LITE TEMERARIA EX ART 96 CPC- CAUSA CIVILE AVVOCATO CIVILISTA BOLOGNA
La giurisprudenza di legittimità (cfr. fra le molte pronunce Cass. Civ. sezione III, ordinanza n. 15629 del 30 giugno 2010) è costante e lineare nel ritenere che la condanna per responsabilità processuale aggravata, per lite temeraria, quale sanzione dell'inosservanza del dovere di lealtà e probità cui ciascuna parte è tenuta, non può derivare dal solo fatto della prospettazione di tesi giuridiche riconosciute errate dal giudice, occorrendo che l'altra parte deduca e dimostri nell'indicato comportamento dell'avversario la ricorrenza del dolo o della colpa grave, nel senso della consapevolezza, o dell'ignoranza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell'infondatezza delle suddette tesi.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 3 dicembre 2014 – 2 aprile 2015, n. 6675Presidente Rordorf – Relatore Bisogni
Fatto e diritto
Rilevato che:
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Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 9120/2002, ha dichiarato inammissibile l'azione sociale di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 c.c. verso gli ex amministratori e sindaci della Intereuropea Ass.ni in liquidazione coatta amministrativa perché promossa dal commissario liquidatore in difetto di autorizzazione dell'ISVAP.
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Ha proposto appello la società in l.c.a. rilevando di essere stata tempestivamente autorizzata dall'ISVAP alla proposizione dell'azione sociale di responsabilità e assumendo che il documento relativo era stato allegato alla depositata C.T.U. espletata in sede penale. Ha riproposto tutte le domande di merito avanzate in primo grado e ha chiesto che la sentenza di primo grado fosse dichiarata nulla con remissione della causa in primo grado ovvero con decisione di accoglimento dell'azione di responsabilità e condanna in solido degli appellati al risarcimento dei danni quantificati in 19.832.000 Euro, con rivalutazione e interessi dalla data degli illeciti accertati o quanto meno dalla messa in liquidazione della società.
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La Corte di appello ha riformato parzialmente la decisione di primo grado: a) dichiarando proponibile l'azione di responsabilità; b) accertando la rinuncia all'azione nei confronti di T.A. e N.G. non convenuti in riassunzione nel corso del giudizio di primo grado; c) rigettando la domanda nei confronti degli appellati contumaci G.L. , C.S. , Cu.Va. , N.L. ; d) accogliendo l'azione di responsabilità nei soli confronti dell'ex amministratore Ce.Gi. condannato al pagamento, a titolo di risarcimento danni, della somma di 12.139.397,35 Euro, oltre interessi legali dalla sentenza, e al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio; e) dichiarando prescritta l'azione di responsabilità nei confronti di tutti gli altri appellati costituiti in giudizio con compensazione delle spese processuali dei due gradi di giudizio.
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Ricorrono per cassazione M.G. , (+Altri) affidandosi a cinque motivi di impugnazione.
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Si difende con controricorso la Intereuropea Compagnia di Assicurazioni e Riassicurazioni s.p.a. in liquidazione.
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Le parti depositano memorie difensive.
Ritenuto che:
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Con il primo motivo di ricorso si deduce omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione circa due punti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c..
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Il motivo appare inammissibile perché sfornito del c.d. quesito di fatto richiesto a pena di inammissibilità dall'art. 366 bis nel testo applicabile ratione temporis alla controversia.
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Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione dell'art. 96 c.p.c., in combinato disposto con l'art. 1176, secondo comma, c.c. e con l'art. 111 Cost., in relazione all'art. 360 c.p.c.. La ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: “se, ai fini dell'esame della domanda di risarcimento per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., la sussistenza dell'elemento soggettivo della mal a fede o della colpa grave, da tale disposizione richiesto, debba essere valutata ex ante nell'uso della specifica diligenza richiesta dall'art. 1176, secondo comma, c.c. nella proposizione dell'azione ovvero ex post e se, conseguentemente, alla risposta a tale domanda, nel caso concreto, possano rilevare, al fine di rigettare la domanda di risarcimento danni da lite temeraria, la generica complessità del caso (piuttosto che la complessità o semplicità dei singoli accertamenti inerenti la posizione dei convenuti interessati) e l'accoglimento dell'eccezione di prescrizione da questi posta".
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Il motivo è infondato. La giurisprudenza di legittimità (cfr. fra le molte pronunce Cass. Civ. sezione III, ordinanza n. 15629 del 30 giugno 2010) è costante e lineare nel ritenere che la condanna per responsabilità processuale aggravata, per lite temeraria, quale sanzione dell'inosservanza del dovere di lealtà e probità cui ciascuna parte è tenuta, non può derivare dal solo fatto della prospettazione di tesi giuridiche riconosciute errate dal giudice, occorrendo che l'altra parte deduca e dimostri nell'indicato comportamento dell'avversario la ricorrenza del dolo o della colpa grave, nel senso della consapevolezza, o dell'ignoranza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell'infondatezza delle suddette tesi.
Tale indagine circa la sussistenza dell'elemento soggettivo si risolve in un apprezzamento di fatto insindacabile in Cassazione se congruamente motivato.
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Nella specie la Corte di appello ha escluso che gli odierni ricorrenti avessero assolto tale onere probatorio. Il motivo di ricorso, e specificamente il suo quesito di diritto, è carente nell'indicazione delle ragioni per cui la decisione avrebbe violato il disposto dell'art. 96 c.p.c., interpretato alla luce dell'art. Ili Cost., nonché dell'art. 1176 secondo comma del codice civile. In primo luogo occorre rilevare che la Corte di appello non ha affatto affermato che l'indagine sulla sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi dovesse compiersi ex post anziché ex ante. Né concretamente si è ispirata a tale criterio contestato dai ricorrenti.
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In secondo luogo le ragioni indicate dalla Corte di appello non appaiono affatto in contrasto con le disposizioni normative indicate né con la giurisprudenza citata. Infatti la complessità della controversia, sia pure nel sintetico riferimento compiuto dalla Corte di appello, è un dato che emerge oggettivamente dalla descrizione del processo e dalle difese delle parti e non può non avere rilievo al fine di valutare quale fosse la consapevolezza della parte attrice circa la fondatezza o meno della domanda che aveva proposto, anche con specifico riferimento alle singole situazioni dei convenuti. La riferibilità della responsabilità, almeno prevalente, della crisi finanziaria della società alla gestione del Ce. è una circostanza che è emersa a seguito di accertamenti e ricostruzioni della contabilità e della gestione societaria niente affatto evidenti. Non indifferente ai fini dell'accertamento della mala fede o del dolo è la posizione istituzionale del Commissario liquidatore e il conseguente dovere di non lasciare intentato il recupero di disponibilità finanziarie connesso all'eventuale accoglimento di un'azione risarcitoria nei confronti degli amministratori, in presenza di una situazione contabile nient'affatto trasparente e che era sfociata in una gravissima crisi finanziaria rilevante anche in sede penale.
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La circostanza per cui il giudizio sia stato definito, quanto agli odierni ricorrenti, con l'accoglimento della loro eccezione di prescrizione è rilevante sotto diversi profili. Ovviamente i commissari liquidatori non erano in grado di prevedere con certezza la proposizione o meno di tale eccezione. Non è neanche fondato ritenere che una volta proposta tale eccezione da parte dei convenuti la domanda nei confronti degli odierni ricorrenti poteva e doveva essere abbandonata stante la manifesta fondatezza dell'eccezione. Da parte dell'odierna controricorrente la fondatezza dell'eccezione di prescrizione è stata contestata e tale contestazione ha costituito oggetto della decisione della Corte di appello che ha fatto riferimento per fissare il momento di inizio della decorrenza della prescrizione al deposito del bilancio relativo al 1984. Oltre a tale riferimento non è però stata indicata dalla Corte di appello la data del deposito del bilancio 1984. Da parte della controricorrente, viene rilevato che il deposito del bilancio è avvenuto il 27 luglio 1985 e che tale circostanza, che risulta dagli atti della Cancelleria commerciale del Tribunale di Roma, è idonea a impedire il consolidamento della prescrizione. Infatti la proposizione della domanda è avvenuta prima del compimento del termine quinquennale se decorrente dal 27 luglio 1985. Le considerazioni della controricorrente sin qui riportate conducono comunque a rilevare che la questione della prescrizione era una questione controversa e dipendente da un accertamento di fatto da compiere nel giudizio di merito.
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Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. (vecchia formulazione) in combinato disposto con l'art. 111 Cost., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.. La ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: "se, in un procedimento instaurato anteriormente al 1 marzo 2006, il provvedimento di compensazione delle spese di lite in danno della parte vittoriosa possa essere motivato per relationem con riferimento alla motivazione di altro capo della stessa pronuncia, relativo a diversa azione (nella specie, domanda di risarcimento del danno per lite temeraria)".
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In materia deve richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ. S.U. n. 20598 del 30 luglio 2008; Cass. sezione lavoro n. 3715 del 16 febbraio 2009 e n. 6970 del 23 marzo 2009; Cass. sezione VI-L n. 24351 del 12 gennaio 2012) secondo cui, nel regime anteriore a quello introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. a), della legge 28 dicembre 2005 n. 263, il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria. l'adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purché, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della, statuizione di merito (o di rito). Ne consegue che deve ritenersi assolto l'obbligo del giudice anche allorché le argomentazioni svolte per la statuizione di merito (o di rito) contengano in sé considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata".
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Con riferimento alla controversia in esame deve rilevarsi pertanto, alla luce della citata giurisprudenza di legittimità, che la Corte di appello ha disposto la compensazione delle spese dei due gradi del giudizio di merito non solo richiamando, legittimamente, le motivazioni con le quali ha respinto la domanda di risarcimento per lite temeraria ma anche con implicito riferimento alla soccombenza reciproca determinata dal rigetto della domanda ex art. 96 c.p.c.. L'individuazione di ulteriori "giusti motivi", rilevanti ai fini della disciplina previgente alla riforma introdotta dalla citata legge n. 263 del 2005 va quindi riferita, piuttosto che alla motivazione in sé sul rigetto della domanda di risarcimento ex art. 96 c.p.c., alla complessità e alle ragioni dell'esito finale della causa risarcitoria proposta dalla società di assicurazioni in regime di l.c.a. rispetto alla quale la domanda di risarcimento ex art. 96 c.p.c. poteva almeno in astratto rivestire una incidenza e una valutazione subordinata.
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Con il quarto motivo di ricorso si deduce omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione circa due punti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c..
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Con il quinto motivo di ricorso si deduce omessa pronuncia sul secondo motivo di appello incidentale (art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c.).
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I due ultimi motivi appaiono inammissibili perché sforniti del quesito di fatto e di diritto richiesti, a pena di inammissibilità, dall'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla controversia. Inoltre, quanto all'ultimo motivo, non può non rilevarsi come la mancata pronuncia della Corte di appello sulla parte dell'appello incidentale intesa alla revisione della misura della liquidazione delle spese del primo grado sia la logica conseguenza della compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito operata dalla Corte distrettuale.
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Il ricorso va pertanto respinto con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in 3.200 Euro, di cui 200 per spese, oltre spese forfetarie e accessori di legge.