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BOLOGNA PER SEPARAZIONE AVVOCATO PER SEPARAZIONE

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affido condiviso di minori, assegnazione della casa coniugale, assegno di mantenimento, addebito della separazione, procedimenti limitativi della potestà genitoriale, istanze di versamento diretto di somme dovute dal coniuge obbligato.

Avvocato separazioni Bologna Sergio Armaroli offre consulenza  in diritto di famiglia presso il suo studio di bologna, ricevendo prevfio appuntamento.

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ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE

L’addebito della separazione è una forma di separazione giudiziale che comporta l’attribuzione della responsabilità della fine del matrimonio a uno dei due coniugi. In altre parole, il coniuge che ha causato la separazione viene ritenuto responsabile dell’insuccesso del matrimonio.

Per ottenere l’addebito della separazione, uno dei coniugi deve dimostrare che l’altro coniuge ha violato uno o più dei doveri coniugali previsti dall’art. 143 del codice civile, quali:

  • l’obbligo di reciproco rispetto, di fedeltà e di coabitazione;
  • l’obbligo di assistenza morale e materiale;
  • l’obbligo di collaborazione nell’interesse della famiglia.

La violazione di uno di questi doveri deve essere grave e deve essere stata la causa diretta della separazione.

In particolare, la giurisprudenza ha stabilito che i comportamenti che possono giustificare l’addebito della separazione sono:

  • il tradimento coniugale;
  • l’abbandono del tetto coniugale;
  • l’abuso fisico o psicologico sul coniuge o sui figli;
  • la tossicodipendenza o l’alcolismo cronico;
  • la prostituzione;
  • la condotta gravemente trasgressiva o immorale.

Se il giudice accerta l’addebito della separazione, il coniuge responsabile della fine del matrimonio può subire una serie di conseguenze, quali:

  • la perdita del diritto alla pensione di reversibilità;
  • la perdita del diritto all’assegno di mantenimento;
  • l’obbligo di corrispondere un’indennità di mantenimento al coniuge non responsabile.

L’addebito della separazione è una decisione importante che può avere conseguenze significative per la vita dei coniugi e dei figli. È quindi importante che la decisione venga presa con cautela, dopo un’attenta valutazione delle circostanze del caso concreto

ASSEGNAZIONE CASA CONIUGALE

L’assegnazione della casa coniugale è un provvedimento previsto dalla legge italiana che viene adottato dal giudice in caso di separazione o divorzio dei coniugi. Lo scopo dell’assegnazione è quello di garantire ai figli minori o maggiorenni non autosufficienti di continuare a vivere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, evitando che siano costretti ad abbandonarlo.

L’art. 337-sexies del codice civile prevede che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”. Ciò significa che il giudice, nell’adottare il provvedimento di assegnazione, deve valutare innanzitutto l’interesse dei figli, tenendo conto di fattori quali:

  • l’età dei figli;
  • le esigenze di frequenza scolastica e/o lavorativa;
  • le relazioni sociali e affettive;
  • le condizioni di salute.

In caso di affidamento esclusivo dei figli a uno dei coniugi, il giudice tende a disporre l’assegnazione della casa familiare proprio a quel coniuge. In caso di affidamento congiunto, il giudice deve valutare anche il diritto di proprietà e gli altri diritti che ciascun coniuge ha sull’immobile.

Il provvedimento di assegnazione della casa familiare è provvisorio e può essere modificato dal giudice in ogni momento, su istanza di uno dei coniugi o dei figli.

In particolare, il provvedimento di assegnazione può essere revocato se:

  • uno dei coniugi perde la potestà sui figli;
  • uno dei coniugi si dimostra inadeguato ad occuparsi della casa familiare;
  • uno dei coniugi si trasferisce in un’altra città o regione.

In caso di revoca dell’assegnazione, il coniuge che ha occupato la casa familiare deve restituirla all’altro coniuge.

In Italia, la prassi giurisprudenziale ha consolidato alcuni principi in tema di assegnazione della casa coniugale. In particolare, si è stabilito che:

  • l’assegnazione della casa familiare è un diritto del coniuge affidatario esclusivo dei figli, anche se non è proprietario dell’immobile;
  • l’assegnazione della casa familiare può essere disposta anche al coniuge collocatario prevalente dei figli, anche se l’affidamento è congiunto;
  • il coniuge assegnatario della casa familiare è tenuto a corrispondere all’altro coniuge un’indennità di occupazione, in proporzione alla sua capacità contributiva.

L’assegnazione della casa coniugale è un provvedimento importante che può avere un impatto significativo sulla vita dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti. È quindi importante che il giudice, nell’adottare il provvedimento, valuti attentamente l’interesse dei figli, tenendo conto di tutti i fattori rilevanti.

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L’infedeltà- così come il diniego di assistenza, o il venir meno della coabitazione- viola uno degli obblighi direttamente imposti dalla legge a carico dei coniugi (art. 143, secondo comma, cod. civ.): così da infirmare, alla radice, l’affectio familiae in guisa tale da giustificare, secondo una relazione ordinaria causale, la separazione. È quindi la premessa, secondo l’id quod plerunque accidit, dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, per causa non indipendente dalla volontà dei coniugi (art. 151, primo comma, cod. civ.).

Non per questo, tuttavia tale regolarità causale assurge a presunzione assoluta.

L’evento dissolutivo può rivelarsi già “prima facie“- e cioè, sulla base della stessa prospettazione della parte- non riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla condotta antidoverosa di un coniuge: come ad esempio, nell’ipotesi di un isolato e remoto episodio d’infedeltà (ma anche di mancata assistenza, o allontanamento dalla casa coniugale), da ritenere presuntivamente superato, nel prosieguo, da un periodo di convivenza.

Va da sé, infatti, che occorre l’elemento della prossimità (“post hoc, ergo propter hoc“): la presunzione opera quando la richiesta di separazione personale segua, senza cesura temporale, all’accertata violazione del dovere coniugale.

Diversamente, nel caso- infrequente, ma non eccezionale- di accettazione reciproca di un allentamento degli obblighi previsti dalla norma (come nel regime- secondo la definizione invalsa nell’uso- dei “separati in casa“), si prospetta un fatto secondario, accidentale e atipico, che contrasta l’applicabilità della regola generale di causalità: onde, il relativo onere probatorioincumbit ei qui dicit.

Spetterà quindi all’autore della violazione dell’obbligo la prova della mancanza del nesso eziologico tra infedeltà e crisi coniugale: sotto il profilo che il suo comportamento si sia inserito in una situazione matrimoniale già compromessa e connotata da un reciproco disinteresse. In una parola, in una crisi del rapporto matrimoniale già in atto (Cass., sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2059).[wpforms id=”9898″ title=”true” description=”true”]

Tale riparto dell’onere probatorio oltre a palesarsi rispettoso del canone legale (art. 2697 cod. civ.) è altresì aderente al principio empirico della vicinanza della prova; laddove, riversare la dimostrazione della rilevanza causale in ordine all’intollerabilità della prosecuzione della convivenza su chi abbia subito l’altrui infedeltà si risolverebbe nella probatio diabolica che in realtà il matrimonio era sempre stato felice fino alla vigilia dell’adulterio (o dell’omissione di assistenza, o dell’interruzione della coabitazione).

Alla luce di tali principi, la motivazione della corte territoriale appare immune da mende, in punto di diritto.

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Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 aprile – 25 maggio 2016, n. 10823

Presidente Forte – Relatore Bernabai

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 21 giugno 2010 la sig.ra B.G. conveniva dinanzi al Tribunale di Bassano del Grappa il proprio coniuge, sig. T.R. , per ottenere la separazione personale, con assegnazione a sé della casa coniugale, affidamento condiviso del figlio minore G. , con collocamento prevalente presso di sé, ed un contributo per il mantenimento dei due figli non inferiore ad Euro 1.000,00, oltre al versamento del 50% delle spese straordinarie.

Costituitosi ritualmente, il sig. T. aderiva alla domanda di separazione, ma con addebito alla moglie, assegnazione a sé della casa coniugale, affidamento condiviso del figlio minore ed attribuzione di un contributo per il mantenimento, proprio e dei figli, a carico della B. , non inferiore ad Euro 2.000,00, oltre al 50% delle spese straordinarie.

Con sentenza 16 ottobre 2012, il Tribunale di Bassano del Grappa dichiarava la separazione personale con addebito alla moglie, affido condiviso del figlio minore G. , con residenza presso la madre ed ampia facoltà di visita del padre, nonché assegnazione della casa coniugale alla moglie, mantenimento dei figli a suo carico e contributo al mantenimento, a favore del sig. T. , di Euro 250,00 mensili.

Il successivo gravame della sig.ra B. era respinto dalla Corte d’Appello di Venezia, con sentenza 18 marzo 2013, che accoglieva, invece, l’appello incidentale del T. , maggiorando l’assegno di mantenimento ad Euro 400,00, a carico della B. , che condannava alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Motivava:

che doveva ritenersi provata la relazione extraconiugale della sig.ra B. sulla base degli elementi istruttori raccolti, ed in particolare di una relazione investigativa che, benché successiva alla richiesta di separazione, confermava una situazione pregressa conforme alle deposizioni testimoniali; che l’onere della prova dell’inefficacia causale dell’infedeltà sulla sopravvenuta intollerabilità della convivenza gravava sull’autrice della violazione del relativo dovere coniugale e non era stato, nella specie, assolto;

che la disparità di reddito e patrimonio giustificava la maggiorazione dell’assegno di mantenimento.

Avverso la sentenza, notificata il 24 giugno 2013, la sig.ra B. proponeva ricorso per Cassazione, articolato in due motivi, e notificato il 7 ottobre 2013.

Deduceva:

la violazione degli artt. 143 e 151, secondo comma, cod. civ. circa l’addebito della separazione, senza la prova del nesso di causalità tra infedeltà e crisi coniugale;

la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., nel dare ampio spazio alla relazione investigativa ed alle deduzioni testimoniali.

Resisteva con controricorso il sig. T. .

All’udienza del 13 aprile 2016 il Procuratore Generale precisava le conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Motivi della decisione

Il primo motivo è infondato.

La Corte territoriale non ha omesso di prendere in considerazione la possibile rilevanza causale dell’infedeltà coniugale accertata, ma ha solo distribuito tra le parti l’onere della prova principale del fatto integrativo della predetta violazione dei doveri coniugali e della contrapposta prova liberatoria della irrilevanza eziologica dell’infedeltà, in ipotesi verificatasi in costanza di aperta crisi matrimoniale.

Ritiene questo Collegio che tale riparto sia corretto, pur in presenza di precedenti arresti di legittimità non sempre univoci “in parte qua“.

L’infedeltà- così come il diniego di assistenza, o il venir meno della coabitazione- viola uno degli obblighi direttamente imposti dalla legge a carico dei coniugi (art. 143, secondo comma, cod. civ.): così da infirmare, alla radice, l’affectio familiae in guisa tale da giustificare, secondo una relazione ordinaria causale, la separazione. È quindi la premessa, secondo l’id quod plerunque accidit, dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, per causa non indipendente dalla volontà dei coniugi (art. 151, primo comma, cod. civ.).

afa3Non per questo, tuttavia tale regolarità causale assurge a presunzione assoluta.

L’evento dissolutivo può rivelarsi già “prima facie“- e cioè, sulla base della stessa prospettazione della parte- non riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla condotta antidoverosa di un coniuge: come ad esempio, nell’ipotesi di un isolato e remoto episodio d’infedeltà (ma anche di mancata assistenza, o allontanamento dalla casa coniugale), da ritenere presuntivamente superato, nel prosieguo, da un periodo di convivenza.

Va da sé, infatti, che occorre l’elemento della prossimità (“post hoc, ergo propter hoc“): la presunzione opera quando la richiesta di separazione personale segua, senza cesura temporale, all’accertata violazione del dovere coniugale.

Diversamente, nel caso- infrequente, ma non eccezionale- di accettazione reciproca di un allentamento degli obblighi previsti dalla norma (come nel regime- secondo la definizione invalsa nell’uso- dei “separati in casa“), si prospetta un fatto secondario, accidentale e atipico, che contrasta l’applicabilità della regola generale di causalità: onde, il relativo onere probatorioincumbit ei qui dicit.

Spetterà quindi all’autore della violazione dell’obbligo la prova della mancanza del nesso eziologico tra infedeltà e crisi coniugale: sotto il profilo che il suo comportamento si sia inserito in una situazione matrimoniale già compromessa e connotata da un reciproco disinteresse. In una parola, in una crisi del rapporto matrimoniale già in atto (Cass., sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2059).

Tale riparto dell’onere probatorio oltre a palesarsi rispettoso del canone legale (art. 2697 cod. civ.) è altresì aderente al principio empirico della vicinanza della prova; laddove, riversare la dimostrazione della rilevanza causale in ordine all’intollerabilità della prosecuzione della convivenza su chi abbia subito l’altrui infedeltà si risolverebbe nella probatio diabolica che in realtà il matrimonio era sempre stato felice fino alla vigilia dell’adulterio (o dell’omissione di assistenza, o dell’interruzione della coabitazione).

Alla luce di tali principi, la motivazione della corte territoriale appare immune da mende, in punto di diritto.

Il secondo motivo è inammissibile, risolvendosi in una difforme interpretazione delle risultanze istruttorie, avente natura di merito, che non può trovare ingresso in questa sede.

Il ricorso dev’essere dunque respinto, con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa, del numero e delle complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio liquidate in Euro 7.500,00, di cui 7.200,00 per compenso, oltre alla spese forfetarie e gli accessori di legge.

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Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – T.U. SPESE DI GIUSTIZIA), art. 13 (Importi), comma 1 quater, introdotto dall’art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228 (Legge di stabilità 2013).

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