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COME MODIFICARE CONDIZIONI DI SEPARAZIONE / DIVORZIO- IMOLA BOLOGNA MATRIMONIALISTA BOLOGNA

RISOLVI SEPARAZIONE PER INFEDELTA’ BOLOGNA AVVOCATO MATRIMONIALISTA- MONZUNO ANZOLA BOLOGNA GALLIERA BUDRIO CON FIDUCIA

COME MODIFICARE CONDIZIONI DI SEPARAZIONE / DIVORZIO- IMOLA BOLOGNA MATRIMONIALISTA BOLOGNA

RISOLVI SEPARAZIONE PER INFEDELTA’ BOLOGNA AVVOCATO MATRIMONIALISTA- MONZUNO ANZOLA BOLOGNA GALLIERA BUDRIO CON FIDUCIA
RISOLVI SEPARAZIONE PER INFEDELTA’ BOLOGNA AVVOCATO MATRIMONIALISTA- MONZUNO ANZOLA BOLOGNA GALLIERA BUDRIO CON FIDUCIA
  • Separazione consensuale e giudiziale
  • Divorzio congiunto e giudiziale
  • Modifica condizioni di separazioni o di divorzio
  • Ricorso per la determinazione delle condizioni al mantenimento dei figli
  • Negoziazione assistita per la soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili e di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni della separazione o di divorzio
  • Assistenza pratica per la separazione o divorzio avanti all’Ufficiale di Stato Civile (separazione e divorzio in comune)
  • Azioni di Paternità
  • Eredità e Donazioni
  • Tutela e Interdizione
  • Amministratore di sostegno

DIVORZIO- MATRIMONIALISTA BOLOGNA Dette modifiche sono consentite quando vi siano delle discordanze tra la situazione economica in sede di giudizio e la situazione economica venutasi a creare successivamente.
Non sono ammessi però  tardivi ripensamenti da parte di un coniuge non soddisfatto dall’assetto di interessi concordato.

La clausola rebus sic stantibus (finché stanno così le cose), cui sono soggetti i provvedimenti che si accompagnano alla separazione presuppone per la loro revisione, la sopravvenienza di circostanze che i coniugi non potevano prevedere al momento della separazione (tipico esempio è quello del percepimento del TFR o della perdita del posto di lavoro).

 

La differente genesi storica di separazione e divorzio ha determinato la previsione delle rispettive discipline in testi normativi differenti: la separazione, quanto agli aspetti sostanziali è disciplinata dal codice civile (art. 150 ss. c.c.), quanto agli aspetti processuali, dal codice di rito (art. 706 s.s. c.p.c.), mentre per il divorzio occorre riferirsi alla l. n. 898 del 1970. Le successive modifiche normative, la l. 151/75, riforma del diritto di famiglia, che ha riguardato gli aspetti sostanziali della separazione e le l. 436/1978 e 74/1987 sul divorzio, non hanno condotto all’individuazione di regole comuni (quanto mai utili dal punto di vista processuale) tra i due istituti, malgrado da più parti ciò venisse ampiamente auspicato, per superare problemi di coordinamento tra le due discipline. Va qui ricordato che l’art. 23 della richiamata L. 74/1987., prevede l’estensione alla separazione della normativa processuale di cui all’art. 4 L. 898, in quanto applicabile, e comunque fino all’entrata in vigore del nuovo codice di rito. I profili processuali della separazione personale sono stati parzialmente rinnovati con L. n. 51/2006 (di conversione del d.l.$,. 273/2005) e n. 80/2005 (di conversione del d.l. n. 35/2005, che ha pure novellato il testo dell’arte. L.898); a sua volta la l. n. 54/2006, più comunemente nota in relazione alla previsione dell’affidamento condiviso, ha inserito un ultimo comma all’art. 708 c.p.c. ed introdotto ex novo l’art. 709 ter c.p.c.: si tratta di previsioni espressamente dichiarate applicabili al giudizio di divorzio dall’art. 4 della predetta legge. Come si vede, una serie di modifiche molto numerose e “tormentate”. Tuttavia, ancora una volta, nonostante la volontà, a tratti palese, dei legislatore di procedere verso un omogeneità delle due discipline (processuali), l’unificazione non si è completamente raggiunta, ed alcune differenze permangono.

In tutto questo variegato contesto, parte della dottrina ha affermato che è stato posta in essere quella riforma del codice di rito, indicata nel citato art. 23 L. 74/1987, quale termine finale per la sua operatività (e quindi per l’estensione alla separazione della disciplina del divorzio, in relazione agli aspetti privi di regolamentazione). Appare del tutto condivisibile la soluzione opposta, proprio per la mancanza di un organica revisione del codice di procedura civile.

L’art. 710 c.p.c. regola in pochi tratti la disciplina dei procedimenti di modifica delle condizioni di separazione. A seguito della novella del 1988 (art. 1 L. 331/19885 si indicano esplicitamente per essi “le forme del procedimento in camera di consiglio”, e dunque si richiamano gli artt. 737 e ss. c.p.c..

Il predetto art. 23 L. n. 74/87, da intendersi, come si è detto, ancora operante, estende ai giudizi di separazione personale, “in quanto compatibili”, le regole dell’art. 4 L. 898, ove si disciplina la procedura dei giudizi di divorzio: in particolare, l’art. 4 comma 11 (ora 14) precisa che, per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica, la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva, previsione anteriore alla generalizzata esecutorietà delle sentenze di primo grado, introdotta dalla l. n.353 del 1990.

Rimangono peraltro estranei alla previsione tanto la disciplina dei procedimenti di modifica del regime di divorzio, inserita nell’art. 9 l. n. 8 98, quanto quella dei procedimenti di modifica delle condizioni di separazione di cui all’art. 710 c.p.c. Entrambi gli articoli richiamano espressamente la disciplina dei procedimenti in camera di consiglio (art. 737 ss. c.p.c.), e di essa, dunque, anche la previsione dell’esecutorietà, solo ad opera del giudice (art. 744 c.p.c.).

È da ritenere dunque che i provvedimenti di modifica delle condizioni di separazione (e di divorzio), non siano immediatamente esecutivi.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

Sentenza 18 gennaio – 27 aprile 2011, n. 9373

Svolgimento del processo

Tra R.F. e D.B., intervenne separazione consensuale omologata dal Tribunale di La Spezia in data 16-07-2003, ove si prevedeva la corresponsione da parte del D. di assegno mensile di mantenimento per la R. e per i figli minori.

Con ricorso ex art. 710 c.p.c., il D. chiedeva riduzione dell’importo dell’assegno. Il Tribunale di La Spezia, con decreto 13-9-2004, riduceva tale importo ad Euro 700,00 mensili.

In data 18/03/2005, la R. notificava al D. atto di precetto; successivamente, in data 29-09-2005, atto di pignoramento verso terzi, convenendo in giudizio davanti al Giudice dell’Esecuzione la Direzione Commissariato Marina Militare di La Spezia nonché il D.; il terzo rendeva la dichiarazione ex art. 547 c.p.c..

Il D. proponeva opposizione all’esecuzione, eccependo l’assenza di titolo esecutivo. Costituitosi regolarmente il contraddittorio, la R. chiedeva rigettarsi l’opposizione. Il Tribunale di La Spezia, in composizione monocratica, con sentenza 13-12-2006/29-01-2007, accoglieva l’opposizione, affermando l’inesistenza del titolo esecutivo.

Avverso la sentenza, non impugnabile ex art. 14 legge n. 52 del 2006, che ha riformato l’art. 616 c.p.c., la R. propone ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., sulla base di un unico, articolato motivo.

Non ha svolto attività difensiva la controparte.

Motivi della decisione

Con un unico motivo, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 4, comma 14 L. 898/70 novellato, e 23 L. n.74/77. Afferma che, dal combinato disposto dei predetti articoli, deriverebbe l’efficacia immediata, senza necessità di una clausola di esecutorietà, del provvedimento di modifica delle condizioni di separazione, che dunque potrebbe valere come titolo esecutivo. La questione sollevata si inserisce nell’ampio e articolato dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulle differenze e le consonanze – dei procedimenti di separazione e divorzio.

La differente genesi storica di separazione e divorzio ha determinato la previsione delle rispettive discipline in testi normativi differenti: la separazione, quanto agli aspetti sostanziali è disciplinata dal codice civile (art. 150 ss. c.c.), quanto agli aspetti processuali, dal codice di rito (art. 706 s.s. c.p.c.), mentre per il divorzio occorre riferirsi alla l. n. 898 del 1970. Le successive modifiche normative, la l. 151/75, riforma del diritto di famiglia, che ha riguardato gli aspetti sostanziali della separazione e le l. 436/1978 e 74/1987 sul divorzio, non hanno condotto all’individuazione di regole comuni (quanto mai utili dal punto di vista processuale) tra i due istituti, malgrado da più parti ciò venisse ampiamente auspicato, per superare problemi di coordinamento tra le due discipline. Va qui ricordato che l’art. 23 della richiamata L. 74/1987., prevede l’estensione alla separazione della normativa processuale di cui all’art. 4 L. 898, in quanto applicabile, e comunque fino all’entrata in vigore del nuovo codice di rito. I profili processuali della separazione personale sono stati parzialmente rinnovati con L. n. 51/2006 (di conversione del d.l.$,. 273/2005) e n. 80/2005 (di conversione del d.l. n. 35/2005, che ha pure novellato il testo dell’arte. L.898); a sua volta la l. n. 54/2006, più comunemente nota in relazione alla previsione dell’affidamento condiviso, ha inserito un ultimo comma all’art. 708 c.p.c. ed introdotto ex novo l’art. 709 ter c.p.c.: si tratta di previsioni espressamente dichiarate applicabili al giudizio di divorzio dall’art. 4 della predetta legge. Come si vede, una serie di modifiche molto numerose e “tormentate”. Tuttavia, ancora una volta, nonostante la volontà, a tratti palese, dei legislatore di procedere verso un omogeneità delle due discipline (processuali), l’unificazione non si è completamente raggiunta, ed alcune differenze permangono.

In tutto questo variegato contesto, parte della dottrina ha affermato che è stato posta in essere quella riforma del codice di rito, indicata nel citato art. 23 L. 74/1987, quale termine finale per la sua operatività (e quindi per l’estensione alla separazione della disciplina del divorzio, in relazione agli aspetti privi di regolamentazione). Appare del tutto condivisibile la soluzione opposta, proprio per la mancanza di un organica revisione del codice di procedura civile.

L’art. 710 c.p.c. regola in pochi tratti la disciplina dei procedimenti di modifica delle condizioni di separazione. A seguito della novella del 1988 (art. 1 L. 331/19885 si indicano esplicitamente per essi “le forme del procedimento in camera di consiglio”, e dunque si richiamano gli artt. 737 e ss. c.p.c..

Il predetto art. 23 L. n. 74/87, da intendersi, come si è detto, ancora operante, estende ai giudizi di separazione personale, “in quanto compatibili”, le regole dell’art. 4 L. 898, ove si disciplina la procedura dei giudizi di divorzio: in particolare, l’art. 4 comma 11 (ora 14) precisa che, per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica, la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva, previsione anteriore alla generalizzata esecutorietà delle sentenze di primo grado, introdotta dalla l. n.353 del 1990.

Rimangono peraltro estranei alla previsione tanto la disciplina dei procedimenti di modifica del regime di divorzio, inserita nell’art. 9 l. n. 8 98, quanto quella dei procedimenti di modifica delle condizioni di separazione di cui all’art. 710 c.p.c. Entrambi gli articoli richiamano espressamente la disciplina dei procedimenti in camera di consiglio (art. 737 ss. c.p.c.), e di essa, dunque, anche la previsione dell’esecutorietà, solo ad opera del giudice (art. 744 c.p.c.).

È da ritenere dunque che i provvedimenti di modifica delle condizioni di separazione (e di divorzio), non siano immediatamente esecutivi.

Certo di fronte alla generalizzata esecutorietà delle sentenze di primo grado, tale carattere appare una sorta di residuo affatto eccezionale, in una materia come quella familiare che richiede tempestività e snellezza operativa.

Difficile peraltro ipotizzare una questione di legittimità costituzionale al riguardo: i Giudici della Consulta non potrebbero che richiamare la scelta discrezionale del legislatore di attribuire ai procedimenti di modifica delle condizioni di separazione e divorzio, le forme di quelli in camera di consiglio. Toccherebbe dunque al legislatore intervenire, secondo i voti di gran parte della dottrina.

Nella specie, dunque, mancando una clausola di esecutorietà del provvedimento, questo non poteva valere come titolo esecutivo.

Il ricorso va rigettato, in quanto infondato.

Nulla sulle spese, non essendosi costituito l’intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

MODIFICA DELLE CONDIZIONI DI SEPARAZIONE / DIVORZIO- IMOLA BOLOGNA MATRIMONIALISTA BOLOGNA
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MODIFICA DELLE CONDIZIONI DI SEPARAZIONE / DIVORZIO- MATRIMONIALISTA BOLOGNA

AVVOCATO DIVORZISTA BOLOGNA

Il Diritto di Famiglia disciplina i rapporti familiari in genere: parentela e affinità, matrimonio, rapporti personali fra i coniugi, rapporti patrimoniali nella famiglia, filiazione, rapporti fra genitori e figli, separazione e divorzio. Il diritto di famiglia di recente è stato profondamente riformato da tre provvedimenti normativi: legge 162/2014, legge 55/2015 e legge n.76/2016.

La legge 20 maggio 2016 n° 76 regola la disciplina della convivenza e delle unioni civili.
Il riconoscimento della parità tra figli nati all’interno del matrimonio a quelli nati al di fuori del medesimo, rende il ricorso alla tutela giuridica sempre più frequente.

Lo studio dell’Avvocato Sergio Armaroli AVVOCATO DIVORZISTA BOLOGNA  offre assistenza legale per la difesa in tutti i gradi di giudizio nelle controversie in materia familiare, a tutela dei soggetti più deboli,

La separazione consensuale si fonda sull’accordo dei coniugi su alcuni elementi fondamentali della divisione; essi sono, tra gli altri, l’assegnazione della casa coniugale, la quantificazione dell’assegno di mantenimento del coniuge (ove previsto) e dell’assegno di mantenimento dei figli, l’affidamento della prole, la spartizione dei beni comuni tra i coniugi.

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Rientrano in tale ambito:

AVVOCATO DIVORZISTA BOLOGNA Scioglimento della convivenza “more uxorio” n tutti i casi di “coppia di fatto”, in assenza quindi del vincolo matrimoniale, a meno che non ci si accordi consensualmente sulle condizioni di separazione (quali ad esempio scioglimento di comunioni immobiliari, suddivisione dei beni in comune, ad esempio immobili in comproprietà, conto corrente, etc) è consentito ricorrere al Tribunale solo per disciplinare l’affidamento, collocamento e mantenimento dei figli.

  • AVVOCATO DIVORZISTA BOLOGNA

  • AVVOCATO DIVORZISTA BOLOGNA Affidamento dei minori o incapaci
  • AVVOCATO DIVORZISTA BOLOGNA Riconoscimento e Disconoscimento di Paternità
  • AVVOCATO DIVORZISTA BOLOGNA Assegnazione degli alimenti: per chi è in stato di bisogno e non riesci a provvedervi
  • AVVOCATO DIVORZISTA BOLOGNA- Assegnazione della casa familiare: in caso di separazione o divorzio

  • AVVOCATO DIVORZISTA BOLOGNA Affidamento dei figli e Tutela dei diritti dei minori: per famiglie legittime o di fatto

  • Provvedimenti d’urgenza contro abusi familiari

  • ED INOLTRE L’AVVOCATO DIRITTO DI FAMIGLIA BOLOGNA TRATTA

  • 1) ricorsi per la separazione consensualedei coniugi;

  • 2) separazione con negoziazione assistita(c.d. separazione davanti all’Avvocato, senza ricorso in Tribunale);

3) ricorsi per la separazione giudiziale dei coniugi; Sono i casi in cui i coniugi hanno entrambi la volontà di separarsi ovvero si sono resi conto che non risulta possibile continuare nel rapporto matrimoniale anche per il bene dei figli, oltre che delle parti stesse.

In questi casi le parti possono rivolgersi entrambi ad un unico avvocato che provvederà a stimolare la riflessione su quegli elementi da risolvere prima di predisporre il ricorso per separazione, ovvero a puntualizzare in una scrittura privata gli accordi raggiunti o a suggerire accordi opportuni caso per caso.

Ovviamente un ricorso per separazione consensuale congiunto riduce i costi per le parti e i tempi di raggiungimento dell’accordo.

  • 4) ricorsi per l’ottenimento del divorzio congiunto(scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario);
  • Che cos’è Il divorzio breve, ? Il divorzio breve è una nuova procedura inaugurata insieme alla separazione breve, che permette ai coniugi che intendono far cessare o sciogliere gli effetti civili del matrimonio o che hanno una separazione in corso di chiederlo in tempi velocissimi.

5) divorzio con negoziazione assistita (c.d. divorzio davanti all’Avvocato, senza ricorso in Tribunale); l divorzio stabilisce lo scioglimento del matrimonio civile o la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario. La pronuncia del divorzio non incide, però, sul sacramento religioso.
Col divorzio congiunto le parti stabiliscono consensualmente di adire, il Tribunale nella sede competente, per la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario o lo scioglimento del matrimonio civile, nonché per tutti i patti accessori e precisamente: assegnazione della casa coniugaleaffidamento dei figli minorenni e la allocazione degli stessi, assegno di mantenimento per i figli minorenni o per i figli maggiorenni non economicamente autosufficienti ed eventualmente assegno al coniuge economicamente più debole.

  • 6) ricorsi per l’ottenimento del divorzio giudiziale(scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario);
  • 7) ricorsi congiunti o giudiziali per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio;
  • 8) assistenza e consulenza legalenel diritto di famiglia e mediazione familiare;

AVVOCATO DIVORZISTA BOLOGNA

DIVORZIO- MATRIMONIALISTA BOLOGNAIl provvedimento di modifica delle condizioni di separazione, previsto dall’art. 710 cod. proc. civ., non è immediatamente esecutivo, ma solo ove in tal senso sia disposto dal giudice ai sensi dell’art. 741 cod. proc. civ.: infatti, mentre l’art. 1 della novella 29 luglio 1988, n. 331 richiama espressamente la disciplina dei procedimenti in camera di consiglio, resta inapplicabile l’art. 4, comma 14, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, il quale dispone la provvisoria esecutività della sentenza di primo grado pronunciata all’esito del giudizio di divorzio, regola estesa dall’art. 23 della legge 6 marzo 1987, n. 74 ai giudizi di separazione personale, ma non a quelli di modifica del regime di separazione”. (così Cass. n. 9373 del 2011).

DIVORZIO- MATRIMONIALISTA BOLOGNATale principio di diritto è stato affermato sulla base della seguente motivazione, che è opportuno richiamare: “Con un unico motivo, la ricorrente lamenta violazione della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 14, novellato, e L. n. 74 del 1977, art. 23. Afferma che, dal combinato disposto dei predetti articoli, deriverebbe l’efficacia immediata, senza necessità di una clausola di esecutorietà, del provvedimento di modifica delle condizioni di separazione, che dunque potrebbe valere come titolo esecutivo. La questione sollevata si inserisce nell’ampio e articolato dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulle differenze e le consonanze – dei procedimenti di separazione e divorzio. La differente genesi storica di separazione e divorzio ha determinato la previsione delle rispettive discipline in testi normativi differenti: la separazione, quanto agli aspetti sostanziali è disciplinata dal codice civile (art. 150 c.c., e ss.), quanto agli aspetti processuali, dal codice di rito (art. 706 c.p.c. e ss.), mentre per il divorzio occorre riferirsi alla L. n. 898 del 1970. Le successive modifiche normative, la L. n. 151 del 1975, riforma del diritto di famiglia, che ha riguardato gli aspetti sostanziali della separazione e le L. n. 436 del 1978, e L. n. 74 del 1987, sul divorzio, non hanno condotto all’individuazione di regole comuni (quanto mai utili dal punto di vista processuale) tra i due istituti, malgrado da più parti ciò venisse ampiamente auspicato, per superare problemi di coordinamento tra le due discipline. Va qui ricordato che la richiamata L. n. 74 del 1987, art. 23, prevede l’estensione alla separazione della normativa processuale di cui all’art. 4 L. 898, in quanto applicabile, e comunque fino all’entrata in vigore del nuovo codice di rito. I profili processuali della separazione personale sono stati parzialmente rinnovati con L. n. 51 del 2006 (di conversione del D.L. n. 273 del 2005) e n. 80/2005 (di conversione del D.L. n. 35 del 2005, che ha pure novellato il testo della L. n. 898, art. 6); a sua volta la L. n. 54 del 2006, più comunemente nota in relazione alla previsione dell’affidamento condiviso, ha inserito un ultimo comma, all’art. 708 c.p.c., ed introdotto ex novo l’art. 709 ter c.p.c.: si tratta di previsioni espressamente dichiarate applicabili al giudizio di divorzio dall’art. 4 della predetta legge. Come si vede, una serie di modifiche molto numerose e “tormentate”. Tuttavia, ancora una volta, nonostante la volontà, a tratti palese, dei legislatore di procedere verso un omogeneità delle due discipline (processuali), l’unificazione non si è completamente raggiunta, ed alcune differenze permangono.

DIVORZIO- MATRIMONIALISTA BOLOGNAIn tutto questo variegato contesto, parte della dottrina ha affermato che è stata posta in essere quella riforma del codice di rito, indicata nella citata L. n. 74 del 1987, art. 23, quale termine finale per la sua operatività (e quindi per l’estensione alla separazione della disciplina del divorzio, in relazione agli aspetti privi di regolamentazione). Appare del tutto condivisibile la soluzione opposta, proprio per la mancanza di un’organica revisione del codice di procedura civile. L’art. 710 c.p.c., regola in pochi tratti la disciplina dei procedimenti di modifica delle condizioni di separazione. A seguito della novella del 1988 (L. n. 331 del 1988, art. 1, si indicano esplicitamente per essi “le forme del procedimento in camera di consiglio”, e dunque si richiamano l’art. 737 c.p.c. e ss.. La predetta L. n. 74 del 1987, art. 23, da intendersi, come si è detto, ancora operante, estende ai giudizi di separazione personale, “in quanto compatibili”, le regole della L. n. 898, art. 4, ove si disciplina la procedura dei giudizi di divorzio: in particolare, l’art. 4, comma 11 (ora 14) precisa che, per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica, la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva, previsione anteriore alla generalizzata esecutorietà delle sentenze di primo grado, introdotta dalla L. n. 353 del 1990. Rimangono peraltro estranei alla previsione tanto la disciplina dei procedimenti di modifica del regime di divorzio, inserita nella L, n. 898, art. 9, quanto quella dei procedimenti di modifica delle condizioni di separazione di cui all’art. 710 c.p.c. Entrambi gli articoli richiamano espressamente la disciplina dei procedimenti in camera di consiglio (art. 737 c.p.c. e ss.), e di essa, dunque, anche la previsione dell’esecutorietà, solo ad opera del giudice (art. 744 c.p.c.). È da ritenere dunque che i provvedimenti di modifica delle condizioni di separazione (e di divorzio), non siano immediatamente esecutivi. Certo di fronte alla generalizzata esecutorietà delle sentenze di primo grado, tale carattere appare una sorta di residuo affatto eccezionale, in una materia come quella familiare che richiede tempestività e snellezza operativa. Difficile peraltro ipotizzare una questione di legittimità costituzionale al riguardo: i Giudici della Consulta non potrebbero che richiamare la scelta discrezionale del legislatore di attribuire ai procedimenti di modifica delle condizioni di separazione e divorzio, le forme di quelli in Camera di consiglio. Toccherebbe dunque al legislatore intervenire, secondo i voti di gran parte della dottrina. Nella specie, dunque, mancando una clausola di esecutorietà del provvedimento, questo non poteva valere come titolo esecutivo. Il ricorso va rigettato, in quanto infondato”.

Com’è noto, anteriormente all’introduzione del testo attuale dell’art. 710 c.p.c. il procedimento di modifica delle condizioni della separazione era disciplinato dalla norma con l’espressa previsione nel suo primo comma dell’applicabilità delle forme ordinarie del processo di cognizione, nelle quali, peraltro, il regime dell’esecutività della decisione di primo grado era quello del principio emergente dall’art. 282 c.p.c., che l’affidava ad un provvedimento del giudice su istanza di parte.

La norma dell’art. 710 nel testo attualmente vigente venne introdotta dal legislatore con la L. n. 331 del 1988 allo scopo di snellire le forme del procedimento e, quindi, in vista dell’accelerazione della tutela da essa assicurata. A questo scopo fu fatta la scelta del rito camerale nel quadro di una tendenza che gran parte della dottrina processualcivilistica denunciò come ennesima espressione della tendenza del legislatore a cameralizzare processi coinvolgenti vere e proprie situazioni di diritto soggettivo bisognose di tutela contenziosa e dunque, con oggettivo scostamento dalla logica per cui il processo camerale era stato almeno di norma immaginato dal legislatore del Codice del ’40.

Ora nel caso di specie era ed è da domandarsi, non diversamente che in molti altri casi di ricorso alla cameralizzazione, quale ne sia il significato e la risposta a tale quesito deve darsi dando rilievo innanzitutto a quanto il legislatore pur evocando le forme camerali ha inteso disciplinare direttamente o indirettamente in modo tale che l’applicazione al procedimento di tutte le norme del rito camerale risulti fatta espressamente o implicitamente in modo selettivo e non totale.

Ebbene i dati in proposito rilevanti nella disciplina introdotta nel 1988 e poi rimasta immutata sono numerosi e significativi di un rinvio alle forme camerali non pieno, ma con il limite della compatibilità con le previsioni espresse o implicite della norma.

Essi sono i seguenti:

  1. a) in tanto nel primo comma l’oggetto di disciplina evocativo del procedimento camerale è expressis verbis riferito alla domanda, posto si dice che “le parti possono sempre chiedere con le forme dei procedimenti in camera di consiglio…”: questo evidenzia certamente in via diretta che la forma della domanda è quella del ricorso, prevista dall’art. 737 c.p.c., mentre, solo se il contenuto della norma si fermasse a tale previsione il rinvio a quelle forme sarebbe da leggere in modo integrale;
  2. b) viceversa, il secondo ed il terzo comma dell’art. 710 c.p.c., contenendo disposizioni specificamene disciplinatrici di alcuni aspetti del procedimento, palesano necessariamente che il rinvio non è integrale e nel contempo, disciplinando detti commi taluni aspetti del procedimento e, quindi, necessariamente alcune “forme” di esso, pongono il problema del raccordo o nel senso della esclusione della loro applicabilità o nel senso del loro adattamento con quelle “forme” del procedimento camerale, le quali o siano disciplinate in modo incompatibile o, seppure non disciplinate in modo necessariamente incompatibile, possano convivere con le previsioni dei detti commi solo adattandosi ad esse;
  3. c) in particolare, il secondo comma prevede come necessaria l’audizione delle parti, mentre, l’art. 738 c.p.c. prevede (almeno alla lettera: vedine, infatti, la lettura costituzionale proposta da Cass. n. 1 del) che il giudice “può assumere informazioni” e, quindi, l’audizione delle parti e, dunque, l’effettività dello svolgimento del contraddittorio nel corso del procedimento soltanto come eventuale;
  4. d) sempre il secondo comma prevede l’eventualità dell’ammissione di mezzi istruttori con ciò evocando la disciplina dei mezzi probatori della cognizione piena e non un’istruzione sommaria e deformalizzata, qual è quella sottesa alle informazioni;
  5. e) il terzo comma a sua volta stabilisce che “ove il procedimento non possa essere immediatamente definito, il tribunale può adottare provvedimenti provvisori e può ulteriormente modificarne il contenuto nel corso del procedimento”, il che significa che nell’ambito del procedimento si prevede il potere, anche officioso del giudice (posto che non si fa riferimento all’istanza di parte ed è consentaneo alla natura degli interessi coinvolti), di adottare provvedimenti anticipatoli della tutela che dovrà scaturire dalla decisione finale, laddove nello schema generale della tutela camerale come disciplinato dagli artt. 737 e ss. c.p.c. non è prevista alcuna possibilità di provvedimenti anticipatoli di tutela.

La regola esegetica che somministrano questi contenuti dell’art. 710 era ed è, allora, che, essendosi in presenza di un procedimento riguardo al quale il legislatore ha dettato una serie di previsioni del tutto eccentriche rispetto al procedimento camerale generale, l’evocazione delle forme camerali va intesa nel senso che l’applicazione delle norme di quel procedimento deve avvenire per tutto ciò che non è disciplinato nello stesso art. 710 c.p.c. e ciò sia direttamente, sia indirettamente, cioè per implicazione.

p.3.2.4. Alla stregua di tale criterio ermeneutico (di per sé giustificato per il modo di disciplina adottato dal legislatore, che ha omesso di rinviare sic et simpliciter agli artt. 737 e ss. c.p.c. e, evidentemente lo ha fatto proprio nella contemplazione delle particolari esigenze di contemperamento della scelta della tutela camerale con l’essere le situazioni coinvolte diritti soggettivi coinvolti nel procedimento in modo necessariamente, almeno in limine, contenzioso), era per sé fin dall’introduzione della norma doverosa un’opzione interpretativa che doveva rinvenire la disciplina del regime di esecutività del provvedimento di chiusura del procedimento come implicitamente regolata dal legislatore nello stesso art. 710 c.p.c., in modo da sottrarla all’operare dell’art. 741 c.p.c. e vederla regolata secondo una regola di immediata esecutività.

Invero, (a) se il legislatore aveva ritenuto di imporre una disciplina procedimentale che garantiva il contraddittorio, garantiva il diritto alla prova (e non un’istruzione sommaria) e, per l’ovvia esigenza di speditezza di tutela, consentiva al giudice di adottare provvedimenti provvisori e modificarli quando non fosse stato possibile definire il procedimento e, dunque, anche – all’evidenza – sulla base di una cognizione distinta da e minore di quella normale all’interno del procedimento e, pertanto, proprio per essersi prevista la garanzia di veri e propri mezzi istruttori, necessariamente improntata a cognizione sommaria, e (b) se implicazione necessaria e coessenziale alla provvisorietà non poteva che essere il carattere esecutivo di essi, appariva manifesto, per un’evidente esigenza di esegesi secondo il canone del legislatore non in contraddizione con se stesso, che quello stesso legislatore avesse inteso attribuire al provvedimento di chiusura del procedimento lo stesso carattere dell’immediata esecutività.

Il canone di coerenza dell’intentio legis esige, infatti, che se il legislatore consente una tutela sommaria anticipatoria e, quindi, se il suo oggetto implica l’esecuzione, nell’ambito di un certo procedimento, anche il provvedimento finale, al di là di un’espressa previsione, si intende regolato nel senso che consente tutela esecutiva immediata: ciò per la ragione che se la situazione giuridica tutelata con il procedimento esige tutela durante il suo svolgimento, a maggior ragione la esige alla sua chiusura.

Questa conseguenza esegetica appariva certamente come necessaria nel caso in cui il provvedimento definitivo fosse sopravvenuto dopo l’adozione di provvedimenti provvisori o di ulteriori provvedimenti modificativi e fosse stato di identico contenuto: sarebbe stata invero inspiegabile che il legislatore avesse inteso attribuire efficacia esecutiva a provvedimenti assunti all’esito di una cognizione sommaria e poi avesse inteso negare l’automatismo della tutela esecutiva, o meglio la permanenza della tutela esecutiva, una volta che il contenuto dei provvedimenti provvisori fosse stato confermato dal provvedimento definitivo.

Ma la suddetta esegesi si giustificava come necessitata anche nel caso in cui nel corso del procedimento non fossero stati adottati provvedimenti provvisori, perché sarebbe stato contraddittorio che il legislatore avesse voluto la possibilità di una tutela esecutiva immediata sulla base di un provvedimento provvisorio e, dunque, necessariamente emesso sulla base di una cognizione sommaria e non l’avesse voluta sulla base del provvedimento positivo adottato all’esito degli atti di istruzione e pertanto, con il pieno dispiegarsi del contraddittorio.

L’esegesi qui indicata si palesava per queste ragioni anche dovuta sul piano costituzionale, atteso che il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, desumibile dall’art. 24 della Costituzione in riferimento alla garanzia del diritto di azione implicava che alla valutazione del legislatore circa la necessità di una tutela sommaria anticipatoria esecutiva rispetto alla definizione del giudizio, necessariamente corrispondesse una valutazione di identica immediatezza di tutela esecutiva sulla base del provvedimento definitivo, sì da non tollerare l’operatività della diversa regola dell’art. 741 c.p.c..

Una volta introdotto l’art. 710 nel testo sostituito dalla L. n. 131 del 1988 il problema del regime del provvedimento definitivo del procedimento di modificazione delle condizioni della separazione appariva, dunque, risolto direttamente dallo stesso art. 710 e dall’adozione di un corretto criterio di raccordo di esso con la disciplina del procedimento camerale, sicché non occorreva fare alcun riferimento per individuare il senso del rinvio al procedimento camerale alla norma dell’art. 23, comma 1, della l. n. 74 del 1987 ed al criterio di compatibilità in esso previsto, ora riferito all’art. 710 c.p.c., per individuare quel regime come dissonane da quanto previsto all’art. 741 c.p.c..

D’altro canto, la stessa evocazione dell’art. 23 non poteva che suonare strana, tenuto conto che esso si riferiva alla disciplina del procedimento di separazione e non a quello di modificazione delle sue condizioni.

E semmai, la disciplina così ricostruita si presentava come del tutto omologa di quella del provvedimento definitivo del giudizio di divorzio e – stavolta proprio per il rinvio operato dall’art. 23 citato – di quello di separazione, per i quali nel testo allora vigente (quello introdotto dall’art. 8 della l. n. 151 del 1975), con scelta legislativa allora distonica rispetto alla norma generale dell’art. 282 c.p.c. sul regime dell’esecutività della sentenza di primo grado nel processo a cognizione piena, era prevista una immediata esecutività dei provvedimenti di natura economica (scilicet delle condanne pecuniarie) contenute nella sentenza.

Una volta sopravvenuta la novellazione dell’art. 282 c.p.c., operata dall’art. 33 della l. n. 353 del 1993 e sancita l’immediata esecutività della sentenze di primo grado recanti statuizioni condannatorie, il regime del provvedimento di definizione del procedimento di cui all’art. 710 c.p.c. (che ha forma di decreto, questa volta valendo il rinvio al primo comma dell’art. 737, che si coglie come implicazione del primo comma dell’art. 710 c.p.c., atteso che del problema quest’ultima norma non si occupa né con disposizioni espresse, né con disposizioni implicite, in quanto la forma del provvedimento non viene mai nominata) divenne, peraltro, ed è ora perfettamente sintonico con quello generale dell’immediata esecutività delle pronunce di primo grado (che si applica anche alle statuizioni condannatorie accessorie a pronuncia costitutiva, qual è quella di modificazione delle condizioni della separazione, dato che Cass. sez. un. n. 4059 del 2010 ha assegnato alla sua statuizione sull’efficacia delle condanne accessorie alla pronuncia costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c. carattere limitato alla particolare fattispecie di cui a tale norma: si vedano in termini Cass. (ord.) n. 21849 del 2010; Cass. n. 16737 del 2011; Cass. n. 24447 del 2011).

Va avvertito che le conclusioni raggiunte si giustificano (come non ha mancato di rilevare una dottrina) sia per il procedimento di modificazione delle condizioni di una separazione pronunciata all’esito di un procedimento contenzioso, sia per il procedimento di modificazione delle condizioni di una separazione consensuale, atteso che l’art. 710 c.p.c. prevede una disciplina unica per l’uno e per l’altro caso e considerato che se, nel secondo caso, le modificazioni vengano rese sull’accordo delle parti, l’esecutività del provvedimento definitivo (da spendere se poi taluno dei coniugi non voglia osservarle) si giustifica a maggior ragione per il carattere lato sensu negoziale del provvedimento, mentre, se vengano rese a seguito di lite, viene meno qualsiasi rilievo della pregressa separazione consensuale.

Dalle superiori considerazioni, che giustificano il dissenso da Cass. n. 9373 del 2011 sopra citata (e condividono le critiche ad essa mosse dalla dottrina) e segnano adesione ad un conforme orientamento di parte della giurisprudenza di merito, discende l’enunciazione del seguente principio di diritto: “Il provvedimento di chiusura del procedimento di modifica delle condizioni di separazione (tanto consensuale che giudiziale), previsto dall’art. 710 cod. proc. civ., è immediatamente ed automaticamente esecutivo per quanto si desume all’interno dello stesso art. 710, restando, invece, esclusa la sua soggezione alla disciplina della norma generale del procedimento camerale, di cui all’art. 741 cod. proc. civ.”.