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CAMIONISTI RIMORCHI NON HA SEMPRE TORTO NEGLI INCIDENTI

CAMIONISTI RIMORCHI NON HA SEMPRE TORTO NEGLI INCIDENTI

ha l’obbligo non solo di dare la precedenza ai veicoli provenienti da destra, ma ha anche l’obbligo, derivante dalla comune prudenza, di assicurarsi prima di svoltare, che non sopravvengano veicoli a tergo,

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… NON HA SEMPRE TORTO NEGLI INCIDENTI. CAMIONISTI RIMORCHI NON HA SEMPRE TORTO NEGLI INCIDENTI basta dare la colpa sempre ai camionisti negli incidenti.

  1. Chi tampona ha torto o ragione?
  2. Come capire chi ha ragione in un incidente?
  3. Chi stabilisce il concorso di colpa in un incidente stradale?
  4. Cosa fare se mi tamponano e scappano?

 

 

Responsabilità civile e penale connessa alla circolazione …

 

 

 

 

Incidente auto: chi ha ragione? [Archivio]

 

 

Art. 189 Comportamento in caso di incidente – Codice della …

 

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L’autista del T. non ha dunque superato il principio di paritetica responsabilità poiché il conducente di un veicolo a motore che, ad un crocevia fra strade pubbliche, debba svoltare a sinistra, ha l’obbligo non solo di dare la precedenza ai veicoli provenienti da destra, ma ha anche l’obbligo, derivante dalla comune prudenza, di assicurarsi prima di svoltare, che non sopravvengano veicoli a tergo, ai quali spetta al pari la precedenza, addirittura, ancorché si trovino in una illegittima fase di sorpasso. In questo caso non vi fu sorpasso, ma un inserimento dell’auto, intenzionata a svoltare a sinistra, in zona interdetta mentre il mezzo pesante si spostava verso sinistra. L’autista, non avendo verificato, come avrebbe dovuto, la libertà posteriore del proprio campo di manovra, impattò lo specchietto laterale destro dell’auto, che per tale motivo, si spostò sull’opposta corsia. Ciò, si ripete, è attestato dagli esiti di consulenza tecnica che fanno riferimento alla velocità tenuta dall’auto in affiancamento e all’angolo di “uscita” della stessa nell’opposta corsia ove è avvenuto lo schianto fatale Correttamente il Giudice argomenta in tal senso ed afferma che “considerata la lunghezza dell’autoarticolato ne consegue che verosimilmente al momento del contatto l’autovettura si trovava da alcuni istanti nella porzione della carreggiata delimitata da linee di raccordo ed evidenziata da strisce zebrate ” e di conseguenza che ” data la posizione di quiete dell’autoarticolato Man, quest’ultimo non era sicuramente fermo al momento dell’urto contro la Mercedes” e che dunque la presenza dell’autovettura Mercedes sulla sinistra dell’autoarticolato Man fosse percepibile dal conducente P. qualche istante prima del contatto tra i due veicoli.

 

Corte d’Appello Venezia, Sez. IV, Sent., 11/12/2020, n. 3266

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI VENEZIA

SEZIONE QUARTA CIVILE

Composta dai Signori Magistrati

Dott. Giovanna SANFRATELLO – Presidente

Dott. Lisa MICOCHERO – Consigliere

Dott. Adele SAVASTANO – Consigliere est.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella CAUSA CIVILE in grado di appello iscritta al n. 2437 del Ruolo Generale dell’anno 2016

TRA

U.U.C., (C.F. (…)), rappresentato e difeso dall’Avv.to SEMENZATO COSTANZA e dall’Avv.to PRANDO RICCARDO ((…)) Indirizzo Telematico; e con domicilio eletto in Indirizzo Telematico

PARTE APPELLANTE

CONTRO

E.C. , (C.F. (…)),rappresentato e difeso dall’Avv.to TOGNON SERGIO e dall’Avv.to BROCCA CLAUDIA ((…)) CORSO DEL POPOLO 70 VENEZIA MESTRE; TOGNON CRISTIANA ((…)) VIA S. EUFEMIA N. 1 35100 PADOVA; TOGNON JACOPO ((…)) VIA S. EUFEMIA 1 35121 PADOVA; e con domicilio eletto in VIA S. EUFEMIA, 1 35121 PADOVA

PARTE APPELLATA

U.U.C. , rappresentato e difeso dall’Avv.to PRANDO RICCARDO e dall’Avv.to e con domicilio eletto in Indirizzo Telematico

PARTE APPELLATA

A.P.

PARTE APPELLATA CONTUMACE

  1. S.C. ,

PARTE APPELLATA CONTUMACE

V.A. S.P.A. , (C.F. (…)), rappresentato e difeso dall’Avv.to TOGNON SERGIO e con domicilio eletto in VIA S. EUFEMIA N. 1 35112 PADOVA

PARTE APPELLATA

N.R. , (C.F. (…)),rappresentato e difeso dall’Avv.to ROCCA RICCARDO e con domicilio eletto in VIA NAVIGAZIONE INTERNA 51 35129 PADOVA

PARTE APPELLATA

D.M. , (C.F. (…)), rappresentato e difeso dall’Avv.to TOGNON SERGIO e dall’Avv.to BROCCA CLAUDIA ((…)) CORSO DEL POPOLO, 70 30170 MESTRE; TOGNON CRISTIANA ((…)) VIA S. EUFEMIA N. 1 35100 PADOVA; TOGNON JACOPO ((…)) VIA S EUFEMIA 1 35121 PADOVA; e con domicilio eletto in VIA S. EUFEMIA, 1 35121 PADOVA

PARTE APPELLATA

G.I. S.P.A. , (C.F. (…)), rappresentato e difeso dall’Avv.to CALCAGNO MARCELLO e dall’Avv.to KUSSTATSCHER ANNA ((…)) VIA TOMMASEO 15 PADOVA; e con domicilio eletto in PIAZZA A. ORIANI, 3/4 16154 GENOVA

PARTE APPELLATA

Oggetto: appello avverso la sentenza n.2375/2016 del Tribunale di Padova emessa in data 3.8.2016

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La complessa vicenda oggetto del processo, riguarda i danni conseguenti a un sinistro stradale mortale accaduto il 29 settembre 2011, verso le ore 22.25 sulla SS Romea, in cui perse la vita D.M..

Per tale vicenda, in primo grado, furono instaurati tre procedimenti, successivamente riuniti (n. 5405/12 R.G., 13101/13 R.G. e 11138/13 R.G.) In via di fatto, il sinistro avvenne, nel tempo e luogo sopra indicati, lungo un tratto rettilineo della S.S. n. 309 “Romea” all’altezza dell’intersezione con la laterale sinistra S.R. n. 105 “Cavarzere Romea”, laddove la carreggiata che presenta due corsie, una per senso di marcia, si allarga per l’inserimento di corsie di preselezione per la svolta e di accelerazione e decelerazione per l’immissione da e per la S.R. n. 105.

Le corsie di preselezione erano e sono precedute da apposite isole di traffico realizzate da strisce zebrate, comprese fra la doppia linea continua di mezzeria e le strisce orizzontali di raccordo.

I veicoli coinvolti nel sinistro erano:

– il complesso veicolare costituito da una motrice DAF FT XF 105 510, tg. (…) e un semirimorchio Schmits tg. (…), condotti da R.

N., che procedeva secondo la direttrice di marcia Venezia – Chioggia. Il trattore era utilizzato da R.N. in forza del contratto di leasing 18 settembre 2008 con P.F.I. s.r.l. ed era assicurato con I.A. s.p.a.;

– l’automobile Mercedes classe A 180, tg. (…), condotta dalla persona deceduta, D.M., che procedeva da Chioggia verso Venezia. L’automobile era di proprietà di E.C. e assicurata con V.A. s.p.a.;

– il complesso veicolare rumeno MAN tg. (…)- (…), di proprietà di S.B. s.r.l e condotto da A.P., che procedeva verso Venezia.

Nella causa 5405/2012, l’autotrasportatore N.R., conducente del complesso veicolare DAF, aveva agito per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali subiti, che quantificava in Euro 67.042,85, (detratta la somma di Euro 50.000 già versata da G.I. per polizza K.) nei confronti della proprietaria dell’automobile Mercedes classe A, E.C. e della compagnia V.A. s.p.a..

In tale causa si costituiva V.A. (E.C. rimaneva contumace) chiedendo di dichiarare l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria e, nel merito di respingere la domanda per difetto di legittimazione attiva e, comunque, valutando il concorso di colpa dell’attore.

Nella causa riunita n.1301/2013, D.M. e E.C., genitori della deceduta D.M., e V.A. ( assicuratrice dell’auto di proprietà di C.E. e condotta da D.M.), avevano agito per ottenere da U. il risarcimento dei danni non patrimoniali quantificati in Euro 230.000 per ciascun genitore, citando come litisconsorte la società proprietaria del complesso veicolare MAN e quindi, B. srl.

In tale causa U., costituendosi, eccepiva l’improcedibilità perché gli attori non avevano comunicato ad A.I. srl ( soggetto delgato da U. per la gestione del sinistro) i propri codici fiscali e chiedeva il rigetto delle domande attoree, poiché il procedimento penale era stato archiviato sul presupposto che la M. avesse effettuato un sorpasso vietato, invadendo la corsia ove transitava, in senso opposto, il T. di R.N. e colpendo” di rimbalzo ” il T. condotto da P., ed, in via subordinata, contestava il quantum risarcitorio richiesto.

Nella causa 11138/13 G.I., avendo corrisposto a N.R., locatario del complesso veicolare DAF, la somma di Euro 50.000, surrogandosi al proprio assicurato, aveva agito nei confronti di U., di B. srl e dell’autista P. (proprietaria e conducente del complesso veicolare MAN) per il rimborso dell’indennizzo ed U. (assistito da Avv. Costanza Semenzato) costituendosi, aveva chiamato in causa E.C., proprietaria dell’automobile. B. srl e P. erano rimasti contumaci

In questo procedimento si era costituita V.A. che aveva chiesto il rigetto della domanda di U. verso C.E., considerando unico responsabile dell’incidente P.A. ed in subordine, contestato il quantum risarcitorio richiesto da R.N., aveva chiesto dichiararsi comunque, il concorso di colpa minoritario di M.D.. U., costituendosi aveva chiesto il rigetto della domanda di G.A. negando qualsiasi responsabilità di P. e, in via subordinata, chiedendo l’accertamento del quantum ed, in via riconvenzionale, il diritto di regresso di U. verso E.C. con richiesta di manleva/regresso di quanto U. fosse condannata a pagare in favore di parte attrice in caso di accertamento di corresponsabilità di P.

D.M., E.C., V.A. e G.I. richiamavano la ricostruzione operata dal CTP Dinon e dal CTU Gherardo Fais nell’ambito del procedimento n. 5405/2012, laddove al sinistro veniva data parziale diversa ricostruzione, ritenendo plausibile un primo contatto tra l’autovettura ed il T. condotto da P. all’altezza dello specchietto retrovisore destro con manovra evasiva della M. che si spostava nell’opposta corsia di marcia venendo investita dal T. condotto da R.N..

Le richieste di prove orali erano state rigettate, mentre, a seguito della riunione degli originari procedimenti, le parti erano state invitate dal Giudice ad interloquire sulla CTU dinamica, svolta nel procedimento n. 5405/2012 e, all’esito, il CTU aveva depositato una nota integrativa con chiarimenti.

Con sentenza n. 2375/2016 del 3.8.2016, il Giudice del Tribunale di Padova accertava la corresponsabilità del sinistro, nella misura del 50%, di P.A. e D.M., condannando U. a risarcire il danno nei confronti di D.M. ed E.C. nella misura di Euro 100.000 ciascuno oltre rivalutazioni ed interessi; condannava E.C. e V.A. in solido a risarcire il danno subito da R.N. nella misura di Euro 27.159,00 oltre interessi ed oltre agli interessi sulla somma di Euro 77.209,00 come devalutata al settembre 2011 e rivalutata annualmente fino al pagamento da parte di G. della somma di Euro 50.000 e sulla somma residua sino alla sentenza; condannava quindi A.P., B. srl , U. ed E.C. in solido, al pagamento in favore di G.I. della somma di Euro 50.050,00 oltre interessi dalla sentenza al saldo e interessi sulla somma devalutata al momento del pagamento da parte di G. e rivalutata di anno in anno fino alla sentenza, con accertamento del diritto di regresso di U. nei confronti di E.C. per il caso che U. fosse obbligato al pagamento nei confronti di G.I. di una somma eccedente l’effettiva quota di corresponsabilità del 50%.

Quanto alle spese di CTU esse venivano poste a carico per il 50% di E.C. e V.A. e per il residuo 50% a carico di P.B. e U.. Quanto alle spese processuali esse erano poste a carico di C. e V.A. verso R.N.; P.B. srl U. e C. verso G.I.; U. nei confronti di M.D. e E.C.. In particolare il Giudice

1) rigettava l’eccezione di U. di improcedibilità della domanda risarcitoria di M.D. e E.C. per mancata comunicazione dei CF, affermando che la mancata trasmissione di questo dato non aveva impedito ad A.I. di svolgere la propria istruttoria e prendere posizione sul sinistro, ritenendo la causa del sinistro totalmente addebitabile alla deceduta, rigettando quindi, per tale motivo, la richiesta risarcitoria, stragiudizialmente avanzata. L’omissione di trasmissione del CF, contestata da U., come causa di improcedibilità dell’azione giudiziale, non aveva, quindi avuto, secondo il giudicante, alcuna incidenza in ordine alla possibilità della società assicuratrice di provvedere alla valutazione del danno. Il risarcimento era stato negato, all’esito dell’istruttoria comunque svolta dall’Assicurazione, per ragioni sulle quali l’omessa comunicazione del CF era assolutamente ininfluente.

2) In ordine alla ricostruzione del sinistro stradale, il Giudice attribuiva responsabilità paritetica nella causazione dell’evento, ex art. 2054 c.c., a P.A. e M.D.. Valutava a tal fine, le indagini svolte in sede penale ed in particolare le dichiarazioni rese nell’immediatezza da P.A. e N.R.; la CTU dinamica svolta da Gherardo Fais (ritenuta pacificamente utilizzabile nei procedimenti riuniti anche se svolta in uno di essi, essendo stato garantito il contraddittorio). Dava particolare rilievo al distacco dello specchietto laterale destro dell’auto della M., alle tracce di un contatto per “strisciamento” sulla fiancata destra dell’auto, in zona compatibile con le dimensioni del T. condotto dal P., all’angolo d’ingresso dell’auto nell’opposta corsia di marcia, alla velocità dell’auto al momento dell’impatto e alla più che probabile intenzione della M., di svoltare a sinistra per raggiungere la propria abitazione. Riteneva infatti che questi fossero elementi determinanti da cui desumere che l’auto , mentre si inseriva nella corsia di canalizzazione per la svolta a sinistra, transitando nella zona “zebrata” preclusa al transito, aveva subito un urto da parte del T. di P., a sua volta intento a svoltare a sinistra, e che esso fosse antecedente all’urto principale con il T. proveniente dall’opposta corsia, in cui l’auto si era spostata non già nell’esecuzione di un sorpasso proibito, ma solo perchè costretta dalla necessità di evitare l’investimento da parte del T. di P. che l’aveva già attinta.

3) Riteneva, di conseguenza, che il P. non avesse superato la presunzione di paritetica responsabilità, gravando su di lui anche l’obbligo di ispezionare con il proprio specchio retrovisore, lo spazio di manovra retrostante il mezzo, prima di iniziare lo spostamento a sinistra per operare la svolta e per evitare che altri veicoli ( come nella specie avvenuto alla M.) anche tenendo una condotta scorretta ma prevedibile, stessero eseguendo la stessa manovra. In ciò si discostava dalle conclusioni del CTU che aveva ritenuto “imprevedibile” dall’autista del T., la presenza dell’auto nella corsia laterale. Ad avviso del Giudice di prime cure, il P. non avrebbe provato di avere effettuato un “regolare cambio di corsia” nel rispetto delle norme che impongono comportamenti prudenziali anche al fine di prevenire eventuali manovre imprudenti di altri utenti della strada. Riteneva, peraltro, non provato il superamento della presunzione neppure dagli attori, considerata la posizione irregolare della M. anche al momento del primo urto. Riconosceva dunque il diritto dei genitori al risarcimento per la perdita del rapporto parentale e, valutando gli elementi allegati e quelli desumibili in via presuntiva e considerato il concorso di colpa, lo quantificava in Euro 100.000 per ciascun genitore.

4) Quanto al risarcimento dei danni occorsi al T. di R.N., affermata la legittimazione ad agire dello stesso, in presenza di contratto di leasing, richiamava la CTU tecnico estimativa dell’ing. Fais che aveva quantificato in Euro 62.604,58 oltre IVA i costi documentati di ripristino del mezzo, integralmente rimborsabili considerando la non larga eccedenza rispetto al valore ante sinistro del mezzo; riconosceva la somma di Euro 11.400,0 oltre IVA per il fermo tecnico considerato il valore e la durata della locazione di altro mezzo; le spese di recupero del mezzo ( Euro 450,00 oltre IVA) ; negava l’esistenza di danno da lucro cessante e di altre spese risarcibili. Quantificava la somma residua dovuta ( considerata quella già pagata da G.I. per polizza K.) in Euro 27.159,00 e interessi specificamente computati; riconosceva il diritto di surroga ex art. 1916 c.c. di G.I. per il pagamento effettuato nei confronti di P.; Soc. B. e U. e, per effetto di estensione della domanda da parte di U., anche verso il terzo chiamato, E.C. gravando la stessa dell’obbligo di rimborsare a U. quanto questi fosse stato, eventualmente, chiamato a pagare oltre la quota di responsabilità di P.;

5) In ordine alle spese processuali, condannava C. e V. verso N.R.; U. nei confronti di G.I.; U. e B. srl nei confronti di C. e M.. Le spese di CTU erano poste a carico per il 50% di U., P. e B. ed il rimanente 50% a carico dei chi deve rispondere della condotta di guida di M.D.

Contro tale sentenza proponevano separati appelli in via principale U. (quale soggetto già costituito nella causa n. 13101/2013 r.g. del Tribunale di Padova) e, con diverso difensore, U. (quale soggetto già costituito nella causa n. 11138/2013 r.g. del Tribunale di Padova) Si costituivano tutti i convenuti appellati nei due giudizi riuniti (ad esclusione del P. e di B. che venivano dichiarati contumaci); V.A. s.p.a. nonché M. e C. ed E.C. impugnavano a loro volta in via incidentale la sentenza di primo grado.

Essendo stata respinta la richiesta di sospensiva, U. provvedeva ad ottemperare ai provvedimenti di condanna a suo carico di cui alla sentenza di primo grado.

Le cause di appello venivano riunite e veniva fissata udienza di precisazione delle conclusioni per l’11.12.2019. Essendo deceduto il legale di V.A. s.p.a., la Corte dichiarava il procedimento interrotto. Con ricorso depositato il 16.12.2019, U., riassumeva il processo di appello portante e la Corte fissava la nuova udienza di p.c. al 22.4.2020. In ragione dell’emergenza sanitaria la Corte con Provv. dell’8 aprile 2020, dichiarava l’urgenza del procedimento che, all’udienza dematerializzata del 22.4.2020, veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini ordinari di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

L’appellante U. (difesa dall’Avv. Prando) censurava la sentenza di cui chiedeva integrale riforma, nella parte in cui

1) Aveva respinto l’eccezione di improponibilità della domanda così come azionata da E.C. e D.M.. L’appellante richiamava il disposto letterale degli artt. 145 e 148 Codice delle Assicurazioni e la sentenza C.Cost. 18 aprile 3 maggio 2012 n.111 affermando l’irrilevanza, ai fini dell’improponibilità dell’azione, della condotta dell’assicuratore che non abbia chiesto l’integrazione documentale

2) nella parte in cui aveva respinto la richiesta di rinnovazione della c.t.u. svolta nella causa n. 5405/2012 r.g. ove U. (quale soggetto già costituito nella causa n. 13101/2013 r.g. del Tribunale di Padova) non era parte . Sostiene l’appellante che la successiva sottoposizione al CTU di considerazioni scaturenti dalle obiezioni mosse dal CTP di U., non valga a sanare l’iniziale difetto di contraddittorio tra tutte le parti interessate;

3) nella parte in cui, in applicazione dell’art. 2054 II comma c.c., aveva ritenuto sussistente il concorso colposo paritario di A.P. e D.M. nella produzione dell’evento dannoso del 29.9.2011. L’appellante sostiene che il Tribunale , in ciò discostandosi anche dalla CTU Fais ( che aveva ritenuto: non prevedibile dal P. la presenza dell’auto sulle strisce zebrate ed assenti elementi univoci per ritenere sussistente un tempo di reazione sufficiente per percepirne la presenza ed adottare una manovra correttiva), abbia erroneamente individuato un profilo di corresponsabilità paritaria del P., fondandosi su elementi, (tra cui principalmente il distacco dello specchietto retrovisore dell’auto, in realtà mai rinvenuto e che pertanto avrebbe potuto già essere mancante) non idonei a scalzare il profilo di grave colpa addebitabile alla M., per avere circolato in zona interdetta, sorpassando il T. del P. in prossimità di un crocevia; censurava inoltre, la mancata considerazione dell’archiviazione motivata del procedimento penale a carico di quest’ultimo.

Proponeva appello in via principale anche U. ( Avv. Semenzato). In questo caso l’appellante da un lato censurava la sentenza nei medesimi punti e con le medesime argomentazioni già svolte da U. ( Avv. Prando), chiedendo la restituzione da parte di G.A. di tutte le somme ricevute in esecuzione della sentenza di primo grado e, dall’altro, proponendo due ulteriori profili di censura della sentenza, contestandola laddove il Giudice non aveva sottratto dalla somma di Euro 50.000 corrisposta da G. a R.N., il valore del mezzo “antesinistro” . In accoglimento di tale motivo di appello chiedeva la restituzione da parte di G. delle maggiori somme erogate da U. in esecuzione della sentenza; contestava, infine, la omessa condanna alle spese di lite di E.C. nella causa 11138/2013 con riferimento alla domanda riconvenzionale svolta dalla stessa.

Si costituivano V.A. e C.E. che, in via principale, chiedevano il rigetto degli appelli di U. ed in via di appello incidentale chiedevano di affermare la colpa prevalente di P.A. nella produzione dell’evento lesivo e, di conseguenza, di condannare U.U.C. soc. cons. arl a restituire a V.A. spa quanto pagato in eccedenza a G.I. spa rispetto alla minor quota di spettanza in funzione della minore colpa di D.M..

Si costituivano inoltre D.M. ed E.C. che chiedevano, in via principale, il rigetto dell’appello ed, in via incidentale, con il primo motivo si associavano alla richiesta di V.A. di considerare prevalente il profilo di colpa di P.A. rispetto a quello della figlia D.M. e, con il secondo, chiedevano di vedere riconosciuta, a titolo di danno da perdita parentale, la somma di Euro 230.000 ciascuno, considerando il particolare ed intenso legame con l’unica figlia deceduta.

Si costituiva R.N., chiedendo di dichiarare la propria carenza di legittimazione passiva in ordine alle richieste svolte dagli appellanti in via principale ed incidentale.

Si costituiva G.A. che, quanto all’appello promosso da U. (Avv. Semenzato) chiedeva ne venisse dichiarata l’inammissibilità o comunque che sia questo che l’appello U. ( Avv. Prando), venissero rigettati.

Ritiene la Corte che tanto gli appelli svolti in via principale che quelli svolti in via incidentale vadano rigettati, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Si prende in considerazione, in primo luogo, per ragioni di priorità logica l’eccezione svolta da G.A., in ordine all’inammissibilità di uno dei due appelli proposti con diverso difensore, da U., previa individuazione di quello da dichiarare inammissibile perché “successivo”. Ritiene la Corte che l’eccezione sia infondata. I due appelli risultano, in primo luogo “contemporanei” in quanto sia notificati che iscritti a ruolo nella medesima data (rispettivamente il 27.9.2016 ed il 28.9.2016) il che imporrebbe una scelta puramente formale e fondata sul casuale numero progressivo di ordine di iscrizione che , di per sé è priva di valenza in ordine alle valutazioni da compiere. Per quanto possa essere discutibile la scelta di U. di proporre due separati appelli, motivando esclusivamente “sull’autonomia delle cause riunite nello stesso processo” (come avvenuto avanti al Tribunale di Padova) e sulla “costituzione in primo grado di due distinti procuratori”, tuttavia ritiene il Collegio di respingere l’eccezione proposta, in base alla valutazione della peculiare situazione di contemporanea proposizione degli appelli, che ha impedito anche a G., che solleva l’eccezione, di individuare con precisione l’appello “inammissibile”, se non sotto il profilo che , come già esposto, è puramente casuale, di numero di iscrizione e, soprattutto, alla luce della circostanza che sia intervenuto il provvedimento di riunione,

Gli appelli riuniti proposti da U., sono, comunque, entrambi, da rigettare

Si esamineranno dapprima le doglianze comuni ai due atti originari e, poi, si prenderanno specificamente in considerazione le censure mosse alla sentenza da U. (difeso da Avv. Semenzato)

Va respinto il primo motivo di appello relativo al rigetto da parte del Giudice di prime cure dell’eccezione di improponibilità della domanda così come azionata da E.C. e D.M..

Anche molto di recente, la giurisprudenza ( cfr Sez. 3 , Sentenza n. 1829 del 25/01/2018), proprio richiamando la sentenza della Corte Costituzionale citata dall’appellante a sostegno della propria lettura, del coordinato disposto degli artt. 145 e 148 Codice delle Assicurazioni, in opposto caso, in cui il ricorrente voleva fare valere una interpretazione puramente formale del disposto della norma “cardine” di cui all’art. 145 Codice assicurazioni, “riducendo” quindi i propri obblighi comunicativi nei confronti dell’Assicurazione, ai termini letterali della norma, ha avuto modo di ribadire in modo condivisibile che “…. tale lettura è riduttiva perché non coglie la ratio legis della disposizione”

L’art. 145 Codice delle assicurazioni private, ha, infatti, un chiaro intento deflattivo, essendo evidente la finalità “di razionalizzazione del contenzioso giudiziario, notoriamente inflazionato, nella materia dei sinistri stradali, anche da liti bagatellari” (così Corte Cost., 3 maggio 2012, n. 111). Lo scopo del legislatore non è affidato soltanto alla prevista dilazione temporale (invero modesta) di sessanta/novanta giorni, ma – soprattutto – al procedimento ex art. 148 Codice delle assicurazioni private che, nel prescrivere una partecipazione attiva dell’assicuratore alla trattativa ante causam, mira a propiziare una conciliazione precontenziosa.

Affinché la procedura di risarcimento descritta nella norma ora citata possa operare è indispensabile, quindi, che la compagnia assicuratrice sia posta in condizione di adempiere al dovere impostole e, cioè, di formulare un'”offerta congrua” (cfr in proposito, Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 19354 del 30/09/2016) Ciò in forza di un requisito non formale ma sostanziale: poiché “la collaborazione tra danneggiato e assicuratore della r.c.a., nella fase stragiudiziale, impone correttezza (art. 1175 c.c.) e buona fede (art. 1375 c.c.)” per consentire all’assicuratore di effettuare l’accertamento e la valutazione del danno, attività finalizzate a una proposta conciliativa che sia concretamente riferibile agli elementi comunicati dal richiedente e potenzialmente idonea ad evitare il giudizio.

A tale finalità normativa di giungere alla “concreta praticabilità di una offerta congrua, meglio realizzabile (e non pretestuosamente eludibile)” fa riferimento in motivazione anche Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18940 del 31/07/2017. In particolare quindi la Corte Cost., 3 maggio 2012, n. 111, pone in relazione “l’onere di diligenza, a carico del danneggiato, con l’obbligo di cooperazione imposto all’assicuratore, il quale, proprio in ragione della prescritta specificità di contenuto della istanza risarcitoria, non potrà agevolmente o pretestuosamente disattenderla, essendo tenuto alla formulazione di una proposta adeguata nel quantum”. In definitiva perché l’azione risarcitoria possa essere considerata “improcedibile”, secondo la giurisprudenza, occorre che il danneggiato, “in violazione dei principi di correttezza (art. 1175 cod. civ.) e buona fede (art. 1375 cod. civ.), con la propria condotta abbia impedito all’assicuratore di compiere le attività volte alla formulazione di una congrua offerta ai sensi dell’art. 148″.

Ciò, come già detto, è da escludere, nel caso di specie, considerate le motivazioni del rigetto da parte dell’Assicurazione.

Alla luce di tali premesse, non può, dunque, che condividersi la motivazione del Giudice di prime cure che ha fatto riferimento, per rigettare l’eccezione preliminare qui riproposta, proprio alla completa istruttoria svolta dall’Assicurazione incaricata ed al rigetto della richiesta avanzata dai genitori di D.M. per ragioni riferite alla dinamica del sinistro che prescindevano, quindi, totalmente dalla omessa comunicazione del codice fiscale da parte dei richiedenti.

Va rigettato anche il secondo motivo di appello principale, relativo alla censura sull’utilizzo della CTU dell’Ing. FAIS.

Correttamente il Giudice di prime cure ha escluso qualsiasi inutilizzabilità della stessa, tenendo presente, con riguardo al rispetto del contradditorio, la valutazione da parte del Ctu, sollecitata dal Giudice, nel pieno contraddittorio tra le parti, anche delle obiezioni mosse alla perizia da parte di U.

Costituisce, infatti, un pacifico principio giurisprudenziale che il giudice di merito possa utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse o anche fra altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse, traendone elementi di convincimento. Tale principio, affermato anche con riferimento a perizie disposte in sede penale è, a fortiori, utilizzabile nel caso di specie, in cui il giudizio aveva ad oggetto una situazione di fatto rilevante in entrambi i processi (Cass civ sez 3, sentenza 6.5.2016 n.9242Cass. civ., Sez. V, 06/02/2009, n. 2904; Sez. III, 29/03/2007, n. 7767; Sez. III, 31/10/2005, n. 21115).

Va rigettata anche la terza doglianza relativa alla affermazione di paritetica responsabilità ai sensi dell’art. 2054 c.c., nella causazione del sinistro tra il conducente del T., P.A. e M.D..

Il Giudice di prime cure ha sottoposto ad accurato vaglio critico il compendio probatorio a sua disposizione, a partire dagli scarni atti del procedimento penale ed, in particolare dalle dichiarazioni rese dai conducenti dei mezzi pesanti , unici soggetti da cui furono assunte, poiché nessuna menzione venne eseguita dai verbalizzanti di eventuali dichiarazioni rese dal soggetto trasportato sul T. di P., il quale, evidentemente, anche considerata la sua posizione nell’abitacolo, non era, dunque, in grado di riferire alcunchè sull’evento). Tale ultima circostanza è il condivisibile motivo per cui il Giudice rigettò la richiesta di assumerne processualmente la testimonianza.

R.N. e P.A. rivestivano, fin dalle prime dichiarazioni alla PG, ruoli potenzialmente coincidenti con quelli di “indagati” ed, in ogni caso, di parti del processo civile. Correttamente dunque il Giudice, in motivazione, sottopone a serrata critica, ermeneutica e logica le stesse, confrontandole altresì con risultanze peritali e giungendo alla conclusione, logica e condivisibile, che il T. del P. al momento dell’urto con l’autovettura della M., non fosse affatto , come da lui riferito, già fermo nella corsia centrale e preceduto da un altro mezzo pesante (definito correttamente dal giudicante “veicolo fantasma”) ma fosse impegnato in una manovra, ancora incompleta, di svolta a sinistra, con occupazione progressiva della corsia centrale. Analogamente, in considerazione dell’ora notturna, della visuale prospettica opposta rispetto ai veicoli, del movimento del T. del P., e del brevissimo lasso di tempo intercorso tra l’avvistamento dell’auto e l’impatto con il proprio mezzo, revoca in dubbio, riconducendola a rango di “interpretazione”, la valutazione operata da R.N., della manovra eseguita dalla M., da lui descritta come di “sorpasso” del T., invece che come anticipata manovra dell’automobilista di immissione in corsia centrale di canalizzazione per effettuare la svolta a sinistra.

Ciò detto, il Giudicante ha esattamente proceduto alla valutazione delle risultanze peritali, espressamente motivando ed elencando, alla luce degli esiti di perizia gli elementi da cui inferiva la inverosimiglianza dell’opzione ( nuovamente contestata dall’appellante) secondo la quale il distacco dello specchio retrovisore destro dell’auto si fosse determinato in conseguenza della violenza dell’urto tra l’auto e il T. di R.N. e quelli che avvaloravano la ricostruzione dinamica del fatto in modo divergente da quella operata nel verbale di primo intervento dalla PG dove si era ipotizzato un sorpasso azzardato del T. del P. ad opera della M..

In particolare ha indicato: gli esiti dei test crash eseguiti dal perito, i segni di contatto strisciante tra auto e T. di P., compatibili con la lunghezza dell’autoarticolato in fase di spostamento nella corsia di preselezione; la velocità bassa ed in decelerazione dell’auto, incompatibile con una manovra di sorpasso e l’ angolo di ingresso dell’auto nell’opposta corsia. A ciò ha aggiunto una corretta valutazione della compatibilità della ricostruzione con la verosimile intenzione della M. di svoltare a sinistra all’incrocio per fare rientro a casa, considerando la residenza della stessa, l’ora e la circostanza che , a bordo dell’auto, vi fossero i due bambini, figli della stessa.

Si osserva, in primo luogo che per costante giurisprudenza di legittimità, è devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, pertanto, anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite dell’adeguata e congrua giustificazione del criterio adottato. Non vi è dubbio che il Giudice di prime cure ha nel caso di specie congruamente giustificato e motivato le scelte operate vagliando il materiale probatorio a disposizione.

La finalità perseguita era, infatti, quella di verificare, in presenza dello scontro tra veicoli, che aveva coinvolto l’autovettura della M. ed il T. di P.A. e R.N. se vi fossero elementi per ritenere superata la presunzione di paritetica attribuzione di responsabilità causale di cui all’art. 2054 c.c..

Correttamente quindi, il Giudice, valutando gli esiti di perizia, ha da un lato, escluso, contrariamente a quanto affermato dal CTP di parte attrice, che la condotta del R.N., nonostante le modeste inosservanze riscontrate dal perito nella condotta di guida dello stesso, fosse causalmente idonea a cagionare l’impatto, dall’altro ha concentrato l’attenzione sulla condotta del P. e su quella della M.. Ciò ha fatto alla luce della ricostruzione dinamica operata dal CTU che aveva individuato un primo urto tra l’auto della M. e il T. del P. in fase di spostamento centrale, all’altezza dello specchietto retrovisore destro dell’auto, urto avvenuto anteriormente all’invasione dell’opposta corsia di marcia ed al secondo fatale impatto con il T. del R.N.

Sul punto l’appellante ha mosso una specifica contestazione, revocando in dubbio la presenza dello specchietto della vettura della M. anteriore all’incidente in quanto non rinvenuto, e ribadendo che, comunque, la rottura dello stesso non sarebbe addebitabile al primo contatto “strisciante” con il mezzo del P., ma sarebbe in realtà riconducibile al successivo violento scontro con quello del R..

In ordine alla prima argomentazione, essa si presenta puramente ipotetica e non suffragata da alcun elemento di verosimiglianza, nonché smentita dai segni lasciati dallo specchietto sulla fiancata destra dell’auto e ben descritti dal CTU Fais proprio sulla base delle fotografie allegate dal CTP di parte U. Ing. Zamuner. Essi indicano con precisione, nel contesto della ricostruzione dinamica effettuata, ed a cui il Giudice, nella propria motivazione, si è fedelmente attenuto, che il mancato rinvenimento dello specchio è irrilevante.

Il CTU ha infatti persuasivamente esposto, ed il Giudice ha condiviso, le ragioni per cui la rottura è stata da lui attribuita ad un primo impatto “strisciante” tra l’autovettura ed il T. condotto dal P. ( cfr CTU pgg.32-34 ). In particolare la Mercedes, priva di danni evidenti alla fiancata destra, se non un infossamento sotto la zona dello specchio retrovisore destro, evidente nelle foto del CTP Zamuner, presentava il distacco dello specchio retrovisore destro. Osserva il CTU che “nelle prove di crash test lo specchio retrovisore sinistro che corrisponde alla zona direttamente interessata dall’urto, si proietta in avanti per lo cedimento dello snodo, mentre non altrettanto avviene per lo specchio destro non afferente alla zona dell’autovettura direttamente interessata all’urto” Prosegue il CTU affermando che “si ritiene di poter escludere che lo specchio retrovisore destro descritto si sia danneggiato a seguito dell’urto sulla porzione anteriore sinistra con l’autoarticolato DAF” ed ancora che “. … Considerato poi che la fiancata destra dell’autovettura è priva di altri danni evidenti appare verosimile che il distacco dello specchio retrovisore sia dovuto al contatto strisciante, limitato al solo retrovisore, fra l’autovettura e l’autoarticolato Man in una fase antecedente l’urto principale. Si osserva che al momento di detto contatto strisciante l’autovettura si trovava sicuramente alla sinistra dell’autoarticolato. …” Queste conclusioni sono state ribadite dall’ing. Fais nella relazione a chiarimenti del 16.10.2015 in risposta ai quesiti del Tribunale vertenti proprio sull’iniziale contatto tra l’autoarticolato MAN rumeno e la Mercedes condotta da M.D.

In esse il CTU ribadisce che proprio la visione dei danni riportati dall’auto nelle foto del CTP Zamuner conferma la ricostruzione e rende inequivoco che “il contatto avvenne mentre entrambi i veicoli si stavano spostando da destra verso sinistra e che in tale momento la Mercedes, che si trovava nella zona zebrata a sinistra del veicolo industriale” stava cercando di “sottrarsi” allo spostamento di quest’ultimo.

  1. nel proprio appello non ha portato elementi nuovi o diversi che smentiscano tale conclusione.
  2. contesta comunque l’attribuzione, su tali basi, di responsabilitàal P. ed in particolare di paritetica responsabilità, in quanto il Giudice, effettuando valutazione giuridica che, come ben esplicitato nella motivazione, compete in via esclusiva all’organo giudicante, ha ritenuto che nessuno dei due conducenti abbia superato la presunzione di paritetica responsabilitàdi cui all’art. 2054 c.c. La valutazione delle condotte di P. e M. nella determinazione del sinistro, essendo escluso qualsiasi contributo causale del R., non è come inferisce l’appellante in alcun modo “vincolata” dal provvedimento di archiviazione adottata nei confronti del P., considerata la natura di tale provvedimento e, comunque, il diverso criterio di attribuzione di responsabilità che sovrintende la valutazione in sede penale rispetto ai criteri civili, risultando, peraltro, ampiamente e, come già esposto, convincentemente, sottoposte a critica anche le conclusioni contenute nel rapporto di incidente su cui si fonda il provvedimento di archiviazione.

Il concetto di “prevedibilità” da parte dell’autista del T.. A.P., dell’inserimento dell’autovettura, in zona non consentita, è dunque valutazione strettamente giuridica che il Giudice di prime cure ha affrontato e risolto muovendo strettamente dalla presunzione ex art. 2054/1-2 c.c

In tale condizione, a fronte della condotta della M. che, nell’intento di anticipare la manovra di svolta a sinistra si è imprudentemente collocata in zona interdetta, sta la paritetica imprudente manovra dell’autista P., che ha iniziato la manovra di svolta a sinistra, senza controllare lo spazio retrostante il proprio mezzo, più alto e che quindi avrebbe consentito comunque ottima visibilità posteriore. L’esistenza di una manovra di sorpasso da parte della M. del mezzo del P. già fermo nella corsia centrale, con invasione della semicarreggiata opposta, manovra vietata da doppia linea continua in area di incrocio, ribadita da U. in sede di appello, a sostegno della tesi della responsabilità esclusiva o prevalente della conducente deceduta , è quindi condivisibilmente categoricamente esclusa dal Giudice in base alle precise risultanze documentali e di CTU già sopra riferite.

L’Ing. Fais nella relazione a chiarimenti 16.10.2015 (pagg. 12 e 13) indica tecnicamente le ragioni per cui non sia possibile ipotizzare una tale manovra da parte della M. ed esse non sono smentite dall’appellante.

L’autista del T. non ha dunque superato il principio di paritetica responsabilità poiché il conducente di un veicolo a motore che, ad un crocevia fra strade pubbliche, debba svoltare a sinistra, ha l’obbligo non solo di dare la precedenza ai veicoli provenienti da destra, ma ha anche l’obbligo, derivante dalla comune prudenza, di assicurarsi prima di svoltare, che non sopravvengano veicoli a tergo, ai quali spetta al pari la precedenza, addirittura, ancorché si trovino in una illegittima fase di sorpasso. In questo caso non vi fu sorpasso, ma un inserimento dell’auto, intenzionata a svoltare a sinistra, in zona interdetta mentre il mezzo pesante si spostava verso sinistra. L’autista, non avendo verificato, come avrebbe dovuto, la libertà posteriore del proprio campo di manovra, impattò lo specchietto laterale destro dell’auto, che per tale motivo, si spostò sull’opposta corsia. Ciò, si ripete, è attestato dagli esiti di consulenza tecnica che fanno riferimento alla velocità tenuta dall’auto in affiancamento e all’angolo di “uscita” della stessa nell’opposta corsia ove è avvenuto lo schianto fatale Correttamente il Giudice argomenta in tal senso ed afferma che “considerata la lunghezza dell’autoarticolato ne consegue che verosimilmente al momento del contatto l’autovettura si trovava da alcuni istanti nella porzione della carreggiata delimitata da linee di raccordo ed evidenziata da strisce zebrate ” e di conseguenza che ” data la posizione di quiete dell’autoarticolato Man, quest’ultimo non era sicuramente fermo al momento dell’urto contro la Mercedes” e che dunque la presenza dell’autovettura Mercedes sulla sinistra dell’autoarticolato Man fosse percepibile dal conducente P. qualche istante prima del contatto tra i due veicoli.

In definitiva in merito alla efficienza causale ed alla prevedibililtà e prevenibilità dell’impatto tra il T. di P. e l’auto della M., il Giudice afferma in modo convincente e non smentito dall’appellante, che il conducente P., giunto in prossimità dell’ingresso della corsia di preselezione, iniziava a spostarsi verso sinistra per immettersi in detta corsia “senza avvedersi o senza tener conto” della presenza dell’autovettura Mercedes in transito sull’area zebrata e diretta a sua volta verso la corsia di preselezione; in questa fase i due veicoli (Man e Mercedes) venivano in contatto, con conseguente avulsione dello specchio retrovisore destro dell’autovettura ed, a seguito del contatto strisciante, la conducente della Mercedes si spostava sulla sinistra per sottrarsi all’interferenza con l’autoarticolato Man e così facendo invadeva l’opposta corsia di marcia ad una velocità di circa 51,66 kmh

Il documentato contatto tra i due mezzi, consente, dunque, l’operare della presunzione ex art. 2054 c.c. senza che sia possibile evidenziare ragioni di “superamento” nell’una o nell’altra condotta dei conducenti ed in particolare in quella del P..

Tali conclusioni non potrebbero essere modificate all’esito di un’istruttoria orale posto che, come già anticipato, l’unico possibile testimone oculare del sinistro (il trasportato del P.) non ha reso alcuna dichiarazione ai verbalizzanti e che, comunque, in considerazione della sua posizione nell’abitacolo, dal proprio lato non poteva percepire la presenza della Mercedes della M.

Passando ora ai motivi di appello principale svolti specificamente da U. con Avv. Semenzato, essi vanno parimenti rigettati.

In particolare U. contesta la liquidazione a G.A. della somma di Euro 50.000,00, oltre accessori, osservando che l’erogazione di tale somma effettuata da G., che è conseguentemente la misura del relativo regresso, sarebbe eccessiva alla luce del valore antesinistro del mezzo assicurato (Euro 59.000,00), decurtato di quello del relitto (Euro 8.000,00) ed affermando, dunque, che solo il minor importo di Euro 43.000,00, costituirebbe il danno risarcibile.

In primo luogo si osserva che, correttamente, G. rileva la mancata impugnazione da parte di U., per quanto di ragione, del profilo complessivo di danno come riconosciuto dal Giudice di prime cure al R. e quantificato nel suo complesso in Euro 77.159,00, con attribuzione di una differenza di Euro 27.159,00, oltre interessi, proprio in considerazione della somma dallo stesso ricevuta, in via anticipata ,da G. di cui, con pronuncia dipendente, ha riconosciuto il diritto di surroga, ai sensi dell’art. 1916 c.c. Anche volendo comunque, considerare la domanda dell’appellante ristretta alla contestazione della somma di Euro 50.000, riconosciuta in via di surroga a G.I., nel procedimento in cui U. era parte, in ogni caso, la contestazione è nel merito infondata. Il mezzo di R.N. fu riparato e ciò è stato abbondantemente documentato dallo stesso ( doc 5, 7, 8). Il valore antesinistro del mezzo danneggiato non potrà dunque essere decurtato del valore del “relitto” poiché, appunto il mezzo fu riparato e di relitto non può parlarsi.

Il Giudice ha specificato che il riconoscimento in via di surroga della somma versata da G. è stato integrale poiché, come confermato dal CTU, i costi della riparazione non superavano “in modo notevole” il valore ante sinistro del mezzo, e l’indennizzo corrisposto da G. era inferiore all’ammontare dei danni.

Quanto al motivo di appello avente ad oggetto la dedotta omessa pronuncia in materia di condanna alle spese di C.E. in quanto parzialmente soccombente nei confronti di U. con riferimento alla causa originariamente rubricata n.11138/13 R.G, esso va rigettato poichè non si ravvisa soccombenza parziale, avendo U. chiamato in causa C. individuando nella stessa (in quanto proprietaria del mezzo condotto dalla figlia) la responsabile esclusiva del sinistro stradale.

Va rigettato anche l’appello svolto da V.A. in via incidentale condizionata all’accoglimento dell’appello principale e relativo al quantum della responsabilità da attribuire alla M.D.. A tal fine ci si riporta, integralmente alle ragioni del rigetto dell’appello svolto in via principale da U., valide, specularmente, anche con riferimento alla condotta di guida della M., essendo evidente la impossibilità di stabilire quale delle due condotte, egualmente imprudenti, assunte dagli autisti dei due mezzi coinvolti, abbia esplicato una eventuale maggiore efficienza causale nel sinistro.

Va rigettato anche l’appello svolto in via incidentale da C.E. e M.D. e relativo al quantum risarcitorio liquidato dal Giudice per il danno da perdita del rapporto parentale di cui si chiede l’aumento nei termini dell’originaria richiesta ( Euro 230.000 per ciascun genitore)

Ritiene la Corte che il Giudice abbia adeguatamente valorizzato, anche collocandosi leggermente al di sotto del massimo previsto per la liquidazione di tale tipo di danno nei confronti dei genitori (ed in assenza di tempestiva allegazione in merito alla circostanza che la perdita abbia riguardato l’unica figlia della coppia), facendo riferimento all’età ed alla ormai raggiunta autonomia della stessa, che era sposata e con due bambini. Non sono state allegate, neppure attraverso le prove orali, particolari circostanze che consentano di addivenire a diverso e maggiore riconoscimento di importi risarcitori.

Alla luce di tutti questi elementi appare evidente che debbano essere respinti gli appelli svolti tanto in via principale che in via incidentale con conseguente integrale conferma della sentenza impugnata.

Quanto alle spese del grado esse vengono poste a carico di U. Avv. Semenzato nei confronti di G.I. e vengono liquidate come in dispositivo e, considerate le reciproche soccombenze, compensate integralmente tra U. ( Avv. Prando) e M.D. , E.C. e V.A..

Nulla per le spese nei confronti di R.N. nei cui confronti vi è stata mera denutiatio litis.

Sussistono i presupposti per dichiarare gli appellanti principali U. ( Avv Semenzato); U. (Avv Prando) e le parti appellanti incidentali, tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione ai sensi dell’art.13, co.1 quater, del Testo Unico Spese di Giustizia n.115/02, così come modificato dalla legge di stabilità del 2013, co.17

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Venezia, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, definitivamente decidendo nella causa d’appello avverso la sentenza la sentenza n.2375/2016 del Tribunale di Padova emessa in data 3.8.2016 , così pronuncia:

– Rigetta gli appelli principali egli appelli incidentali e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;

– Condanna l’appellante U. alla rifusione delle spese del grado nei confronti dell’appellata G.I. che liquida a favore dei difensori che si dichiarano antistatari, in Euro 6.615,00 per compensi, oltre IVA, CPA e rimborso forfettario come per legge ;

– Compensa integralmente le spese del grado tra U. e M.D., C.E. e V.A.

– dichiara le parti appellanti principali e le parti appellanti incidentali tenute a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione ai sensi dell’art.13, co.1 quater, del Testo Unico Spese di Giustizia n.115/02, così come modificato dalla legge di stabilità del 2013, co.17

Conclusione

Così deciso in Venezia, il 15 settembre 2020.

giunto sul predetto campo agricolo con un autoarticolato composto da una motrice e da un semirimorchio, dapprima rimaneva impantanato con il predetto mezzo a causa del fango dovuto alle pregresse piogge, successivamente si faceva trainare dal lavoratore S.P. con un trattore agricolo, mantenendo tuttavia alzato, nella fase del traino, il cassone dell’autoarticolato che andava così a collidere con il conduttore più basso della linea elettrica, determinando lo scarico dell’elettricità sul mezzo e facendo sì che il B., toccando il veicolo con una mano, rimanesse folgorato decedendo sul posto.

In Codigoro (FE) il 16.02.2015

Tribunale Ferrara, Sent., 08/07/2020, n. 266

  • Sentenza

IntestazioneSvolgimento del processo – Motivi della decisioneP.Q.M.Conclusione

Intestazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI FERRARA

Il Tribunale di Ferrara, in composizione monocratica, in persona del giudice dott. Costanza Perri, alla pubblica udienza del 19 febbraio 2020 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

SENTENZA

nei confronti di:

  1. G.A., nato a C. (V.) il (…), ivi res.te in fraz. V., n. 27 – elett.te dom.to c/o lo studio dell’Avv. Silvia Gamberoni del Foro di Ferrara

-libero presente-

  1. Z.F., nato a B. (F.) il (…), ivi res.te ed elett.te dom.to in via G. C. C., n.34

-libero assente-

  1. S.P., nato a C. (V.) il (…), ivi res.te in via L. A., n.46 – elett.te dom.to c/o lo studio dell’Avv. Alessandro Falzoni del Foro di Ferrara

-libero assente-

IMPUTATI

  1. e Z.:
  2. A) per il reato p. e p. dagli artt. 113, 589 co. 1 e 2 c.p. perché, cooperando tra loro e agendo il G., in qualità di datore di lavoro e socio amministratore della Azienda Agricola C.N. di G.A.C. s.s. (unita locale della azienda agricola O. s.s. di G.A.C.), il Z., in qualità di datore di lavoro e legale rappresentante della ditta Z.F., per colpagenerica consistita in negligenza, imperizia e per colpaspecifica, consistita, per il G. nella violazione degli artt. 26 co. 1 lett. b) e 26 co. 3 e 3 bis D.Lgs. n. 81 del 2008, ovvero per aver omesso di fornire al lavoratore B.C. dettagliate informazioni sui rischi specifici, in particolare sul rischio di elettrolocuzione esistente sul campo agricolo sito in località P. di C. (F.) e di proprietà della azienda agricola O. s.s. di G.A.C., campo sul quale era presente una linea elettrica con un potenziale di 15.000 (quindicimila) volt e inoltre per non aver redatto il DUVRI (Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali) nonostante la presenza nel campo agricolo sopra indicato, in cui doveva avvenire la consegna di letame da parte del B. medesimo, di linee elettriche aeree e conduttori nudi di tensione, omettendo conseguentemente di porre in essere le azioni di collaborazione e coordinamento necessarie e ridurre i rischi di infortunio sul lavoro, colpa specifica consistita per Z. nella violazione dell’art. 26 co. 2 lett. a) D.Lgs. n. 81 del 2008, ovvero per non avere attuato una cooperazione nelle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro con l’Azienda Agricola C.N. di G.A.C. s.s., proprietaria del campo agricolo ove il proprio dipendente B.C. doveva scaricare del letame, ciò al fine di impedire contatti dell’autoarticolato condotto dal B. con le linee elettriche ad alta tensione ivi presenti, concorrevano a cagionare la morte del lavoratore B.C., il quale, giunto sul predetto campo agricolo con un autoarticolato composto da una motrice e da un semirimorchio, dapprima rimaneva impantanato con il predetto mezzo a causa del fango dovuto alle pregresse piogge, successivamente si faceva trainare dal lavoratore S.P. con un trattore agricolo, mantenendo tuttavia alzato, nella fase del traino, il cassone dell’autoarticolato che andava così a collidere con il conduttore più basso della linea elettrica, determinando lo scarico dell’elettricità sul mezzo e facendo sì che il B., toccando il veicolo con una mano, rimanesse folgorato decedendo sul posto.

In Codigoro (FE) il 16.02.2015

S.:

  1. B) per il reato p. e p. dagli artt. 41 co. 1, 589 c.p. perché, nelle medesime circostanze di tempo e di luogo di cui al capo che precede, per colpagenerica consistita in imprudenza, negligenza e imperizia, concorreva a cagionare la morte del lavoratore B.C., in particolare, dopo che l’autoarticolato condotto da B.C. si era impantanato sul terreno agricolo indicato al capo A), trainava in maniera imprudente e imperita il predetto autoarticolato con un trattore agricolo a lui in uso conducendolo sotto la linea dell’alta tensione senza curarsi che il cassone del mezzo da trainare fosse prima abbassato, così facendo il predetto cassone interferiva con la linea elettrica 15.000 volt presente sul terreno, determinando lo scarico dell’elettricità sui mezzi coinvolti e facendo sì che il B., toccando il veicolo da lui condotto con una mano, rimanesse folgorato decedendo sul posto.

In Codigoro (FE) il 16.02.2015

G.:

  1. C) per il reato p. e p. dall’art. 26 co. 1 lett. b) D.Lgs. n. 81 del 2008 perché, in qualità di datore di lavoro e socio amministratore della Azienda Agricola C.N. di G.A.C. s.s. (unita locale della azienda agricola O. s.s. di G.A.C.), ometteva di fornire al lavoratore B.C. dettagliate informazioni sui rischi specifici presenti sul campo agricolo sito in località P. di C. (F.) e di proprietà della azienda agricola O. s.s. di G.A.C., in particolare sul rischio di elettrolocuzione nonostante la presenza di una linea elettrica ad alta tensione.

Accertato in Codigoro (FE) il 16.02.2015

  1. D) per il reato p. e p. dall’art. 26 co. 3 e 3 bis del D.Lgs. n. 81 del 2008 perché, in qualità di datore di datore di lavoro e socio amministratore della Azienda Agricola C.N. di G.A.C. s.s. (unita locale della azienda agricola O. s.s. di G.A.C.), ometteva di redigere il DUVRI (Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali) nonostante nel campo agricolo in cui doveva avvenire la consegna del letame, si operasse in prossimità di linee elettriche aeree e conduttori nudi in tensione.

Accertato in Codigoro (FE) il 16.02.2015

Z.:

  1. E) per il reato p. e p. dall’art. 26 co. 2 lett. A) D.Lgs. n. 81 del 2008 perché, in qualità di datore di lavoro e legale rappresentante della ditta Z.F., non attuava una necessaria cooperazione nelle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro con l’Azienda Agricola di G.A.C., al fine di ridurre il rischio di infortunisul lavoro ed in particolare quanto indicato ai capi A) e B).

Accertato in Codigoro (FE) il 16.02.2015

Con l’intervento del Pubblico Ministero: dott. S. Davi V.P.O.

Dei difensori di fiducia: Avv.ti Silvia Gamberoni e Alessandro Falzoni del Foro di Ferrara, presente Avv. Falzoni per Garbin e S.; Avv. Marco Martines del Foro di Forlì-Cesena sost. per delega verbale dall’Avv. S. Sansavini per Zanetti

Del difensore della parte civile costituita M.G.: Avv. Renato Cappelli del Foro di Forlì

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il processo.

Con decreto ex art. 429 c.p.p. emesso dal Gup del Tribunale di Ferrara in data 21 dicembre 2017 gli imputati G.A., Z.F. e S.P. sono stati rinviati a giudizio per rispondere dei reati in rubrica loro ascritti.

M.G., in qualità di ascendente della vittima, si è ritualmente e tempestivamente costituita parte civile.

All’udienza del 12 giugno 2018, dichiarata l’assenza degli imputati ed aperto il dibattimento, le parti avanzavano le rispettive richieste di prova ammesse come da ordinanza a verbale.

Disposto breve rinvio stante l’imminente trasferimento presso altro ufficio giudiziario del magistrato titolare del processo, all’udienza del 15 febbraio 2019, innanzi al nuovo giudice, presente il solo coimputato G.A., si procedeva alla istruttoria dibattimentale con l’escussione dei testi Z.T., G.G., M.M., T.L., B.D. e S.M., Veniva assunto anche l’esame del consulente medico legale nominato dal P.M. dott. B.E..

L’istruttoria orale proseguiva alla udienza del 17 maggio 2019 con l’esame dei consulenti tecnici delle parti ed alla udienza del 2 ottobre 2019 con l’escussione del teste M.M., al termine del quale l’imputato G.A. si sottoponeva ad interrogatorio.

All’udienza del 12 febbraio 2020 chiuso il dibattimento le parti, previo deposito di memorie illustrative, rassegnavano le conclusioni di cui a verbale.

Disposto breve rinvio per repliche all’udienza del 19 febbraio 2020, all’esito della camera di consiglio, il giudice perveniva a decisione, come da separato dispositivo di cui era data immediata lettura in udienza, riservando la motivazione in 90 giorni.

La ricostruzione del fatto.

Il quadro probatorio emerso dal dibattimento avvalora l’ipotesi accusatoria formulata nei confronti degli odierni prevenuti.

La ricostruzione della dinamica fattuale del sinistro occorso al giovane B.C. risulta sufficientemente chiarita, quantomeno nelle sue linee essenziali, dal contenuto delle dichiarazioni rese dai testimoni presenti al fatto, dall’esame dei CT di parte nonché sulla base dell’analisi delle tracce e dei riscontri obiettivi rinvenuti in loco, nonostante le numerose incertezze e contraddizioni emerse nel corso dell’istruttoria; in sostanza essa appare in larga misura condivisa, in quanto i punti controversi in causa concernono le cause dell’infortunio nonché l’individuazione delle singole posizioni di garanzia in materia antinfortunistica, eventualmente rivestite dai soggetti interessati e di conseguenza dei profili di responsabilità emergenti a carico degli odierni imputati.

Ad ogni modo, ciò che è emerso all’esito della istruttoria è sostanzialmente che il B., autotrasportatore assunto alle dipendenze della ditta Z.F. sin dal febbraio 2007, verso le ore 9,40 del giorno 16 febbraio 2015, durante lo svolgimento della propria attività lavorativa, mentre era impegnato alla guida di un autoarticolato di proprietà della ditta per la quale lavorava, dopo aver effettuato una manovra di sollevamento del cassone ribaltabile per scaricare letame sul fondo agricolo di proprietà dell’Azienda O. di G.A. (fondo situato in località Pontemaodino di Codigoro), non riuscendo più a ripartire, poiché il veicolo si era impantanato nel terreno reso scivoloso dalle copiose piogge dei giorni precedenti, veniva agganciato ad un trattore agricolo della azienda proprietaria del terreno – alla cui guida in quel momento si trovava S.P., operaio dipendente di Azienda O. – per poi essere trainato per diversi metri con il cassone ancora sollevato che, data l’altezza, andava ad impattare contro i cavi dell’alta tensione.

Al momento del contatto B. si trovava ancora sul camion. Sceso dal mezzo e nuovamente riavvicinatosi alla cabina di guida lo stesso rimaneva folgorato non appena entrava a contatto con la carrozzeria dell’autoarticolato.

Alcuni operai della Azienda O. intervenivano per prestare soccorso al giovane B. in attesa dell’arrivo dei Vigili del Fuoco e del 118 prontamente allertati.

Nonostante le manovre di rianimazione praticate dal personale medico intervenuto sul posto in elisoccorso, non si poteva fare altro che constatare il decesso del povero B.C. avvenuto per arresto cardio-respiratorio da folgorazione.

Alla luce degli accertamenti medico-legali espletati dal CT dott. Elio Buora, nominato dal PM in data 19/02/2015, si riscontrava che il decesso di B.C., determinabile alle ore 10.00 circa del 16 febbraio 2015, era da ricondurre eziologicamente, in via esclusiva e diretta, all’infortunio occorsogli, ed in particolare ad una insufficienza cardio-respiratoria da fibrillazione ventricolare provocata da elettrocuzione da corrente elettrica industriale.

Il giovane lavoratore era stato attinto da una corrente elettrica ad alto voltaggio mediante “il contatto dell’arto superiore sinistro con una sorgente conduttrice costituita (in base alla dinamica dell’accaduto così come ricostruita sulla scorta delle emergenze testimoniali e dei dati clinici raccolti nella immediatezza del fatto) dalla portiera dell’autoarticolato venuto a contatto coi cavi dell’alta tensione, con sede di ingresso topograficamente dimostrabile a livello del bordo ulnare del polso sinistro recante segni specifici di lesione da energia elettrica dell’avvallo istologico già evidenziato nel corso dell’elaborato peritale. Il passaggio della corrente – si legge inoltre nella consulenza – è ricostruibile secondo un vertice mano – piedi con uscita a livello plantare come dimostrato dall’effetto resosi macroscopicamente evidente a livello della calzatura (cfr. ricostruzione fotografica) ed anatomicamente riscontrato (foto superfici plantari dei piedi) analogamente supportato a livello di diagnosi istopatologica. L’effetto letifero è da ricondursi al determinarsi del transito perturbativo a livello cardiaco con insorgenza di una fibrillazione ventricolare il cui inevitabile destino è l’arresto cardiaco irreversibile. Le modalità di accadimento in ambiente lavorativo all’aperto con modalità di scarica industriale ad alto voltaggio – in giovane soggetto in apparenti normali condizioni di salute al momento del fatto – non potevano rendere possibile sul posto alcuna manovra di soccorso efficace o, all’arrivo del personale sanitario, alcuna chance di sopravvivenza” (cfr. relazione scritta dimessa in atti all’esito dell’esame del consulente).

Il dott. M.M., ispettore U.P.G. in servizio presso lo SPSAL dell’Azienda U. di F., intervenne a distanza di solo un paio di ore la mattina in questione presso il terreno agricolo della Azienda O. di P., rinvenendo in loco l’autoarticolato, posizionato a circa un terzo dal bordo campo, con il cassone ancora sollevato nella sua massima altezza, che aveva intercettato la linea dell’alta tensione, il cumulo di letame appena scaricato sul retro del camion alto circa 20/25 metri ed il corpo dell’infortunato a terra a circa due metri e mezzo dalla portiera lato sinistro del mezzo. Il terreno era ancora zuppo di acqua a causa delle abbondanti piogge della sera precedente.

Nel corso del sopralluogo e a seguito degli accertamenti espletati, gli ispettori dell’Ausl contestavano a Z.F., in qualità di datore di lavoro dell’infortunato, e a G.A. quale titolare della ditta committente la fornitura di letame, la violazione rispettivamente:

– quanto al primo, dell’art. 26, comma 2, lett. a) del D.Lgs. n. 81 del 2008 in materia di obblighi connessi ai contratti di appalto o d’opera o di somministrazione, per non aver, in relazione ai fatti verificatisi il 16 febbraio 2015, attuato una cooperazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro con la controparte Azienda Agricola O. di G.A.C. s.s. che se comunicate e rispettate avrebbero impedito il contatto fra l’autoarticolato guidato dal B. con la linea elettrica da 15.000 Volt (con la conseguente prescrizione ex art. 20 del D.Lgs. n. 758 del 1994 di far adottare, in caso di scarico nei pressi di linee elettriche, idonee misure di prevenzione al rischio di contatto con tali mezzi quali ad esempio l’utilizzo di mezzi con scarico laterale e/o informazioni da reperire presso l’azienda committente in merito ai rischi presenti nella zona di scarico);

– quanto al secondo dell’art. 26, comma 1. lett. b) del D.Lgs. n. 81 del 2008 in materia di obblighi connessi ai contratti di appalto o d’opera o di somministrazione, per non aver, in relazione ai fatti verificatisi il 16 febbraio 2015, fornito dettagliate informazioni sui rischi specifici, con particolare riguardo al rischio di elettrocuzione, esistente sul campo agricolo in cui il lavoratore infortunato avrebbe dovuto spargere il letame, vista la presenza di una linea Enel da 15 mila Volt; nonché dell’art. 26, comma 3, del D.Lgs. n. 81 del 2008 in combinato disposto con quanto previsto dal comma 3 bis dello stesso articolo, per omessa redazione del DUVRI (Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali) nonostante nel campo agricolo ove doveva avvenire la consegna del letame si operasse in prossimità di linee elettriche aeree a conduttori nudi in tensione (vedi Allegato XI punto 4 D.Lgs. n. 81 del 2008). con la conseguente prescrizione ex art. 20 del D.Lgs. n. 758 del 1994 di fornire sempre e comunque ai lavoratori dipendenti e ai lavoratori delle ditte esterne informazioni relative ai rischi sulla sicurezza presenti nel proprio ambiente di lavoro, da dare con note scritte e/o similari: nonché di redigere sempre il DUVRI con qualsiasi ditta che debba operare con mezzi propri su terreni condotti dall’azienda agricola O. evidenziando le situazioni di rischio con particolare riferimento al rischio elettrico.

A carico dei predetti venivano elevati i verbali di contravvenzione, prescrizione ed ammissione al pagamento in materia di igiene e sicurezza nn. 2436 e 2437 (anch’essi dimessi in atti).

Pur dando attuazione alle prescrizioni loro impartite, gli imputati Z. e G. rimanevano inadempienti rispetto al pagamento delle sanzioni irrogate.

La violazione delle norme in materia di sicurezza, così come individuate nei verbali di contestazione di cui sopra, ha determinato, secondo l’ispettore M., il sinistro mortale in questione.

Ed invero, ha spiegato il teste, se le due aziende coinvolte avessero correttamente cooperato e si fossero coordinate per tempo, informandosi reciprocamente in ordine alla eventuale esistenza di fattori di rischi sul campo, segnatamente la presenza di una linea dell’alta tensione sul fondo individuato quale luogo di esecuzione della prestazione, avrebbero evitato la concretizzazione di quel rischio specifico che di fatto ha portato alla morte del B. per folgorazione: evento fatale che si sarebbe potuto prevenire e perciò evitare fornendo al lavoratore un camion dotato di cassone per lo scarico laterale, anziché dall’alto, del letame.

Inoltre, ha osservato il teste M., la totale assenza del DUVRI potrebbe aver ulteriormente indotto il lavoratore a sottovalutare i rischi ed i pericoli insiti nella attività da eseguire.

I Carabinieri della Stazione di Codigoro, intervenuti per primi sul posto (un campo agricolo situato in aperta campagna, dagli stessi descritto come un posto tutt’altro che semplice da raggiungere; cfr. pag. 1 dei rilievi fotografici effettuati dai CC Stazione Codigoro), riscontravano per prima cosa che il cassone dell’autoarticolato, ancora completamente sollevato, aveva agganciato i fili dell’alta tensione (cfr. foto 2, 3, 7 e 8). Accanto al camion, sul lato sinistro del conducente, si trovava disteso a terra il corpo esanime del povero B. (cfr. foto 4, 5 e 12).

Entrambi i mezzi coinvolti (l’autoarticolato della ditta Z. ed il trattore di azienda O.) avevano ancora il motore acceso (cfr. pag. 14 e 22 del verbale di fonoregistrazione del 15 febbraio 2019).

Le ruote della motrice dell’autoarticolato si erano affossate nella terra ancora bagnata e poiché il camion non riusciva ad uscire, essendosi impantanato, era stato agganciato con una grossa catena ad al trattore agricolo che lo aveva trainato per diversi metri (cfr. foto 9, 10, 11). Il terreno agricolo era fangoso, i mezzi vi affondavano le ruote per alcuni centimetri.

L’autoarticolato guidato dal B. aveva appena scaricato un grosso cumulo di letame ed altri due o tre cumuli più piccoli.

Sospettando che il rischio di elettrocuzione potesse essere ancora presente, i militari decidevano di far intervenire i tecnici dell’Enel.

Sul punto è stato sentito, quale testimone citato dalla difesa Z., M.M., che al tempo dell’accaduto si trovava a capo della unità operativa che gestiva il territorio interessato dal sinistro in esame. Il teste ha spiegato che in caso di “eventi” sulla linea elettrica il sistema è programmato per aprire automaticamente un interruttore di protezione che determina l’interruzione della linea.

Contestualmente l’evento viene segnalato alla centrale operativa. Normalmente i tempi di interruzione della linea corrispondono a frazioni di secondo, essendo gli interruttori estremamente veloci nell’aprirsi e chiudersi. Interruzioni e riprese possono alterarsi anche per più volte in funzione delle caratteristiche della linea ed in relazione alle modalità di segnalazione del guasto.

Quel mattino del 16 febbraio 2015 M. era intervenuto sul luogo dell’occorso a distanza di circa mezz’ora dall’accaduto, sicuramente dopo l’intervento dei pompieri e del personale sanitario del 118 che al suo arrivo erano già presenti.

Al suo arrivo M. constatava immediatamente che la parte superiore del pianale dell’autoarticolato era sollevata ed era venuta a contatto con la linea elettrica.

In quel momento certamente la linea non era in servizio.

Dal momento in cui su quella linea si era per la prima volta aperto l’interruttore, la corrente elettrica era rimasta staccata per circa una decina di minuti.

Dopo aver messo in sicurezza la linea i tecnici Enel, su espressa richiesta dei funzionari dello SPSAL, provvedevano a misurare la distanza fra il conduttore ed il piano di calpestio, che risultò essere di 8,80 metri.

Quella mattina sul campo erano presenti anche alcuni operai della ditta G..

T.L. si trovava ad una distanza di circa 150/200 metri dal luogo dell’accaduto.

Intento a tranciare le foglie delle carote a bordo del proprio trattore, col quale stava avanzando progressivamente proprio nella direzione dell’autoarticolato del B., T. si accorgeva che questo mezzo aveva sollevato il cassone per scaricare il letame.

Per effettuare lo scarico il camion aveva cercato di avanzare, ma da solo non vi era riuscito perché si era impantanato, scivolando sul terreno fangoso.

Per questo motivo l’autoarticolato era stato agganciato al trattore dello S. e trascinato per alcuni metri nel tentativo di tirarlo fuori dal pantano.

Avvicinatosi col trattore ai due mezzi fra loro agganciati, T. scendeva dal proprio veicolo e così anche il collega S. ed il conducente dell’autoarticolato (tutti e due ancora “sani”), coi quali il primo iniziava a parlare.

Nel corso del dibattimento T. ha inizialmente affermato che in quel momento egli non aveva ancora “visto la corrente”.

Portatosi poi ad una distanza di appena dieci metri circa dal camion del B.. T. notava che questi stava raggiungendo la parte posteriore del mezzo per controllare se il letame fosse stato interamente scaricato.

Una volta sinceratosi che il letame era sceso, B. tornava indietro verso la cabina di guida (la cui porta era rimasta aperta) e poggiava la mano sulla carrozzeria della motrice.

A questo punto T. si girava per risalire sul suo trattore, dando le spalle al B.. Solo alcuni secondi dopo, però, si voltava nuovamente verso il ragazzo che vedeva chiaramente precipitare a terra.

  1. interveniva immediatamente cercando di prestare soccorso al giovane, al quale praticava un massaggio cardiaco in attesa dell’arrivo del personale del 118.

Fin qui il racconto del T. risulta sostanzialmente chiaro, logico e coerente.

L’unico punto della deposizione sul quale il teste sembra vacillare si ha quando, rispondendo alle domande della difesa G., egli ha riferito – contraddicendosi palesemente rispetto a quanto dal medesimo appena asserito – di aver visto “le scintille” prima di scendere dal trattore. Orbene, rispetto a tale affermazione può ragionevolmente obiettarsi che se anche così fosse stato, non si comprenderebbe perché, sceso dal proprio mezzo e fermatosi a parlare con S. e B., T. non avesse avvertito i due della scarica di scintille che aveva visto provenire dai fili dell’alta tensione.

Quest’ultima sua versione, quindi, non regge.

Da ultimo T. ha precisato che quella stessa mattina un altro camion della ditta Z., giunto insieme a quello del B., aveva già scaricato un primo cumulo di letame sul terreno. Lo scarico era avvenuto più a bordo campo, a distanza di circa due metri più indietro rispetto a quello del B..

Generalmente gli ordini e le direttive ai fornitori su come e dove dovesse essere scaricato il letame venivano impartiti da A.G. quale titolare dell’azienda agricola committente.

D.B., altro dipendente dell’Azienda agricola O. presente il giorno dell’accaduto, ha dichiarato di essersi accorto dell’infortunio occorso al giovane B. solo in seguito alla folgorazione. Egli, infatti, in quel momento era intento a raccogliere carote a bordo del proprio trattore e non si era accorto di nulla almeno fino al tragico evento. Pochi secondi prima aveva solo percepito un “movimento generale”, perciò aveva alzato gli occhi dal proprio lavoro ed aveva visto S. alzare le mani in alto ed il B. girarsi e cadere a terra.

Su domanda del P.M. il teste B. ha precisato che generalmente il letame consegnato ad Azienda O. dai fornitori veniva da questi scaricato nelle parti in cui il campo in quel momento era libero. Era il padrone dell’azienda a fornire ogni indicazione ai fornitori.

Il giorno dell’infortunio al B. era presente anche S.M., operaio di Azienda agricola O. intento in quel momento a raccogliere carote a bordo del trattore guidato dal collega B..

  1. ha raccontato di aver udito il suono del clacson del motore guidato da T.L., il quale, mentre procedeva autonomamente dietro di loro a bordo di un altro trattore, con la mano alzata gli faceva cenno indicandogli qualcosa nella direzione del camion del B..

Giratosi nella direzione indicatagli dal collega, S. si accorgeva che il cassone dell’autoarticolato stava toccando i fili dell’alta tensione. Sia P.S. che il ragazzo alla guida dell’autoarticolato erano scesi dei rispettivi mezzi. S. stava gridando “Lascia stare, lascia stare … hai toccato i fili”. Il ragazzo si stava dirigendo dietro al camion, forse per controllare se fosse riuscito o meno a scaricare il letame.

  1. proseguiva nel proprio lavoro quando ad un certo punto T.L. richiamava nuovamente la sua attenzione dicendo: “Ha preso la corrente, ha preso la corrente”.

Giratosi nuovamente, S. vedeva il ragazzo precipitare a terra.

Nel corso del dibattimento si è proceduto anche alla escussione dei consulenti delle parli.

La consulenza offerta dal Geom. F.P. su incarico della difesa G. ha avuto ad oggetto la ricognizione dei luoghi dell’infortunio ed è pervenuta ad accertare che, qualora il letame fosse stato scaricato a bordo campo, l’autista del mezzo non sarebbe incorso in alcun rischio di elettrocuzione.

Più in particolare, basandosi sulle dichiarazioni del G. in merito soprattutto a quelle che, a suo dire, sarebbero state le consuetudini di lavorazione praticate in azienda, nonché su immagini del fondo ricavate da Google Earth e su rilievi topografici della zona effettuati nei giorni immediatamente successivi all’infortunio, il Geom. P. ha ritenuto di poter concludere nel senso che il B., contravvenendo all’ordine di scaricare il letame a bordo campo, si era avventurato col camion in mezzo al fondo cosi incorrendo nel rischio di elettrocuzione poi fatalmente verificatosi.

In merito alla formazione del personale di Azienda O., è stato poi sentito il dott. E.F., attuale Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione della ditta G., il quale, premettendo che i dipendenti avevano avuto tutti una adeguata formazione, col riferimento al DUVRI – ed alla relativa contestazione sollevata dai funzionari dello SPISAL – ha spiegato che l’obbligo per le aziende di valutare e comunicarsi eventuali rischi interferenziali non sussiste in caso di mera fornitura di materiali, a meno che non si tratti di lavori interrati o con rischi connaturati come ad esempio il rischio di esplosione, comunque da valutare in relazione alle caratteristiche del luogo ove eseguire la fornitura (“Solo se debbo effettuare determinate lavorazioni in vicinanza, allora sì che vengono attivate tutte le precauzioni”; cfr. pag. 10 del verbale di fonoregistrazione del 17 maggio 2019).

Così nel caso di specie, la circostanza che Azienda O. avesse commissionato alla ditta Z. il trasporto e la consegna di letame, e non anche la sua lavorazione (che avrebbe comunque richiesto l’utilizzo di specifiche macchine dette “botti spandiconcime”), esentava entrambe le aziende dal predetto obbligo.

La terza ed ultima consulenza, questa volta redatta su incarico della difesa Z., ha tentato di ricostruire la dinamica dell’infortunio, le sue cause e la rispondenza dei luoghi, dei mezzi sequestrati e delle procedure operative di lavoro seguite dall’azienda alla normativa antinfortunistica e alla buona pratica in materia di sicurezza sul lavoro.

A tal riguardo l’Ing. R.C., esaminati i documenti e le deposizioni assunte in dibattimento e valutate le caratteristiche del mezzo, ha ricostruito la dinamica incidentale ipotizzando che il B., entrato nel campo alla guida dell’autoarticolato, avesse scaricato il letame per poi impantanarsi col veicolo; essendosi impantanato egli chiedeva aiuto agli altri operai di azienda O.; il suo mezzo veniva quindi agganciato e trainato, con il cassone ancora rialzato, dal trattore di P.S.; a questo punto avveniva il “contatto e incastro” del cassone nel conduttore inferiore di fase della linea a 15 mila Volt; data la presenza di doppi specchietti laterali in dotazione su mezzi di grandi dimensioni come era l’autoarticolato in uso al B. quel giorno nel caso di specie la parte superiore del cassone era perfettamente visibile da parte del guidatore, così come anche, quindi, il relativo aggancio al cavo di fase della linea dell’alta tensione; prbabilmente a causa del contatto la linea ENEL subiva un primo distacco che originava a sua volta un primo temporaneo fuori servizio di linea; ciò che consentiva ai due operai, S. e B., di scendere illesi dai rispettivi mezzi; successivamente, trascorsa una decina di secondi, seguiva il riarmo della linea; poiché entrambi i mezzi erano gommati, probabilmente al ripristino in automatico della tensione di linea dopo il primo intervento, l’isolamento delle gomme, nonostante l’anomalia della situazione, faceva sì che la linea rimanesse in tensione fino a quando il B. toccando la leva di discesa del cassone, posta a fianco del sedile del guidatore, chiudeva il contatto a terra e toccando il telaio della cabina con la parte inferiore del polso sinistro rimaneva folgorato.

Nel corso dell’esame l’imputato G. ha dichiarato che gli accordi per la fornitura di letame erano stati presi telefonicamente fra lo stesso G. ed il titolare della ditta fornitrice, Z.F.. Tali accordi prevedevano che il giorno 16 febbraio due camion della ditta Z. avrebbero consegnato il concime nella zona artigianale di Ponte Maodino.

  1. conosceva già quella zona.

Il giorno della consegna, al mattino, G. “accompagnava telefonicamente in campagna” il primo autista della ditta Z., fornendogli le indicazioni per raggiungere il posto. A seguire dietro di lui c’era il B..

Quel giorno G. non era presente in azienda, ma si trovava a Ferrara.

Alla domanda del P.M. se durante gli accordi o comunque prima della consegna G. avesse parlato con lo Z. di fili elettrici presenti sul terreno o sul tipo di camion necessario per eseguire in sicurezza lo scarico, G. ha risposto asserendo che il letame non avrebbe dovuto essere scaricato in prossimità della linea elettrica, ma a bordo campo come da lui stesso indicato per telefono al primo autista.

La telefonata fra G. ed il primo autista era cessata ancora prima che questi effettuasse la manovra di scarico. Poi i due non si erano più sentiti.

A Z.G. non aveva mai comunicato le modalità precise di scarico.

L’imputato ha poi precisato che quando la sua azienda commissionava forniture era solita compilare il DUVRI.

In questo caso specifico, però, il documento non era stato compilato poiché si trattava di una fornitura occasionale.

Ogni altra volta, invece, il DUVRI era stato redatto anche per le forniture di letame.

Orbene, così riassunti gli esiti della prova orale, si osserva come, pur con qualche imprecisione, discrasia e difficoltà linguistica e ricostruttiva su taluni particolari, ad ogni modo dalle predette testimonianze e valutazioni tecniche sia emerso sostanzialmente che il camion guidato dal B. era entrato nel campo ed aveva alzato il cassone per scaricare il letame. Nell’avanzare per consentire la fuoriuscita del letame, il camion si era impantanato e, perciò, era stato agganciato con una grossa catena al trattore dello S. che lo aveva trainato per alcuni metri al fine di tirarlo fuori dal fango. Avanzando col cassone sollevato il camion era andato ad impattare contro i fili dell’alta tensione. Lo S. ed il B. erano scesi illesi dai rispettivi mezzi. Come riferito dai tre lavoratori presenti in quel momento, B., scendendo dal camion, si era portato sul retro per controllare se fosse riuscito a scaricare tutto il letame. Nel frattempo S., accortosi che il cassone aveva impattato contro i fili della linea elettrica, aveva provato ad avvisare il B., il quale (ciononostante, forse non percependo le grida dello S. per via dei motori delle macchine ancora accesi oppure, resosi conto dell’incaglio del cassone nei fili elettrici, tentando all’uopo di azionare la leva per abbassare il rimorchio) era tornato verso la cabina di guida e, dopo aver appoggiato la mano sinistra sulla carrozzeria, era rimasto folgorato.

Una ulteriore circostanza emersa dagli esami testimoniali è che di regola le indicazioni su quando, come e dove scaricare il letame venivano impartite ai fornitori direttamente ed esclusivamente dal titolare di Azienda O., G.A..

La qualificazione giuridica ed il giudizio di responsabilità.

Preliminarmente, va osservato che tutti gli odierni imputati rivestivano all’epoca dell’infortunio una specifica posizione di garanzia in materia antinfortunistica, che costituisce la fonte normativa di responsabilità penale in capo al soggetto individuato come responsabile degli obblighi di sicurezza, segnatamente:

– il datore di lavoro (nel caso di specie Z.F.), destinatario principale e naturale della normativa antinfortunistica, o soggetto dallo stesso delegato con specifica delega scritta all’osservanza delle norme di prevenzione infortuni conferita a persona affidabile, capace di assolvere i relativi compiti, munita di pieni poteri in tal senso, di autonomia decisionale e patrimoniale, affrancata da ogni ingerenza del delegante;

– il committente (G.A.), nella cui disponibilità permanga l’ambiente di lavoro, obbligato ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti di una impresa appaltatrice, e che consistono nel fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori circa le situazioni di rischio, nel predisporre quanto necessario a garantire la sicurezza degli impianti e nel cooperare con l’appaltatrice nell’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all’attività appaltata (cfr. fra le tante Cass. sentenza n. 26614 del 18 ottobre 2019);

– il lavoratore (S.P.) che, “per effetto di quanto previsto dall’art. 5, commi primo e secondo, lett. b), del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, è garante, oltre che della propria sicurezza, anche di quella dei propri colleghi di lavoro o di altre persone presenti, quando si trova nella condizione di intervenire per rimuovere le possibili cause di pericolo, in ragione di una posizione di maggiore esperienza. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata che aveva condannato per il reato di cui all’art. 590 cod. pen. un dipendente per non aver impedito la movimentazione – senza previo abbassamento della piattaforma aerea su cui si trovava con un collega assunto da poco – di un trabattello semovente che, abbattutosi al suolo a causa di un’asperità, li faceva precipitare procurando ad entrambi lesioni gravi”; cfr. Cass. sez. 4, sentenza n. 36452 del 15 maggio 2014).

Ciò premesso, quanto ai profili di colpa generica e specifica addebitati agli odierni imputati, ritiene il giudicante che il quadro probatorio emerso consenta di ravvisarne la sussistenza in modo chiaro ed univoco.

Anzitutto, come si accennava, la ricostruzione della dinamica dell’infortunio sia da parte dello Spisal che dei CCTT delle parti nella sostanza appare sufficientemente concorde; infatti le divergenze emerse e vertenti intorno alle due principali ipotesi formulate non comportano, come si preciserà, una discrasia rilevante e determinante al fine dell’accertamento sostanziale del fatto rispetto alle singole responsabilità giuridiche degli imputati, responsabilità che rimangono ferme a fronte, da un lato, delle iniziali gravi carenze ed omissioni imputabili a G. e Z., dall’altro del comportamento colposo dello Sturato che ha materialmente e causalmente concorso a cagionare l’evento infausto verificatosi ai danni del giovane B..

Si ritiene anzitutto la sussistenza della violazione degli obblighi in materia di scurezza sul lavoro così come correttamente contestati dai funzionari SPISAL agli odierni imputati G. e Z..

Ed invero, gli obblighi di cui all’art. 26. 3 comma, del D.Lgs. n. 81 del 2008, gravanti sui datori di lavoro/committenti in caso di contratti di appalto o d’opera o di somministrazione (promozione della cooperazione e del coordinamento mediante la elaborazione di un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare e, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenza, da allegare al contratto di appalto o d’opera e da adeguare in funzione dell’evoluzione dei lavori, servizi e forniture), non si si applicano alle mere forniture di materiali o attrezzature, salva la presenza dei rischi particolari di cui all’allegato XI dello stesso decreto che, nel compendiare i “lavori comportanti rischi particolari per la sicurezza e la salute dei lavoratori” individua al punto 4 i “lavori da eseguire in prossimità di linee elettriche aeree a conduttori nudi di tensione”.

Va da sé che alcuna eccettuazione dell’obbligo di redazione del DUVRI da parte del committente/datore di lavoro è configurabile nel caso in esame attesa la indubbia presenza dei fili elettrici dell’alta tensione che per intero attraversavano l’appezzamento di terreno individuato quale luogo di esecuzione della prestazione.

Sicché anche la questione sollevata dalle difese concernente la corretta individuazione e qualificazione dell’oggetto del contratto (se da ritenersi, cioè, quale mera fornitura di letame o vera e propria lavorazione mediante lo spargimento sul terreno) appare del tutto recessiva rispetto al dato obiettivo della comprovata esistenza del predetto fattore di rischio sul luogo di lavoro.

Lo stesso G.A. ha riferito in sede di esame che la propria azienda era solita attenersi a tale prescrizione (redazione del DUVRI) ogniqualvolta stipulasse contratti di fornitura di materiali con soggetti terzi. Nel caso specifico, il Documento in questione non era stato redatto perché – sempre a detta del G. – si trattava di una prestazione meramente occasionale.

E’ evidente come tale giustificazione non sia in alcun modo idonea a scriminare il comportamento omissivo in esame.

Né tanto meno può ritenersi che il G. quella mattina, comunicando telefonicamente col primo autista della ditta Z. e fornendo a quest’ultimo (e solo a quest’ultimo) informazioni su come raggiungere l’area e su dove scaricare il letame, abbia compiutamente ed adeguatamente assolto ai propri oneri informativi.

Ed invero, posto che tali dichiarazioni non hanno trovato alcun tipo di riscontro in dibattimento (non potendosi neppure inferire, da ciò che usualmente avveniva presso l’azienda O., che il G., nella circostanza specifica, avesse effettivamente impartito detto ordine, ovvero quello di scaricare a bordo campo), quand’anche le affermazioni dell’imputato avessero trovato conferma in qualche elemento probatorio, le stesse non varrebbero certo ad integrare il corretto adempimento dell’obbligo in esame.

Il DUVRI, infatti, è un documento che deve essere allegato al contratto di appalto/fornitura così come espressamente previsto dal comma 3 del menzionato art. 26. Ciò sta a significare che, quand’anche il contratto si perfezioni oralmente e non per iscritto, la comunicazione del rischio interferenziale deve necessariamente essere concomitante alla formazione dell’accordo, ciò evidentemente anche al fine di consentire all’appaltatore di predisporre mezzi, uomini e soluzioni consone ed adeguate ai rischi specificamente individuati nel Documento.

Dalla istruttoria dibattimentale è emerso che tale preventiva comunicazione fra le parti contraenti non vi era mai stata.

Correttamente, quindi, i funzionari SPISAL hanno dedotto che se i titolari delle due ditte coinvolte avessero promosso una cooperazione fattiva tesa ad individuare, nel caso specifico, il rischio di elettrocuzione, dato dalla presenza di una linea dell’alta tensione sul fondo, si sarebbe potuto e dovuto fornire al lavoratore un camion dotato di cassone laterale; ciò avrebbe certamente evitato, al momento della consegna e dello scarico del letame (a prescindere dall’esatta individuazione del punto del campo ove effettuare lo scarico), ogni rischio di impatto con la linea elettrica e, di conseguenza, il verificarsi dell’evento mortale.

Si osserva poi come neppure costituisca questione dirimente se il B. si fosse o meno reso conto di essere venuto a contatto con i fili dell’alta tensione.

Secondo la tesi sostenuta dalle difese degli imputati, dopo essere stato trainato dal trattore dello S., B. sarebbe sceso dal proprio mezzo proprio in quanto accortosi che il cassone era andato a collidere con i fili elettrici sovrastanti; per salvaguardare il camion, sottovalutando il rischio di elettrocuzione, il ragazzo sarebbe tornato in cabina ed avrebbe azionato la leva per abbassare il cassone e disancorarlo dai fili dell’alta tensione.

Secondo la ricostruzione della parte civile, invece, B. non si sarebbe mai potuto accorgere di aver toccato i fili dell’alta tensione (sia perché il cassone interamente sollevato gli impediva la visuale sia perché il rumore dei motori ancora accesi non gli consentivano di percepire le grida di S. e T. mentre questi tentavano di avvertirlo del pericolo) e sarebbe sceso dal camion al solo scopo di verificare se il letame fosse stato correttamente scaricato; una volta sinceratosene, egli sarebbe tornato in cabina ed avrebbe azionato la leva per abbassare il cassone ormai vuoto.

Nonostante le emergenze dibattimentali depongano in maniera più che coesa e coerente verso quest’ultima soluzione (si vedano a tal riguardo, in particolare, le deposizioni di tutti e tre i lavoratori della ditta O., i quali hanno concordemente riferito di aver visto il B. scendere ancora illeso dal camion per andare a verificare se il letame fosse stato interamente scaricato; se, al contrario, il B. fosse sceso per verificare l’impatto del cassone con i fili dell’alta tensione, i testimoni presenti se ne sarebbero accorti e lo avrebbero riferito, perché il ragazzo avrebbe guardato in alto e non invece a terra ove aveva appena scaricato il concime), quand’anche si volesse accedere alla prima, non si perverrebbe comunque ad escludere la responsabilità del datore di lavoro/committente per “fatto imputabile in via esclusiva al lavoratore”, contrariamente a quanto hanno tentato di sostenere le difese degli imputati.

A tal riguardo va quindi attentamente esaminata la problematica relativa all’eventuale incidenza causale di detto comportamento imprudente del lavoratore sulla serie causale preesistente, sotto il profilo dell’eventuale interruzione del nesso di condizionamento tra la condotta dei responsabili della normativa antinfortunistica e l’evento lesivo.

Come detto è mancata fra committente ed appaltatrice la preventiva comunicazione del rischio concretamente verificatosi ai danni del B.. Sicché certamente nessun dispositivo, prescrizione, accorgimento specifico suggerito dalle norme in materia o dalla buona tecnica veniva individuato e applicato per far fronte al pericolo, oggettivo e di grado elevato, di elettrocuzione; tanto più che, come riferito dallo stesso G., si trattava di una fornitura occasionale, nel senso che la ditta Z. non era solita effettuare quel tipo di prestazione a favore della azienda agricola O. (per la quale aveva già lavorato in passato, anche se erano trascorsi almeno più di cinque anni dall’ultima prestazione). Sicché i trasportatori di quella ditta non potevano essere al corrente (a meno che non ne fossero stati debitamente informati prima) della zona specifica ove scaricare il letame. Del fatto cioè che costituisse una buona prassi agricola scaricare il concime a bordo campo e che presso l’azienda O. si fosse soliti fare così i dipendenti della ditta Z. non potevano esserne a conoscenza.

Detta prassi, del resto, era funzionale solo alla migliore lavorazione del concime sul campo; essa cioè non costituiva (né tanto meno veniva attuata come tale) una regola atta a prevenire il rischio di elettrocuzione (ovvero il rischio che i mezzi utilizzati per scaricare il letame potessero venire a contatto con i fili dell’alta tensione presenti sul campo).

Ciò in effetti, oltre ad essere stato confermato anche dal consulente della difesa G., non risulta neppure essere stato mai codificato in alcun documento di valutazione dei rischi, di cui peraltro non vi è traccia agli atti del dibattimento; né è stata assunta prova della sua esistenza.

Orbene, la questione essenziale evidenziata sia dai predetti CCTT che dalle difese attiene all’individuazione di quella che viene ritenuta (dalle difese degli imputati appunto) l’unica causa tecnica dell’infortunio, ovvero la condotta imprudente, imprevedibile, abnorme del lavoratore, violativa di asserite specifiche prescrizioni impartite dal committente (come visto, però, non compendiate nel DUVRI, totalmente mancante, né preventivamente comunicate al B. e/o al suo datore di lavoro) e oggetto di informazione e formazione dettagliata di cui il lavoratore stesso era in possesso in quanto autotrasportatore esperto.

A riguardo, però, come si accennava sopra, dal complessivo quadro probatorio è emerso come si configuri più ragionevole e probabile l’ipotesi che il B. non si fosse reso conto della situazione e fosse uscito dal camion al solo scopo di verificare se fosse riuscito a scaricare interamente il cassone; se si fosse reso conto del pericolo in corso non si sarebbe nuovamente avvicinato alla cabina, né tanto meno avrebbe toccato la leva per abbassare il cassone.

Ad ogni buon conto, anche a voler dar credito alla prima ipotesi ricostruttiva, la manovra attuata dal B., pur decisamente incauta e avventata, non potrebbe certo costituire da sola causa sopravvenuta, eccezionale e imprevedibile, idonea ad interrompere il nesso causale, in quanto si inserirebbe comunque in un sistema organizzativo carente e manchevole ab origine sotto il profilo della tutela antinfortunistica, finalizzata anche a sopperire ad eventuali e inevitabili distrazioni o imprudenze dei lavoratori beneficiari di tale tutela, comprese le stesse vittime di infortunio, come riconosciuto dalla giurisprudenza costante in materia anche del Supremo Collegio.

Peraltro, a parte che non risulta affatto provato l’adempimento, da parte del datore, o di altri soggetti responsabili, dell’obbligo, sugli stessi incombente, di esercitare un efficace controllo e una diligente vigilanza sull’operato dei dipendenti (il datore di lavoro ha “il preciso dovere non di limitarsi ad assolvere normalmente il compito di informare i lavoratori sulle norma antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria che tali norma siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro”, v. Cass. 3/6/95 n. 6486; 10/2/05 n. 13251; 27/5/11 n. 27738 “il responsabile della sicurezza deve attivarsi per controllare fino alla pedanteria che i lavoratori assimilino le norme antinfortunistiche nella ordinaria prassi di lavoro”); ad ogni modo appare assorbente il rilievo che le prescrizioni antinfortunistiche sono dettate al fine precipuo di evitare che si verifichino eventi lesivi dell’incolumità fisica, intrinsecamente connaturati all’esercizio di talune attività lavorative, anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali disattenzioni, imprudenze o condotte comunque maldestre del dipendente (v. tra le altre, secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai costante, Cass. 14/12/84 n. 2719; 30/5/91 n. 5835; 14/9/91 n. 9568; 5/4/96 n. 3483), a meno che non integrino una condotta del dipendente del tutto eccezionale, imprevedibile, non preventivamente immaginabile, abnorme, avulsa dal tipo di lavorazione in corso, “ontologicamente e radicalmente lontano dalle ipotizzabili e, dunque, prevedibili imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro” o posta in essere in un ambito estraneo alle mansioni affidategli, esorbitante gli ordini, le direttive e il procedimento organizzativo (v. Cass. 30/9/93 n. 8962; 5/2/97 n. 952; 3/6/99 n. 12115; 12/9/06 n. 30039; n. 2614/’07).

Orbene, detta evenienza non è riscontrabile nel caso de quo, in cui non appare certo impensabile la possibilità del compimento di una operazione (quella propriamente di entrare col camion nell’appezzamento di terreno e di alzare ed abbassare il cassone al fine di scaricare il materiale oggetto della fornitura commissionata) che anzi si identifica con la stessa prestazione contrattuale.

Una simile condotta, che non esorbita certamente dalle mansioni della vittima, non si pone neppure come del tutto anomala, assurda e inconcepibile, atteso che non risulta poi così strano e abnorme assumere, anche solo sbadatamente, una posizione sbagliata o compiere un gesto rischioso in un contesto di estremo pericolo determinatosi a monte a causa di negligenze ed omissioni imputabili ai soggetti titolari di posizioni di garanzia.

A tal riguardo si osserva, infatti, come l’inosservanza delle norme di prevenzione infortuni da parte del datore di lavoro (nello specifico l’inosservanza degli obblighi contenuti nelle norme contestate e di quelle derivanti dalla buona tecnica) “ha valore assorbente rispetto al comportamento dell’operaio, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza” (v. Cass. 28/9/77 n. 11437; Cass. 26/1/90 n. 980; Cass. 2614/’07 sopra cit. “l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica”; 14/3/12 n. 16890 “l’errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti dei lavoratori non è invocabile da parte del datore di lavoro il quale, per la sua posizione di garanzia, risponde dell’infortunio sia a titolo di colpa diretta per non aver negligentemente impedito l’evento lesivo ed eliminato le condizioni di rischio che a titolo di colpa indiretta, per aver erroneamente invocato a sua scriminante la responsabilità altrui qualora le misure di prevenzione siano state inadeguate”; 7/6/05 n. 36339; 3/11/04 n. 3455; 19/4/07 n. 25502).

Nella fattispecie, infatti, qualora il committente ed il datore di lavoro avessero ottemperato al loro obbligo primario di predisporre e attuare concretamente tutte le cautele previste dalla prescrizioni antinfortunistiche e dalla buona tecnica, dettate, tra l’altro, proprio per prevenire comportamenti imprudenti, il rischio di elettrocuzione non si sarebbe mai concretizzato, perché il B. avrebbe eseguito la sua prestazione a bordo di un mezzo differente (dotato di cassone laterale e non verticale) sicché non si sarebbe potuto neppure configurare alcun comportamento eventualmente disaccorto dello stesso.

Una corretta preventiva comunicazione fra le parti avrebbero impedito l’infortunio occorso.

Quanto allo S., la sua indubbia posizione di garanzia al momento dell’infortunio – trattandosi di lavoratore dipendente esperto della azienda agricola O. – consente di formulare univocamente un giudizio di responsabilità a carico dello stesso, sia sotto il profilo oggettivo (la sua condotta avendo materialmente e causalmente concorso alla determinazione dell’evento), che sotto il profilo soggettivo, tanto più in considerazione delle specifiche circostanze dell’evento e degli specifici addebiti mossi, i quali attengono sostanzialmente ad una carenza nella comunicazione del rischio elettrico esistente in loco, noto allo stesso lavoratore, il quale pur conoscendo le caratteristiche del fondo sul quale lavorava e le prassi attuate in azienda (fra cui eventualmente quella di scaricare a bordo campo il letame) ciononostante, in maniera del tutto imprudente, trascinava col suo trattore l’autoarticolato del B. sotto i fili della corrente elettrica, così determinando la collisione fra il camion ed i fili dell’alta tensione. Alla vista del camion impantanato lo S., consapevole dei rischi connaturati al fondo sul quale da anni lavorava, avrebbe avuto il tempo materiale a disposizione per intervenire in aiuto del B. assumendo adeguate disposizioni a tutela del lavoratore; assumendo quindi un comportamento diverso da quello in concreto da lui tenuto.

Per quanto concerne le fattispecie contravvenzionali contestate agli imputati G. e Z. ai capi c) d) ed e) dell’imputazione, non essendo possibile pervenire ad una sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 129 c.p.p. in ragione di quanto emerso nel corso del dibattimento, non può che constatarsene la prescrizione. I predetti reati, invero, sono stati commessi, in base al capo di imputazione, in data 16 febbraio 2015. Sebbene siano intervenuti atti interruttivi, le contestate fattispecie contravvenzionali si prescrive nel termine massimo di 5 anni. Pertanto, in data 16 febbraio 2020 (in base al principio del favor rei) deve ritenersi intervenuta la prescrizione.

Il trattamento sanzionatorio.

Possono concedersi a favore di tutti e tre gli imputati le circostanze attenuanti generiche attesa l’incensuratezza, l’intervenuta ottemperanza tempestiva alle prescrizioni impartite dallo Spisal ed il corretto comportamento dagli stessi assunto nell’immediatezza e successivamente al tragico evento consumatosi.

Quanto alla commisurazione della pena, valutati i criteri di cui all’art. 133 c.p. ed in particolare la gravità delle rispettive colpe, la pregnanza delle rispettive posizioni di garanzia e la personalità degli imputati, si stima equa applicare:

– nei confronti di G. e Z. il minimo edittale di anni due di reclusione, pena diminuita per effetto delle circostanze attenuanti generiche alla pena finale di anni 1 e mesi otto di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali:

– nei confronti di S.P. il minimo edittale di anni due di reclusione, pena diminuita per effetto delle circostanze attenuanti generiche alla pena finale di anni 1 e mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Sussistono per tutti e tre gli imputati le condizioni normative per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale richiesto dai privati.

Visto l’art. 263 c.p.p. va disposta la restituzione dei veicoli in sequestro agli aventi diritto.

Le statuizioni civili.

In merito alle richieste della parte civile, premessa la sussistenza della legittimazione attiva di M.G. quale ascendente della vittima primaria, deve anzitutto rilevarsi che i danni, così come allegati dalla relativa difesa, non sono liquidabili in questa sede, poiché le prove assunte non consentono di accertarne il quantum debeatur.

E’ possibile allo stato pervenire solo ad una condanna generica al risarcimento del danno da reato ex artt. 185, 2 comma c.p. e 2059 c.c., inteso quale conseguenza sub specie di pretium doloris del fatto tipico di reato dianzi accertato, rimettendo le parti innanzi al giudice civile per l’accertamento e l’eventuale liquidazione del maggior danno ovvero delle altre poste di danno lamentate dalla danneggiata.

Più in particolare gli imputati vanno condannati al risarcimento in solido dei danni cagionati alla costituita parte civile che, in considerazione del vincolo parentale che la legava alla vittima primaria (come detto trattasi della nonna del giovanissimo C.B.), ha diritto a vedersi risarcito il danno non patrimoniale da perdita della predetta relazione parentale, da ritenersi accertato sulla scorta delle allegazioni puntuali e non specificamente contestate cosi come dedotte in giudizio dalla stessa parte civile.

In considerazione delle modalità del fatto, del tragico infausto evento e della giovanissima età del compianto C.B. può certamente ritenersi sin da ora provato il diritto della parte civile al risarcimento del predetto danno non patrimoniale nella misura di 25.000.00 Euro, tenuto anche conto che sino ad ora non sono mai state corrisposte somme in suo favore, ad alcun titolo.

Ne discende altresì la condanna degli imputati al pagamento, ex art. 539, 2 comma, c.p.p. di provvisionale di pari importo.

Gli imputati sono, altresì, tenuti alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile ex art. 541 c.p.p., spese che si liquidano come in dispositivo conformemente ai criteri di cui al D.M. n. 55 del 2014 in relazione alle fasi effettivamente espletate, alla complessità del processo e delle questioni di fatto e di diritto trattate.

P.Q.M.

Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.

dichiara

G.A. e Z.F. responsabili del reato a loro ascritto al capo A) e, concesse le circostanze attenuanti generiche, li condanna alla pena di 1 anno ed 8 mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.

dichiara

S.P. responsabile del reato a lui ascritto al capo B) e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di 1 anno e 4 mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Visto l’art. 163 c.p. ordina che l’esecuzione della presente sentenza resti condizionalmente sospesa per il termine di cinque anni.

Visto l’art. 175 c.p. concede agli imputati il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale richiesto dai privati.

Visto l’art. 263 c.p.p., dispone la restituzione dei veicoli in sequestro agli aventi diritto.

Visti gli artt. 538 e segg. c.p.p. condanna gli imputati in solido fra loro al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita M.G., da liquidarsi in separato giudizio civile, condannando sin d’ora l’imputato al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva pari ad Euro 25.000,00. Condanna, altresì, gli imputati in solido fra loro alla rifusione delle spese di costituzione e difesa in favore della parte civile, liquidandole in Euro 4.284,00 oltre spese generali, IVA e CPA.

Visto l’art. 531 c.p.p.

dichiara

non doversi procedere nei confronti di G.A. per essere i reati a lui ascritti ai capi C) e D) estinti per intervenuta prescrizione.

Visto l’art. 531 c.p.p.

dichiara

non doversi procedere nei confronti di Z.F. per essere il reato a lui ascritto al capo E) estinto per intervenuta prescrizione.

Visto l’art. 544 co. 3 c.p.p., fissa in giorni 90 il termine per il deposito delle motivazioni.

Conclusione

Così deciso in Ferrara, il 19 febbraio 2020.

Depositata in Cancelleria il 8 luglio 2020.