BOLOGNA MALASANITA’ AVVOCATO BOLOGNA RISARCIMENTO MALASANITA’ AVVOCATO BOLOGNA RISARCIMENTO
Se, quindi, sei stato vittima di un caso di malasanità, o lo è stata una persona a te cara, e vuoi ottenere un risarcimento per i danni che hai subito a causa di un errore medico è importante che tu conosca alcuni punti fondamentali: 1. Rivolgersi al mio studio perché esperto in responsabilità medica da oltre venti anni2) ti verra’ indicato veido medico legale per valutare il tuo danno
La difesa dell’imputato, con i motivi di ricorso, ha lamentato in primo luogo la violazione del principio di correlazione: infatti, a fronte di una contestata condotta omissiva dell’incisione dell’ascesso, la Corte di merito aveva pronunciato la condanna sulla base di non contestati addebiti, quali il mero consiglio del ricovero senza l’accompagnamento in ospedale e l’omissione di un’adeguata informazione ai sanitari che lo avrebbero preso in carico. La doglianza è infondata.
Sul punto va osservato che l’attribuzione al G. di un titolo di colpa diverso non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza. Infatti va ricordato come questa corte di legittimità, con giurisprudenza consolidata, abbia statuito che “Nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d’imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l’aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione. Difatti, il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell’imputato globalmente considerata in riferimento all’evento verificatosi, sicché questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui è chiamato a rispondere (Cass. IV, 38818/O5, De Bona; conf, Cass. I, 11538/97, Geremia; Cass. IV, 2393/05, Tucci; Cass. IV, 31968/09, Raso). Tale orientamento giurisprudenziale ha, di recente, ricevuto l’avallo delle Sezioni Unite, le quali hanno ribadito che “In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione” (Cass. Sez. U., Sentenza n. 36551 del 15/07/2010 Ud. (dep. 13/10/2010) Rv. 248051).
BOLOGNA MALASANITA’ AVVOCATO BOLOGNA RISARCIMENTO
La difesa dell’imputato, con i motivi di ricorso, ha lamentato in primo luogo la violazione del principio di correlazione: infatti, a fronte di una contestata condotta omissiva dell’incisione dell’ascesso, la Corte di merito aveva pronunciato la condanna sulla base di non contestati addebiti, quali il mero consiglio del ricovero senza l’accompagnamento in ospedale e l’omissione di un’adeguata informazione ai sanitari che lo avrebbero preso in carico. La doglianza è infondata.
Sul punto va osservato che l’attribuzione al G. di un titolo di colpa diverso non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza. Infatti va ricordato come questa corte di legittimità, con giurisprudenza consolidata, abbia statuito che “Nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d’imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l’aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione. Difatti, il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell’imputato globalmente considerata in riferimento all’evento verificatosi, sicché questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui è chiamato a rispondere (Cass. IV, 38818/O5, De Bona; conf, Cass. I, 11538/97, Geremia; Cass. IV, 2393/05, Tucci; Cass. IV, 31968/09, Raso). Tale orientamento giurisprudenziale ha, di recente, ricevuto l’avallo delle Sezioni Unite, le quali hanno ribadito che “In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione” (Cass. Sez. U., Sentenza n. 36551 del 15/07/2010 Ud. (dep. 13/10/2010) Rv. 248051).
Nel caso di specie la condotta posta in essere dal G. è stato oggetto di approfondita istruttoria dibattimentale, sicché egli ha avuto la possibilità di difendersi in ordine a tutti i profili di colpa a suo carico formulabili e pur sempre incentrati su una contestazione di omissione della dovuta assistenza al paziente poi deceduto. Pertanto nessuna radicale mutazione dell’accusa si è maturata in pregiudizio del diritto di difesa.
Ne consegue da quanto detto che la censura formulata è infondata, sebbene non in modo manifesto.
6.2. La difesa dell’imputato ha, inoltre, lamentato la erronea applicazione della legge laddove la Corte distrettuale aveva dichiarato la responsabilità civile dell’imputato, sulla base di un omesso adempimento dell’obbligazione contrattuale assistenziale, senza prima pronunciarsi, incidentalmente, sulla sua responsabilità penale, ciò in violazione dell’art. 538 c.p.p. La censura è infondata.
Anche in tal caso va fatta una premessa. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità è consolidata nel ritenere che “In tema di impugnazioni, in presenza di specifica richiesta della parte civile, la pronuncia sulle domande di restituzione o di risarcimento del danno non può essere omessa per il solo fatto che la sentenza assolutoria dell’imputato non sia stata impugnata dal pubblico ministero, dovendo, in tal caso, il giudice effettuare, in via incidentale e ai soli fini civilistici, il giudizio di responsabilità; ma la pronuncia su tali domande non può che restare legata (e subordinata) all’accertamento (incidentale) della responsabilità penale” (Cass. Sez. l, Sentenza n. 19538 del 12/03/2004 Ud. (dep. 27/04/2004), Rv. 227971; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 39592 del 21/06/2007 Ud. (dep. 26/10/2007), Rv. 237875; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1693 del 29/09/1997 Ud. (dep. 11/02/1998), Rv. 210351).
Nel caso di specie, pertanto, il richiamo ad una fonte contrattuale da parte del giudice di merito, per valutare la presenza di una posizione di garanzia e la violazione degli obblighi connessi, non ha integrato alcuna erronea applicazione della legge penale, in quanto tale puntualizzazione è stata strumentale per il riconoscimento della responsabilità penale (finalizzata alla condanna civile) del G. .
6.3. In ordine alla ritenuta presenza del nesso causale tra la condotta dell’imputato e l’evento, il giudice di appello, dopo avere premesso la ragionevolezza della scelta del G. di non intervenire di domenica ambulatorialmente; dopo avere rilevato che il giorno (omissis) il quadro clinico si presentava come contrassegnato da evidente gravità (richiamando in proposito le dichiarazioni del perito d’ufficio); ha ritenuto gravemente negligente la condotta del G. di fornire un mero “consiglio” all’accompagnamento in ospedale del D.M. , senza assicurarsi che i medici di destinazione fossero informati in modo preciso della gravità della situazione ed a supporto fosse trasmessa un’adeguata documentazione medica.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. IV PENALE , SENTENZA 11 aprile 2012 13547 Pres. Galbiati – est. Izzo, n.13547 – Pres. Galbiati – est. Izzo
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 22/7/2009 il Tribunale di Lagonegro condannava F.T. , S.M. , P.N. ed assolveva con formula piena G.V. e C.F. (non aver commesso il fatto) dal delitto di omicidio colposo (artt. 41-589 cod. pen.) in danno del paziente D.M.A. (di anni 19).
Agli imputati era stato addebitato che, in qualità di sanitari, per colpa generica e per colpa specifica, consistita nella violazione delle leges artis, di avere cagionato la morte di D.M.A. (verificatasi in (omissis) ), a causa di una mediastinite acuta ascessuale secondaria ad accesso sottomandibolare destro fistolizzato nei cavi pleurici dx e sx con abbondante pus “a colata” nello spazio tra tratto dorsale della colonna vertebrale ed esofago, “a manicotto” tra esofago, trachea, ed aorta, e tra sacco pericardio e faccia posteriore dello sterno, con conseguente pericardite sierofibrinosa, miocardite diffusa con epicardite, edema polmonare siero-proteinaceo con emorragia endoalveolare, da cui derivava grave shock settico e stasi ematica acuta pluriviscerale terminale:
– P.N. , quale sanitario in servizio presso il pronto soccorso dell’Ospedale di XXXXXXXX, dimetteva alle ore 6,00 del (omissis) D.M.A. senza effettuare o far effettuare dal chirurgo di turno una incisione, pur avendo riscontrato che era affetto da un grave ascesso dentario in seconda giornata, inefficace alla antibioticoterapia;
– G.V. , quale medico dentista, la mattina dell'(omissis) non aveva provveduto ad incidere l’ascesso di cui era affetto D.M.A. , prestazione che avrebbe dovuto effettuare non essendo intervenuto il ricovero del predetto D.M. in ambiente specialistico;
– F.T. , quale sanitario in servizio presso il pronto soccorso dell’Ospedale di (omissis) , dimetteva alle ore 13,00 dell’(omissis) il paziente senza effettuare o aver fatto effettuare dal chirurgo di turno una incisione, pur avendo riscontrato che era affetto da un grave ascesso dentario in quarta giornata, inefficace alla antibioticoterapia; il giorno successivo (il …), dopo aver visitato il D.M. alle ore 9,55, nonostante la gravità della patologia, ne disponeva il ricovero solo alle ore 13,00, omettendo così di effettuare o di far effettuare tempestivamente i necessari presidi terapeutici anche chirurgici;
– C.F. , quale medico in servizio presso la Clinica odontostomatologica “San Luca” di (omissis) , non era intervenuto il pomeriggio dell'(omissis) sul paziente per effettuare un’incisione urgente, pur avendo riscontrato che era affetto da un grave ascesso dentario in quarta giornata, inefficace alla antibioticoterapia;
– S.M. (imputata non ricorrente), quale sanitario di turno presso l’ospedale di (omissis) , dimetteva alle ore 20,44 dell’(omissis) D.M.A. senza effettuare o far effettuare dal chirurgo di turno una incisione, pur avendo riscontrato che era affetto da un grave ascesso dentario in quarta giornata ed inefficace alla antibioticoterapia.
Agli imputati condannati veniva irrogata la pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione, concesse le attenuanti generiche; pena condonata. Venivano inoltre condannati, in solido con il Responsabile Civile A.S.P. Regione Calabria, ai risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili da liquidare in separato; veniva inoltre concessa una provvisionale immediatamente esecutiva.
2. Con sentenza del 18/11/2010 la Corte di Appello di Potenza, dopo avere rilevato la inammissibilità dell’impugnazione del P.M., su appello degli imputati condannati e delle parti civili nei confronti degli imputati assolti, in riforma della sentenza di primo grado, condannava al risarcimento del danno anche G.V. e C.F. , quest’ultimo in solido con il Responsabile Civile “Centro Odontoiatrico San Luca”; confermava nel resto le condanne già irrogate.
Osservava la Corte di merito che la responsabilità degli imputati emergeva dalla circostanza che il decesso, secondo la condivisibile perizia svolta in primo grado, era avvenuto per un grave shock settico sviluppatosi a seguito di un’infezione localizzata in corrispondenza di un molare e che nessuno dei sanitari imputati aveva inciso l’ascesso o aveva contribuito, con la propria opera professionale, a consentire la erogazione delle appropriate terapie.
nonostante la evidenza della patologia e della ininfluenza della terapia antibiotica praticata.
3. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dei condannati, lamentando:
3.1. per P. (condannato anche agli effetti penali): il difetto di motivazione in ordine alla circostanza affermata in sentenza e contraddetta dagli atti che l’ascesso era insorto fin dal (…). Infatti tale circostanza era contraddetta dalla documentazione acquisita, da cui risultava che la prima ricetta redatta dal Dott. D.S. per il paziente D.M. era datata (…). La diversa deposizione del teste sul punto doveva essere valutata con attenzione tenuto conto dell’interesse che aveva il D.S. a non essere coinvolto nella vicenda penale. Se la malattia era insorta l'(…), nella visita del P. svolta il (…) il sanitario poteva non avere contezza di una situazione patologica allarmante.
3.2. Per F. (condannato anche agli effetti penali): il difetto di motivazione in ordine alla colposa causalità della condotta del sanitario, tenuto conto che, come riferito dallo stesso perito d’ufficio, “un ascesso dentario che evolve in mediastinite è un evento estremamente raro, non prevedibile nella comune pratica medica”.
Al momento della visita il D.M. presentava un normale febbre e l’ascesso, per cui l’infezione appariva localizzata. Né le condizioni di salute del paziente erano state segnalate dal medico curante G. , il quale né aveva accompagnato il giovane paziente in ospedale, né aveva contattato i sanitari del nosocomio di (omissis) . Pertanto dai fatti non emergeva alcuna causalità della condotta dell’imputato, né una sua colpa per violazione di regole cautelari e prudenziali.
3.3. Per G. (condannato solo agli effetti civili): a) la erronea applicazione della legge laddove la corte di merito dopo avere affermato l’esclusione della responsabilità penale dell’imputato, dichiarava la sua responsabilità civile sulla base di un omesso adempimento dell’obbligazione contrattuale assistenziale. In tal modo, violando l’art. 538 cod. proc. pen., correlato all’art. 185 cod. pen., aveva pronunciato una condanna prescindendo dall’accertamento incidentale della responsabilità penale, così come voluto dall’art. 538 cit. b) La violazione di legge ed, in particolare dell’art. 521 cod. proc. pen. Premesso che la corte di merito aveva equivocato il motivo dell’assoluzione in primo grado, avvenuta per insussistenza del fatto, ritenendo invece deliberata per difetto della colpa, nella pronuncia di condanna aveva violato il principio di correlazione: infatti, a fronte di una contestata condotta omissiva dell’incisione dell’ascesso, aveva pronunciato la condanna sulla base di non contestati addebiti, quali il mero consiglio del ricovero, accompagnamento in ospedale e senza far accompagnare il ricovero da un’adeguata informazione ai sanitari che lo avrebbero preso in carico.
c) L’erronea applicazione della legge penale in ordine alla ritenuta sussistenza del nesso causale. Invero nessuna regola cautelare connessa alla sua posizione di garanzia era stata violata. Infatti pur avendo visitato il paziente la domenica mattina, quando l’ambulatorio era chiuso e senza personale infermieristico, rilevato di non poter prudentemente svolgere l’incisione del flemmone per la difficoltà dell’intervento in sede ambulatoriale, aveva contattato la clinica odontoiatrica ed al rifiuto opposto, aveva indirizzato il paziente ed i familiari all’Ospedale di (omissis) , attrezzato per l’intervento. Pertanto aveva svolto il suo compito con diligenza, senza violare alcuna regola cautelare. Peraltro l’aggravamento delle condizioni del paziente era stato determinato esclusivamente dai comportamenti tenuti dai sanitari che avevano tenuto in cura il giovane D.M. dopo il ricovero.
d) il difetto di motivazione in relazione all’affermata causalità della condotta dell’imputato, senza specifici riferimenti al contenuto dell’obbligo assistenziale violato.
3.4. Per C. (condannato solo agli effetti civili): a) la violazione del principio di correlazione di cui all’art. 521 cod. proc. pen. Premesso che la Corte di appello aveva riconosciuto che al momento della visita del C. il paziente non abbisognava di un intervento odontoiatrico, ma di un più ampio intervento a fronte di un processo infettivo oramai generalizzato, se ne deduceva che la condotta contestata come omessa, l’incisione, era insufficiente a curare la evoluzione della patologia in atto, per cui correttamente il D.M. era stato indirizzato in ospedale. A fonte di ciò la condanna in secondo grado era stata basata su addebiti non contestati e diversi dalla mera pretesa omessa incisione.
b) il difetto di motivazione in ordine alla condanna, considerato che il Dott. C. , giovane medico al primo incarico, era stato l’unico ad individuare l’urgenza del ricovero e per tale motivo non aveva compiuto atti medici esorbitanti la sua professionalità. Inoltre nessun onere di segnalazione aveva, considerato che la sua specializzazione odontoiatrica non gli consentiva di dare indicazioni terapeutiche ai medici ospedalieri investiti della cura del paziente.
3.5. Per il Responsabile Civile Centro Odontoiatrico “San Luca” s.r.l. (per C. ): il difetto di motivazione in ordine alla riconosciuta responsabilità del Dott. C. . Invero la Struttura “San Luca” era abilitata ai soli ricoveri ordinari e non di pronto soccorso. Pertanto correttamente il C. a fronte di una situazione compromessa del D.M. , che richiedeva un trattamento in ambiente ospedaliere aveva avviato il paziente ad una struttura ospedaliere, per il ricovero presso la quale non necessitava di alcuna impegnativa. Né poteva farsi carico al C. di non aver accompagnato il giovane paziente presso l’Ospedale. Infatti il medico, odontoiatra di turno domenicale, non poteva abbandonare la struttura. Tali osservazioni difensive non erano state tenuto in conto dalla Corte di Appello la quale, a fronte di un’assoluzione in primo grado, avrebbe dovuto adempire all’onere motivazionale con maggiore ampiezza.
Considerato in diritto
4. In ordine alla posizione del P. (sanitario del pronto soccorso dell’ospedale di …), il giudice di appello ha confermato la condanna di primo grado, osservando che il perito aveva rilevato che se il sanitario avesse inciso l’ascesso, l’infezione sarebbe stata arrestata e, quindi, evitato l’exitus; l’inizio dell’ascesso dentario andava datato al (…) e non al (…), come si evinceva dalla scheda sanitaria redatta dal medico di famiglia (Dott. D.S. ) e dalle stesse annotazioni del P. nella cartella di accettazione sanitaria; pertanto, quando ebbe a visitarlo il (…), avrebbe già potuto rilevare la insufficienza del presidio antibiotico a far fronte alla patologia ed in tale situazione aveva omesso di intervenire o fare ricoverare il paziente in altra struttura.
In ordine all’insorgenza dell’ascesso, la difesa dell’imputato ha introdotto censure che, sul punto, esprimono solo un dissenso rispetto ad una ricostruzione del fatto (conforme nei due gradi di giudizio) che regge al sindacato di legittimità, non apprezzandosi nelle argomentazioni proposte quei profili di macroscopica illogicità, che soli, potrebbero qui avere rilievo.
Quanto alla causalità della condotta omissiva del P. , va premesso che questi (medico ospedaliero) si è trovato di fronte ad un paziente affetto da ascesso dentale, che null’altro è se non una raccolta di materiale purulento che deriva da un processo infettivo a carico del tessuto su cui è poggiato un dente.
La pericolosità dell’ascesso è costituita dal fatto che, se non trattato immediatamente con un’incisione, può determinare l’insorgenza di un flemmone, cioè una dispersione di pus o essudato purulento, non circoscritta, idonea a sopraffare le difese immunitarie.
Il perito di ufficio ha riferito che se l’ascesso fosse stato bloccato, non sarebbe diventato flemmone, con tutte le conseguenze letali (la mediastinite, che poi ha condotto allo shock settico e quindi al decesso).
Ne ha dedotto con coerente ragionamento il giudice di merito che, se il P. fosse intervenuto (o avesse fatto intervenire altro sanitario) la mattina del (…), incidendo l’ascesso con drenaggio del suo contenuto, non si sarebbe innescato il flemmone e la successiva serie causale che aveva condotto alla morte il giovane D.M. .
Né può dirsi che la condizione necessaria per il prodursi dell’evento, posta in essere dall’imputato, abbia perso di valore causale in ragione delle omissioni poste in essere dagli altri coimputati.
Invero questa Corte di legittimità ha avuto modo di statuire, con consolidata giurisprudenza, che “In tema di colpa medica, in presenza di una condotta colposa posta in essere da un determinato soggetto, non può ritenersi interattiva del nesso di causalità (art. 41, comma secondo, cod. pen.) una successiva condotta parimenti colposa posta in essere da altro soggetto, quando essa non abbia le caratteristiche dell’assoluta imprevedibilità e inopinabilità; condizione, questa, che non può, in particolare configurarsi quando, nel caso di colpa medica, tale condotta sia consistita nell’inosservanza, da parte di soggetto successivamente intervenuto, di regole dell’arte medica già disattese da quello che lo aveva preceduto (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 6215 del 10/12/2009 Ud. (dep. 16/02/2010), Rv. 246421; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 9967 del 18/01/2010 Ud. (dep. 11/03/2010), Rv. 246797; Cass. Sez. 47 Sentenza n. 13939 del 30/01/2008 Ud. (dep. 03/04/2008), Rv. 239593; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 20272 del 16/05/2006 Ud. (dep. 14/06/2006), Rv. 234596). L’infondatezza del ricorso del P. impone, pertanto, il suo rigetto.
5. Analogamente infondato è il ricorso proposto dal F. . In ordine a tale imputato (sanitario del pronto soccorso dell’ospedale di (omissis) ), ha rilevato la Corte di appello che sussistente era la causalità della sua condotta omissiva, non potendo l’evoluzione della malattia della vittima considerarsi un evento raro e non prevedibile; anche se il F. non era uno specialista, con la normale diligenza avrebbe dovuto rilevare la gravità della situazione, peraltro resa palese dalla decisione della guardia medica di (…) (dr. Gl. ) e del medico curante del D.M. (dr. G. ), di consigliare il ricovero ospedaliero per intervenire chirurgicamente; a fronte di ciò l’imputato non aveva effettuato alcun intervento, limitandosi a somministrare una inutile soluzione fisiologica ed a negare persino il ricovero (dimettendolo alle ore 13 del (omissis)). Dopo averlo visitato il giorno successivo ((omissis), di mattina), non aveva preso alcuna iniziativa terapeutica, disponendone il ricovero solo alle ore 13.00. Da nessun atto si rilevava, come dedotto dalla difesa, che la patologia della vittima, al momento della visita fosse già irreversibile.
La difesa dell’imputato, nel contestare la sussistenza del nesso causale tra la condotta del sanitario e l’evento, ha osservato che non era un fatto prevedibile che l’ascesso dentario evolvesse in mediastinite.
Va premesso che la mediastinite è una forma di infezione che interessa il mediastino. Il mediastino è un compartimento anatomico che occupa la parte mediana del torace. Comprende strutture ed organi dell’apparato circolatorio, dell’apparato respiratorio, dell’apparato digerente, del sistema linfatico e del sistema nervoso.
Orbene l’addebito mosso all’imputato è quello di non aver adottato alcun utile presidio diagnostico e terapeutico a fronte di una situazione evidente di ascesso e delle sue complicazioni, indipendentemente dal fatto che al momento del suo intervento fosse diagnosticabile una mediastinite in atto, peraltro evento che, sebbene raro, era pur sempre prevedibile (come pure altre complicazioni quali sepsi, infezioni ai tessuti molli, endocardite, polmonite). L’assoluta inerzia del F. , a fronte di una segnalata gravità della situazione, correttamente è stata ritenuta dal giudice di merito integrare una condotta colposa in nesso causale con l’evento verificatosi (si richiamano sul punto le argomentazioni già svolte in ordine al P. , in tema di causalità, sub 4).
Invero la mediastinite, come correttamente ritenuto dal giudice di merito, non può essere considerata una causa sopravvenuta “da sola sufficiente a determinare l’evento”, in quanto, sebbene l’insorgenza di tale complicanza non sia frequente, non può configurarsi come evoluzione della malattia completamente avulsa dall’antecedente e caratterizzata da un percorso causale completamente atipico, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta. Pertanto, la circostanza che sia una conseguenza non frequenta dell’ascesso, non significa che sia eccezionale ed atipica. Si impone pera quanto detto il rigetto del ricorso.
6. In ordine alla posizione del G. (medico dentista), va premesso che questi è stato assolto in primo grado. Ha osservato il Tribunale che sebbene il perito d’ufficio ed il C.T. del P.M. avessero valutato che l’incisione dell’ascesso era urgente ed avrebbe evitato con alto grado di probabilità l’evento morte; che inoltre tale intervento era alla portata tecnica del G. , medico dentista; in ogni caso la sua responsabilità andava esclusa in quanto era stato richiesta la sua opera di domenica, ad ambulatorio chiuso e senza assistenza infermieristica. Pertanto correttamente il G. aveva valutato come imprudente un suo intervento ambulatoriale ed aveva invitato i genitori del D.M. a portarlo in ospedale.
La corte di appello, su impugnazione della parte civile, ha ribaltato la sentenza di primo grado rilevando come il G. , dopo avere rilevato la gravità della situazione ed avere valutato la difficoltà ad effettuare l’incisione dell’ascesso in ambito ambulatoriale e, quindi, avere invitato il paziente al ricovero ospedaliero, non aveva seguito l’iter successivo alla visita determinando una carenza assistenziale rilevante dal punto di vista della responsabilità civile.
6.1. La difesa dell’imputato, con i motivi di ricorso, ha lamentato in primo luogo la violazione del principio di correlazione: infatti, a fronte di una contestata condotta omissiva dell’incisione dell’ascesso, la Corte di merito aveva pronunciato la condanna sulla base di non contestati addebiti, quali il mero consiglio del ricovero senza l’accompagnamento in ospedale e l’omissione di un’adeguata informazione ai sanitari che lo avrebbero preso in carico. La doglianza è infondata.
Sul punto va osservato che l’attribuzione al G. di un titolo di colpa diverso non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza. Infatti va ricordato come questa corte di legittimità, con giurisprudenza consolidata, abbia statuito che “Nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d’imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l’aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione. Difatti, il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell’imputato globalmente considerata in riferimento all’evento verificatosi, sicché questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui è chiamato a rispondere (Cass. IV, 38818/O5, De Bona; conf, Cass. I, 11538/97, Geremia; Cass. IV, 2393/05, Tucci; Cass. IV, 31968/09, Raso). Tale orientamento giurisprudenziale ha, di recente, ricevuto l’avallo delle Sezioni Unite, le quali hanno ribadito che “In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione” (Cass. Sez. U., Sentenza n. 36551 del 15/07/2010 Ud. (dep. 13/10/2010) Rv. 248051).
Nel caso di specie la condotta posta in essere dal G. è stato oggetto di approfondita istruttoria dibattimentale, sicché egli ha avuto la possibilità di difendersi in ordine a tutti i profili di colpa a suo carico formulabili e pur sempre incentrati su una contestazione di omissione della dovuta assistenza al paziente poi deceduto. Pertanto nessuna radicale mutazione dell’accusa si è maturata in pregiudizio del diritto di difesa.
Ne consegue da quanto detto che la censura formulata è infondata, sebbene non in modo manifesto.
6.2. La difesa dell’imputato ha, inoltre, lamentato la erronea applicazione della legge laddove la Corte distrettuale aveva dichiarato la responsabilità civile dell’imputato, sulla base di un omesso adempimento dell’obbligazione contrattuale assistenziale, senza prima pronunciarsi, incidentalmente, sulla sua responsabilità penale, ciò in violazione dell’art. 538 c.p.p. La censura è infondata.
Anche in tal caso va fatta una premessa. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità è consolidata nel ritenere che “In tema di impugnazioni, in presenza di specifica richiesta della parte civile, la pronuncia sulle domande di restituzione o di risarcimento del danno non può essere omessa per il solo fatto che la sentenza assolutoria dell’imputato non sia stata impugnata dal pubblico ministero, dovendo, in tal caso, il giudice effettuare, in via incidentale e ai soli fini civilistici, il giudizio di responsabilità; ma la pronuncia su tali domande non può che restare legata (e subordinata) all’accertamento (incidentale) della responsabilità penale” (Cass. Sez. l, Sentenza n. 19538 del 12/03/2004 Ud. (dep. 27/04/2004), Rv. 227971; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 39592 del 21/06/2007 Ud. (dep. 26/10/2007), Rv. 237875; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1693 del 29/09/1997 Ud. (dep. 11/02/1998), Rv. 210351).
Vero è che nella sentenza si richiama la natura contrattuale del rapporto del G. con il giovane D.M. per poi giustificare la sua condanna, ma ciò non significa che il giudice di appello abbia basato la pronuncia sul rilievo di un mero inadempimento civile, senza alcuna delibazione della responsabilità penale. Infatti il richiamo al legame contrattuale è stato strumentale per il riconoscimento della presenza in capo al G. di una “posizione di garanzia”, rilevante eziologicamente ai sensi del secondo comma dell’art. 40 c.p.. Sul tale punto questa Corte ha statuito che la posizione di garanzia nei confronti di un paziente è fondata anche sul contratto d’opera professionale, pertanto la responsabilità penale del medico può configurarsi qualora l’evento dannoso sia causalmente connesso ad un comportamento omissivo ex art. 40 comma secondo cod. pen. (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 9739 del 01/12/2004 Ud. (dep. 11/03/2005), Rv. 230820).
Nel caso di specie, pertanto, il richiamo ad una fonte contrattuale da parte del giudice di merito, per valutare la presenza di una posizione di garanzia e la violazione degli obblighi connessi, non ha integrato alcuna erronea applicazione della legge penale, in quanto tale puntualizzazione è stata strumentale per il riconoscimento della responsabilità penale (finalizzata alla condanna civile) del G. .
6.3. In ordine alla ritenuta presenza del nesso causale tra la condotta dell’imputato e l’evento, il giudice di appello, dopo avere premesso la ragionevolezza della scelta del G. di non intervenire di domenica ambulatorialmente; dopo avere rilevato che il giorno (omissis) il quadro clinico si presentava come contrassegnato da evidente gravità (richiamando in proposito le dichiarazioni del perito d’ufficio); ha ritenuto gravemente negligente la condotta del G. di fornire un mero “consiglio” all’accompagnamento in ospedale del D.M. , senza assicurarsi che i medici di destinazione fossero informati in modo preciso della gravità della situazione ed a supporto fosse trasmessa un’adeguata documentazione medica.
Con coerente ragionamento la Corte distrettuale ha ritenuto che tale condotta omissiva, posta in essere in violazione dell’obbligo gravante sul medico di prestare soccorso al paziente ed attivarsi per assicurarne l’assistenza (obbligo ancor più stringente quando il legame tra le parti è affidato al contratto), ha posto in essere una condizione necessaria dell’evento in concorso con le altre successive omissione. Anche in tal caso si richiamano le argomentazioni già svolte in ordine alla prima posizione esaminata in tema di concorso di cause (sub 4), ribadendo che se l’adeguata terapia sul paziente fosse stata posta in essere in data (omissis), l’evento letale si sarebbe evitato con alto grado di probabilità.
7. Quanto al ricorso del C. , odontoiatra in servizio di guardia presso la Clinica odontostomatologica San Luca di (omissis) , anche questi è stato assolto dal giudice di primo grado. Ha osservato il Tribunale che il C. :
– aveva visto il paziente nel pomeriggio del (omissis) dopo che era stato visitato in mattinata dal Dott. F. (presso il pronto soccorso di (omissis) ) e non ricoverato;
– constatata la gravità del caso lo aveva indirizzato presso un presidio ospedaliero;
– la clinica presso cui era in servizio non aveva il pronto soccorso e pertanto non avrebbe potuto avere l’ausilio di personale qualificato per eventuali urgenze;
– la patologia in atto, secondo quanto riferito dal perito di ufficio, richiedeva un apporto diagnostico e terapeutico non più limitato all’apparato stomatognatico, ma coinvolgente competenze di uno specialista maxillofacciale.
Ne ha dedotto da tutto ciò che nessun addebito di colpa poteva essere formulato a carico del C. , il quale in ragione delle sue competenze e della limitata funzionalità della clinica ove prestava la sua opera, non avrebbe potuto erogare la prestazione necessaria al D.M. .
La Corte di Appello, nel riformare la sentenza su impugnazione delle parti civili, ne ha riconosciuto, invece, la responsabilità (agli effetti civili), per la condotta serbata nel pomeriggio del (omissis), allorquando non aveva neanche provveduto a visitare il paziente, senza effettuare alcuna valutazione della patologia, limitandosi ad avviare il D.M. ed i genitori presso il pronto soccorso dell’Ospedale di (omissis) , omettendo di inquadrare la situazione clinica e, quindi, consentire ai sanitari successivi di avvalersi di una valutazione specialistica odontoiatrica.
7.1. Ciò detto, quanto al primo motivo di censura formulato, inerente alla violazione del principio di correlazione, si richiamano le argomentazioni già svolte nell’analisi della posizione del G. (sub 6.1).
7.2. In ordine alle censure riguardati l’addebito di colpa e la rilevanza causale della sua condotta, il giudice di merito ha ricordato le osservazioni svolte dal perito di ufficio, il quale ha stigmatizzato la condotta omissiva del medico il quale, nonostante la giovane età, aveva una laurea in odontoiatria, nonché l’abilitazione in medicina e chirurgia. Pertanto era in grado di effettuare una precisa diagnosi della situazione del D.M. , eventualmente con l’ausilio di specialisti reperibili.
Invero, una volta che un paziente si presenta presso una struttura medica chiedendo la erogazione di una prestazione professionale, il medico, in virtù del “contatto sociale”, assume una posizione di garanzia della tutela della sua salute ed anche se non può erogare la prestazione richiesta deve fare tutto quello che è nelle sua capacità per la salvaguardia dell’integrità del paziente. Nel caso di specie, con coerente e logica motivazione, la Corte di merito ha rilevato che il C. , pur avendo una qualificazione professionale che gli avrebbe consentito di effettuare una precisa diagnosi della patologia del D.M. , così da redigere una certificazione medica idonea ad agevolare l’opera dei successivi sanitari interventi, anche segnalando l’urgenza degli interventi, si limitò ad invitare il paziente ed i genitori a recarsi all’ospedale di (omissis) senza assicurarsi (come nel caso del dr. G. ) che i medici di destinazione fossero informati in modo preciso della gravità della situazione ed a supporto fosse trasmessa un’adeguata documentazione medica.
Ne ha dedotto la Corte distrettuale che tale negligente condotta omissiva aveva avuto una valenza causale, in quanto aveva contribuito a ritardare la erogazione dell’assistenza diagnostica e terapeutica che avrebbe evitato il decesso (si richiama quanto esposto sub 4 in tema di concorso di cause).
L’infondatezza del ricorso del C. impone il suo rigetto.
8. Al rigetto del ricorso del C. segue di conseguenza quello del responsabile civile Centro Odontoiatrico “San Luca”. Invero, una volta riconosciuta la responsabilità del sanitario; considerato che tale responsabilità si fonda su una condotta posta in essere dal medico quale dipendente della struttura sanitaria, la responsabilità di quest’ultima ne discende ai sensi dei principi sanciti dagli artt. 2049 e 1228 cod. civ..
Analoghe considerazioni valgono per il responsabile civile A.S.P. di Cosenza (non ricorrente), in ragione della ritenuta responsabilità dei medici dipendenti degli ospedali cosentini. Va peraltro osservato come non pertinente sia il richiamo nella memoria difensiva alle regole della responsabilità da “equipe” (e quindi dell’incidenza dell’affermazione della responsabilità del G. e del C. , rispetto a quella dei medici ospedalieri condannai), tenuto conto che la contestazione mossa non è di cooperazione colposa (art. 113 c.p.), ma di “condotte (autonome) causalmente concorrenti” (art. 41 c.p.).
Al rigetto dei ricorsi segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali; nonché la condanna, in solido tra loro e con l’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, delle spese sostenute dalle parti civili T.M. , D.M.D. e D.M.F. , che liquida come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna i ricorrenti ed il responsabile civile Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, in solido, a rimborsare le spese di giudizio in favore delle parti civili, liquidandole in complessivi Euro 1.500 oltre accessori come per legge.
Nel caso di specie la condotta posta in essere dal G. è stato oggetto di approfondita istruttoria dibattimentale, sicché egli ha avuto la possibilità di difendersi in ordine a tutti i profili di colpa a suo carico formulabili e pur sempre incentrati su una contestazione di omissione della dovuta assistenza al paziente poi deceduto. Pertanto nessuna radicale mutazione dell’accusa si è maturata in pregiudizio del diritto di difesa.
Ne consegue da quanto detto che la censura formulata è infondata, sebbene non in modo manifesto.
6.2. La difesa dell’imputato ha, inoltre, lamentato la erronea applicazione della legge laddove la Corte distrettuale aveva dichiarato la responsabilità civile dell’imputato, sulla base di un omesso adempimento dell’obbligazione contrattuale assistenziale, senza prima pronunciarsi, incidentalmente, sulla sua responsabilità penale, ciò in violazione dell’art. 538 c.p.p. La censura è infondata.
Anche in tal caso va fatta una premessa. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità è consolidata nel ritenere che “In tema di impugnazioni, in presenza di specifica richiesta della parte civile, la pronuncia sulle domande di restituzione o di risarcimento del danno non può essere omessa per il solo fatto che la sentenza assolutoria dell’imputato non sia stata impugnata dal pubblico ministero, dovendo, in tal caso, il giudice effettuare, in via incidentale e ai soli fini civilistici, il giudizio di responsabilità; ma la pronuncia su tali domande non può che restare legata (e subordinata) all’accertamento (incidentale) della responsabilità penale” (Cass. Sez. l, Sentenza n. 19538 del 12/03/2004 Ud. (dep. 27/04/2004), Rv. 227971; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 39592 del 21/06/2007 Ud. (dep. 26/10/2007), Rv. 237875; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1693 del 29/09/1997 Ud. (dep. 11/02/1998), Rv. 210351).
Vero è che nella sentenza si richiama la natura contrattuale del rapporto del G. con il giovane D.M. per poi giustificare la sua condanna, ma ciò non significa che il giudice di appello abbia basato la pronuncia sul rilievo di un mero inadempimento civile, senza alcuna delibazione della responsabilità penale. Infatti il richiamo al legame contrattuale è stato strumentale per il riconoscimento della presenza in capo al G. di una “posizione di garanzia”, rilevante eziologicamente ai sensi del secondo comma dell’art. 40 c.p.. Sul tale punto questa Corte ha statuito che la posizione di garanzia nei confronti di un paziente è fondata anche sul contratto d’opera professionale, pertanto la responsabilità penale del medico può configurarsi qualora l’evento dannoso sia causalmente connesso ad un comportamento omissivo ex art. 40 comma secondo cod. pen. (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 9739 del 01/12/2004 Ud. (dep. 11/03/2005), Rv. 230820).
Nel caso di specie, pertanto, il richiamo ad una fonte contrattuale da parte del giudice di merito, per valutare la presenza di una posizione di garanzia e la violazione degli obblighi connessi, non ha integrato alcuna erronea applicazione della legge penale, in quanto tale puntualizzazione è stata strumentale per il riconoscimento della responsabilità penale (finalizzata alla condanna civile) del G. .
6.3. In ordine alla ritenuta presenza del nesso causale tra la condotta dell’imputato e l’evento, il giudice di appello, dopo avere premesso la ragionevolezza della scelta del G. di non intervenire di domenica ambulatorialmente; dopo avere rilevato che il giorno (omissis) il quadro clinico si presentava come contrassegnato da evidente gravità (richiamando in proposito le dichiarazioni del perito d’ufficio); ha ritenuto gravemente negligente la condotta del G. di fornire un mero “consiglio” all’accompagnamento in ospedale del D.M. , senza assicurarsi che i medici di destinazione fossero informati in modo preciso della gravità della situazione ed a supporto fosse trasmessa un’adeguata documentazione medica.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. IV PENALE , SENTENZA 11 aprile 2012 13547 Pres. Galbiati – est. Izzo, n.13547 – Pres. Galbiati – est. Izzo
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 22/7/2009 il Tribunale di Lagonegro condannava F.T. , S.M. , P.N. ed assolveva con formula piena G.V. e C.F. (non aver commesso il fatto) dal delitto di omicidio colposo (artt. 41-589 cod. pen.) in danno del paziente D.M.A. (di anni 19).
Agli imputati era stato addebitato che, in qualità di sanitari, per colpa generica e per colpa specifica, consistita nella violazione delle leges artis, di avere cagionato la morte di D.M.A. (verificatasi in (omissis) ), a causa di una mediastinite acuta ascessuale secondaria ad accesso sottomandibolare destro fistolizzato nei cavi pleurici dx e sx con abbondante pus “a colata” nello spazio tra tratto dorsale della colonna vertebrale ed esofago, “a manicotto” tra esofago, trachea, ed aorta, e tra sacco pericardio e faccia posteriore dello sterno, con conseguente pericardite sierofibrinosa, miocardite diffusa con epicardite, edema polmonare siero-proteinaceo con emorragia endoalveolare, da cui derivava grave shock settico e stasi ematica acuta pluriviscerale terminale:
– P.N. , quale sanitario in servizio presso il pronto soccorso dell’Ospedale di XXXXXXXX, dimetteva alle ore 6,00 del (omissis) D.M.A. senza effettuare o far effettuare dal chirurgo di turno una incisione, pur avendo riscontrato che era affetto da un grave ascesso dentario in seconda giornata, inefficace alla antibioticoterapia;
– G.V. , quale medico dentista, la mattina dell'(omissis) non aveva provveduto ad incidere l’ascesso di cui era affetto D.M.A. , prestazione che avrebbe dovuto effettuare non essendo intervenuto il ricovero del predetto D.M. in ambiente specialistico;
– F.T. , quale sanitario in servizio presso il pronto soccorso dell’Ospedale di (omissis) , dimetteva alle ore 13,00 dell’(omissis) il paziente senza effettuare o aver fatto effettuare dal chirurgo di turno una incisione, pur avendo riscontrato che era affetto da un grave ascesso dentario in quarta giornata, inefficace alla antibioticoterapia; il giorno successivo (il …), dopo aver visitato il D.M. alle ore 9,55, nonostante la gravità della patologia, ne disponeva il ricovero solo alle ore 13,00, omettendo così di effettuare o di far effettuare tempestivamente i necessari presidi terapeutici anche chirurgici;
– C.F. , quale medico in servizio presso la Clinica odontostomatologica “San Luca” di (omissis) , non era intervenuto il pomeriggio dell'(omissis) sul paziente per effettuare un’incisione urgente, pur avendo riscontrato che era affetto da un grave ascesso dentario in quarta giornata, inefficace alla antibioticoterapia;
– S.M. (imputata non ricorrente), quale sanitario di turno presso l’ospedale di (omissis) , dimetteva alle ore 20,44 dell’(omissis) D.M.A. senza effettuare o far effettuare dal chirurgo di turno una incisione, pur avendo riscontrato che era affetto da un grave ascesso dentario in quarta giornata ed inefficace alla antibioticoterapia.
Agli imputati condannati veniva irrogata la pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione, concesse le attenuanti generiche; pena condonata. Venivano inoltre condannati, in solido con il Responsabile Civile A.S.P. Regione Calabria, ai risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili da liquidare in separato; veniva inoltre concessa una provvisionale immediatamente esecutiva.
2. Con sentenza del 18/11/2010 la Corte di Appello di Potenza, dopo avere rilevato la inammissibilità dell’impugnazione del P.M., su appello degli imputati condannati e delle parti civili nei confronti degli imputati assolti, in riforma della sentenza di primo grado, condannava al risarcimento del danno anche G.V. e C.F. , quest’ultimo in solido con il Responsabile Civile “Centro Odontoiatrico San Luca”; confermava nel resto le condanne già irrogate.
Osservava la Corte di merito che la responsabilità degli imputati emergeva dalla circostanza che il decesso, secondo la condivisibile perizia svolta in primo grado, era avvenuto per un grave shock settico sviluppatosi a seguito di un’infezione localizzata in corrispondenza di un molare e che nessuno dei sanitari imputati aveva inciso l’ascesso o aveva contribuito, con la propria opera professionale, a consentire la erogazione delle appropriate terapie.
nonostante la evidenza della patologia e della ininfluenza della terapia antibiotica praticata.
3. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dei condannati, lamentando:
3.1. per P. (condannato anche agli effetti penali): il difetto di motivazione in ordine alla circostanza affermata in sentenza e contraddetta dagli atti che l’ascesso era insorto fin dal (…). Infatti tale circostanza era contraddetta dalla documentazione acquisita, da cui risultava che la prima ricetta redatta dal Dott. D.S. per il paziente D.M. era datata (…). La diversa deposizione del teste sul punto doveva essere valutata con attenzione tenuto conto dell’interesse che aveva il D.S. a non essere coinvolto nella vicenda penale. Se la malattia era insorta l'(…), nella visita del P. svolta il (…) il sanitario poteva non avere contezza di una situazione patologica allarmante.
3.2. Per F. (condannato anche agli effetti penali): il difetto di motivazione in ordine alla colposa causalità della condotta del sanitario, tenuto conto che, come riferito dallo stesso perito d’ufficio, “un ascesso dentario che evolve in mediastinite è un evento estremamente raro, non prevedibile nella comune pratica medica”.
Al momento della visita il D.M. presentava un normale febbre e l’ascesso, per cui l’infezione appariva localizzata. Né le condizioni di salute del paziente erano state segnalate dal medico curante G. , il quale né aveva accompagnato il giovane paziente in ospedale, né aveva contattato i sanitari del nosocomio di (omissis) . Pertanto dai fatti non emergeva alcuna causalità della condotta dell’imputato, né una sua colpa per violazione di regole cautelari e prudenziali.
3.3. Per G. (condannato solo agli effetti civili): a) la erronea applicazione della legge laddove la corte di merito dopo avere affermato l’esclusione della responsabilità penale dell’imputato, dichiarava la sua responsabilità civile sulla base di un omesso adempimento dell’obbligazione contrattuale assistenziale. In tal modo, violando l’art. 538 cod. proc. pen., correlato all’art. 185 cod. pen., aveva pronunciato una condanna prescindendo dall’accertamento incidentale della responsabilità penale, così come voluto dall’art. 538 cit. b) La violazione di legge ed, in particolare dell’art. 521 cod. proc. pen. Premesso che la corte di merito aveva equivocato il motivo dell’assoluzione in primo grado, avvenuta per insussistenza del fatto, ritenendo invece deliberata per difetto della colpa, nella pronuncia di condanna aveva violato il principio di correlazione: infatti, a fronte di una contestata condotta omissiva dell’incisione dell’ascesso, aveva pronunciato la condanna sulla base di non contestati addebiti, quali il mero consiglio del ricovero, accompagnamento in ospedale e senza far accompagnare il ricovero da un’adeguata informazione ai sanitari che lo avrebbero preso in carico.
c) L’erronea applicazione della legge penale in ordine alla ritenuta sussistenza del nesso causale. Invero nessuna regola cautelare connessa alla sua posizione di garanzia era stata violata. Infatti pur avendo visitato il paziente la domenica mattina, quando l’ambulatorio era chiuso e senza personale infermieristico, rilevato di non poter prudentemente svolgere l’incisione del flemmone per la difficoltà dell’intervento in sede ambulatoriale, aveva contattato la clinica odontoiatrica ed al rifiuto opposto, aveva indirizzato il paziente ed i familiari all’Ospedale di (omissis) , attrezzato per l’intervento. Pertanto aveva svolto il suo compito con diligenza, senza violare alcuna regola cautelare. Peraltro l’aggravamento delle condizioni del paziente era stato determinato esclusivamente dai comportamenti tenuti dai sanitari che avevano tenuto in cura il giovane D.M. dopo il ricovero.
d) il difetto di motivazione in relazione all’affermata causalità della condotta dell’imputato, senza specifici riferimenti al contenuto dell’obbligo assistenziale violato.
3.4. Per C. (condannato solo agli effetti civili): a) la violazione del principio di correlazione di cui all’art. 521 cod. proc. pen. Premesso che la Corte di appello aveva riconosciuto che al momento della visita del C. il paziente non abbisognava di un intervento odontoiatrico, ma di un più ampio intervento a fronte di un processo infettivo oramai generalizzato, se ne deduceva che la condotta contestata come omessa, l’incisione, era insufficiente a curare la evoluzione della patologia in atto, per cui correttamente il D.M. era stato indirizzato in ospedale. A fonte di ciò la condanna in secondo grado era stata basata su addebiti non contestati e diversi dalla mera pretesa omessa incisione.
b) il difetto di motivazione in ordine alla condanna, considerato che il Dott. C. , giovane medico al primo incarico, era stato l’unico ad individuare l’urgenza del ricovero e per tale motivo non aveva compiuto atti medici esorbitanti la sua professionalità. Inoltre nessun onere di segnalazione aveva, considerato che la sua specializzazione odontoiatrica non gli consentiva di dare indicazioni terapeutiche ai medici ospedalieri investiti della cura del paziente.
3.5. Per il Responsabile Civile Centro Odontoiatrico “San Luca” s.r.l. (per C. ): il difetto di motivazione in ordine alla riconosciuta responsabilità del Dott. C. . Invero la Struttura “San Luca” era abilitata ai soli ricoveri ordinari e non di pronto soccorso. Pertanto correttamente il C. a fronte di una situazione compromessa del D.M. , che richiedeva un trattamento in ambiente ospedaliere aveva avviato il paziente ad una struttura ospedaliere, per il ricovero presso la quale non necessitava di alcuna impegnativa. Né poteva farsi carico al C. di non aver accompagnato il giovane paziente presso l’Ospedale. Infatti il medico, odontoiatra di turno domenicale, non poteva abbandonare la struttura. Tali osservazioni difensive non erano state tenuto in conto dalla Corte di Appello la quale, a fronte di un’assoluzione in primo grado, avrebbe dovuto adempire all’onere motivazionale con maggiore ampiezza.
Considerato in diritto
4. In ordine alla posizione del P. (sanitario del pronto soccorso dell’ospedale di …), il giudice di appello ha confermato la condanna di primo grado, osservando che il perito aveva rilevato che se il sanitario avesse inciso l’ascesso, l’infezione sarebbe stata arrestata e, quindi, evitato l’exitus; l’inizio dell’ascesso dentario andava datato al (…) e non al (…), come si evinceva dalla scheda sanitaria redatta dal medico di famiglia (Dott. D.S. ) e dalle stesse annotazioni del P. nella cartella di accettazione sanitaria; pertanto, quando ebbe a visitarlo il (…), avrebbe già potuto rilevare la insufficienza del presidio antibiotico a far fronte alla patologia ed in tale situazione aveva omesso di intervenire o fare ricoverare il paziente in altra struttura.
In ordine all’insorgenza dell’ascesso, la difesa dell’imputato ha introdotto censure che, sul punto, esprimono solo un dissenso rispetto ad una ricostruzione del fatto (conforme nei due gradi di giudizio) che regge al sindacato di legittimità, non apprezzandosi nelle argomentazioni proposte quei profili di macroscopica illogicità, che soli, potrebbero qui avere rilievo.
Quanto alla causalità della condotta omissiva del P. , va premesso che questi (medico ospedaliero) si è trovato di fronte ad un paziente affetto da ascesso dentale, che null’altro è se non una raccolta di materiale purulento che deriva da un processo infettivo a carico del tessuto su cui è poggiato un dente.
La pericolosità dell’ascesso è costituita dal fatto che, se non trattato immediatamente con un’incisione, può determinare l’insorgenza di un flemmone, cioè una dispersione di pus o essudato purulento, non circoscritta, idonea a sopraffare le difese immunitarie.
Il perito di ufficio ha riferito che se l’ascesso fosse stato bloccato, non sarebbe diventato flemmone, con tutte le conseguenze letali (la mediastinite, che poi ha condotto allo shock settico e quindi al decesso).
Ne ha dedotto con coerente ragionamento il giudice di merito che, se il P. fosse intervenuto (o avesse fatto intervenire altro sanitario) la mattina del (…), incidendo l’ascesso con drenaggio del suo contenuto, non si sarebbe innescato il flemmone e la successiva serie causale che aveva condotto alla morte il giovane D.M. .
Né può dirsi che la condizione necessaria per il prodursi dell’evento, posta in essere dall’imputato, abbia perso di valore causale in ragione delle omissioni poste in essere dagli altri coimputati.
Invero questa Corte di legittimità ha avuto modo di statuire, con consolidata giurisprudenza, che “In tema di colpa medica, in presenza di una condotta colposa posta in essere da un determinato soggetto, non può ritenersi interattiva del nesso di causalità (art. 41, comma secondo, cod. pen.) una successiva condotta parimenti colposa posta in essere da altro soggetto, quando essa non abbia le caratteristiche dell’assoluta imprevedibilità e inopinabilità; condizione, questa, che non può, in particolare configurarsi quando, nel caso di colpa medica, tale condotta sia consistita nell’inosservanza, da parte di soggetto successivamente intervenuto, di regole dell’arte medica già disattese da quello che lo aveva preceduto (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 6215 del 10/12/2009 Ud. (dep. 16/02/2010), Rv. 246421; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 9967 del 18/01/2010 Ud. (dep. 11/03/2010), Rv. 246797; Cass. Sez. 47 Sentenza n. 13939 del 30/01/2008 Ud. (dep. 03/04/2008), Rv. 239593; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 20272 del 16/05/2006 Ud. (dep. 14/06/2006), Rv. 234596). L’infondatezza del ricorso del P. impone, pertanto, il suo rigetto.
5. Analogamente infondato è il ricorso proposto dal F. . In ordine a tale imputato (sanitario del pronto soccorso dell’ospedale di (omissis) ), ha rilevato la Corte di appello che sussistente era la causalità della sua condotta omissiva, non potendo l’evoluzione della malattia della vittima considerarsi un evento raro e non prevedibile; anche se il F. non era uno specialista, con la normale diligenza avrebbe dovuto rilevare la gravità della situazione, peraltro resa palese dalla decisione della guardia medica di (…) (dr. Gl. ) e del medico curante del D.M. (dr. G. ), di consigliare il ricovero ospedaliero per intervenire chirurgicamente; a fronte di ciò l’imputato non aveva effettuato alcun intervento, limitandosi a somministrare una inutile soluzione fisiologica ed a negare persino il ricovero (dimettendolo alle ore 13 del (omissis)). Dopo averlo visitato il giorno successivo ((omissis), di mattina), non aveva preso alcuna iniziativa terapeutica, disponendone il ricovero solo alle ore 13.00. Da nessun atto si rilevava, come dedotto dalla difesa, che la patologia della vittima, al momento della visita fosse già irreversibile.
La difesa dell’imputato, nel contestare la sussistenza del nesso causale tra la condotta del sanitario e l’evento, ha osservato che non era un fatto prevedibile che l’ascesso dentario evolvesse in mediastinite.
Va premesso che la mediastinite è una forma di infezione che interessa il mediastino. Il mediastino è un compartimento anatomico che occupa la parte mediana del torace. Comprende strutture ed organi dell’apparato circolatorio, dell’apparato respiratorio, dell’apparato digerente, del sistema linfatico e del sistema nervoso.
Orbene l’addebito mosso all’imputato è quello di non aver adottato alcun utile presidio diagnostico e terapeutico a fronte di una situazione evidente di ascesso e delle sue complicazioni, indipendentemente dal fatto che al momento del suo intervento fosse diagnosticabile una mediastinite in atto, peraltro evento che, sebbene raro, era pur sempre prevedibile (come pure altre complicazioni quali sepsi, infezioni ai tessuti molli, endocardite, polmonite). L’assoluta inerzia del F. , a fronte di una segnalata gravità della situazione, correttamente è stata ritenuta dal giudice di merito integrare una condotta colposa in nesso causale con l’evento verificatosi (si richiamano sul punto le argomentazioni già svolte in ordine al P. , in tema di causalità, sub 4).
Invero la mediastinite, come correttamente ritenuto dal giudice di merito, non può essere considerata una causa sopravvenuta “da sola sufficiente a determinare l’evento”, in quanto, sebbene l’insorgenza di tale complicanza non sia frequente, non può configurarsi come evoluzione della malattia completamente avulsa dall’antecedente e caratterizzata da un percorso causale completamente atipico, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta. Pertanto, la circostanza che sia una conseguenza non frequenta dell’ascesso, non significa che sia eccezionale ed atipica. Si impone pera quanto detto il rigetto del ricorso.
6. In ordine alla posizione del G. (medico dentista), va premesso che questi è stato assolto in primo grado. Ha osservato il Tribunale che sebbene il perito d’ufficio ed il C.T. del P.M. avessero valutato che l’incisione dell’ascesso era urgente ed avrebbe evitato con alto grado di probabilità l’evento morte; che inoltre tale intervento era alla portata tecnica del G. , medico dentista; in ogni caso la sua responsabilità andava esclusa in quanto era stato richiesta la sua opera di domenica, ad ambulatorio chiuso e senza assistenza infermieristica. Pertanto correttamente il G. aveva valutato come imprudente un suo intervento ambulatoriale ed aveva invitato i genitori del D.M. a portarlo in ospedale.
La corte di appello, su impugnazione della parte civile, ha ribaltato la sentenza di primo grado rilevando come il G. , dopo avere rilevato la gravità della situazione ed avere valutato la difficoltà ad effettuare l’incisione dell’ascesso in ambito ambulatoriale e, quindi, avere invitato il paziente al ricovero ospedaliero, non aveva seguito l’iter successivo alla visita determinando una carenza assistenziale rilevante dal punto di vista della responsabilità civile.
6.1. La difesa dell’imputato, con i motivi di ricorso, ha lamentato in primo luogo la violazione del principio di correlazione: infatti, a fronte di una contestata condotta omissiva dell’incisione dell’ascesso, la Corte di merito aveva pronunciato la condanna sulla base di non contestati addebiti, quali il mero consiglio del ricovero senza l’accompagnamento in ospedale e l’omissione di un’adeguata informazione ai sanitari che lo avrebbero preso in carico. La doglianza è infondata.
Sul punto va osservato che l’attribuzione al G. di un titolo di colpa diverso non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza. Infatti va ricordato come questa corte di legittimità, con giurisprudenza consolidata, abbia statuito che “Nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d’imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l’aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione. Difatti, il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell’imputato globalmente considerata in riferimento all’evento verificatosi, sicché questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui è chiamato a rispondere (Cass. IV, 38818/O5, De Bona; conf, Cass. I, 11538/97, Geremia; Cass. IV, 2393/05, Tucci; Cass. IV, 31968/09, Raso). Tale orientamento giurisprudenziale ha, di recente, ricevuto l’avallo delle Sezioni Unite, le quali hanno ribadito che “In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione” (Cass. Sez. U., Sentenza n. 36551 del 15/07/2010 Ud. (dep. 13/10/2010) Rv. 248051).
Nel caso di specie la condotta posta in essere dal G. è stato oggetto di approfondita istruttoria dibattimentale, sicché egli ha avuto la possibilità di difendersi in ordine a tutti i profili di colpa a suo carico formulabili e pur sempre incentrati su una contestazione di omissione della dovuta assistenza al paziente poi deceduto. Pertanto nessuna radicale mutazione dell’accusa si è maturata in pregiudizio del diritto di difesa.
Ne consegue da quanto detto che la censura formulata è infondata, sebbene non in modo manifesto.
6.2. La difesa dell’imputato ha, inoltre, lamentato la erronea applicazione della legge laddove la Corte distrettuale aveva dichiarato la responsabilità civile dell’imputato, sulla base di un omesso adempimento dell’obbligazione contrattuale assistenziale, senza prima pronunciarsi, incidentalmente, sulla sua responsabilità penale, ciò in violazione dell’art. 538 c.p.p. La censura è infondata.
Anche in tal caso va fatta una premessa. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità è consolidata nel ritenere che “In tema di impugnazioni, in presenza di specifica richiesta della parte civile, la pronuncia sulle domande di restituzione o di risarcimento del danno non può essere omessa per il solo fatto che la sentenza assolutoria dell’imputato non sia stata impugnata dal pubblico ministero, dovendo, in tal caso, il giudice effettuare, in via incidentale e ai soli fini civilistici, il giudizio di responsabilità; ma la pronuncia su tali domande non può che restare legata (e subordinata) all’accertamento (incidentale) della responsabilità penale” (Cass. Sez. l, Sentenza n. 19538 del 12/03/2004 Ud. (dep. 27/04/2004), Rv. 227971; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 39592 del 21/06/2007 Ud. (dep. 26/10/2007), Rv. 237875; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1693 del 29/09/1997 Ud. (dep. 11/02/1998), Rv. 210351).
Vero è che nella sentenza si richiama la natura contrattuale del rapporto del G. con il giovane D.M. per poi giustificare la sua condanna, ma ciò non significa che il giudice di appello abbia basato la pronuncia sul rilievo di un mero inadempimento civile, senza alcuna delibazione della responsabilità penale. Infatti il richiamo al legame contrattuale è stato strumentale per il riconoscimento della presenza in capo al G. di una “posizione di garanzia”, rilevante eziologicamente ai sensi del secondo comma dell’art. 40 c.p.. Sul tale punto questa Corte ha statuito che la posizione di garanzia nei confronti di un paziente è fondata anche sul contratto d’opera professionale, pertanto la responsabilità penale del medico può configurarsi qualora l’evento dannoso sia causalmente connesso ad un comportamento omissivo ex art. 40 comma secondo cod. pen. (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 9739 del 01/12/2004 Ud. (dep. 11/03/2005), Rv. 230820).
Nel caso di specie, pertanto, il richiamo ad una fonte contrattuale da parte del giudice di merito, per valutare la presenza di una posizione di garanzia e la violazione degli obblighi connessi, non ha integrato alcuna erronea applicazione della legge penale, in quanto tale puntualizzazione è stata strumentale per il riconoscimento della responsabilità penale (finalizzata alla condanna civile) del G. .
6.3. In ordine alla ritenuta presenza del nesso causale tra la condotta dell’imputato e l’evento, il giudice di appello, dopo avere premesso la ragionevolezza della scelta del G. di non intervenire di domenica ambulatorialmente; dopo avere rilevato che il giorno (omissis) il quadro clinico si presentava come contrassegnato da evidente gravità (richiamando in proposito le dichiarazioni del perito d’ufficio); ha ritenuto gravemente negligente la condotta del G. di fornire un mero “consiglio” all’accompagnamento in ospedale del D.M. , senza assicurarsi che i medici di destinazione fossero informati in modo preciso della gravità della situazione ed a supporto fosse trasmessa un’adeguata documentazione medica.
Con coerente ragionamento la Corte distrettuale ha ritenuto che tale condotta omissiva, posta in essere in violazione dell’obbligo gravante sul medico di prestare soccorso al paziente ed attivarsi per assicurarne l’assistenza (obbligo ancor più stringente quando il legame tra le parti è affidato al contratto), ha posto in essere una condizione necessaria dell’evento in concorso con le altre successive omissione. Anche in tal caso si richiamano le argomentazioni già svolte in ordine alla prima posizione esaminata in tema di concorso di cause (sub 4), ribadendo che se l’adeguata terapia sul paziente fosse stata posta in essere in data (omissis), l’evento letale si sarebbe evitato con alto grado di probabilità.
7. Quanto al ricorso del C. , odontoiatra in servizio di guardia presso la Clinica odontostomatologica San Luca di (omissis) , anche questi è stato assolto dal giudice di primo grado. Ha osservato il Tribunale che il C. :
– aveva visto il paziente nel pomeriggio del (omissis) dopo che era stato visitato in mattinata dal Dott. F. (presso il pronto soccorso di (omissis) ) e non ricoverato;
– constatata la gravità del caso lo aveva indirizzato presso un presidio ospedaliero;
– la clinica presso cui era in servizio non aveva il pronto soccorso e pertanto non avrebbe potuto avere l’ausilio di personale qualificato per eventuali urgenze;
– la patologia in atto, secondo quanto riferito dal perito di ufficio, richiedeva un apporto diagnostico e terapeutico non più limitato all’apparato stomatognatico, ma coinvolgente competenze di uno specialista maxillofacciale.
Ne ha dedotto da tutto ciò che nessun addebito di colpa poteva essere formulato a carico del C. , il quale in ragione delle sue competenze e della limitata funzionalità della clinica ove prestava la sua opera, non avrebbe potuto erogare la prestazione necessaria al D.M. .
La Corte di Appello, nel riformare la sentenza su impugnazione delle parti civili, ne ha riconosciuto, invece, la responsabilità (agli effetti civili), per la condotta serbata nel pomeriggio del (omissis), allorquando non aveva neanche provveduto a visitare il paziente, senza effettuare alcuna valutazione della patologia, limitandosi ad avviare il D.M. ed i genitori presso il pronto soccorso dell’Ospedale di (omissis) , omettendo di inquadrare la situazione clinica e, quindi, consentire ai sanitari successivi di avvalersi di una valutazione specialistica odontoiatrica.
7.1. Ciò detto, quanto al primo motivo di censura formulato, inerente alla violazione del principio di correlazione, si richiamano le argomentazioni già svolte nell’analisi della posizione del G. (sub 6.1).
7.2. In ordine alle censure riguardati l’addebito di colpa e la rilevanza causale della sua condotta, il giudice di merito ha ricordato le osservazioni svolte dal perito di ufficio, il quale ha stigmatizzato la condotta omissiva del medico il quale, nonostante la giovane età, aveva una laurea in odontoiatria, nonché l’abilitazione in medicina e chirurgia. Pertanto era in grado di effettuare una precisa diagnosi della situazione del D.M. , eventualmente con l’ausilio di specialisti reperibili.
Invero, una volta che un paziente si presenta presso una struttura medica chiedendo la erogazione di una prestazione professionale, il medico, in virtù del “contatto sociale”, assume una posizione di garanzia della tutela della sua salute ed anche se non può erogare la prestazione richiesta deve fare tutto quello che è nelle sua capacità per la salvaguardia dell’integrità del paziente. Nel caso di specie, con coerente e logica motivazione, la Corte di merito ha rilevato che il C. , pur avendo una qualificazione professionale che gli avrebbe consentito di effettuare una precisa diagnosi della patologia del D.M. , così da redigere una certificazione medica idonea ad agevolare l’opera dei successivi sanitari interventi, anche segnalando l’urgenza degli interventi, si limitò ad invitare il paziente ed i genitori a recarsi all’ospedale di (omissis) senza assicurarsi (come nel caso del dr. G. ) che i medici di destinazione fossero informati in modo preciso della gravità della situazione ed a supporto fosse trasmessa un’adeguata documentazione medica.
Ne ha dedotto la Corte distrettuale che tale negligente condotta omissiva aveva avuto una valenza causale, in quanto aveva contribuito a ritardare la erogazione dell’assistenza diagnostica e terapeutica che avrebbe evitato il decesso (si richiama quanto esposto sub 4 in tema di concorso di cause).
L’infondatezza del ricorso del C. impone il suo rigetto.
8. Al rigetto del ricorso del C. segue di conseguenza quello del responsabile civile Centro Odontoiatrico “San Luca”. Invero, una volta riconosciuta la responsabilità del sanitario; considerato che tale responsabilità si fonda su una condotta posta in essere dal medico quale dipendente della struttura sanitaria, la responsabilità di quest’ultima ne discende ai sensi dei principi sanciti dagli artt. 2049 e 1228 cod. civ..
Analoghe considerazioni valgono per il responsabile civile A.S.P. di Cosenza (non ricorrente), in ragione della ritenuta responsabilità dei medici dipendenti degli ospedali cosentini. Va peraltro osservato come non pertinente sia il richiamo nella memoria difensiva alle regole della responsabilità da “equipe” (e quindi dell’incidenza dell’affermazione della responsabilità del G. e del C. , rispetto a quella dei medici ospedalieri condannai), tenuto conto che la contestazione mossa non è di cooperazione colposa (art. 113 c.p.), ma di “condotte (autonome) causalmente concorrenti” (art. 41 c.p.).
Al rigetto dei ricorsi segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali; nonché la condanna, in solido tra loro e con l’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, delle spese sostenute dalle parti civili T.M. , D.M.D. e D.M.F. , che liquida come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna i ricorrenti ed il responsabile civile Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, in solido, a rimborsare le spese di giudizio in favore delle parti civili, liquidandole in complessivi Euro 1.500 oltre accessori come per legge.
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