BOLOGNA AVVOCATO PER TESTAMENTO, BOLOGNA AVVOCATO PER EREDE EREDE LESIONE LEGITTIMA QUANDO UNA VENDITA NASCONDE UNA DONAZIONE BOLOGNA AVVOCATO PER TESTAMENTO, BOLOGNA AVVOCATO PER EREDE
BOLOGNA AVVOCATO DISCONOSCIMENTO PATERNITA’ disconoscimento di paternità test di paternità test paternità riconoscimento paternità riconoscimento figlio riconoscimento di paternità riconoscimento figlio naturale figlio naturale paternità disconoscimento paternità figlio naturale non riconoscere un figlio accertamento paternità riconoscere un figlio figli legittimi nascita di un bambino figlio legittimo mantenimento figlio naturale dichiarazione giudiziale di paternità gruppo sanguigno paternità test paternità gruppo sanguigno mantenimento figli naturali disconoscimento di paternità figlio naturale azione disconoscimento paternità figli naturali accertamento di paternità discendenti legittimi disconoscimento di un figlio dichiarazione di paternità test di paternità in gravidanza
EREDITA’ SUCCESSIONI TESTAMENTO ALCUNE DOMANDE E RISPOSTA
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DOMANDA testamento a favore di un solo figlio si puo’?
- RISPOSTA se si hanno piu’ figli ognuno di loro gha diritto alla legittima
- Se il defunto lascia il coniuge e un solo figlio, la coniuge spetta almeno un terzo del patrimonio ereditato e al figlio almeno un altro terzo.
- Se il defunto lascia il coniuge e più di un figlio, ai figli spetta almeno la metà del patrimonio mentre al coniuge spetta almeno un quarto.
- Se il defunto lascia un solo figlio(e quindi il coniuge è già morto), a questi spetta almeno la metà del patrimonio.
- Se il defunto lascia più di un figlio, questi si ripartiscono in quote uguali almeno i due terzi del suo patrimonio.
- Se il defunto lascia solo il coniuge, a questo spetta almeno la metà del patrimonio e il diritto di abitazione sullacasa di proprietà del coniuge adibita a residenza familiare.
- Se il defunto lascia solo il coniuge e uno o più ascendenti legittimi, al coniuge spetta almeno la metà del patrimonio mentre agli ascendente almeno un quarto.
- Se il defunto lascia solo ascendenti legittimi, a questi spetta almeno un terzo del suo patrimonio.
- testamento olografo erede universale cosa vuol dire?
- Vuol dire che il testamento se validi ha disignato una persona ered edell’intero patrimonio, atteznione però anche degli eventuali debiti
- testamentoa favore dei nipoti?
- Non si puo’ dimenticare gli eredi necessari ad esempio non possiamo fare testamento dell’intero patrimonio a favore di nipoti se abbiamo figli, se lo facciamo per la quota di legittima spettante ai figli il testamento non è valido
- si può escludere un figlio daltestamento?
- No al figlio spetta la quota di legittima per legge, il figlio è erede necessario
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DOMANDA erede legittimo escluso dal testamento ?
- Puo’ gustamente rivendicare la sua quota, e chiedere quindi che le venga riconosciuta
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DOMANDA il testamento può escludere i fratelli ?
- I fratelli non sono eredi necessari quindi il testamento puo’ escluderli
- DOMANDA Si puo lasciare in eredità una casa ?
- RISPOSTA : Si puo’
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Domanda ereditàsenza testamento come funziona ?
- l’eredità senza testamento porta all’applicazione delle norme del codice civile per l’eredita’ e la sua divisione tra eredi legittimi
- anticipo eredità legittima ?
- Non si puo’ non vi è eredità se non muore il de cuius.
- Olui che deve fare testamento puo’ fare donazioni in vita ma se ne terrà conto ai fin idell’eredita’
- rinunciare all’eredità prima della morte
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domanda posso chiedere un anticipo sull’eredità?
- Risposta la norma generale è l’articolo 588 c.c. “Le disposizioni testamentarie, qualunque sia l’espressione o la denominazione usata dal testatore, sono a titolo universale e attribuiscono la qualifica di erede, se comprendono l’universalità o una quota dei beni del testatore. Le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualifica di legatario”. Il legato è soggetto all’azione di riduzione se il testatore non ha rispettato le quote di riserva ( o di legittima), disponendo oltre la quota di legittima, se sussistano ovviamente i legittimari. Diversamente il legato essendo attribuito in via specifica non viene considerato come quota dell’intera eredità.
- Si ma si intende una donazione e se ne terrà conto nella futura divisione
- ereditàsoldi in banca cosa fare
- In generale, possiamo affermare che hanno diritto ad una quota del conto corrente del defunto glieredi che hanno accettato l’eredità: la rinuncia con beneficio di inventario non è di ostacolo all’eredità delle somme del conto corrente ma lo è la rinuncia pura all’eredità stessa. Quindi, solo colui che ha accettato l’eredità può ottenere la propria quota di conto.
- L’erede ha diritto a conoscere dalla banca presso cui il soggetto defunto aveva aperto il conto, l’effettiva giacenza del conto stesso. A tal fine l’erede deve recarsi presso l’istituto di credito e dimostrare la propria qualità di erede a mezzo di atto notorio e l’avvenuto decesso con il certificato di morte. Con tale documentazione, l’erede potrà avere informazioni dalla banca su tutti i conti correnti, i depositi, i libretti di risparmio, le cassette di sicurezza, i finanziamenti in corso e quelli estinti, le azioni e le obbligazioni intestate dal soggetto defunto.
- anticipoeredità in denaro?
- Si mediante una donazione
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DOMANDA si può escludere un figlio dall’eredità?
- RISPOSTA No il figlio ha diritto alla quota di leggitim a prevista dalla legge
Alla morte di una persona, la legge riserva ad alcuni parenti stretti, per lo più figli e coniuge, una quota del patrimonio del defunto, intendendosi per patrimonio non solo ciò che lascia, ma anche ciò di cui si è spogliato, in vita, per donazione. Nel caso in cui vengano all’eredità, insieme alle due sorelle, anche il coniuge, la quota di legittima sarà di 1/4 per ciascuno, potendo disporre liberamente di 1/4 dell’eredità.
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DOMANDA impugnare testamento redatto da notaio si puo’
RISPOSTA certamente si ,teniamo presente che trattasi di testamento pubblico assai piu’ difficile da rimuovere rispetto a un testamento olografo !!
Il testamento pubblico (art. 603 c.c.) è ricevuto da un notaio in presenza di due testimoni, con il testatore che dichiara al notaio la propria volontà; volontà che il notaio mette per iscritto, dopo di che darà lettura del testamento ai presenti. Di ciascuna di tali formalità viene fatta menzione nel testamento. Questo deve indicare il luogo, la data del ricevimento e l’ora della sottoscrizione, e dev’essere firmato dal testatore, dai testimoni e dal notaio. Se il testatore non può sottoscrivere, o può farlo solo con grave difficoltà, deve dichiararne la causa e il notaio deve menzionare questa dichiarazione prima della lettura dell’atto.
cosa succede se si impugna un testamento ?
DOMANDA termine per impugnare testamento per lesione di legittima?
RISPOSTA Dieci anni dall’apertura successione
L’azione per ripristinare le quote dei legittimari lesi può essere esperita entro 10 anni dall’apertura della successione.
Dunque per impugnare un testamento per lesione di legittima, gli eredi “legittimari” hanno 10 anni di tempo.
DOMANDA impugnare testamento fratello?
RISPOSTA Ricordiamo che i fratelli sono eredi legittimi ma non legittimari: in sostanza beneficiano della massa ereditaria solamente se il de cuius muore senza lasciare testamento e se non ci sono altri eredi (coniuge, figli, genitori).
Quindi salvo casi specifici e particolari, gli eredi legittimi non hanno titolo per impugnare il testamento.
DOMANDA impugnazione testamento olografo falso come si fa?
RISPOSTA La parte che intenda contestare l’autenticità del testamento olografo prodotto in giudizio per far valere posizioni successorie ad esso ricollegabili ha l’onere di proporre la relativa domanda di accertamento negativo circa la provenienza della scrittura testamentaria, a cui è correlato, quindi, alla stregua dei principi generali in materia, anche quello di provarne i fatti dedotti a suo fondamento.
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EREDE LESIONE LEGITTIMA QUANDO UNA VENDITA NASCONDE UNA DONAZIONE
M.G. conveniva in giudizio M.D. deducendo che: il defunto M.F., padre di essa istante e nonno della convenuta, aveva venduto a quest’ultima un appartamento sito in (OMISSIS) con atto nel quale il prezzo, fissato in L. 90.000.000, si dichiarava già pagato in precedenza; tale atto di vendita era simulato essendo di fatto intervenuta tra le parti una donazione nulla perchè non effettuata con atto stipulato alla presenza di testimoni. L’attrice chiedeva quindi che il detto contratto di vendita fosse dichiarato simulato e che fosse dichiarata la nullità dell’atto di donazione dissimulato, per vizi di forma, con la condanna della convenuta alla restituzione del cespite alla massa ereditaria.
– ai fini della prova della simulazione di una vendita posta in essere dal “de cuius” per dissimulare una donazione, l’erede legittimo può ritenersi terzo rispetto agli atti impugnati, con conseguente ammissibilità senza limiti della prova della simulazione, solo quando, contestualmente alla azione volta alla dichiarazione di simulazione, proponga anche una espressa domanda di riduzione della donazione dissimulata, facendo valere la sua qualità di legittimario e fondandosi sulla specifica premessa che l’atto dissimulato comporti una lesione del suo diritto personale alla integrità della quota di riserva spettantegli, in quanto solo in questo caso egli si pone come terzo nei confronti della simulazione (sentenza 30/7/2002 n. 11286);
– con riferimento ad asserita vendita fittizia posta in essere dal de cuius per dissimulare una donazione, l’erede può essere considerato terzo ai fini della prova della simulazione – e dunque beneficiare delle agevolazioni probatorie ex art. 1417 c.c., – quando ha proposto contestualmente all’azione di simulazione anche un’espressa e concreta domanda di riduzione della donazione dissimulata (sentenza 26/4/2007 n. 9956);
– la prova della simulazione di un contratto solenne, stipulato da un soggetto poi deceduto, da parte degli eredi al medesimo succeduti a titolo universale, ed allo scopo di far ricomprendere l’immobile tra i beni facenti parte dell’asse ereditario, soggiace a tutte le limitazioni previste dalla legge (art. 1417 c.c.) per la prova della simulazione tra le parti, atteso che gli eredi, versando nelle stesse condizioni del “de cuius”, non possono legittimamente dirsi “terzi” rispetto al negozio; deve pertanto escludersi a tal fine la prova per testimoni, per presunzioni ed a mezzo di interrogatorio formale diretto a provocare la confessione della controparte. Nessuna limitazione probatoria incontra, per converso, l’erede che agisca in qualità di legittimario, per la tutela, cioè, di un diritto suo proprio, a condizione che egli abbia contestualmente a proporre domanda di integrazione della quota (sentenza 24/3/2006 n. 6632);
– l’erede che agisca per la nullità del contratto di compravendita stipulato dal “de cuius” perchè dissimulante una donazione e per la ricostruzione del patrimonio ereditario e la conseguente divisione dello stesso, senza anche far valere, rispetto alla donazione impugnata, la lesione del suo diritto di legittimario, non propone, nemmeno per implicito, una domanda di riduzione della donazione per lesione di legittima, azione che trova la sua “causa petendi” nella deduzione della qualità di legittimario e nella asserzione che la disposizione impugnata lede la quota di riserva; ne consegue che egli non può considerarsi terzo rispetto al negozio di cessione e che soggiace, pertanto, ai limiti di prova della simulazione stabiliti dalla legge nei confronti dei contraenti (sentenza 12/6/2007 n. 13706);
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Cassazione Civile Sez. II del 14 marzo 2008 n. 7048
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –
Dott. TRIOLA Roberto Michele – Consigliere –
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –
Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –
Dott. FIORE Francesco Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.G., elettivamente domiciliata in ROMA VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato IVAN MARRAPODI, difesa dall’avvocato SIRACUSANO NICOLA, giusta delega in atti;
– ricorrente –
Contro
M.D., elettivamente domiciliata in ROMA VIA ZANARDELLI 20, presso lo studio dell’avvocato STUDIO GIUFFRE’ FRANCESCO, difesa dall’avvocato RIZZO SERGIO, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 380/03 della Corte d’Appello di MESSINA, depositata il 23/09/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/01/08 dal Consigliere Dott. Lucio MAZZIOTTI DI CELSO;
udito l’Avvocato RIZZO Sergio, difensore della resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
M.G. conveniva in giudizio M.D. deducendo che: il defunto M.F., padre di essa istante e nonno della convenuta, aveva venduto a quest’ultima un appartamento sito in (OMISSIS) con atto nel quale il prezzo, fissato in L. 90.000.000, si dichiarava già pagato in precedenza; tale atto di vendita era simulato essendo di fatto intervenuta tra le parti una donazione nulla perchè non effettuata con atto stipulato alla presenza di testimoni. L’attrice chiedeva quindi che il detto contratto di vendita fosse dichiarato simulato e che fosse dichiarata la nullità dell’atto di donazione dissimulato, per vizi di forma, con la condanna della convenuta alla restituzione del cespite alla massa ereditaria.
M.D. si costituiva e contestava la fondatezza degli assunti dell’attrice.
Con sentenza 8/6/2001 l’adito tribunale di Messina rigettava la domanda ritenendo inammissibile – in applicazione dei limiti della prova in materia di simulazione relativa dei contratti – la prova per testi chiesta dall’attrice non avendo questa, erede del venditore, nè agito in qualità di legittimario e per la tutela della propria quota di riserva, nè proposto domanda di integrazione di tale quota.
Avverso la detta sentenza M.G. proponeva appello al quale resisteva M.D..
Con sentenza 23/9/2003 la corte di appello di Messina rigettava il gravame osservando: che secondo l’appellante nella specie non ricorrevano i limiti della prova della simulazione di cui all’art. 1417 c.c., e ciò perchè essa M.G. con l’atto di citazione non si era limitata a proporre domanda di simulazione dell’atto di vendita ma aveva chiesto anche la pronuncia di nullità del negozio dissimulato (donazione) per difetto di forma, con conseguente effetto di inserimento nel patrimonio ereditario del bene oggetto della vendita fittizia; che la detta tesi era infondata essendo evidente l’impedimento per l’adito giudice di esaminare la validità o meno dell’asserito atto di donazione – quale negozio dissimulato – a prescindere dalla chiesta preliminare ed assorbente pronuncia di simulazione dell’atto di vendita; che la prova dell’asserita simulazione incontrava i limiti previsti dalla legge non applicabili solo nell’ipotesi (non ricorrente nella specie) dell’erede agente in qualità di legittimario e per la tutela della propria quota di riserva (cioè per la tutela di un diritto suo proprio) sempre a condizione della contestuale proposizione della domanda di integrazione della quota stessa; che la prova testimoniale “inter partes”, come pure la prova attraverso il ricorso a presunzioni semplici, sarebbe stata ammissibile, per il combinato disposto degli artt. 1417 e 2725 c.c., solo se intesa a dimostrare la perdita incolpevole della eventuale controdichiarazione attestante l’esistenza dell’asserito contratto di donazione dissimulato.
La cassazione della sentenza della corte di appello di Messina è stata chiesta da M.G. con ricorso affidato ad un solo motivo illustrato da memoria. M.D. ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico articolato motivo di ricorso M.G. denuncia violazione degli artt. 1417, 1343, 1344, 1345, 2721, 2724, 2725, 2729 c.c., nonchè vizi di motivazione, sostenendo che la corte di appello ha errato nell’affermare: a) che la prova della simulazione è nel caso in esame soggetta ai limiti di cui all’art. 2724 c.c., n. 3, e art. 2725 c.c.; b) che ai limiti di prova si sottrae solo l’erede che agisce nella veste di legittimario con richiesta di reintegra della quota di riserva; c) che la prova per testi è preclusa “inter partes” con l’unica eccezione del caso descritto dall’art. 2724 c.c., n. 3. Ad avviso della ricorrente la proposizione di entrambe le dette domande è necessaria – come affermato nella giurisprudenza di legittimità (sentenza 2836/1997) – solo nel caso in cui non sia posta in dubbio la validità del negozio dissimulato mentre nel caso in cui l’atto di donazione dissimulato sia nullo, per difetto di forma, alla domanda di simulazione non deve aggiungersi quella di riduzione perchè il bene alienato, in conseguenza delle statuizioni di simulazione e di nullità, ritorna a far parte della massa ereditaria non essendo da questa mai uscito. Pertanto, al fine di non soggiacere ai limiti di prova, non è indispensabile che il legittimario promuova, oltre all’azione di simulazione, anche quella di reintegra nella quota di riserva lesa in quanto la declaratoria di simulazione del negozio apparente e la declaratoria di nullità del negozio dissimulato producono la stessa conseguenza in termini di prova dovendosi negare l’applicazione dei limiti probatori della simulazione essendo la formulazione congiunta delle istanze di simulazione e di nullità volta a far riapparire nel patrimonio del de cuius il bene oggetto della liberalità. Alla corte di appello è poi sfuggito che l’art. 1417 c.c., esonera dai limiti di prova non solo il terzo estraneo alla convenzione, ma anche la parte quando la domanda (come nel caso in esame) sia diretta a far valere l’illiceità del negozio dissimulato. Tra le norme di ordine pubblico vanno inserite anche quelle relative “alla forma costituita” ed “ai diritti di successione legittima e necessaria”. Ne consegue che la violazione delle norme dettate in tema di successione legittima attuata mediante una maliziosa preordinazione, rende illecito il negozio perchè sorretto da causa illecita ed utilizzato in frode alla legge oltre che mosso da motivo illecito.
Il motivo è infondato: la sentenza impugnata è corretta e si sottrae alle critiche di cui è stata oggetto.
In relazione alla prima censura – concernente la questione relativa alla delimitazione del regime probatorio della simulazione fatta valere dall’erede o dal legittimario – la tesi sostenuta dalla ricorrente si pone in netto ed insanabile contrasto con i seguenti principi più volte affermati nella giurisprudenza di legittimità che questa Corte ribadisce e fa propri:
– ai fini della prova della simulazione di una vendita posta in essere dal “de cuius” per dissimulare una donazione, l’erede legittimo può ritenersi terzo rispetto agli atti impugnati, con conseguente ammissibilità senza limiti della prova della simulazione, solo quando, contestualmente alla azione volta alla dichiarazione di simulazione, proponga anche una espressa domanda di riduzione della donazione dissimulata, facendo valere la sua qualità di legittimario e fondandosi sulla specifica premessa che l’atto dissimulato comporti una lesione del suo diritto personale alla integrità della quota di riserva spettantegli, in quanto solo in questo caso egli si pone come terzo nei confronti della simulazione (sentenza 30/7/2002 n. 11286);
– con riferimento ad asserita vendita fittizia posta in essere dal de cuius per dissimulare una donazione, l’erede può essere considerato terzo ai fini della prova della simulazione – e dunque beneficiare delle agevolazioni probatorie ex art. 1417 c.c., – quando ha proposto contestualmente all’azione di simulazione anche un’espressa e concreta domanda di riduzione della donazione dissimulata (sentenza 26/4/2007 n. 9956);
– la prova della simulazione di un contratto solenne, stipulato da un soggetto poi deceduto, da parte degli eredi al medesimo succeduti a titolo universale, ed allo scopo di far ricomprendere l’immobile tra i beni facenti parte dell’asse ereditario, soggiace a tutte le limitazioni previste dalla legge (art. 1417 c.c.) per la prova della simulazione tra le parti, atteso che gli eredi, versando nelle stesse condizioni del “de cuius”, non possono legittimamente dirsi “terzi” rispetto al negozio; deve pertanto escludersi a tal fine la prova per testimoni, per presunzioni ed a mezzo di interrogatorio formale diretto a provocare la confessione della controparte. Nessuna limitazione probatoria incontra, per converso, l’erede che agisca in qualità di legittimario, per la tutela, cioè, di un diritto suo proprio, a condizione che egli abbia contestualmente a proporre domanda di integrazione della quota (sentenza 24/3/2006 n. 6632);
– l’erede che agisca per la nullità del contratto di compravendita stipulato dal “de cuius” perchè dissimulante una donazione e per la ricostruzione del patrimonio ereditario e la conseguente divisione dello stesso, senza anche far valere, rispetto alla donazione impugnata, la lesione del suo diritto di legittimario, non propone, nemmeno per implicito, una domanda di riduzione della donazione per lesione di legittima, azione che trova la sua “causa petendi” nella deduzione della qualità di legittimario e nella asserzione che la disposizione impugnata lede la quota di riserva; ne consegue che egli non può considerarsi terzo rispetto al negozio di cessione e che soggiace, pertanto, ai limiti di prova della simulazione stabiliti dalla legge nei confronti dei contraenti (sentenza 12/6/2007 n. 13706);
– l’azione di divisione e quella di riduzione sono nettamente distinte ed autonome, atteso che la seconda tende, indipendentemente dalla divisione dell’asse ereditario, al soddisfacimento dei diritti dei legittimari nei limiti in cui siano lesi dalle disposizioni testamentarie, con la conseguenza che non può ritenersi implicitamente proposta con la domanda di divisione, la quale presuppone il già avvenuto recupero alla comunione ereditaria dei beni che ad essa siano stati eventualmente sottratti dal testatore con un atto che abbia violato la riserva per legge in favore dei legittimari (sentenza 23/1/2007 n. 1408);
– se il “de cuius” aveva posto in essere una vendita fittizia per dissimulare una donazione, l’erede può essere considerato terzo ai fini della prova della simulazione – e dunque beneficiare delle agevolazioni probatorie ex art. 1417 c.c., – quando ha proposto contestualmente all’azione di simulazione anche un’espressa e concreta domanda di riduzione della donazione dissimulata (sentenza 26/4/2007 n. 9956);
La statuizione impugnata – nel negare alla ricorrente l’esonero dalle limitazioni probatorie in tema di simulazione – è conforme ai suddetti principi costantemente affermati nella giurisprudenza di legittimità.
Per quanto poi riguarda il richiamo operato in ricorso, a sostegno della tesi ivi sviluppata, alla pronuncia di questa Corte n. 2836/1997 è sufficiente far espresso e puntuale riferimento a quanto al riguardo osservato nella successiva sentenza n. 11286/2002 (sopra citata e concernente una fattispecie analoga a quella in esame) con la quale è stato ineccepibilmente precisato:
- a) che la precedente decisione non era stata ben massimata ed era comunque relativa ad una controversia caratterizzata dalla formale proposizione – sia pur in via subordinata rispetto a quella principale di simulazione e di nullità – di una domanda di riduzione per cui correttamente erano stati ritenuti i-napplicabili “i limiti alla prova della simulazione proprio sulla considerazione che la principale fosse stata proposta allo specifico fine del recupero della sua quota di riserva”; b) che la simultanea proposizione – come nel caso in esame – delle azioni di simulazione e nullità, in quanto volte “nel loro complesso” a far riapparire nel patrimonio del de cuius il bene oggetto della liberalità, non “può di per sè sola portare ad escludere l’applicabilità dei limiti probatori della simulazione nel giudizio svolgentesi tra le parti del negozio assunto come simulato” e ciò sia perchè in tale giudizio l’unico vizio deducibile onde beneficiare dell’esonero dai detti limiti è l’illiceità e non la nullità del negozio dissimulato, sia perchè la questione di nullità del negozio dissimulato per un vizio ad esso proprio può logicamente essere esaminata “solo ove sia già intervenuto l’accertamento della simulazione del negozio apparente e della consequenziale sussistenza di quello dissimulato, onde le domande di simulazione e di nullità non possono essere considerate “nel loro complesso” e la decisione sulla simulazione non può essere influenzata, neppure in relazione all’ammissibilità o meno di determinati mezzi istruttori, dalla considerazione che il negozio dissimulato possa poi, con successivo ed autonomo capo di decisione, essere riconosciuto invalido, così determinandosi la riacquisizione del bene al patrimonio ereditario ed indirettamente giovando al legittimario eventualmente leso nella quota di riserva”.
Dalle riportate corrette e coerenti considerazioni emerge con immediatezza – atteso che la ricorrente M.G. non ha proposto alcuna azione di riduzione – non solo l’esattezza della motivazione posta a base della decisione impugnata (sopra riportata nella parte narrativa che precede) con la quale è stata disattesa la richiesta di prova orale e di ricorso alle presunzioni, ma anche l’inconsistenza della seconda censura mossa con l’unico motivo di ricorso con la quale la M.G. deduce che l’art. 1417 c.c., esonera dai limiti di prova, oltre al terzo estraneo alla convenzione, anche la parte nell’ipotesi di proposizione di domanda volta a far valere l’illiceità del negozio dissimulato. Tra le norme di ordine pubblico, ad avviso della ricorrente, vanno inserite anche quelle relative “alla forma costituita” ed “ai diritti di successione legittima e necessaria” per cui la violazione di dette norme rende illecito il negozio.
In proposito va peraltro aggiunto che dalla lettura della sentenza impugnata non risulta (nè è stato dedotto in ricorso) che M.G. abbia dedotto nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado o nell’atto di appello l’illiceità della donazione per “violazione delle norme dettate in tema di successione legittima” essendosi limitata a sostenere la nullità di tale donazione per vizio di forma.
Al riguardo va comunque evidenziato che, come questa Corte ha avuto modo di affermare, agli effetti dell’art. 1417 c.c., l’illiceità del negozio dissimulato è configurabile solamente se il negozio persegua interessi che l’ordinamento reprime per cui è soggetto alle limitazioni della prova per testi e per presunzioni il negozio dissimulato consistente nella donazione priva dei requisiti di forma, in quanto l’interesse perseguito dalle parti, cioè l’arricchimento di un soggetto per lo spirito di liberalità di un altro, non è contrario ai principi fondamentali dell’ordinamento (sentenze 11/2/2000 n. 1535; 20/7/1980 n. 444861).
Del pari nella giurisprudenza di legittimità si è precisato che l’illiceità del negozio dissimulato agli effetti dell’art. 1417 c.c., non è configurabile nel caso di attività negoziale preordinata alla violazione delle norme relative all’intangibilità della legittima in quanto non rientranti tra le norme imperative inderogabili, la contrarietà alle quali rende illecito il contratto (sentenza 29/10/1994 n. 8942).
Il ricorso deve pertanto essere rigettato in quanto del tutto infondato con la conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 100,00, oltre Euro 2.000,00 a titolo di onorari ed oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2008.
Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2008
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Occorre premettere che la domanda di divisione si propone quando, costituitasi la comunione ereditaria in seguito alla apertura della successione legittima o testamentaria, gli eredi chiedono lo scioglimento e le conseguenti assegnazione delle porzioni o attribuzione dei beni. Poiché anche la divisione comporta la collazione e l’imputazione (art. 724 cod. civ.), carattere precipuo della domanda di divisione è che, con questa, nessun erede deduce di aver subito una lesione della quota di riserva: in altre parole, gli eredi tenuti alla collazione ed alla imputazione non affermano che quanto dal defunto, direttamente o indirettamente, è stato donato abbia ecceduto la disponibile. Il petitum, pertanto, consiste nel conseguimento della quota ereditaria, mentre la causa petendi è data dalla semplice qualità di erede legittimo o testamentario.
L’azione di riduzione, invece, si propone nel caso in cui le disposizioni testamentarie o le donazioni siano eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre e ha come scopo, anzitutto, la determinazione dell’ammontare concreto della quota di legittima: vale a dire, della quota di cui il defunto poteva disporre e di stabilire come ed in quale misura le singole disposizioni testamentarie o le donazioni debbano ridursi per integrare la legittima. Essendo stabilito dalla legge il diritto del legittimario ad una determinata quota, con l’azione di riduzione egli mira a conseguire in concreto tale diritto e cioè ad accertare (costitutivamente), nei confronti della successione che lo riguarda, l’ammontare della quota di riserva e, quindi, della lesione che ad essa hanno apportato le disposizioni del de cuius, nonché le modalità e l’ammontare delle riduzioni di dette disposizioni lesive. Contestualmente, l’attuazione della reintegrazione in concreto implica la proposizione delle istanze di restituzione.
Nell’azione di riduzione, quindi, assumono una fisionomia a sé tanto il petitum, quanto la causa petendi. Il primo consiste nel conseguimento della quota di riserva, previa determinazione di essa mediante il calcolo della disponibile e la susseguente riduzione delle disposizioni testamentarie o delle donazioni compiute in vita dal de cuius; la seconda è data dalla qualità di erede legittimario e dalla asserita lesione della quota di riserva. Nel petitum e nella causa petendi dell’azione di riduzione sono presenti elementi ulteriori e più specifici di quelli costituenti il petitum e la causa petendi della domanda di divisione.
Da questo quadro ricostruttivo, i cui tratti sono costantemente delineati nella giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. 2, 16 novembre 2000, n. 14864; Cass., Sez. 2, 23 gennaio 2007, n. 1408; Cass., Sez. 2, 13 gennaio 2010, n. 368), deriva che è da escludere che il giudicato sullo scioglimento della comunione ereditaria in seguito all’apertura della successione legittima, nella specie limitato al relictum essendo stato il coerede donatario dispensato dalla collazione (cfr. Cass., Sez. 2, 6 marzo 1980, n. 1521), comporti un giudicato implicito sulla insussistenza della lesione della quota di legittima, per effetto della donazione compiuta in vita dal de cuius, in capo a ciascun coerede condividente.
Il giudicato implicito postula infatti che tra la questione decisa e quella che si vuole tacitamente risolta sussista un rapporto di dipendenza indissolubile, che determini l’assoluta inutilità di decidere la seconda questione; esso, pertanto, non è configurabile nella specie, in considerazione dell’autonomia e della diversità dell’azione di divisione ereditaria rispetto a quella di riduzione e del fatto che il ‘meno’, costituito dalla domanda di divisione, non contiene ‘il più’, rappresentato dalla proposizione della domanda di riduzione.
Ne consegue che il coerede, convenuto nel giudizio di scioglimento della comunione ereditaria, può, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divisione, esperire l’azione di riduzione della liberalità compiuta in vita dal de cuius nei confronti di altro coerede dispensato dalla collazione, lamentando l’eccedenza della donazione rispetto alla disponibile e chiedendo la reintegrazione della quota di riserva, con le conseguenti restituzioni.
È bensì vero che, morto il de cuius, il legittimario leso può rinunciare all’azione di riduzione delle disposizioni lesive della sua quota di riserva, ma è necessario, a tal fine, che egli manifesti positivamente la volontà di rinunciare al suo diritto di conseguire l’integrazione spettantegli. Ove manchi una rinuncia espressa in tal senso, si può giungere a ritenere l’esistenza di una rinuncia tacita solo in base ad un comportamento inequivoco e concludente del soggetto interessato, che sia incompatibile con la volontà di far valere il diritto alla reintegrazione. Ma è da escludere che la mancata costituzione nel giudizio di scioglimento della comunione ereditaria promosso da altro coerede esprima l’inequivoca volontà della parte convenuta contumace di rinunciare a far valere, in separato giudizio, il suo diritto alla reintegrazione della quota di eredità riservatale per legge (cfr. Cass., Sez. 2, 7 maggio 1987, n. 4230; Cass., Sez. 2, 21 maggio 2012, n. 8001).
A ciò aggiungasi che il diritto alla reintegrazione della quota, vantato da ciascun legittimario, è autonomo nei confronti dell’analogo diritto degli altri legittimari, non essendo espressione di un’azione collettiva spettante complessivamente al gruppo dei legittimari (Cass., Sez. 2, 11 luglio 1969, n. 2546; Cass., Sez. 2, 13 dicembre 2005, n. 27414; Cass., Sez. 2, 20 dicembre 2011, n. 27770); sicché il giudicato sull’azione di riduzione promossa vittoriosamente da uno di essi – se non può avere l’effetto di operare direttamente la reintegrazione spettante ad altro legittimario che abbia preferito, pur essendo presente nel processo di divisione contemporaneamente promosso, rimanere per questa parte inattivo (Cass., Sez. 2, 28 novembre 1978, n. 5611) – neppure preclude a quest’ultimo di agire separatamente, nell’ordinario termine di prescrizione, con l’azione di reintegrazione della sua quota di riserva.