Invero – a parte la considerazione che le scriminanti reclamate dal Ministero risultano
eccentriche rispetto alle ragioni di responsabilità, rinvenute nell’omesso controllo e vigilanza in materia di sangue umano – il motivo propone questioni nuove, non prospettate in sede di impugnazione in appello e, quindi, come tali, inammissibili. Infatti è giurisprudenza pacifica di questa Corte che i motivi del ricorso per Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili di ufficio (Cass. 29 marzo 1996; Cass. 10 maggio 1995,n. 5106; Cass. 8 luglio 1994, n. 6428).
Peraltro, ove anche si volesse ritenere che dette censure erano implicitamente contenute nei motivi di appello, in quanto ne costituivano il presupposto logico – giuridico, il suddetto motivo si risolverebbe in una censura di omessa di pronuncia; ed anche sotto tale profilo il motivo, cosi come proposto, è inammissibile. Infatti tale censura integra una violazione dell’art. 112 c.pc. e avrebbe dovuto essere fatta valere come tale (nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4) e non come violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Inoltre il ricorrente aveva avuto l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al Giudice di
merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 22 maggio 2006, n. 11922; Cass. 19 maggio 2006, n. 11874; Cass. 21 febbraio 2006, n. 3664).
5.2. Il quarto motivo del ricorso principale è infondato. Rinviando alle più diffuse argomentazioni svolte nelle già cit.
sentenze delle Sezioni Unite – segnatamente laddove sono individuate le fonti normative di riferimento – va qui ribadito che, anche prima dell’entrata in vigore della L. 4 maggio 1990, n. 107, contenente la disciplina per le attività trasfusionali e la produzione di emoderivati, deve ritenersi che sussistesse in materia, sulla base della legislazione vigente, un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di sangue umano da parte del Ministero della sanità, anche strumentale alla funzione di programmazione e coordinamento in materia sanitaria. L’omissione da parte del Ministero di attività funzionali alla realizzazione dello scopo per il quale l’ordinamento attribuisce il potere (qui concernente la tutela della salute pubblica) lo espone a responsabilità extracontrattuale, quando, come nella fattispecie, dalla violazione del vincolo interno costituito dal dovere di vigilanza nell’interesse pubblico, il quale è strumentale ed accessorio a quel potere, siano derivate violazioni dei diritti soggettivi dei terzi.
Così qualificata la responsabilità del Ministero nell’ambito della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., da omessa vigilanza, la questione della responsabilità omissiva per contagio va risolta inquadrando il problema della conoscenza del virus anzitutto nell’ambito della regolarità causale e quindi del nesso causale e solo in via residuale nell’ambito dell’elemento soggettivo: ciò in quanto ciascuno è responsabile soltanto delle conseguenze della sua condotta, attiva o omissiva, che appaiono sufficientemente prevedibili al momento nel quale ha agito, escludendosi in tal modo la responsabilità per tutte le conseguenze assolutamente atipiche o imprevedibili.
In particolare le Sezioni Unite – muovendo dalla considerazione che i principi generali che regolano la causalità materiale (o di fatto) sono anche in materia civile quelli delineati dagli artt. 40 e 41 c.p. e dalla regolarità causale, salva la differente regola probatoria che in sede penale è quella dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, mentre in sede civile vale il principio della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non” – hanno precisato che la regola della “certezza probabilistica” non può essere ancorata esclusivamente alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classe di eventi (c.d. probabilità quantitativa), ma va verificata riconducendo il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (c.d. probabilità logica) (cfr. Sez. Unite, sentenza 11 gennaio 2008, n. 581).
Da tale premessa concettuale è derivato con specifico riferimento all’azione – come quella in oggetto – per contagio da somministrazione di sangue ed emoderivati infetti, il seguente principio: premesso che sul Ministero gravava un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di impiego di sangue umano per uso terapeutico (emotrasfusioni o preparazione di emoderivati) anche strumentale alle funzioni di programmazione e coordinamento in materia sanitaria, affinchè fosse utilizzato sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli standars di esclusione di rischi, il giudice, accertata l’omissione di tali attività, accertata, altresì, con riferimento all’epoca di produzione del preparato, la conoscenza oggettiva ai più alti livelli scientifici della possibile veicolazione di virus attraverso sangue infetto ed accertata – infine – l’esistenza di una patologia da virus HIV o HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell’insorgenza della malattia, e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito la versificazione dell’evento.
Dal principio sopra esposto in tema di nesso causale da comportamento omissivo, emerge anche
il criterio per la delimitazione temporale della responsabilità del Ministero: in altri termini si tratta
di verificare se, ai fini della regolarità causale, il virus dell’epatite C e B, all’epoca in cui intervenne le trasfusioni individuate come causa della stessa malattia, fossero un evento assolutamente eccezionale ed imprevedibile e quindi estraneo alla regolarità causale. Ciò in quanto in tema di patologie conseguenti ad infezione con i virus HBV (epatite B) , HIV (AIDS) e HCV (epatite C) contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, non sussistono tre eventi lesivi, bensì un unico evento lesivo, cioè la lesione dell’integrità fisica (essenzialmente del fegato) in conseguenza dell’assunzione di sangue infetto; ne consegue che già a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B – la cui individuazione spetta all’esclusiva competenza del giudice di merito, costituendo un accertamento di fatto – sussiste la responsabilità del Ministero della salute, sia pure col limite dei danni prevedibili, anche per il contagio degli altri due virus, che non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo.
(Sez. Unite, n. 576 del 2008 cit.).
5.3. Orbene, nella specie, la Corte di appello ha evidenziato, non solo che la presenza di virus nel sangue era nota già alla fine degli anni sessanta, ma anche e soprattutto che nel 1978 era stati introdotti specifici tests per l’individuazione del virus dell’epatite B (il F. ha contratto sia l’HBV che HCV a seguito di trasfusioni subite nel (OMISSIS)), correttamente rinvenendo il fondamento della responsabilità del Ministero nell’omessa predisposizione di screening accurati dei donatori con specifico riferimento ai markers indiretti (transaminasi) Ciò posto e considerato che l’individuazione della data di conoscenza dell’epatite B costituisce un accertamento fattuale, che rientra nell’esclusiva competenza del giudice di merito, correttamente la Corte di appello ha ritenuto che sussiste la responsabilità del Ministero anche per il contagio dell’altro virus, che non costituisce evento autonomo e diverso, ma solo una forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell’integrità fisica da virus veicolati dal sangue infetto, che il Ministero non aveva controllato, come pure era obbligato per legge.
- LA RESPONSABILITA’ DELL’OSPEDALE FATEBENEFRATELLI. La questione è oggetto del secondo motivo di ricorso.
La responsabilità (contrattuale) dell’Ospedale Fatebenefrateili è stata affermata nella
decisione impugnata, sulla premessa dell’operatività dei principi di regolarità causale già richiamati con riguardo alla posizione del Ministero, nonchè sulla base dell’essenziale e risolutivo rilievo che nel 1979, allorchè, nel corso della degenza presso la struttura in oggetto il F. contrasse anche il virus HBV, già esisteva in Italia il test diagnostico di tale virus.
6.1. Nulla quaestio per l’inquadramento della responsabilità della struttura sanitaria verso il paziente nell’ambito di quella da inadempimento contrattuale.
Dalla giurisprudenza il suddetto rapporto è stato riconsiderato in termini autonomi dal
rapporto paziente-medico, e riqualificato come un autonomo ed atipico contratto a prestazioni corrispettive (da taluni definito contratto di spedalità, da altri contratto di assistenza sanitaria) al quale si applicano le regole ordinarie sull’inadempimento fissate dall’art. 1218 c.c.. In virtù del contratto, la struttura deve quindi fornire al paziente una prestazione assai articolata, definita genericamente di “assistenza sanitaria”, che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi c.d. di protezione ed accessori. Ciò comporta che si può avere una responsabilità contrattuale della struttura verso il paziente danneggiato non solo per il fatto del personale medico dipendente, ma anche del personale ausiliario, nonchè della struttura stessa (per insufficiente o inidonea organizzazione).
Per quanto concerne, in particolare, l’ipotesi del contagio da emotrasfusione eseguita all’interno della struttura sanitaria, gli obblighi a carico della struttura ai fini della declaratoria della
sua responsabilità, vanno posti in relazione sia agli obblighi normativi esistenti al tempo dell’intervento e relativi alle trasfusioni di sangue, quali quelli relativi alla identificabilità del donatore e del centro trasfusionale di provenienza (c.d.
tracciabilità del sangue), sia agli obblighi più generali di cui all’art. 1176 c.c., nell’esecuzione delle prestazioni che il medico o la struttura possono aver violato nella singola fattispecie.
6.2. Inoltre, in ragione della natura contrattuale del rapporto, il riparto dell’onere probatorio
deve seguire i criteri fissati in materia contrattuale, alla luce del principio enunciato in termini generali dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 30 ottobre 2001, n. 13533, con la precisazione che spetta al creditore/paziente allegare un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno.
Va, infatti, ribadito che in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e
di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere
probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (Cass. civ., Sez. Unite, 11 gennaio 2008, n. 577 Orbene – pacifico, nella specie, che l’originario attore ha fornito la prova del contratto relativo alla prestazione sanitaria (contratto di spedalità) e il danno assunto (epatite), allegando che l’Ospedale era inadempiente avendolo sottoposto ad emotrasfusione con sangue infetto – competeva al suddetto Ospedale fornire la prova che tale inadempimento non vi era stato, poichè non era stata effettuata una trasfusione con sangue infetto, oppure che, pur esistendo l’inadempimento, esso non era eziologicamente
rilevante nell’azione risarcitoria proposta, per una qualunque ragione.
Parte ricorrente incidentale insiste nel rilievo che non aveva un proprio centro di raccolta, osservando a margine che neppure esistevano tests obbligatori. Senonchè l’uno e l’altro argomento non valgono ad esonerarla da responsabilità nell’ambito del rapporto contrattuale con il paziente, posto che il primo risulta eccentrico rispetto all’addebito che è stato rivolto alla struttura sanitaria e l’altro, oltre che meramente assertivo, deve confrontarsi con il dato risultante nella decisione impugnata della possibilità di effettuare il controllo delle transaminasi. Il nucleo centrale della decisione impugnata si fonda, infatti, sul rilievo dell’inosservanza degli specifici obblighi di protezione gravanti sulla struttura per avere omesso i necessari controlli sul sangue utilizzato per le trasfusioni. In altri termini l’Ospedale risponde dei danni subiti dal paziente per inosservanza della diligenza richiesta ex art. 1176 c.c., non avendo controllato il sangue utilizzato (come pure sarebbe stato possibile) a prescindere dalla circostanza che lo avesse raccolto con una propria struttura o lo avesse reperito aliunde.
(Cassazione civile sez. III , sentenza 20.1.2015 n. 820)
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SEGRETO Antonio – Presidente – Dott. PETTI Giovanni B. – Consigliere – Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere – Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere – ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 18840/2011 proposto da: MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, considerato domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è rappresentato e difeso per legge; – ricorrente – contro F.G. (OMISSIS), S.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEL MASCHERINO 72, presso lo studio dell’avvocato VALENTI Valerio, che li rappresenta e difende giusta procura speciale del Dott. Notaio MARCO LOVISETTI, in MILANO 3/10/2014, Rep. N. 1377; – controricorrenti – e
contro AZIENDA OSPEDALIERA FATEBENEFRATELLI E OFTALMICO (OMISSIS),
AVIS COMUNALE MILANO (OMISSIS), AZIENDA OSPEDALIERA NIGUARDA CA’ GRANDA (OMISSIS), MILANO ASSICURAZIONI SPA; – intimati – nonchè da: OSPEDALE FATEBENEFRATELLI E OFTALMICO – AZIENDA OSPEDALIERA (OMISSIS), in persona del Direttore Generale Dott. M. G., legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, L.GO DI TORRE ARGENTINA 11, presso lo studio dell’avvocato DARIO MARTELLA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DARIO DE PASCALE giusta procura in calce
al controricorso e ricorso incidentale; – ricorrente incidentale – contro AZIENDA OSPEDALIERA NIGUARDA CA’ GRANDA DI MILANO (OMISSIS), in persona del Direttore Generale e legale rappresentante Dr. C.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO SPADAFORA, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce
al controricorso; AVIS COMUNALE MILANO (OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante Dott. M.L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DONATELLO 23, presso lo studio dell’avvocato PIERGIORGIO VILLA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CORRADO COCUZZA giusta procura speciale in calce al controricorso; F.G. (OMISSIS),
S.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEL MASCHERINO 72, presso lo studio dell’avvocato VALERIO VALENTI, che li rappresenta e difende giusta procura speciale del Dott. Notaio MARCO LOVISETTI, in MILANO 3/10/2014, Rep. N. 1377; – controricorrenti all’incidentale – e contro MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), MILANO ASSICURAZIONI SPA; – intimati –
avverso la sentenza n. 1330/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 10/05/2011, R.G.N. 3682/2008; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/10/2014 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO; udito l’Avvocato dello Stato VINCENZO RAGO; udito l’Avvocato VALERIO VALENTI; udito l’Avvocato DARIO DE PASCALE; udito l’Avvocato PIERGIORGIO VILLA; udito l’Avvocato GIORGIO SPADAFORA; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del 4 motivo
del ricorso principale e per l’accoglimento del 5 motivo del ricorso incidentale. Fatto
Con sentenza n. 9962 del 2008 il Tribunale di Milano – decidendo sulla domanda proposta con citazione del giugno 2004 da F. G. e S.L. nei confronti del Ministero del Lavoro, della Salute e delle politiche sociali (già Ministero della Sanità e oggi Ministero della Salute) e dell’Azienda ospedaliera Ospedale Fatebenefrateili e Oftalmico di (OMISSIS) (di seguito brevemente Ospedale Fatebenefrateili), nonchè sulle chiamate in causa della Milano Assicurazioni s.p.a., dell’AVIS comunale di Milano e
dell’Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda CàGranda di Milano (di seguito, brevemente, rispettivamente, AVIS e Ospedale Niguarda) condannava il Ministero della Salute e l’Ospedale Fatebenefrateili al pagamento, in solido tra loro, della somma di Euro 559.981,00 oltre accessori, a titolo di risarcimento danni conseguenti a ripetute somministrazioni di sangue e plasma subite dal F. (nell’anno (OMISSIS)), a seguito delle quali l’attore aveva contratto infezioni da HBV e HCV, evolute (nell’anno (OMISSIS)) in cirrosi epatica e, quindi, in carcinoma del fegato; condannava la Milano Assicurazioni s.p.a. a manlevare, entro il limite del 70%, l’Ospedale Fatebenefrateili di quanto dovuto all’attore; rigettava, invece, la domanda dell’Ospedale Fatebenefrateili nei confronti dell’AVIS e, di conseguenza, disattendeva anche la domanda dell’AVIS nei confronti dell’Ospedale Niguarda.
La decisione, gravata da impugnazione sia del Ministero della Salute, sia in via incidentale dell’Ospedale Fatebenefratelli, era confermata dalla Corte di appello di Milano, la quale con sentenza n. 1330/2011 rigettava entrambi gli appelli.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero della Salute, svolgendo cinque motivi.
A sua volta l’Ospedale Fatebenefrateili, depositando controricorso, ha svolto ricorso incidentale articolato in cinque motivi.
F.G. e S.L. hanno resistito, depositando distinti controricorsi, avverso, rispettivamente, il ricorso principale e il ricorso incidentale.
A seguito del ricorso incidentale anche l’AVIS e l’Ospedale Niguarda hanno depositato controricorso. Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte della Milano Assicurazioni s.p.a..
E’ stata depositata memoria da parte dell’Ospedale Niguarda. Diritto MOTIVI DELLA DECISIONE
- Prima di ogni altra considerazione – relativamente all’eccezione di difetto di notificazione del controricorso dell’Ospedale Niguarda, eccezione sollevata in udienza dall’Ospedale Fatebenefrateili – rileva il Collegio che tale controricorso è regolarmente notificato al ricorrente incidentale che è legittimato a eccepire solo vizi di notifica che lo riguardano.
- I ricorsi principale e incidentale sono oggetto di trattazione congiunta ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
RICORSO PRINCIPALE. 2.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2035 c.c. e dell’art. 2947 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c.. Al riguardo parte ricorrente lamenta che i giudici di merito abbiano assunto come dies a quo della prescrizione quello della presentazione della domanda di indennizzo ex lege n. 210 del 1992 nell’agosto 2002 (ritenendo, di conseguenza, tempestiva la domanda risarcitoria formulata nell’anno 2004), sebbene la parte danneggiata fosse a conoscenza del contagio sin dall’anno (OMISSIS).
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione dei principi in materia di esclusione della responsabilità per la sussistenza di una causa di giustificazione, art. 51 c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c.. Al riguardo parte ricorrente deduce l’insussistenza della fattispecie criminosa e del nesso di causalità per la presenza di una causa di giustificazione (consenso dell’avente diritto ovvero stato di necessità o forza maggiore ovvero ancora esercizio di attività lecita e/o autorizzata, attività medico- chirurgica).
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2947 c.c.
e dell’art. 158 c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c.. Al riguardo parte ricorrente deduce che la prescrizione più lunga, prevista per il reato, avrebbe dovuto farsi decorrere dalla consumazione del reato (1979) ovvero dal periodo immediatamente successivo alle trasfusioni o, comunque, per quanto esposto nel primo motivo, dal 1992.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c..
Al riguardo parte ricorrente deduce il difetto del nesso causale tra i danni lamentati e il
(mancato) comportamento ascritto al Ministero, nonchè la carenza dell’elemento psicologico della colpa, per essere stata la trasfusione effettuata in un’epoca antecedente a quella (1988) in cui il
virus dell’epatite C (HCV) è stato scoperto.
2.5. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia violazione dei principi in materia di compensatio lucri cura davano, nonchè dell’art. 2033 c.c.. Al riguardo parte ricorrente lamenta che erroneamente la Corte di appello abbia ritenuto la cumulabilità dell’indennizzo ex lege n. 210 del 1992, con l’importo dovuto a titolo di risarcimento danni; richiama, quindi, il principio enunciato da Sez. Unite n. 584/2008, secondo cui la somma corrisposta a titolo di indennizzo è scomputabile dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento danni, attesa la loro riconducibilità dal medesimo fatto (somministrazione di sangue o emoderivati).
- RICORSO INCIDENTALE. 3.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 1946 c.c., in ordine all’individuazione del dies a quo della prescrizione. Al riguardo parte ricorrente – premesso che il riferimento alla domanda di pagamento dell’indennizzo deve costituire un criterio residuale – osserva che, nella specie, il F. era a conoscenza dell’esistenza e della gravità del danno (o comunque avrebbe dovuto percepirlo come tale) quantomeno dal primo riscontro diagnostico nell’anno 1992 della sussistenza dell’epatite B e C, a nulla rilevando i successivi aggravamenti della malattia.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente
e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonchè ai sensi dell’art.
360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 1176 c.c.. Al riguardo parte ricorrente
lamenta che i Giudici del merito abbiano ritenuto che fosse obbligo dell’Ospedale quello di controllare attraverso esami specifici il contenuto delle sacche di sangue e di plasma somministrate e di verificare, attraverso un accurato screening la loro bontà, nonchè la natura, l’identità dei donatori, la loro provenienza. In contrario senso deduce che l’Ospedale non disponeva di un proprio centro di raccolta plasma, ma si approvvigionava dall’esterno (AVIS comunale di Milano) e che all’epoca neppure esistevano markers obbligatori per legge.
3.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente
e contraddittoria motivazione, nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 106 e 269 c.p.c., sul punto della responsabilità dell’AVIS e dell’obbligo di manleva di quest’ultimo.
Al riguardo parte ricorrente deduce che il rapporto contrattuale dell’Ospedale Fatebenefrateili con il paziente andava distinto da quello della medesima struttura con l’AVIS e lamenta che la Corte
di appello, ripetendo un errore in cui era incorso il primo giudice, abbia interpretato la chiamata
in causa dell’AVIS come un tentativo di fornire una “prova liberatoria”, piuttosto che come
una domanda di manleva, peraltro omettendo di considerare elementi documentali, quali la CT di parte AVIS e le difese dell’Ospedale Niguarda, da cui sarebbe emersa la conferma che le sacche
trasfuse al F. provenivano dall’AVIS. 3.4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione, nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n.
3, violazione o falsa applicazione degli artt. 106 e 269 c.p.c., sul punto dell’esclusiva responsabilità del Ministero e dell’obbligo di manleva verso l’Ospedale Fatebenefrateili. Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di appello – confermando le ragioni del rigetto della domanda di manleva nei confronti del Ministero, per la considerazione dell’insussistenza di un obbligo del Ministero di rispondere del fatto ascrivibile ad altre persone giuridiche pubbliche – abbia trascurato che gravava sul Ministero l’obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di impiego del sangue umano per uso terapeutico e che, dal canto suo, l’Ospedale Fatebenefrateili non aveva un proprio centro trasfusionale, approvvigionandosi dall’AVIS; e poichè l’AVIS operava sotto il controllo del Ministero, quest’ultimo era tenuto in via solidale con l’AVIS o in via esclusiva, a manlevare l’Ospedale Fatebenefrateili di quanto dovuto al F. per i fatti per cui è causa.
3.5. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia violazione dei principi in materia di compensatio lucri cum damni, nonchè dell’art. 2033 c.c., deducendo l’indebito arricchimento attoreo per effetto della riconosciuta cumulabilità dell’indennizzo ex lege n. 210 del 1992 e del risarcimento del danno.
- Alcuni motivi, proposti in via principale e incidentale, saranno esaminati congiuntamente, per l’affinità o almeno la stretta connessione delle censure.
4.1. LA PRESCRIZIONE.- La questione è oggetto del primo e del terzo motivo del ricorso principale e del primo del ricorso incidentale.
La ragione delle censure riguarda l’ individuazione del dies a quo della prescrizione. Nulla quaestio, invece, sull’individuazione del termine di prescrizione che è stato indicato in quello decennale con riguardo all’azione contrattuale proposta nei confronti dell’Ospedale Fatebenefrateili; mentre, per quanto riguarda l’azione extracontrattuale verso il Ministero, il riferimento (recepito nella sentenza impugnata dalla decisione di primo grado) al termine di prescrizione di cui all’art. 2947 c.c., comma 3, in relazione al reato di lesioni colpose ex art. 113 c.p., art. 590 c.p., comma 2, non sposta la durata quinquennale prevista dal cit. art. 2947, comma 1, dovendosi fare ai fini civilistici riferimento alla disciplina della prescrizione penale vigente all’epoca del fatto e antecedente all’entrata in vigore della L. 5 dicembre 2005, n. 251.
4.2. Ciò precisato, ritiene il Collegio che la decisione impugnata è conforme ai principi predicati dalle Sezioni Unite, con le note sentenze del 11 gennaio 2008, nn. 576 e segg., secondo cui – in applicazione del principio della “percepibilità” e “conoscibilità” del danno unitamente a quello della “rapportabilità causale” – il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno di chi assume di aver contratto per contagio una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, a norma dell’art. 2935 c.c. e art. 2947 c.c., comma 1, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione che produce il danno altrui o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, ma dal momento in cui la stessa viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche (cfr. anche Cass. 21 febbraio 2003, n. 2645).
Non si richiede, dunque, la certezza della conoscenza, bensì la conoscibilità della riconducibilità della malattia al fatto del terzo, valutata alla stregua di un duplice parametro, l’uno interno e l’altro esterno al soggetto – rappresentati rispettivamente dall’ordinaria diligenza e dal livello di conoscenze scientifiche dell’epoca – entrambi verificabili dal Giudice senza scivolare verso un’indagine di tipo psicologico, non potendosi dare rilevanza della mera conoscibilità soggettiva del danneggiato. E poichè l’indennizzo ex lege n. 210 del 1992 è dovuto solo in presenza di danni irreversibili da vaccinazioni, emotrasfusioni o somministrazioni di emoderivati, appare ragionevole ipotizzare (come hanno ritenuto,
nella specie, i giudici del merito) che dal momento della proposizione della domanda amministrativa la vittima del contagio deve, comunque, aver avuto una sufficiente percezione sia della malattia, sia del tipo di malattia che delle possibili conseguenze dannose, percezione la cui esattezza viene solo confermata con la certificazione emessa dalle commissioni mediche.
L’analisi svolta nella decisione impugnata sul contenuto della diligenza esigibile dalla vittima nel caso concreto – ovvero sulle informazioni che erano in suo possesso, o alle quali doveva esser messa in condizioni di accedere, o che doveva attivarsi per procurarsi – risulta accurata e diligente. In particolare i Giudici di appello – dopo aver individuato i dati storici rilevanti nel passaggio dal danno “occulto” a quello della manifestazione nelle sue componenti essenziali ed irreversibili, hanno evidenziato – con valutazione in fatto, qui non sindacabile – da un lato, che la “semplice” positività ai virus HBV e HCV, pur riscontrata durante una degenza nell'(OMISSIS), non aveva comportato per il F. alcuna “percepibilità” della lesione nel senso innanzi precisati, giacchè, come affermato anche dal c.t.u., “il F. in quel periodo stava bene, continuava a lavorare, insomma a vivere la sua vita normalmente anche nei suoi rapporti affettivi nell’ambito famigliare” (id est il danno non si era manifestato ancora nelle sue componenti essenziali ed irreversibili) e, dall’altro, che solo a partire dall’ecografia 19.01.2001 (che per la prima volta, dal 1979, fece rilevare un fegato di dimensioni ai limiti inferiori della norma) e fino alle successive conferme della malattia (diagnosi di cirrosi epatica nell'(OMISSIS) e di carcinoma al (OMISSIS)) i dati via via acquisiti dall’originario attore gli consentirono una conoscenza, ragionevolmente completa, circa gli elementi necessari per l’instaurazione del giudizio (non solo il danno, ma anche il nesso di causa e le azioni/omissioni rilevanti).
Ne consegue la tempestività della domanda introdotta nel (OMISSIS).
In definitiva i motivi di ricorso all’esame sono infondati, sotto il profilo della violazione di
legge, mentre sono inammissibili sotto quello motivazionale, giacchè si limitano a censurare aspetti del giudizio interni all’ambito della discrezionalità di valutazione delle prove e dell’apprezzamento dei fatti e non già ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento, che sarebbero
stati rilevanti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
Tutti i suddetti motivi vanno, pertanto, rigettati. 5. RESPONSABILITA’ DEL MINISTERO. La questione è oggetto del secondo e del quarto motivo del ricorso principale.
5.1. Il secondo motivo è inammissibile.
Invero – a parte la considerazione che le scriminanti reclamate dal Ministero risultano
eccentriche rispetto alle ragioni di responsabilità, rinvenute nell’omesso controllo e vigilanza in materia di sangue umano – il motivo propone questioni nuove, non prospettate in sede di impugnazione in appello e, quindi, come tali, inammissibili. Infatti è giurisprudenza pacifica di questa Corte che i motivi del ricorso per Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili di ufficio (Cass. 29 marzo 1996; Cass. 10 maggio 1995,n. 5106; Cass. 8 luglio 1994, n. 6428).
Peraltro, ove anche si volesse ritenere che dette censure erano implicitamente contenute nei motivi di appello, in quanto ne costituivano il presupposto logico – giuridico, il suddetto motivo si risolverebbe in una censura di omessa di pronuncia; ed anche sotto tale profilo il motivo, cosi come proposto, è inammissibile. Infatti tale censura integra una violazione dell’art. 112 c.pc. e avrebbe dovuto essere fatta valere come tale (nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4) e non come violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Inoltre il ricorrente aveva avuto l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al Giudice di
merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 22 maggio 2006, n. 11922; Cass. 19 maggio 2006, n. 11874; Cass. 21 febbraio 2006, n. 3664).
5.2. Il quarto motivo del ricorso principale è infondato. Rinviando alle più diffuse argomentazioni svolte nelle già cit.
sentenze delle Sezioni Unite – segnatamente laddove sono individuate le fonti normative di riferimento – va qui ribadito che, anche prima dell’entrata in vigore della L. 4 maggio 1990, n. 107, contenente la disciplina per le attività trasfusionali e la produzione di emoderivati, deve ritenersi che sussistesse in materia, sulla base della legislazione vigente, un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di sangue umano da parte del Ministero della sanità, anche strumentale alla funzione di programmazione e coordinamento in materia sanitaria. L’omissione da parte del Ministero di attività funzionali alla realizzazione dello scopo per il quale l’ordinamento attribuisce il potere (qui concernente la tutela della salute pubblica) lo espone a responsabilità extracontrattuale, quando, come nella fattispecie, dalla violazione del vincolo interno costituito dal dovere di vigilanza nell’interesse pubblico, il quale è strumentale ed accessorio a quel potere, siano derivate violazioni dei diritti soggettivi dei terzi.
Così qualificata la responsabilità del Ministero nell’ambito della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., da omessa vigilanza, la questione della responsabilità omissiva per contagio va risolta inquadrando il problema della conoscenza del virus anzitutto nell’ambito della regolarità causale e quindi del nesso causale e solo in via residuale nell’ambito dell’elemento soggettivo: ciò in quanto ciascuno è responsabile soltanto delle conseguenze della sua condotta, attiva o omissiva, che appaiono sufficientemente prevedibili al momento nel quale ha agito, escludendosi in tal modo la responsabilità per tutte le conseguenze assolutamente atipiche o imprevedibili.
In particolare le Sezioni Unite – muovendo dalla considerazione che i principi generali che regolano la causalità materiale (o di fatto) sono anche in materia civile quelli delineati dagli artt. 40 e 41 c.p. e dalla regolarità causale, salva la differente regola probatoria che in sede penale è quella dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, mentre in sede civile vale il principio della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non” – hanno precisato che la regola della “certezza probabilistica” non può essere ancorata esclusivamente alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classe di eventi (c.d. probabilità quantitativa), ma va verificata riconducendo il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (c.d. probabilità logica) (cfr. Sez. Unite, sentenza 11 gennaio 2008, n. 581).
Da tale premessa concettuale è derivato con specifico riferimento all’azione – come quella in oggetto – per contagio da somministrazione di sangue ed emoderivati infetti, il seguente principio: premesso che sul Ministero gravava un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di impiego di sangue umano per uso terapeutico (emotrasfusioni o preparazione di emoderivati) anche strumentale alle funzioni di programmazione e coordinamento in materia sanitaria, affinchè fosse utilizzato sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli standars di esclusione di rischi, il giudice, accertata l’omissione di tali attività, accertata, altresì, con riferimento all’epoca di produzione del preparato, la conoscenza oggettiva ai più alti livelli scientifici della possibile veicolazione di virus attraverso sangue infetto ed accertata – infine – l’esistenza di una patologia da virus HIV o HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell’insorgenza della malattia, e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito la versificazione dell’evento.
Dal principio sopra esposto in tema di nesso causale da comportamento omissivo, emerge anche
il criterio per la delimitazione temporale della responsabilità del Ministero: in altri termini si tratta
di verificare se, ai fini della regolarità causale, il virus dell’epatite C e B, all’epoca in cui intervenne le trasfusioni individuate come causa della stessa malattia, fossero un evento assolutamente eccezionale ed imprevedibile e quindi estraneo alla regolarità causale. Ciò in quanto in tema di patologie conseguenti ad infezione con i virus HBV (epatite B) , HIV (AIDS) e HCV (epatite C) contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, non sussistono tre eventi lesivi, bensì un unico evento lesivo, cioè la lesione dell’integrità fisica (essenzialmente del fegato) in conseguenza dell’assunzione di sangue infetto; ne consegue che già a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B – la cui individuazione spetta all’esclusiva competenza del giudice di merito, costituendo un accertamento di fatto – sussiste la responsabilità del Ministero della salute, sia pure col limite dei danni prevedibili, anche per il contagio degli altri due virus, che non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo.
(Sez. Unite, n. 576 del 2008 cit.).
5.3. Orbene, nella specie, la Corte di appello ha evidenziato, non solo che la presenza di virus nel sangue era nota già alla fine degli anni sessanta, ma anche e soprattutto che nel 1978 era stati introdotti specifici tests per l’individuazione del virus dell’epatite B (il F. ha contratto sia l’HBV che HCV a seguito di trasfusioni subite nel (OMISSIS)), correttamente rinvenendo il fondamento della responsabilità del Ministero nell’omessa predisposizione di screening accurati dei donatori con specifico riferimento ai markers indiretti (transaminasi) Ciò posto e considerato che l’individuazione della data di conoscenza dell’epatite B costituisce un accertamento fattuale, che rientra nell’esclusiva competenza del giudice di merito, correttamente la Corte di appello ha ritenuto che sussiste la responsabilità del Ministero anche per il contagio dell’altro virus, che non costituisce evento autonomo e diverso, ma solo una forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell’integrità fisica da virus veicolati dal sangue infetto, che il Ministero non aveva controllato, come pure era obbligato per legge.
- LA RESPONSABILITA’ DELL’OSPEDALE FATEBENEFRATELLI. La questione è oggetto del secondo motivo di ricorso.
La responsabilità (contrattuale) dell’Ospedale Fatebenefrateili è stata affermata nella
decisione impugnata, sulla premessa dell’operatività dei principi di regolarità causale già richiamati con riguardo alla posizione del Ministero, nonchè sulla base dell’essenziale e risolutivo rilievo che nel 1979, allorchè, nel corso della degenza presso la struttura in oggetto il F. contrasse anche il virus HBV, già esisteva in Italia il test diagnostico di tale virus.
6.1. Nulla quaestio per l’inquadramento della responsabilità della struttura sanitaria verso il paziente nell’ambito di quella da inadempimento contrattuale.
Dalla giurisprudenza il suddetto rapporto è stato riconsiderato in termini autonomi dal
rapporto paziente-medico, e riqualificato come un autonomo ed atipico contratto a prestazioni corrispettive (da taluni definito contratto di spedalità, da altri contratto di assistenza sanitaria) al quale si applicano le regole ordinarie sull’inadempimento fissate dall’art. 1218 c.c.. In virtù del contratto, la struttura deve quindi fornire al paziente una prestazione assai articolata, definita genericamente di “assistenza sanitaria”, che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi c.d. di protezione ed accessori. Ciò comporta che si può avere una responsabilità contrattuale della struttura verso il paziente danneggiato non solo per il fatto del personale medico dipendente, ma anche del personale ausiliario, nonchè della struttura stessa (per insufficiente o inidonea organizzazione).
Per quanto concerne, in particolare, l’ipotesi del contagio da emotrasfusione eseguita all’interno della struttura sanitaria, gli obblighi a carico della struttura ai fini della declaratoria della
sua responsabilità, vanno posti in relazione sia agli obblighi normativi esistenti al tempo dell’intervento e relativi alle trasfusioni di sangue, quali quelli relativi alla identificabilità del donatore e del centro trasfusionale di provenienza (c.d.
tracciabilità del sangue), sia agli obblighi più generali di cui all’art. 1176 c.c., nell’esecuzione delle prestazioni che il medico o la struttura possono aver violato nella singola fattispecie.
6.2. Inoltre, in ragione della natura contrattuale del rapporto, il riparto dell’onere probatorio
deve seguire i criteri fissati in materia contrattuale, alla luce del principio enunciato in termini generali dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 30 ottobre 2001, n. 13533, con la precisazione che spetta al creditore/paziente allegare un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno.
Va, infatti, ribadito che in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e
di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere
probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (Cass. civ., Sez. Unite, 11 gennaio 2008, n. 577 Orbene – pacifico, nella specie, che l’originario attore ha fornito la prova del contratto relativo alla prestazione sanitaria (contratto di spedalità) e il danno assunto (epatite), allegando che l’Ospedale era inadempiente avendolo sottoposto ad emotrasfusione con sangue infetto – competeva al suddetto Ospedale fornire la prova che tale inadempimento non vi era stato, poichè non era stata effettuata una trasfusione con sangue infetto, oppure che, pur esistendo l’inadempimento, esso non era eziologicamente
rilevante nell’azione risarcitoria proposta, per una qualunque ragione.
Parte ricorrente incidentale insiste nel rilievo che non aveva un proprio centro di raccolta, osservando a margine che neppure esistevano tests obbligatori. Senonchè l’uno e l’altro argomento non valgono ad esonerarla da responsabilità nell’ambito del rapporto contrattuale con il paziente, posto che il primo risulta eccentrico rispetto all’addebito che è stato rivolto alla struttura sanitaria e l’altro, oltre che meramente assertivo, deve confrontarsi con il dato risultante nella decisione impugnata della possibilità di effettuare il controllo delle transaminasi. Il nucleo centrale della decisione impugnata si fonda, infatti, sul rilievo dell’inosservanza degli specifici obblighi di protezione gravanti sulla struttura per avere omesso i necessari controlli sul sangue utilizzato per le trasfusioni. In altri termini l’Ospedale risponde dei danni subiti dal paziente per inosservanza della diligenza richiesta ex art. 1176 c.c., non avendo controllato il sangue utilizzato (come pure sarebbe stato possibile) a prescindere dalla circostanza che lo avesse raccolto con una propria struttura o lo avesse reperito aliunde.
Il secondo motivo di ricorso incidentale va, dunque, rigettato.
- LE AZIONI DI MANLEVA. Non meritano accoglimento neppure il terzo e il quarto motivo di ricorso incidentale.
7.1. In particolare – contrariamente a quanto profilato nel terzo motivo di ricorso – la Corte di appello non ha affatto “equivocato” le ragioni della domanda, ritenendo che la domanda risarcitoria non potesse “estendersi” all’AVIS in ragione dell’inesistenza di un rapporto contrattuale con la vittima; bensì ha escluso che l’Ospedale potesse avere un diritto di rivalsa verso il terzo chiamato; e ciò per
l’assorbente considerazione che occorreva la dimostrazione che le sacche di plasma e sangue utilizzate sulla vittima fossero provenienti proprio dall’Avis.
E’ il caso di aggiungere – dal momento che la Corte di appello ha dichiaratamente condiviso
le valutazioni espresse dal primo Giudice in punto di mancato assolvimento della prova della domanda nei confronti dell’AVIS (“manca la appostazione in cartella clinica”) – che le argomentazioni di segno contrario svolte a pag. 39 del controricorso e ricorso incidentale, ove intendessero profilare un errore di fatto, risulterebbero inammissibili, trattandosi di censura prospettabile con il diverso mezzo della revocazione.
7.2. Dall’autonomia del rapporto contrattuale che si instaura solo tra il paziente e la struttura sanitaria e dal rilievo dell’inosservanza di obblighi di protezione propri della struttura emergono con evidenza le ragione del rigetto anche della domanda di manleva nei confronti del Ministero. D’altra parte tra lo Stato e l’ente erogatore del servizio sanitario esiste una piena autonomia giuridica, di tal che anche sotto tale aspetto non si giustifica la domanda di manleva.
Parte ricorrente insiste sugli specifici obblighi di vigilanza e controllo propri del Ministero,
ma l’argomento non vale ad estendere le obbligazioni del Ministero nei confronti dell’Ospedale oltre quella di regresso proprie della responsabilità solidale.
- DEDUCIBILITA’ DELL’INDENNIZZO EX LEGE N. 210 DEL 1992. La questione è oggetto del quarto motivo di ricorso principale e del quinto motivo di ricorso incidentale.
8.1 I suddetti motivi sono fondati.
Invero – pur avendo il diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto natura diversa rispetto
all’attribuzione indennitaria regolata dalla L. n. 210 del 1992 – nel giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della salute per omessa adozione delle dovute cautele, l’indennizzo eventualmente
già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo
di risarcimento del danno (in applicazione del principio della compensatici lucri cum damno), venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo (Cass. civ., Sez. Unite, 11 gennaio 2008, n. 584).
Nè rileva che – diversamente dal caso esaminato dalle SS.UU. – nel caso di specie l’indennizzo e
il risarcimento del danno facciano carico anche ad altro ente pubblico (l’Ospedale) diverso
dal Ministero; dovendo, piuttosto, porsi l’accento sulla circostanza che entrambe le
attribuzioni patrimoniali hanno causa nel medesimo fatto lesivo (trasfusione di sangue). In particolare –
considerato che il diritto al risarcimento del danno conseguente ad una lesione si concreta in un diritto di credito (diverso da quello inciso) ad essere tenuto, per quanto possibile, indenne delle conseguenze negative che da quell’evento lesivo derivano, mediante il ripristino del bene perduto o la riparazione/eliminazione della perdita (ovvero la consolazione/soddisfazione/compensazione, se la riparazione non è possibile) – è evidente che tale diritto di credito può essere riconosciuto nei limiti in cui quelle conseguenze negative non siano state eliminate per effetto della
corresponsione dell’indennizzo riconosciuto in dipendenza del medesimo evento, altrimenti verificandosi un’indebita locupletazione (cfr. Cass. 11 dicembre 2012, n. 22622 in motivazione).
Nel caso specifico i vantaggi patrimoniali acquisiti dal danneggiato a seguito del
riconoscimento dell’indennizzo ex lege n. 210 del 1992, per effetto del medesimo evento lesivo avrebbero, dunque, dovuto essere oggetto di valutazione da parte del Giudice di appello, al fine di
verificare se e in quali limiti il pregiudizio subito risultava eliminato o ridotto per effetto di
siffatto riconoscimento, con conseguente deducibilità dell’indennizzo (indipendentemente dall’effettivo pagamento, poichè ciò attiene alla fase dell’esecutiva) dalle somme per cui vi è condanna a titolo risarcimento a carico del Ministero e dell’Ospedale.
In definitiva vanno accolti il quarto motivo di ricorso principale e il quinto motivo di ricorso incidentale; ciò comporta la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, accoglie il quarto motivo di ricorso principale e il
quinto dell’incidentale; rigetta nel resto i ricorsi; cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2014. Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2015
ortopedia (17,5%);
oncologia (13,9%);
ginecologia e ostetricia (7,7%);
chirurgia generale e oculistica (5,4%);
odontoiatrica (5,2%)
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