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Come impugnare un testamento ? testamento erede universale azione di riduzione

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Come impugnare un testamento ? testamento erede universale azione di riduzione

Il primo punto da chiarire è chi siano i legittimari, cioè i soggetti, strettamente legati al de cuius, cui la legge riserva certi diritti successori. I legittimari sono: 2 1) il coniuge superstite del defunto, al quale, in forza della l. n. 76/2016, è equiparato il relativo unito civilmente; 2) i figli del de cuius (con riguardo alla successione necessaria, dopo la c.d. riforma della filiazione, è venuta meno ogni residua discriminazione fra i figli “legittimi” e quelli “naturali”, oggi detti, rispettivamente, “figli nati nel matrimonio” e “figli nati al di fuori del matrimonio”); 3) solo in mancanza di figli (o di loro discendenti), gli ascendenti del de cuius, come i genitori o i nonni, se ancora in vita all’epoca dell’aperta successione: dunque, questi soggetti non sono sempre legittimari, ma devono considerarsi tali esclusivamente se il defunto non ha avuto figli.

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  • Il testamento olografo può essere redatto da tutte le persone maggiorenni, con piena capacità di intendere e di volere. Ma se gli eredi non sono d’accordo con le ultime volontà del de cuius o pensano (e possono dimostrare) che siano state scritte in un momento in cui non era nel pieno delle sue facoltà, possono impugnare il testamento.
  • La normativa prevede l’impugnazione del testamento per vizi che ne determinano la nullità o l’annullabilità. Si tratta di un’azione che avviene per vie legali, è necessario, infatti, rivolgersi a un legale per capire con lui come procedere. L’impugnazione può essere fatta da chiunque soggetto abbia interesse, entro, però, il termine di cinque anni dal momento in cui sia stato scoperto il motivo d’invalidità.

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Inutile sottolineare come fra le ragioni più comuni che portano all’impugnazione di un testamento vi sia la presunta #incapacità #naturale del #testatore al momento della sua redazione, soprattutto quando ad essere esclusi dall’eredità sono i parenti di grado prossimo a favore di altri parenti, magari di grado parentale più lontano ma che hanno intrattenuto rapporti più stretti con il de cuius negli ultimi anni della sua vita.

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Riserva a favore del coniuge separato.

Il coniuge cui non è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato, ai sensi del secondo comma dell’articolo 151, ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato.

Il coniuge cui è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato ha diritto soltanto ad un assegno vitalizio se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto. L’assegno è commisurato alle sostanze ereditarie e alla qualità e al numero degli eredi legittimi, e non è comunque di entità superiore a quella della prestazione alimentare goduta. La medesima disposizione si applica nel caso in cui la separazione sia stata addebitata ad entrambi i coniugi.

Art. 549.Divieto di pesi o condizioni sulla quota dei legittimari.

Il testatore non può imporre pesi o condizioni sulla quota spettante ai legittimari salva l’applicazione delle norme contenute nel titolo IV di questo libro.

Art. 550.Lascito eccedente la porzione disponibile.

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Quando il testatore dispone di un usufrutto o di una rendita vitalizia il cui reddito eccede quello della porzione disponibile, i legittimari, ai quali è stata assegnata la nuda proprietà della disponibile o di parte di essa, hanno la scelta o di eseguire tale disposizione o di abbandonare la nuda proprietà della porzione disponibile. Nel secondo caso il legatario, conseguendo la disponibile abbandonata, non acquista la qualità di erede.

La stessa scelta spetta ai legittimari quando il testatore ha disposto della nuda proprietà di una parte eccedente la disponibile.

Se i legittimari sono più, occorre l’accordo di tutti perché la disposizione testamentaria abbia esecuzione.

Le stesse norme si applicano anche se dell’usufrutto, della rendita o della nuda proprietà è stato disposto con donazione.

Art. 551.Legato in sostituzione di legittima.

Se a un legittimario è lasciato un legato in sostituzione della legittima egli può rinunziare al legato e chiedere la legittima.

Se preferisce di conseguire il legato, perde il diritto di chiedere un supplemento, nel caso che il valore del legato sia inferiore a quello della legittima, e non acquista la qualità di erede. Questa disposizione non si applica quando il testatore ha espressamente attribuito al legittimario, la facoltà di chiedere il supplemento.

Il legato in sostituzione della legittima grava sulla porzione indisponibile. Se però il valore del legato eccede quello della legittima spettante al legittimario, per l’eccedenza il legato grava sulla disponibile.

Art. 552.Donazioni e legati in conto di legittima.

Il legittimario che rinunzia all’eredità, quando non si ha rappresentazione, può sulla disponibile ritenere le donazioni o conseguire i legati a lui fatti; ma quando non vi è stata espressa dispensa dall’imputazione, se per integrare la legittima spettante agli eredi è necessario ridurre le disposizioni testamentarie o le donazioni, restano salve le assegnazioni, fatte dal testatore sulla disponibile che non sarebbero soggette a riduzione se il legittimario accettasse l’eredità, e si riducono le donazioni e i legati fatti a quest’ultimo.

Sezione IIDella reintegrazione della quota riservata ai legittimari

Art. 553.Riduzione delle porzioni degli eredi legittimi in concorso con legittimari.

Quando sui beni lasciati dal defunto si apre in tutto o in parte la successione legittima, nel concorso di legittimari con altri successibili, le porzioni che spetterebbero a questi ultimi si riducono proporzionalmente nei limiti in cui è necessario per integrare la quota riservata ai legittimari, i quali però devono imputare a questa, ai sensi dell’articolo 564, quanto hanno ricevuto dal defunto in virtù di donazioni o di legati.

Art. 554.Riduzione delle disposizioni testamentarie.

Le disposizioni testamentarie eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre sono soggette a riduzione nei limiti della quota medesima.

Art. 555.Riduzione delle donazioni.

Le donazioni, il cui valore eccede la quota della quale il defunto poteva disporre, sono soggette a riduzione fino alla quota medesima.

Le donazioni non si riducono se non dopo esaurito il valore dei beni di cui è stato disposto per testamento.

Art. 556.Determinazione della porzione disponibile.

Per determinare l’ammontare della quota di cui il defunto poteva disporre si forma una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte, detraendone i debiti. Si riuniscono quindi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, secondo il loro valore determinato in base alle regole dettate negli articoli 747 a 750, e sull’asse così formato si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre.

Art. 557.Soggetti che possono chiedere la riduzione.

La riduzione delle donazioni e delle disposizioni lesive della porzione di legittima non può essere domandata che dai legittimari e dai loro eredi o aventi causa.

Essi non possono rinunziare a questo diritto, finché vive il donante, né con dichiarazione espressa, né prestando il loro assenso alla donazione.

I donatari e i legatari non possono chiedere la riduzione, né approfittarne. Non possono chiederla né approfittarne nemmeno i creditori del defunto, se il legittimario avente diritto alla riduzione ha accettato con il beneficio d’inventario.

Art. 558.Modo di ridurre le disposizioni testamentarie.

La riduzione delle disposizioni testamentarie avviene proporzionalmente senza distinguere tra eredi e legatari.

Se il testatore ha dichiarato che una sua disposizione deve avere effetto a preferenza delle altre, questa disposizione non si riduce, se non in quanto il valore delle altre non sia sufficiente a integrare la quota riservata ai legittimari.

Art. 559.Modo di ridurre le donazioni.

Le donazioni si riducono cominciando dall’ultima e risalendo via via alle anteriori.

Art. 560.Riduzione del legato o della donazione d’immobili.

Quando oggetto del legato o della donazione da ridurre è un immobile, la riduzione si fa separando dall’immobile medesimo la parte occorrente per integrare la quota riservata, se ciò può avvenire comodamente.

Se la separazione non può farsi comodamente e il legatario o il donatario ha nell’immobile una eccedenza maggiore del quarto della porzione disponibile, l’immobile si deve lasciare per intero nell’eredità, salvo il diritto di conseguire il valore della porzione disponibile. Se l’eccedenza non supera il quarto, il legatario o il donatario può ritenere tutto l’immobile, compensando in danaro i legittimari.

Il legatario o il donatario che è legittimario può ritenere tutto l’immobile, purché il valore di esso non superi l’importo della porzione disponibile e della quota che gli spetta come legittimario.

Art. 561.Restituzione degli immobili.

Gli immobili restituiti in conseguenza della riduzione sono liberi da ogni peso o ipoteca di cui il legatario o il donatario può averli gravati, salvo il disposto del n. 8 dell’articolo 2652. I pesi e le ipoteche restano efficaci se la riduzione è domandata dopo venti anni dalla trascrizione della donazione, salvo in questo caso l’obbligo del donatario di compensare in denaro i legittimari in ragione del conseguente minor valore dei beni, purché la domanda sia stata proposta entro dieci anni dall’apertura della successione. Le stesse disposizioni si applicano per i mobili iscritti in pubblici registri. (1)

I frutti sono dovuti a decorrere dal giorno della domanda giudiziale.

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rinuncia all eredità Art. 562.Insolvenza del donatario soggetto a riduzione.

Se la cosa donata è perita per causa imputabile al donatario o ai suoi aventi causa o se la restituzione della cosa donata non può essere richiesta contro l’acquirente, e il donatario è in tutto o in parte insolvente, il valore della donazione che non si può recuperare dal donatario si detrae dalla massa ereditaria, ma restano impregiudicate le ragioni di credito del legittimario e dei donatari antecedenti contro il donatario insolvente.

Art. 563.Azione contro gli aventi causa dai donatari soggetti a riduzione.

Se i donatari contro i quali è stata pronunziata la riduzione hanno alienato a terzi gli immobili donati e non sono trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione, il legittimario, premessa l’escussione dei beni del donatario, può chiedere ai successivi acquirenti, nel modo e nell’ordine in cui si potrebbe chiederla ai donatari medesimi, la restituzione degli immobili. (1)

L’azione per ottenere la restituzione deve proporsi secondo l’ordine di data delle alienazioni, cominciando dall’ultima. Contro i terzi acquirenti può anche essere richiesta, entro il termine di cui al primo comma, la restituzione dei beni mobili, oggetto della donazione, salvi gli effetti del possesso di buona fede. (1)

Il terzo acquirente può liberarsi dall’obbligo di restituire in natura le cose donate pagando l’equivalente in danaro.

Salvo il disposto del numero 8) dell’articolo 2652, il decorso del termine di cui al primo comma e di quello di cui all’articolo 561, primo comma, è sospeso nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta del donante che abbiano notificato e trascritto, nei confronti del donatario e dei suoi aventi causa, un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione. Il diritto dell’opponente è personale e rinunziabile. L’opposizione perde effetto se non è rinnovata prima che siano trascorsi venti anni dalla sua trascrizione. (2)

Art. 564.Condizioni per l’esercizio dell’azione di riduzione.

Il legittimario che non ha accettato l’eredità col beneficio d’inventario non può chiedere la riduzione delle donazioni e dei legati, salvo che le donazioni e i legati siano stati fatti a persone chiamate come coeredi, ancorché abbiano rinunziato all’eredità. Questa disposizione non si applica all’erede che ha accettato col beneficio d’inventario e che ne è decaduto.

In ogni caso il legittimario, che domanda la riduzione di donazioni o di disposizioni testamentarie, deve imputare alla sua porzione legittima le donazioni e i legati a lui fatti, salvo che ne sia stato espressamente dispensato.

Il legittimario che succede per rappresentazione deve anche imputare le donazioni e i legati fatti, senza espressa dispensa, al suo ascendente.

La dispensa non ha effetto a danno dei donatari anteriori.

Ogni cosa che, secondo le regole contenute nel capo II del titolo IV di questo libro, è esente da collazione, è pure esente da imputazione.

La riduzione delle donazioni e delle disposizioni lesive della porzione di legittima non può essere domandata che dai legittimari e dai loro eredi o aventi causa (1). Essi non possono rinunziare a questo diritto, finchè vive il donante, nè con dichiarazione espressa, nè prestando il loro assenso alla donazione. I donatari e i legatari non possono chiedere la riduzione, nè approfittarne (2). Non possono chiederla né approfittarne nemmeno i creditori del defunto, se il legittimario avente diritto alla riduzione ha accettato con il beneficio d’inventario

 Ma come si riducono le disposizioni lesive?

Ci rispondono gli artt. 558 e ss.

Come prima regola è stabilito che:

  1. A) AZIONE DI RIDUZIONE: azione personale che rende inefficaci le donazioni (o le disposizioni testamentarie) compiute dal de cuius in pregiudizio delle ragioni del legittimario;

  2. B) AZIONE DI RESTITUZIONE: se e solo se il legittimario, vittorioso nell’azione di riduzione, non trova capienza nel patrimonio di chi per donazione (o testamento) ha ricevuto beni per valore superiore alla quota disponibile, egli può rivolgersi all’attuale proprietario dei beni donati e pretenderne la restituzione.

Le donazioni effettuate in vita dal defunto si possono ridurre solo se il legittimario escluso o leso non trova di che soddisfare il suo diritto su quanto il de cuius ha lasciato alla sua morte.

Qualora si agisca in riduzione, innanzitutto si riducono le disposizioni testamentarie che eccedono la quota di cui il defunto poteva disporre, successivamente si riducono le donazioni partendo dall’ultima che ha provocato la lesione e via via risalendo a quelle precedenti. L’azione di riduzione può essere esercitata solo dopo la morte del de cuius; il futuro legittimario non può rinunciare a tale diritto finché vive il donante, né con dichiarazione espressa, né prestando il proprio assenso alla donazione (art. 557 c.c.).

  1. A) AZIONE DI RIDUZIONE: azione personale che rende inefficaci le donazioni (o le disposizioni testamentarie) compiute dal de cuius in pregiudizio delle ragioni del legittimario;

  2. B) AZIONE DI RESTITUZIONE: se e solo se il legittimario, vittorioso nell’azione di riduzione, non trova capienza nel patrimonio di chi per donazione (o testamento) ha ricevuto beni per valore superiore alla quota disponibile, egli può rivolgersi all’attuale proprietario dei beni donati e pretenderne la restituzione.

Le donazioni effettuate in vita dal defunto si possono ridurre solo se il legittimario escluso o leso non trova di che soddisfare il suo diritto su quanto il de cuius ha lasciato alla sua morte.

Qualora si agisca in riduzione, innanzitutto si riducono le disposizioni testamentarie che eccedono la quota di cui il defunto poteva disporre, successivamente si riducono le donazioni partendo dall’ultima che ha provocato la lesione e via via risalendo a quelle precedenti. L’azione di riduzione può essere esercitata solo dopo la morte del de cuius; il futuro legittimario non può rinunciare a tale diritto finché vive il donante, né con dichiarazione espressa, né prestando il proprio assenso alla donazione (art. 557 c.c.).

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 12 giugno 2014, n. 13407

il diritto reale di abitazione, riservato per legge al coniuge superstite (art. 540 cod. civ., comma 2), ha ad oggetto la casa coniugale, ossia l’immobile che in concreto era adibito a residenza familiare. Poiché, dunque, l’oggetto del diritto di abitazione mortis causa coincide con la casa adibita a residenza familiare, esso si identifica con l’immobile in cui i coniugi – secondo la loro determinazione convenzionale, assunta in base alle esigenze di entrambi- vivevano insieme stabilmente, organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare. In caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione dei diritti in parola. Se, infatti, per le ragioni esposte, il diritto di abitazione (e il correlato diritto d’uso sui mobili) in favore del coniuge superstite può avere ad oggetto esclusivamente l’immobile concretamente utilizzato prima della morte del “de cuius” come residenza familiare, è evidente che l’applicabilità della norma in esame è condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare; evenienza che non ricorre allorché, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi.

Ancora sul punto è tornata nuovamente la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 22 ottobre 2014, n. 22456

  • secondo la quale appunto il diritto reale di abitazione, riservato per legge al coniuge superstite…, ha ad aggetto la casa coniugale, ossia l’immobile che in concreto era adibito a residenza familiare” e “si identifica con l’immobile in cui i coniugi – secondo la loro determinazione convenzionale, assunta in base alle esigenze di entrambi – vivevano insieme stabilmente, organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare”; che “le espressioni usate dall’art. 540, comma secondo… non lasciano al riguardo spazi a dubbi interpretativi”, riferendosi “alla casa che dai coniugi era stata adibita a residenza familiare (dove il concetto di residenza, di cui all’art. 43, comma secondo, c.c., richiama la effettività della dimora abituale nella causa coniugale)”; che “la ratio della suddetta disposizione è da rinvenire non tanto nella tutela dell’interesse economico del coniuge superstite di disporre di un alloggio, quanto dell’interesse morale legato alla conservazione dei rapporti affettivi e consuetudinari con la casa familiare”, quali “la conservazione della memoria del coniuge scomparso, delle relazioni sociali e degli status simbols goduti durante il matrimonio”; che “l’art. 548 primo comma c.c. equipara, quanto ai diritti successori attribuiti dalla legge, il coniuge separato senza addebito al coniuge non separato”, ma “in caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare [fa] venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione dei diritti in parola”, sicché

  • “l’applicabilità della norma in esame è condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare, evenienza che non ricorre allorché, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi.

  • La questione, in tali precisi termini, è stata affrontata per la prima volta nella giurisprudenza di legittimità, per quanto consta, solo recentissimamente, con Cass. 12 giugno 2014 n. 13407, che l’ha risolta nel senso propugnato da R.L.: si è ritenuto, essenzialmente, che “il diritto reale di abitazione, riservato per legge al coniuge superstite…,

  • ha ad aggetto la casa coniugale, ossia l’immobile che in concreto era adibito a residenza familiare” e “si identifica con l’immobile in cui i coniugi – secondo la loro determinazione convenzionale, assunta in base alle esigenze di entrambi – vivevano insieme stabilmente, organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare”; che “le espressioni usate dall’art. 540, comma 2… non lasciano al riguardo spazi a dubbi interpretativi”, riferendosi

  • “alla casa che dai coniugi era stata adibita a residenza familiare (dove il concetto di residenza, di cui all’art. 43, comma secondo, c.c., richiama la effettività della dimora abituale nella causa coniugale)”; che “la ratio della suddetta disposizione è da rinvenire non tanto nella tutela dell’interesse economico del coniuge superstite di disporre di un alloggio, quanto dell’interesse morale legato alla conservazione dei rapporti affettivi e consuetudinari con la casa familiare”, quali “la conservazione della memoria del coniuge scomparso, delle relazioni sociali e degli status simbols goduti durante il matrimonio”;

  • che “l’art. 548 c.c., comma 1, equipara, quanto ai diritti successori attribuiti dalla legge, il coniuge separato senza addebito al coniuge non separato”, ma “in caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione dei diritti in parola”, sicchè “l’applicabilità della norma in esame è condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare, evenienza che non ricorre allorchè, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi”.

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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

Sentenza 19 giugno – 22 ottobre 2014, n. 22456

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29147/2008 proposto da:

R.L. nata a (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO LUIGI ANTONELLI 27, presso lo studio dell’avvocato UBALDI PATRIZIA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

R.E.;

– intimati –

Nonchè da:

R.E., (OMISSIS) elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE REGINA MARGHERITA 111, presso lo studio dell’avvocato BRIZZI SABINO, che lo rappresenta e difende;

– c/ric e ricorrente incidentale –

contro

R.L. nata, a (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO LUIGI ANTONELLI, 27, presso lo studio dell’avvocato UBALDI PATRIZIA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 2875/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/07/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/06/2014 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;

udito l’Avvocato UBALDI Patrizia, difensore della ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato BRIZZI Sabina, difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso principale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALVATO Luigi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale, inammissibilità ricorso incidentale.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 13 settembre 2004 il Tribunale di Roma respinse la domanda proposta da R.L., diretta ad ottenere la condanna di suo padre R.E. al pagamento di una indennità per il mancato godimento, da parte dell’attrice, di un appartamento di cui era stata spossessata dal convenuto pur essendone usufruttuaria per la quota di metà, per successione testamentaria alla madre M. M., deceduta il (OMISSIS). A tale decisione il giudice di primo grado pervenne osservando che a R.E. – il quale aveva esercitato con esito positivo azione di riduzione delle disposizioni testamentarie della moglie, come legittimario totalmente pretermesso – competeva, a norma degli artt. 540 e 548 c.c., il diritto di abitazione sull’immobile in questione, che aveva costituito la casa familiare fino alla separazione personale dei coniugi, intervenuta consensualmente nel giugno 1993.

Impugnata dalla soccombente, la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Roma, che con sentenza del 4 luglio 2008 ha rigettato il gravame, ritenendo che non fosse stata adeguatamente censurata la pronuncia di primo grado; è stata altresì disattesa, in quanto non proposta con impugnazione incidentale, la domanda dell’appellato di accertamento dell’inclusione, nell’oggetto del suo diritto di abitazione, del box auto di pertinenza dell’appartamento suddetto.

R.L. ha proposto ricorso per cassazione, in base a un motivo. R.E. si è costituito con controricorso, formulando a sua volta un motivo di impugnazione in via incidentale, cui R. L. ha opposto un proprio controricorso. Sono state presentate memorie dall’una e dall’altra parte.

Motivi della decisione

Con il motivo addotto a sostegno del ricorso principale R.L. lamenta che la Corte d’appello, ritenendo che la sentenza di primo grado non fosse stata impugnata adeguatamente sul punto, ha eluso la questione che le era stata posta, invece, in maniera specifica e puntuale: se R.E. fosse titolare del diritto di abitazione sull’appartamento oggetto della controversia, pur se al momento della morte di M.M. l’immobile da oltre cinque anni non era più la loro casa familiare, essendosene il marito allontanato fin dall’epoca della loro separazione.

La censura è fondata.

Dagli atti di causa – che questa Corte può direttamente prendere in esame, stante il carattere di error in procedendo del vizio denunciato: cfr. Cass. 10 settembre 2012 n. 15071 – risulta che R.L., nell’adire la Corte d’appello, aveva rivolto alla sentenza del Tribunale critiche precise e pertinenti, sostenendo la tesi che il diritto riservato dall’art. 540 c.c., non compete al coniuge superstite che al momento dell’apertura della successione, a seguito di separazione personale, non abita più in quella che era stata la casa familiare, poichè la norma intende assicurare una continuità di residenza che in tal caso è stata ormai interrotta.

Questo assunto viene ora ribadito da R.L., che conclude l’illustrazione del motivo posto a base del suo ricorso formulando il quesito: “Se sia conforme al disposto dell’art. 540 c.c., l’attribuzione del diritto di abitazione al coniuge superstite quando lo stesso sia legalmente separato e non più convivente nella casa oggetto della disposizione successoria”.

La questione, in tali precisi termini, è stata affrontata per la prima volta nella giurisprudenza di legittimità, per quanto consta, solo recentissimamente, con Cass. 12 giugno 2014 n. 13407, che l’ha risolta nel senso propugnato da R.L.: si è ritenuto, essenzialmente, che “il diritto reale di abitazione, riservato per legge al coniuge superstite…, ha ad aggetto la casa coniugale, ossia l’immobile che in concreto era adibito a residenza familiare” e “si identifica con l’immobile in cui i coniugi – secondo la loro determinazione convenzionale, assunta in base alle esigenze di entrambi – vivevano insieme stabilmente, organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare”; che “le espressioni usate dall’art. 540, comma 2… non lasciano al riguardo spazi a dubbi interpretativi”, riferendosi “alla casa che dai coniugi era stata adibita a residenza familiare (dove il concetto di residenza, di cui all’art. 43, comma secondo, c.c., richiama la effettività della dimora abituale nella causa coniugale)”; che “la ratio della suddetta disposizione è da rinvenire non tanto nella tutela dell’interesse economico del coniuge superstite di disporre di un alloggio, quanto dell’interesse morale legato alla conservazione dei rapporti affettivi e consuetudinari con la casa familiare”, quali “la conservazione della memoria del coniuge scomparso, delle relazioni sociali e degli status simbols goduti durante il matrimonio”; che “l’art. 548 c.c., comma 1, equipara, quanto ai diritti successori attribuiti dalla legge, il coniuge separato senza addebito al coniuge non separato”, ma “in caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione dei diritti in parola”, sicchè “l’applicabilità della norma in esame è condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare, evenienza che non ricorre allorchè, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi”.

Alla luce di questi principi – dai quali non vi è ragione di discostarsi, stante la loro coerenza con la lettera e lo scopo della norma da cui sono stati tratti – il ricorso principale deve essere accolto.

Ne consegue altresì, per le stesse assorbenti ragioni, il rigetto del ricorso incidentale, con il quale R.E. si duole del mancato accoglimento della propria domanda di accertamento dell’inclusione, nell’oggetto del preteso suo diritto di abitazione nell’appartamento in questione, del box auto di pertinenza.

Accolto pertanto il ricorso principale e rigettato l’incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte d’appello di Roma, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale; rigetta l’incidentale; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2014.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2014.