loro e, tra l’altro, ai relativi conguagli e rimborsi, ivi compresa la restituzione dei frutti; ne consegue che la domanda di restituzione dei frutti è da ritenere ricompresa in quella di resa dei conti.
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Con riguardo ai crediti nascenti da un rapporto di comunione a favore di un comunista nei confronti di un altro (nella specie, per rimborso di spese di ricostruzione e di addizioni relative ad immobile in comunione), che non siano mai stati oggetto di accordo, né circa l’ammontare né circa la data del pagamento, la prescrizione può decorrere soltanto dal momento della divisione, cioè dal tempo in cui si è reso (o si sarebbe dovuto rendere) il conto, non essendo configurabile, con riguardo a tali crediti, un’inerzia del creditore alla quale possa riconnettersi un effetto estintivo, giacché l’obbligo della resa dei conti dal momento in cui è sorta la comunione e l’esigenza dell’imputazione alla quota di ciascun comunista delle somme di cui è debitore verso i condividendi traggano origine, appunto, dalla divisione.
DIVISIONE EREDITARIA
l’art. 723 c.c. prescrive che i condividenti, nel corso delle operazioni divisionali, si debbono rendere i conti, ma non stabilisce le modalità del rendiconto, né in particolare impone il ricorso a quelle degli artt. 263 e seguenti, c.p.c., la cui adozione, pertanto, è meramente facoltativa ed affidata alle scelte discrezionali del giudice del merito, il quale può preferire indagini e prove di tipo diverso (nella specie, consulenza tecnica).
la resa dei conti nella comunione
così come il pagamento delle migliorie, oltre che operazioni inserite nel relativo procedimento di divisione possono costituire anche obblighi a sé stanti, sicché l’azione di rendiconto e quella di pagamento delle migliorie sono autonome e distinte rispetto alla domanda di scioglimento della comunione. Ne consegue che la domanda riconvenzionale con la quale si intende chiedere il rendiconto od il pagamento delle migliorie deve essere proposta, a pena di inammissibilità, con la comparsa di risposta ai sensi dell’art. 167 c.p.c. che ne preclude la proponibilità nell’ulteriore corso del giudizio, a meno che la controparte non abbia accettato il contraddittorio su di essa.
Nel caso di possesso esclusivo della cosa comune, esercitato da un partecipante alla comunione, il possessore ha in ogni caso l’obbligo, quale mandatario espresso o tacito degli altri partecipanti, di rendere loro il conto dei frutti, così come ha diritto alla contribuzione nelle spese sostenute per i miglioramenti apportati anche in rappresentanza degli altri partecipanti, prescindendo dalla distinzione tra possessore di buona fede o di mala fede, che, ai sensi dell’art. 1148 c.c., ha rilevanza al fine di determinare il periodo per il quale è dovuta la restituzione dei frutti maturati.
Il condividente di un bene immobile che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo giustificativo, deve corrispondere agli altri, quale ristoro per la privazione della utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti al tempo della divisione; frutti che, identificantesi con il corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono — solo in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione — essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l’immobile.
Ai fini della determinazione dei frutti che uno dei condividenti deve corrispondere in relazione alla detenzione di un immobile oggetto di divisione giudiziale occorre far riferimento ai frutti civili, i quali si identificano nel corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri ma non agli utili ricavati dall’esercizio nell’immobile di un’impresa commerciale, in quanto questi non rientrano tra i detti frutti, ma costituiscono i proventi dell’impresa, cioè il prodotto che il detentore consegue impiegando la sua complessiva organizzazione aziendale.
obbligo della resa dei conti tra coeredi
per quanto riguarda i frutti dei beni dall’apertura della successione, e la stessa esigenza di imputare alla quota di ciascun condividente le somme di cui egli sia debitore verso gli altri coeredi, traggono origine dalla divisione e sono collegati positivamente a tale vicenda dalla normativa vigente; nè immuta a tale disciplina il fatto che ad un certo momento la percezione dei frutti compiuta in qualità di erede cessi per dar luogo a raccolta per titolo diverso, perchè il nuovo rapporto che si instaura tra le parti ha per contenuto solo la sorte della futura raccolta dei frutti a venire. Non è perciò ipotizzabile un decorso della prescrizione dell’obbligo del rendiconto per la gestione a titolo di erede che abbia inizio dal momento in cui a tale gestione sia subentrata l’amministrazione nella qualità di mandatario, se non vi sia stata divisione dell’eredità.
RAPPORTI TRA COEREDI
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Secondo
Cassazione civile sez. II, 08/01/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 08/01/2020), n.139
nell’ambito dei rapporti tra coeredi, la resa dei conti di cui all’art. 723 c.c., oltre che operazione inserita nel procedimento divisorio, può anche essere oggetto di domanda distinta ed autonoma rispetto alla domanda di scioglimento della comunione. Ove, come assume il ricorrente essere avvenuto nel caso in esame, il giudice di primo grado non provveda sulla domanda di rendiconto proposta da un coerede, il vizio di omessa pronuncia deve costituire oggetto di uno specifico motivo di appello, che quanto meno evidenzi la mancata adozione in sentenza di una decisione sulla domanda ritualmente proposta. Intendendo il ricorrente lamentare che neppure la Corte d’appello di Torino abbia dato risposta al puntuale motivo d’appello sulla domanda di rendiconto, occorreva farne denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, o comunque quanto meno mediante univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile la censura che sostiene che sia stato omesso l’esame di una circostanza di fatto decisiva (arg. da Cass. Sez. U, 24/07/2013, n. 17931; Cass. Sez. 2, 22/01/2018, n. 1539). RAPPORTI TRA COEREDI
E’ indubbio che, in tema di divisione giudiziale, l’indivisibilità o la disagevole divisibilità di un immobile, integrando un’eccezione al diritto di ciascun partecipante alla comunione di conseguire la sua parte di beni in natura (ex art. 718 c.c.), può ritenersi legittimamente predicabile solo nell’ipotesi in cui singole unità immobiliari siano considerate indivisibili o non comodamente divisibili, non potendo la disciplina sulla indivisibilità, di cui all’art. 720 c.c., trovare applicazione nella diversa ipotesi di una molteplicità di beni (Cass. Sez. 2, 29/11/2011, n. 25332). Nell’interpretazione di questa Corte si afferma tuttavia altresì che l’art. 718 c.c., in virtù del quale ciascun coerede ha il diritto di conseguire in natura la parte dei beni a lui spettanti, trova deroga, ai sensi dell’art. 720 c.c., non solo nel caso di mera “non divisibilità” dei beni, ma anche in ogni ipotesi in cui gli stessi non siano “comodamente” divisibili e, cioè, allorchè, pur risultando il frazionamento materialmente possibile sotto l’aspetto strutturale, non siano tuttavia realizzabili porzioni suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive, e non richiedenti opere complesse o di notevole costo, ovvero porzioni che, sotto l’aspetto economico-funzionale, risulterebbero sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell’intero (così, ad es., Cass. Sez. 2, 15/12/2016, n. 25888).
La soluzione dell’attribuzione degli immobili ad uno dei coeredi avente diritto alla quota maggiore, in deroga al principio generale dell’art. 718 c.c., è dunque ispirata da criteri di opportunità e convenienza (arg. da Cass. Sez. 6 – 2, 20/03/2019, n. 7869; Cass. Sez. 2, 22/08/2018, n. 20961; Cass. Sez. 2, 19/05/2015, n. 10216). L’accertamento del requisito della comoda divisibilità del bene, ai sensi dell’art. 720 c.c., è perciò riservato all’apprezzamento di fatto del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità se non nei limiti di cui all’art. 360 n. 5, c.p.c., ove il ricorrente deduca, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, l’omesso esame di un “fatto storico” di portata decisiva inerente all’aspetto strutturale del singolo bene, tale da giustificarne il frazionamento attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento, nonchè idoneo a consentirne il mantenimento della pregressa funzionalità, senza alcun sensibile deprezzamento del valore delle singole porzioni apportate proporzionalmente al valore dell’intero (cfr. Cass. Sez. 2, 21/05/2003, n. 7961; Cass. Sez. 2, 07/02/2002, n. 1738).[wpforms id=”9898″] RAPPORTI TRA COEREDI