MORTE TRASPORTATO: RISARCIMENTO AI CONGIUNTI
I danni non patrimoniali da morte sono risarciti ai sensi dell’art. 2059 c.c. Essi consistono nei pregiudizi di carattere morale e nei turbamenti soggettivi ed esistenziali, conseguenti alla lesione di interessi costituzionalmente tutelati, sofferti dai congiunti e dai familiari conviventi con la vittima del sinistro stradale mortale.
quantificazione dei danni non patrimoniali
deve essere valutata sulla base dei criteri di giudizio e delle tabelle in uso nei Tribunali , tenendo presenti le specifiche caratteristiche del caso sub iudice: età del defunto e del congiunto avente diritto, intensità della relazione, tipologia del rapporto di parentela, convivenza, composizione del nucleo familiare.
NAPOLI ,BOLOGNA, RAVENNA CESENA, FORLI, VICENZA ,TREVISO ,ROVIGO,
AVVOCATO CON 25 ANNI DI ESPERIENZA NEGLI INCIDENTI MORTALI
ASSISTE FAMIGLIARI DI PERSONE DECEDUTE IN INCIDENTE
PER UN GIUSTO E VELOCE RISARCIMENTO
051 6447838 3358174816
La misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere poi aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali e affatto peculiari: le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo rid quod plerumque accidit” (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento del danno cd. “dinamico-relazionale”.
In tale quadro ricostruttivo, occorre distinguere il danno alle componenti dinamico-relazionali della vita del danneggiato dalla differente ed autonoma valutazione della sua sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute (come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell’art. 138 del c.d.a., lett. e).
La liquidazione finalisticamente unitaria di tale danno (non diversamente da quella prevista per il danno patrimoniale) avrà pertanto il significato di attribuire al soggetto una somma di danaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito tanto sotto l’aspetto della sofferenza interiore, quanto sotto quello dell’alterazione/modificazione peggiorativa della vita di relazione in ogni sua forma e considerata in ogni suo aspetto, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche (Cass., 20/04/2016, n. 7766).
La Corte ha stabilito che, quando la legge non detti criteri per la liquidazione del danno non patrimoniale, questo non possa che avvenire in via equitativa.
La liquidazione equitativa è imposta in tali casi dall’art. 1226 c.c.; ma l’equità di cui alla norma suddetta non costituisce una aequitas rudis, ma una ben più articolata nozione (la ETCLEIKEUX aristotelica), i cui fondamenti sono due: l’adeguata considerazione delle specificità del caso concreto, e la garanzia della parità di trattamento a parità di danno (così Sez. 3, Sentenza n. 12408 del 07/06/2011, in motivazione).
Al solo fine di garantire il secondo dei suddetti requisiti, e non per altre ragioni, questa Corte ha indicato nei criteri uniformi applicati dal Tribunale di Milano il criterio idoneo a garantire la parità di trattamento: con la conseguenza che il giudice di merito, per garantire la correttezza della liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c., dovrà applicare in linea di massima quel criterio, a meno che non indichi le ragioni per le quali, nel caso concreto, quel criterio risulterebbe iniquo.
Corollario di tale principio è che, se nelle more del giudizio il criterio indicato da questa Corte come idoneo a garantire la parità di trattamento venga a mutare, il giudice di merito dovrà liquidare il danno in base ai nuovi criteri condivisi e generalmente applicati al momento della decisione, e non in base a criteri risalenti ed oramai abbandonati (ex multis, Sez. 3 -, Sentenza n. 24155 del 04/10/2018, Rv. 650934 – 02; Sez. 3 -, Ordinanza n. 22265 del 13/09/2018, Rv. 650595 – 01;Sez.3 -, Sentenza n. 25485 del 13/12/2016, Rv. 642330 – 01;Sez.3 -, Sentenza n. 21245 del 20/10/2016 (Rv. 642948- 01),salva l’ipotesi in cui il debitore, al momento della decisione, non abbia già adempiuto spontaneamente la propria obbligazione: in tal caso soltanto l’esattezza dell’adempimento va valutata in base al criterio di liquidazione generalmente applicato al momento della solutio spontanea, e non al momento – successivo della decisione sulla esattezza dell’adempimento (Sez. 3 -, Sentenza n. 5013 del 28/02/2017, in motivazione).[wpforms id=”9898″]
la persona che, ferita, non muoia immediatamente, può acquistare e trasmettere agli eredi il diritto al risarcimento di due pregiudizi: il danno biologico temporaneo, che di norma sussisterà solo per sopravvivenze superiori alle 24 ore (tale essendo la durata minima, per convenzione medico-legale, di apprezzabilità dell’invalidità temporanea), che andrà accertato senza riguardo alla circostanza se la vittima sia rimasta cosciente; ed il danno non patrimoniale consistito nella formido mortis, che andrà accertato caso per caso, e potrà sussistere solo nel caso in cui la vittima abbia avuto la consapevolezza della propria sorte e della morte imminente.
La giurisprudenza di merito cominciò a diffondere i suoi criteri uniformi per la stima del danno non patrimoniale da lesione della salute o da morte nel 1974 (Tribunale di Genova); seguito nel 1982 dal Tribunale di Pisa, nel 1995 dal Tribunale di Milano, e poi via via da tutti gli altri uffici giudiziari. Tali criteri sono stati nel corso degli anni ora abbandonati, ora aggiornati, ora modificati: ma mai le fonti di cognizione della giurisprudenza di merito (banche dati, riviste e repertori) hanno fatto registrare, in quarantacinque anni, una evoluzione riduttiva dei suddetti criteri, i quali sono andati sempre crescendo.
Costituisce, pertanto, nozione di fatto rientrante nella comune esperienza, non impedita a questa Corte, quella secondo cui l’aggiornamento periodico delle tabelle giurisprudenziali per la stima del danno non patrimoniale comporta un innalzamento dei valori ivi previsti. Sarebbe stato, dunque, onere della controricorrente Allianz dedurre, e dimostrare, che solo nel 2016 il Tribunale di Milano avrebbe deciso di diffondere nuove tabelle, riduttive dei risarcimenti per l’innanzi liquidati.
. In primo luogo, infatti, essa ancora la sussistenza del danno alla durata della sopravvivenza. Ma nella giurisprudenza di questa Corte, per quanto sopra esposto, la durata della sopravvivenza non è elemento costitutivo del danno consistente nell’aver provato la formido mortis. La paura di morire può provarla anche chi sopravviva pochi minuti alla lesione; così come può restarne immune chi sia sopravvissuto per lungo tempo.
La durata della sopravvivenza può essere un elemento indiziario dal quale desumere l’esistenza del pregiudizio (in base al rilievo che una sopravvivenza di pochi istanti, ad esempio, difficilmente lascia alla vittima la consapevolezza della propria sorte); e costituisce certamente un parametro di valutazione del quantum debeatur. Non costituisce, invece, elemento costitutivo dell’an debeatur.
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6.8.2. In secondo luogo, per escludere l’esistenza del danno patito da G.B. il giudice di merito avrebbe dovuto accertare non già e non solo per quanto tempo sopravvisse, ma avrebbe dovuto accertare:
-) se la sopravvivenza superò le 24 ore, al fine di stabilire se si era prodotto un danno biologico da invalidità temporanea;
-) se la vittima conservò coscienza e consapevolezza della propria sorte, al fine di stabilire se vi fosse stato un danno non patrimoniale da lucida agonia.
6.9. La sentenza impugnata va dunque cassata anche sotto questo aspetto; il giudice del rinvio, nel tornare ad esaminare il gravame, applicherà il seguente principio di diritto:
la persona che, ferita, non muoia immediatamente, può acquistare e trasmettere agli eredi il diritto al risarcimento di due pregiudizi: il danno biologico temporaneo, che di norma sussisterà solo per sopravvivenze superiori alle 24 ore (tale essendo la durata minima, per convenzione medico-legale, di apprezzabilità dell’invalidità temporanea), che andrà accertato senza riguardo alla circostanza se la vittima sia rimasta cosciente; ed il danno non patrimoniale consistito nella formido mortis, che andrà accertato caso per caso, e potrà sussistere solo nel caso in cui la vittima abbia avuto la consapevolezza della propria sorte e della morte imminente.
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- il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva ed in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta” Cass. 11212/2019; Cass. 2788/2019; Cass. 17058/2017). La decisione della corte di merito, in realtà, è errata nella premessa: essa postula, invero, che il danno risarcibile ai congiunti per le lesioni patite dal parente, vittima primaria dell’illecito, sia solo quello consistente nel “totale sconvolgimento delle abitudini di vita”, limitazione che non ha in realtà alcuna ragion d’essere.
- Dalle lesioni inferte a taluno possono derivare, in astratto, per i congiunti sia una sofferenza d’animo (danno morale) che non produce necessariamente uno sconvolgimento delle abitudini di vita, sia un danno biologico (una malattia), anche essa senza rilevanza alcuna sulle abitudini di vita. Il danno dei congiunti è qui invocato iure proprio. Si parla spesso impropriamente di fanno riflesso, ossia di un danno subito per una lesione inferta non a sè stessi, ma ad altri. In realtà, il danno subito dai congiunti è diretto, non riflesso, ossia è la diretta conseguenza della lesione inferta al parente prossimo, la quale rileva dunque come fatto plurioffensivo, che ha vittime diverse, ma egualmente dirette. Ed anche impropriamente allora, se non per mera esigenza descrittiva, si parla di vittime secondarie. Con la conseguenza che la lesione della persona di taluno può provocare nei congiunti sia una sofferenza d’animo sia una perdita vera e propria di salute, come una incidenza sulle abitudini di vita. Non v’è motivo di ritenere questi pregiudizi soggetti ad una prova più rigorosa degli altri, e dunque insuscettibili di essere dimostrati per presunzioni. E tra le presunzioni assume ovviamente rilievo il rapporto di stretta parentela .
- Il rapporto di stretta parentela esistente fa presumere, secondo un criterio di normalità sociale (ossia ciò che solitamente accade) che genitori e fratelli soffrano per le gravissime permanenti lesioni riportate dal congiunto prossimo. Nè v’è bisogno, come postula la sentenza impugnata, che queste sofferenze si traducano in uno “sconvolgimento delle abitudini di vita”, in quanto si tratta di conseguenze estranee al danno morale, che è piuttosto la soggettiva perturbazione dello stato d’animo, il patema, la sofferenza interiore della vittima, a prescindere dalla circostanza che influisca o meno sulle abitudini di vita.
Risarcimento per morte o altra grave conseguenza
Il discorso che faremo qui di seguito non deve ritenersi limitato solo al caso della morte ma anche a qualsiasi altra conseguenza grave derivante dall’incidente stradale: la perdita degli arti, l’invalidità parziale grave, la paralisi, ecc.
Come chiarito dalla Cassazione [2] il danno da perdita del rapporto parentale non è limitato alla morte ma è integrato anche dallo stravolgimento dei rapporti abituali per qualsiasi altra ipotesi di gravi lesioni.
In linea con tale esegesi, la giurisprudenza italiana ha confermato che è risarcibile il danno non patrimoniale patito dal convivente more uxorio a causa dell’uccisione del figlio unilaterale della partner, purchè venisse dedotto e provato un legame familiare saldo e longevo tra l’attore e la vittima[5]. Nello stesso senso, la Cassazione[6] ha riconosciuto la legittimazione della fidanzata ad essere risarcita per il danno parentale tribolato a seguito della morte del compagno, sul presupposto che il fidanzamento sarebbe stato destinato ad evolversi in una relazione matrimoniale, attesa la violazione ex art. 29 Cost.
La Cassazione valorizza anche il rapporto a distanza, a prescindere da una vera e propria convivenza, il quale non incide sull’an del pregiudizio, ma solo sul quantum debeatur[7]; infatti anche le telefonate frequenti possono denotare la presenza di un legame amorevole: ad esempio, il nipote può agire in giudizio per il risarcimento del danno non patrimoniale causatogli dalla dipartita del nonno[8].
È stato riconosciuto a livello nazionale e sovranazionale il diritto di credito vantato dal figlio, nato orfano da un genitore, con cui si sarebbe integrato un rapporto affettivo ed educativo che la legge protegge allo scopo di consentire uno sviluppo bilanciato della personalità del bambino[9].
Risarcimento morte fratello incidente stradale
Il tema trattato dalla Suprema Corte nella sentenza in commento è quello della morte di un fratello ma, chiaramente, l’interpretazione offerta dai giudici può essere estesa a qualsiasi altro parente. Secondo i giudici, per ottenere il risarcimento del danno da perdita parentale non basta un legame di sangue con la vittima, ma dall’altro lato non è neanche necessario che vi fosse una convivenza. Anche chi non abita con il fratello, quindi, ha diritto ad essere risarcito se quest’ultimo decede a causa di uno scontro automobilistico. Affinché ciò succeda però è necessario provare una «comunione di affetti»: bisogna cioè dimostrare come in concreto si atteggiavano i rapporti e le relazioni con il congiunto deceduto. Il ristoro sarà proporzionale alla durata e all’intensità del vissuto: importa dunque quanto è grande la famiglia e ai fini della compensazione rilevano l’età della vittima e dei congiunti oltre che le abitudini di vita. Quindi la semplice parentela anagrafica non può costituire di per sé la prova della lesione.
In questa ottica ciascun familiare superstite – anche se non convivente – ha un autonomo diritto al risarcimento integrale del danno patito per la perdita della vittima, ma a condizione che dimostri una relazione forte la quale comporta una sofferenza altrettanto forte.