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DANNO MORALE personalizzazione del danno AVVOCATO ESPERTO GRAVI DANNI STRADA

DANNO MORALE personalizzazione del danno

RINUNCIA EREDITA’ COSA E’ ?QUANDO FARLA ? AVVOCATO SUCCESSIONI BOLOGNA effetti della rinuncia all eredità rinuncia successione conseguenze rinuncia eredità costi rinuncia eredità rinuncia eredità termine rinuncia eredità minorenni rinuncia eredità modulo rinuncia eredità debiti
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La corte d’appello nel quantificare i danni non patrimoniali riportati dal padre e dalla sorella per la perdita dei due giovanissimi congiunti utilizza il criterio equitativo puro, ovvero non fa riferimento a nessuna delle tabelle in uso presso i tribunali né ancora la propria liquidazione ad altri criteri obiettivi. Critica il risultato cui è prevenuto il giudice di primo grado per non aver adeguatamente differenziato la condizione del padre e della figlia sia sotto il profilo degli esiti afflittivi dell’incidente che della conseguente quantificazione del danno. Enuncia, a pag. 11 e 12, alcune circostanze del caso concreto di cui afferma che si debba tener conto (l’età delle vittime all’epoca del sinistro, lo strettissimo vincolo di sangue con i danneggiati e il diverso grado di parentela tra vittime e parenti superstiti, il numero dei superstiti del nucleo familiare e la loro età, il rapporto di convivenza tra questi ultimi e i deceduti, la particolare sofferenza espressa da entrambi i danneggiati ed in particolare dal padre per le modalità dell’incidente che portò alla disgregazione del nucleo familiare), circostanze delle quali sostiene che il giudice di primo grado non avrebbe tenuto conto sufficientemente, per poi arrivare a riconoscere a ciascuno dei due attuali ricorrenti un importo totale rilevantemente diverso ed inferiore, specie in riferimento al danno subito dalla sorella G. , rispetto a quello liquidato in primo grado.

La sentenza impugnata viola l’art. 2056 c.c. ed al contempo si traduce in una motivazione sulla liquidazione del danno contraddittoria e che non consente al lettore e all’interprete di comprendere la logica e ripercorrere lo sviluppo motivazionale che ha portato a determinate scelte.

Il percorso seguito da questa Corte negli ultimi anni in tema di liquidazione del danno non patrimoniale è stato teso a garantire una sempre più adeguata personalizzazione del danno, che necessariamente deve passare attraverso l’abbandono di logiche liquidazione meramente assertive di un risultato e l’ancoraggio della quantificazione, che è pur sempre, necessariamente, affidata alla valutazione equitativa del giudice di merito (che è quello che meglio può apprezzare avendole avute di fronte, le mille sfaccettature e le particolarità del caso concreto), a parametri obiettivi quali le tabelle in uso presso i vari tribunali.

Alla attenzione ai meccanismi di personalizzazione del danno è andata di pari passo la costante consapevolezza della necessità di garantire il più possibile l’uniformità di giudizio (e quindi al contempo la prevedibilità e la prevedibilità di esso) della quale si è fatta carico Cass. n. 12408 del 2011, indicando ai giudici di merito che nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa di cui all’art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziali. Allo scopo di garantire tale uniformità di trattamento la Corte ha indicato l’opportunità di far riferimento non soltanto ad un criterio di quantificazione obiettivo ma ad un criterio in assoluto preferibile, ovvero al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, prescelto come preferibile per una vasta gamma di considerazioni tra le quali l’essere già ampiamente diffuso sul territorio nazionale ben al di fuori dai confini del singolo distretto. A tali tabelle questa Corte ha riconosciuto, dal 2011 in poi, in applicazione dell’art. 3 Cost., la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ. -, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono.

A fronte del percorso tracciato dalla giurisprudenza di legittimità che impone di ancorare la valutazione equitativa del danno non patrimoniale a parametri obiettivi, verificabili, all’interno dei quali sussumere le varie circostanze del caso concreto (e, dal 2011 in poi, non a qualsiasi paramento obiettivo ma alle tabelle milanesi ove non sussistano e siano stati enunciati motivi per discostarsene) in modo da dar corpo ad una nozione di equità che sia non solo regola del caso concreto ma anche garanzia della parità di trattamento, non può più considerarsi legittima la liquidazione del danno non patrimoniale che faccia riferimento, come la sentenza impugnata, al criterio equitativo puro, svincolato da qualsiasi parametro di riferimento ai fini della quantificazione. Essa si traduce in una quantificazione arbitraria ed immotivata che, pur partendo dalla enunciazione di alcune premesse, non da giustificazione delle conclusioni cui perviene. Tale criterio infatti non rende evidente e controllabile l’iter logico attraverso cui il giudice di merito sia pervenuto alla relativa quantificazione, né permette di stabilire se e come abbia tenuto conto realmente, nell’operare la liquidazione, della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell’entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d’animo, o se l’enunciazione dei criteri sia rimasta una mera affermazione di principio.

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 15 ottobre 2015, n.20895 – Pres. Salmé – est. Rubino

Le ragioni della decisione

AS3

– Preliminarmente i due ricorsi, proposti da I.A. e I.G. avverso la medesima sentenza, vanno riuniti ex art. 335 c.p.c..

– Motivi del ricorso di I.A. :

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 340 c.p.c., ovvero che non sia stata dichiarata l’inammissibilità dell’appello proposto dalla MEIE avverso la sentenza definitiva, in quanto proposto in relazione a motivi che investivano la sentenza non definitiva (criteri di liquidazione del danno), nei cui confronti non era stata proposta riserva d’appello né appello tempestivo da parte della MEIE. Denuncia anche l’insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione riguardo alla ridotta liquidazione del danno operata dalla corte d’appello in suo favore per la perdita dei due figli rispetto al giudice di primo grado.

– Motivi del ricorso di I.G. .

Con il primo motivo di ricorso, la I. lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 e 32 della Costituzione, 2053, 2056, 2059, 1226 c.c. e 345 c.p.c. nonché il vizio di motivazione sulla risarcibilità del danno non patrimoniale, per aver la corte d’Appello di Palermo liquidato in suo favore il danno non patrimoniale in misura inadeguata, anche sotto il profilo della mancata personalizzazione del risarcimento e con insufficiente e contraddittoria motivazione circa i criteri di liquidazione dello stesso danno.

Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e motivazione insufficiente e contraddittoria circa un punto decisivo della controversia relativo alla mancata conferma dei criteri di liquidazione del danno non patrimoniale adottati dal primo giudice con la sentenza del 2008, in quanto capi della sentenza passati in giudicato per la mancata impugnazione della sentenza non definitiva del 2006 che già stabiliva i criteri di liquidazione del danno. Infine, con il terzo motivo, I.G. denuncia la violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 91 e 93 c.p.c. per aver la corte d’appello compensato tra le parti le spese processuali, sostenendo che, dovendo essere l’appello rigettato, le spese processuali avrebbero dovuto essere poste ad esclusivo carico delle compagnie di assicurazioni appellanti.

– Alcuni motivi dei due ricorsi sopra riportati possono essere trattati congiuntamente, in quanto pongono analoghe questioni, sebbene con argomentazioni non coincidenti. Possono essere trattati congiuntamente il primo motivo del ricorso del padre I.A. ed il secondo motivo del ricorso della figlia, I.G. che vanno esaminati per primi, sotto un profilo logico. Entrambi infatti pongono la questione se sia passata in giudicato nei confronti della Meie Ass.ni (che non fece appello immediato né riserva di appello) la sentenza non definitiva del 2006 che fissava i criteri di liquidazione del danno, e se sia legittima o meno la sentenza impugnata laddove ha ritenuto di discostarsi non solo dalla quantificazione, ma dagli stessi criteri di liquidazione enunciati con la sentenza non definitiva di primo grado impugnata solo da alcune delle parti.

Dovranno poi essere trattati congiuntamente il secondo motivo del ricorso di I. A. ed il primo motivo del ricorso di I. G. , che entrambi pongono la questione della inadeguata personalizzazione del danno non patrimoniale da essi subito per la perdita dei due congiunti, conseguente alla drastica e immotivata riduzione della misura del risarcimento operata dalla corte d’appello.

– Esame del primo motivo del ricorso di I. A. e del secondo motivo del ricorso di I. G. (formazione o meno del giudicato sui criteri di liquidazione del danno non patrimoniale).

Dal ricorso di I. A. sul punto:

con il primo motivo, I. A. segnala che l’appellante principale, Aurora Ass.ni, già Meie Ass.ni (assicurante della vettura del N. ), ha proposto appello solo avverso la sentenza definitiva del 2008 e non anche avverso quella non definitiva. Non avrebbe quindi potuto proporre motivi di appello che investissero la sentenza non definitiva (in particolare, motivi relativi ai criteri di liquidazione da tener presenti nella liquidazione del danno non patrimoniale).La compagnia ha invece impugnato i criteri di liquidazione del danno e, benché l’I. già in appello abbia eccepito l’intervenuta formazione del giudicato interno sul punto, la corte d’appello ha accolto l’appello principale della Aurora, omettendo di considerare che quanto meno nei suoi confronti la sentenza non definitiva era ormai passata in giudicato. Evidenzia il ricorrente che nella sentenza definitiva di primo grado, ove è stata effettuata per la prima volta la liquidazione del danno, i criteri di liquidazione del danno sono trasfusi recuperando la formula virgolettata contenuta nella sentenza di primo grado, ovvero il tribunale nel liquidare il danno si è ritenuto vincolato da quei criteri ed ha effettuato il calcolo applicandoli alla lettera. Si era quindi formato — secondo la posizione del ricorrente – il giudicato in ordine al criterio di liquidazione del danno morale subito da I. A., che doveva essere liquidato (come indicato nella sentenza non definitiva) alla stregua di 1/2 del danno biologico che sarebbe spettato ai figli I. S. e V. se anziché morire, avessero riportato una invalidità del 100%. La Meie invece ha criticato proprio i criteri di liquidazione, proponendo dei criteri alternativi.

Dal ricorso della I. G. sul medesimo punto:

anche la I. G. evidenzia l’avvenuta formazione del giudicato interno sul punto della sentenza non definitiva laddove essa stabiliva i criteri di quantificazione del danno, che la corte d’appello non avrebbe potuto quindi stravolgere. Aggiunge che la corte territoriale non ha motivato sulla pur sollevata eccezione di giudicato interno.

La Unipol sostiene sulla prima questione di aver impugnato la sentenza di appello in relazione alla inadeguata quantificazione in concreto operata dal tribunale e quindi che non avrebbe messo in discussione i parametri indicati dalla sentenza non definitiva, puntualizzando anche che la sentenza non definitiva non conteneva parametri vincolanti ma soltanto linee guida ovvero criteri di massima.

Il motivo è complessivamente infondato.

Partendo dall’ultimo rilievo della I. G. , che non è neppure adeguatamente sussunto sub specie di omessa pronuncia, va detto che la corte d’appello prende in considerazione il rilievo degli I. in ordine alla avvenuta formazione del giudicato e rigetta l’appello sul punto, ritenendolo infondato, quindi la questione è stata esaminata.

È ben vero che nella sentenza non definitiva del 2006 il Tribunale di Termini Imerese afferma in dispositivo che la liquidazione del danno, rinviata alla sentenza definitiva, ‘dovrà determinarsi alla stregua dei criteri di cui in motivazione’. In motivazione dedica alcune pagine alla nozione di danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, al fatto che sia un danno comunque soggetto all’onere di allegazione e prova, alla possibilità di far ricorso alle presunzioni, alla autonomia ontologica tra il danno da perdita del rapporto parentale e il danno morale ed anche alla necessità di evitare duplicazioni del detta il criterio di liquidazione al quale si dovrà attenere lo stesso tribunale nella prosecuzione del giudizio di primo grado, quindi afferma quanto segue: ‘appare equo adottare il criterio di liquidazione sviluppato dallo stesso attore in comparsa conclusionale, quantificando il pregiudizio, sulla base del danno morale che sarebbe spettato ai defunti se, anziché morire, avessero riportato una invalidità del 100% (pari ad 1/2 del danno biologico complessivo) tenendo pure conto delle esigenze del caso di specie, e cioè dell’età della persona offesa o del dolore arrecato ai familiari per la sua morte e di tutte le circostanze ed elementi della fattispecie in modo da rendere la somma liquidata il più possibile adeguata all’effettivo danno patito’. Lo stesso tribunale, nella sentenza definitiva di primo grado del 2008, riporta il brano virgolettato dicendo pianamente che quello è il criterio, vincolante, di liquidazione del danno, ed opera i suoi calcoli e la personalizzazione del danno dipartendosi da quei criteri (e poi scegliendo di porre a base del suo calcolo le tabelle in uso presso il Tribunale di Palermo).

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Il fatto che il tribunale nella sentenza definitiva si sia ritenuto vincolato ai criteri precedentemente enunciati non è determinante. Ciò che rileva è che le considerazioni contenute nella sentenza non definitiva sul punto dei criteri guida cui uniformarsi per la liquidazione del danno mancavano di quella incisività decisoria necessaria per poter affermare che su di esse si fosse formato il giudicato, tenuto conto che per capo autonomo della sentenza suscettibile di formare oggetto di giudicato interno deve intendersi solo quello che risolve una questione dotata di una propria individualità ed autonomia (Cass. n. 3806 del 2004), tant’è che la sentenza definitiva ha poi dovuto necessariamente, e potuto legittimamente, perché tale facoltà di scelta era stata lasciata aperta dalla sentenza non definitiva, scegliere a quali tabelle far riferimento per operare concretamente la liquidazione del danno.

– Esame del secondo motivo del ricorso di I. A. e del primo motivo del ricorso di I. G. (sul punto della riduttiva liquidazione del danno non patrimoniale subito).

Sulla seconda questione, relativa al significativo ridimensionamento, intervenuto in appello, della liquidazione del danno non patrimoniale subito dal padre e dalla sorella per la tragica morte dei due minori trasportati sulla vettura condotta dalla madre, I. A. denuncia solo la presenza di un vizio di motivazione, mentre I. G. denuncia la presenza sia del vizio di motivazione che di violazione di legge.

Nel ricorso di A. , in particolare, si denuncia che, premesso che la corte d’appello non si è ritenuta vincolata dai criteri di liquidazione enunciati dalla sentenza non definitiva, la corte non ha minimamente giustificato perché, dopo aver riconosciuto la gravità della perdita per il padre e la sua afflittività al massimo grado, ha poi ritenuto di discostarsi pesantemente ed apoditticamente al ribasso rispetto a quanto stabilito dal primo giudice (200.000 Euro anziché 315.000 circa), senza dare nessuna giustificazione in ordine a questa conclusione, del tutto contraddittoria rispetto alle premesse.

Dal ricorso della I. G. sulla questione del ridimensionamento del danno non patrimoniale si evince che anch’ella addebita alla corte territoriale di non aver dato conto dei criteri seguiti nella scelta operata, nei suoi confronti, di abbattere il risarcimento per il danno non patrimoniale subito per la perdita dei due fratelli (e per la completa disgregazione del nucleo familiare che ne è seguita, in quanto a seguito dell’incidente il padre e la madre si sono separati), senza dar conto di aver tenuto in adeguata considerazione le peculiarità particolarmente afflittive del caso di specie. In sostanza, si sostiene che manchi una personalizzazione adeguata del danno che tenesse conto dell’avvenuta distruzione dell’intero nucleo familiare, in cui anche i rapporti tra i soggetti sopravvissuti sono stati irrimediabilmente compromessi, e che la motivazione non consenta di verificare attraverso quali valutazioni si sia pervenuti ad una quantificazione del tutto diversa e così ridotta rispetto a quella operata in primo grado.

Nel suo controricorso la Unipol sulla seconda questione osserva che la quantificazione del danno non patrimoniale è valutazione equitativa per eccellenza, utilmente sindacabile con lo strumento del vizio di motivazione solo nei casi estremi, cioè solo se difetti totalmente la giustificazione delle scelte operate per arrivare ad un determinato risultato concreto e sottolinea che comunque la quantificazione operata dalla corte d’appello si mantiene all’interno del range indicato dalle tabelle milanesi sia per la posizione del padre (per il cui danno non patrimoniale le tabelle indicherebbero una cifra tra 154 e 308 mila) che per quella della figlia (in quanto le tabelle di Milano indicherebbero, per la perdita di un fratello, un importo da 22.340 a 134.040 Euro).

Anche la Fondiaria sostiene nel suo controricorso che la corte d’appello ha adeguatamente personalizzato il danno, utilizzando la liquidazione equitativa pura che non è preferita ma neppure preclusa dai più recenti orientamenti di legittimità, pervenendo ad un quantum che rientra, sia per il padre che per la figlia, all’interno della forbice delle tabelle di Milano.

La seconda questione è fondata ed entrambi i ricorsi, riuniti, vanno accolti sul punto con cassazione della sentenza impugnata.

La corte d’appello nel quantificare i danni non patrimoniali riportati dal padre e dalla sorella per la perdita dei due giovanissimi congiunti utilizza il criterio equitativo puro, ovvero non fa riferimento a nessuna delle tabelle in uso presso i tribunali né ancora la propria liquidazione ad altri criteri obiettivi. Critica il risultato cui è prevenuto il giudice di primo grado per non aver adeguatamente differenziato la condizione del padre e della figlia sia sotto il profilo degli esiti afflittivi dell’incidente che della conseguente quantificazione del danno. Enuncia, a pag. 11 e 12, alcune circostanze del caso concreto di cui afferma che si debba tener conto (l’età delle vittime all’epoca del sinistro, lo strettissimo vincolo di sangue con i danneggiati e il diverso grado di parentela tra vittime e parenti superstiti, il numero dei superstiti del nucleo familiare e la loro età, il rapporto di convivenza tra questi ultimi e i deceduti, la particolare sofferenza espressa da entrambi i danneggiati ed in particolare dal padre per le modalità dell’incidente che portò alla disgregazione del nucleo familiare), circostanze delle quali sostiene che il giudice di primo grado non avrebbe tenuto conto sufficientemente, per poi arrivare a riconoscere a ciascuno dei due attuali ricorrenti un importo totale rilevantemente diverso ed inferiore, specie in riferimento al danno subito dalla sorella G. , rispetto a quello liquidato in primo grado.

La sentenza impugnata viola l’art. 2056 c.c. ed al contempo si traduce in una motivazione sulla liquidazione del danno contraddittoria e che non consente al lettore e all’interprete di comprendere la logica e ripercorrere lo sviluppo motivazionale che ha portato a determinate scelte.

Il percorso seguito da questa Corte negli ultimi anni in tema di liquidazione del danno non patrimoniale è stato teso a garantire una sempre più adeguata personalizzazione del danno, che necessariamente deve passare attraverso l’abbandono di logiche liquidazione meramente assertive di un risultato e l’ancoraggio della quantificazione, che è pur sempre, necessariamente, affidata alla valutazione equitativa del giudice di merito (che è quello che meglio può apprezzare avendole avute di fronte, le mille sfaccettature e le particolarità del caso concreto), a parametri obiettivi quali le tabelle in uso presso i vari tribunali.

Alla attenzione ai meccanismi di personalizzazione del danno è andata di pari passo la costante consapevolezza della necessità di garantire il più possibile l’uniformità di giudizio (e quindi al contempo la prevedibilità e la prevedibilità di esso) della quale si è fatta carico Cass. n. 12408 del 2011, indicando ai giudici di merito che nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa di cui all’art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziali. Allo scopo di garantire tale uniformità di trattamento la Corte ha indicato l’opportunità di far riferimento non soltanto ad un criterio di quantificazione obiettivo ma ad un criterio in assoluto preferibile, ovvero al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, prescelto come preferibile per una vasta gamma di considerazioni tra le quali l’essere già ampiamente diffuso sul territorio nazionale ben al di fuori dai confini del singolo distretto. A tali tabelle questa Corte ha riconosciuto, dal 2011 in poi, in applicazione dell’art. 3 Cost., la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ. -, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono.

A fronte del percorso tracciato dalla giurisprudenza di legittimità che impone di ancorare la valutazione equitativa del danno non patrimoniale a parametri obiettivi, verificabili, all’interno dei quali sussumere le varie circostanze del caso concreto (e, dal 2011 in poi, non a qualsiasi paramento obiettivo ma alle tabelle milanesi ove non sussistano e siano stati enunciati motivi per discostarsene) in modo da dar corpo ad una nozione di equità che sia non solo regola del caso concreto ma anche garanzia della parità di trattamento, non può più considerarsi legittima la liquidazione del danno non patrimoniale che faccia riferimento, come la sentenza impugnata, al criterio equitativo puro, svincolato da qualsiasi parametro di riferimento ai fini della quantificazione. Essa si traduce in una quantificazione arbitraria ed immotivata che, pur partendo dalla enunciazione di alcune premesse, non da giustificazione delle conclusioni cui perviene. Tale criterio infatti non rende evidente e controllabile l’iter logico attraverso cui il giudice di merito sia pervenuto alla relativa quantificazione, né permette di stabilire se e come abbia tenuto conto realmente, nell’operare la liquidazione, della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell’entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d’animo, o se l’enunciazione dei criteri sia rimasta una mera affermazione di principio.

Né è considerazione idonea a far venir meno il vizio di legittimità ed anche di motivazione del quale è affetta la sentenza impugnata quanto osservato dalle due compagnie di assicurazioni, ovvero che la quantificazione cui è pervenuta la Corte d’Appello di Palermo sia in riferimento alla posizione del padre per la morte dei due figli, che alla posizione della sorella per la perdita dei due fratelli, si collocherebbe all’interno dei minimi e dei massimi fissati dalle tabelle milanesi per fatti lesivi consimili.

La fortuita riconducibilità degli importi liquidati all’interno del range previsto per identico evento lesivo dalle tabelle milanesi non rileva in primo luogo perché esse, non essendo state prese in considerazione, non costituiscono parametro di leggibilità e verificabilità della motivazione, ed inoltre non colma in alcun modo il vuoto esistente tra le premesse, ovvero i fattori da tenere in considerazione enunciati alle pag. 11 e 12, ed i fattori di cui il tribunale non avrebbe tenuto adeguato conto (differenziazione tra la posizione del dare da quella della figlia) e le conclusioni, che constano solo dell’importo complessivamente liquidato a ciascuno. Si aggiunga che, negli elementi da tenere in considerazione per una adeguata quantificazione non è neppure enunciata la completa disgregazione del nucleo familiare derivante dal fatto dell’aver la madre dato causa seppur involontariamente alla morte dei due minori.

– Per quanto concerne il terzo motivo del ricorso di I. G. relativo alla liquidazione delle spese di giudizio, con il quale la parte, soccombente nel giudizio di merito si duole della liquidazione a suo carico delle spese di giudizio denunciando che siano conseguenza dell’erronea pronuncia sul merito, esso è assorbito dall’accoglimento del secondo motivo.

In accoglimento del secondo motivo di ricorso di I.A. , e del primo motivo di ricorso di I.G. , la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione che deciderà anche sulle spese in applicazione del seguente principio di diritto: ‘Nella liquidazione del danno non patrimoniale, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, non è consentita la liquidazione equitativa c.d. pura, che non faccia riferimento a criteri obiettivi di liquidazione del danno che tengano conto ed elaborino le differenti variabili del caso concreto, allo scopo di rendere verificabile a posteriori l’iter logico attraverso cui il giudice di merito sia pervenuto alla relativa quantificazione, e di permettere di verificare se e come abbia tenuto conto della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell’entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d’animo. Per garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, tra i criteri in astratto adottabili deve ritenersi preferibile il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano al quale la S.C., in applicazione dell’art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ., salvo che non sussistano in concreto circostante idonee a giustificarne l’abbandono’.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sui ricorsi riuniti, accoglie il secondo motivo ricorso di ricorso di I.A. , e il primo motivo di ricorso di I.G. , cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione che deciderà anche sulle spese.

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