avvocati Bologna: invalidità del testamento per vizio di forma invalidità del testamento olografo invalidità testamento pubblico cause di nullità del testamento pubblico testamento nullo pubblicazione sanatoria del testamento nullo nullità testamento olografo testamento nullo successione legittima
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- In tema di annullamento del testamento, nel caso di infermità tipica, permanente ed abituale, l’incapacità del testatore si presume e l’onere della prova che il testamento sia stato redatto in un momento di lucido intervallo spetta a chi ne afferma la validità; qualora, invece, detta infermità sia intermittente o ricorrente, poiché si alternano periodi di capacità e di incapacità, non sussiste tale presunzione e, quindi, la prova dell’incapacità deve essere data da chi impugna il testamento.
- Il chiamato all’eredità è legittimato ad impugnare, ex art. 591 c.c., il testamento che lo ha nominato quando il suo annullamento gli consenta di accedere, anche solo per motivi di interesse morale, ad una diversa delazione, legittima o testamentaria, la cui maggiore o minore convenienza non è sindacabile dal giudice.
- In tema di annullamento del testamento, l’incapacità naturale del testatore postula la esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del “de cuius”, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi; peraltro, poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a chi impugni il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo.
- Ai fini dell’accertamento sulla sussistenza o meno della capacità di intendere e di volere del “de cuius” al momento della redazione del testamento, il giudice del merito non può ignorare il contenuto del testamento medesimo e gli elementi di valutazione da esso desumibili, in relazione alla serietà, normalità e coerenza delle relative disposizioni, nonché ai sentimenti ed ai fini che risultano averle ispirate.
- Impugnazione del testamento per incapacità d’intendere e di volere
- del testatore, il legatario, che abbia partecipato al giudizio di primo grado, assume nella fase di appello la qualità quantomeno di litisconsorte necessario processuale, non essendo concepibile che, all’esito dello stesso processo, un testamento possa essere ritenuto valido (o invalido) nei confronti dell’erede istituito e invalido (o valido) nei confronti del legatario. Nel caso di legato di usufrutto, che abbia prodotto i suoi effetti, la morte del legatario avvenuta nel corso del giudizio di primo grado, non rende superflua la partecipazione dei suoi eredi al giudizio di appello. L’eventuale annullamento del testamento porrebbe nel nulla, con efficacia retroattiva, gli effetti prodotti dal legato prima della morte del legatario e le conseguenze del godimento di fatto esercitato dall’usufruttuario sarebbero destinate a ripercuotersi sui suoi eredi (è sufficiente fare riferimento all’obbligo di restituzione dei frutti).
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- (per difetto di interesse) l’impugnazione del testamento per incapacità del testatore proposta, ex art. 591 c.c., da eredi legittimi (nella specie, cugini del de cuius) esclusi dall’ordine della successione legittima in conseguenza della esistenza in vita di altri eredi legittimi di grado poziore (nella specie, le sorelle del testatore) che non abbiano, invece, impugnato la scheda testamentaria, poiché nessun concreto vantaggio potrebbe loro derivare dall’eventuale accoglimento dell’azione cosi proposta, essendo l’eredità destinata a devolversi, in tal caso, ai detti eredi di grado poziore.
- L’annullamento di un testamento per incapacità naturale
- del testatore postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova che, cagione di un’infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi. L’onere della prova di tale condizione grava sul soggetto che impugna la scheda testamentaria, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso è compito di chi vuole avvalersi del testamento dimostrare che esso fu redatto in un momento di lucido intervallo.
- L’incapacità naturale del disponente che ai sensi dell’art. 591 c.c. determina l’invalidità dei testamento non si identifica in una genetica alterazione del normale processo di formazione ed estrinsecazione della volontà ma richiede che, a causa dell’infermità, il soggetto, al momento della redazione del testamento, sia assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi, così da versare in condizioni analoghe a quelle che, con il concorso dell’abitualità, legittimano la pronuncia di interdizione. Ai fini del relativo giudizio il giudice di merito, in particolare, non può ignorare il contenuto dell’atto di ultima volontà e gli elementi di valutazione da esso desumibili, in relazione alla serietà, normalità e coerenza dalle disposizioni nonché ai sentimenti ed ai fini che risultano averle ispirate. (Nella specie la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, rilevando. che in essa si era fatto riferimento ad elementi indiziari che di per sè erano rappresentativi di una generica riduzione della capacità di intendere e di volere, senza effettivamente valutare — sulla base di adeguata e specifica disamina della portata dei dati clinici, di quelli inerenti agli effetti dei farmaci antidolorifici assunti dal soggetto e di quelli offerti dalla grafica e dal contenuto della scheda testamentaria — se poteva dedursene anche la più specifica prova della incapacità rilevante ai fini in esame).
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- le manifestazioni morbose a carattere intermittente e ricorrente che, pur potendo escludere la capacità di intendere e di volere, qualora la volontà testamentaria sia stata manifestata nel corso di tali episodi, lasciano integre negli intervalli le facoltà psichiche del soggetto, non sono assimilabili alle infermità permanenti ed abituali che diano luogo a momenti di lucido intervallo. Tale diversità di situazioni si ripercuote sull’onere della prova, in quanto mentre nella seconda ipotesi, qualora l’attore in impugnazione abbia fornito la prova di una infermità mentale permanente, è a carico di chi afferma la validità del testamento la dimostrazione che lo stesso fu posto in essere in un momento di lucido intervallo — in quanto la normalità presunta è l’incapacità — nella prima ipotesi, invece, quando cioè si tratta di malattia la quale nei periodi di intervallo consente la reintegrazione del soggetto nella normalità della sua capacità intellettiva, l’accertamento di fenomeni patologici anteriori all’atto di cui si controverte non è sufficiente ad integrare la prova rigorosa della sussistenza della incapacità nel momento in cui l’atto stesso è stato compiuto.
- Per aversi incapacità naturale del testatore non è sufficiente che il normale processo di formazione ed estrinsecazione della volontà sia in qualunque modo alterato o turbato — come frequentemente avviene nel caso di grave malattia — ma è necessario che lo stato psicofisico del soggetto sia in quel momento tale da sopprimere l’attitudine a determinarsi coscientemente e liberamente, essendo regola la capacità di agire del soggetto e dovendo, pertanto, la sua incapacità — che costituisce un’eccezione — essere provata in modo serio e rigoroso.
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Il testamento è nullo quando manca l’autografia o la sottoscrizione nel caso di testamento olografo, ovvero manca la redazione per iscritto, da parte del notaio, delle dichiarazioni del testatore o la sottoscrizione dell’uno o dell’altro, nel caso di testamento per atto di notaio. Per ogni altro difetto di forma il testamento può essere annullato su istanza di chiunque vi ha interesse. L’azione di annullamento si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.
In ognuno dei casi normativamente previsti, dianzi citati, la legge richiede che il dante causa abbia la capacità di testare (cd. testamenti factio attiva), ovvero la concreta capacità di intendere e volere nel momento di redazione dell’atto.
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Il testamento, ai sensi dell’art. 591 Cod.Civ., puo’ essere validamente steso da:
chiunque abbia compiuto la maggiore eta’,
non sia interdetto per infermità di mente
non si sia trovato, per qualsiasi causa, anche transitoria, in stato di incapacità nel momento della stesura.
sia persona idonea ad ottemperare alle formalità richieste (ovvero, in caso di testamento olografo, che sia in grado di scrivere e, in caso di testamento segreto, che sappia e possa leggere).
La capacità di testare è disciplinata dalla legge nazionale del disponente. Nel caso di incapacità, il testamento puo’ essere impugnato – da parte di chiunque vi abbia interesse – con azione di annullamento, esperita nel termine di prescrizione di cinque anni dal giorno in cui e’ stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.
- I vizi della volontà
In materia di testamento occorre ricostruire l’effettiva concreta voluntas testantis.
Detta volontà deve essere libera da condizionamenti e scevra da qualsiasi pressione psicologica. Non solo il testatore non deve essere stato costretto a redigere il testamento (e ciò è normale),
ma non deve nemmeno essersi obbligato a redigerlo o a redigerlo in un certo modo.
Ad esso sono applicabili le norme sull’impugnabilità dei negozi giuridici a causa di un vizio della volontà, e cioè per “violenza”, per “dolo” e per “errore”.
Con riferimento alla violenza
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Possono fare testamento tutti coloro che abbiano raggiunto la maggiore età, che non siano interdetti per infermità di mente e che, in ogni caso, siano pienamente capaci di intendere e di volere al momento della redazione della scheda testamentaria.
Orbene, fatta questa opportuna e necessaria premessa, il testamento, come ogni altro negozio, può essere nullo o annullabile.
Le fattispecie di invalidità legittimanti l’impugnazione del testamento possono discendere dalla normativa generale in materia di contratti e dalle norme specifiche che disciplinano le successioni per vizi che ne determinano la nullità o l’annullabilità.
Il testamento non può essere impugnato da chi non vi ha interesse: per es. dagli eredi legittimi (nella specie i cugini del de cuius) esclusi dall’ordine della successione legittima in conseguenza dell’esistenza in vita di altri eredi legittimi di grado poziore (nella specie, le sorelle del testatore) che non abbiano a loro volta impugnato il testamento, poiché nessun concreto vantaggio potrebbe loro derivare dall’eventuale accoglimento dell’azione così proposta, essendo l’eredità destinata a devolversi, in tal caso, ai detti eredi di grado pozione (Cass. 4/12/1998, n. 12291).
L’azione può invece essere proposta in via surrogatoria dal creditore di chi sarebbe chiamato alla successione, per legge, nell’ipotesi di annullamento del testamento (Trib. Palermo 3/7/1982).
Secondo giurisprudenza (cfr., da ultimo, Cass. n. 9081 del 2010 e Cass. n. 230 del 2011) – l’annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del ‘de cuius’, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi, con il conseguente onere, a carico di chi quello stato di incapacità assume, di provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere (come previsto testualmente dall’art. 591, comma 2, n. 3) c.c.),
rilevato, altresì, che deve essere in ogni caso riconfermato, in questa sede, il principio generale, in virtù del quale l’incapacità naturale del disponente che – ai sensi dell’art. 591 c.c. – determina l’invalidità del testamento non si identifica in una generica alterazione del normale processo di formazione ed estrinsecazione della volontà ma richiede che, a causa dell’infermità, il soggetto, al momento della redazione del testamento, sia assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi, così da versare in condizioni analoghe a quelle che, con il concorso dell’abitualità, legittimano la pronuncia di interdizione, sottolineandosi che, ai fini del relativo giudizio il giudice di merito non può (come ulteriormente rilevato esattamente dalla Corte territoriale), in particolare, ignorare il contenuto dell’atto di ultima volontà e gli elementi di valutazione da esso desumibili, in relazione alla serietà, normalità e coerenza dalle disposizioni nonché ai sentimenti ed ai fini che risultano averle ispirate;
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Le nullità testamentarie si distinguono in formali e sostanziali. Per le nullità formali vale la regola dell’espressa previsione; invece, per le nullità sostanziali vige il principio secondo il quale il negozio è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente.
L’intero testamento è nullo nei seguenti casi:
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- Per difetto di forma: quando manca l’autografia o la sottoscrizione del testatore nel testamento olografo ovvero quando manca la redazione per iscritto e la sottoscrizione della persona autorizzata a riceverlo negli altri tipi di testamento.
- In caso di testamento congiuntivo o reciproco, ovvero quando 2 o più persone redigono testamento nello stesso atto con disposizione reciproca, o a vantaggio di un terzo.
- Per violenza fisica
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INVALIDITA’ DEL TESTAMENTO- QUANTO IL TESTAMENTO E’ INVALIDO STUDIO LEGALE BOLOGNA
Il legislatore prevede espressamente una serie di nullità formali che possono riguardare le varie forme di testamento: il testamento olografo, il testamento pubblico, il testamento segreto ed i testamenti speciali. Ai sensi dell’art. 606, co. 1, c.c., il testamento olografo è nullo per mancanza di autografia, vale a dire quando non è stato interamente scritto di pugno dal testatore, e per mancanza di sottoscrizione. Sempre la medesima norma dispone che il testamento pubblico ed il testamento segreto sono nulli per mancanza della redazione per iscritto da parte del notaio delle dichiarazioni del testatore e per mancanza della sottoscrizione del notaio o del testatore.
Le nullità sostanziali sono previste dal libro II del codice civile, senza un ordine preciso.
Possono disporre per testamento tutti coloro che non sono dichiarati incapaci per legge.
In dottrina é discusso se questa capacità vada ricondotta alla capacità di agire, ovvero alla capacità giuridica.
Una parte della dottrina [1], argomentando in base all’ art. 591 c.c., secondo il quale il testamento dell’ incapace non é nullo, ma semplicemente annullabile, propende per la capacità naturale; tuttavia oggi prevale la contraria tesi [2], poiché il testamento rientra tra i cosiddetti atti personalissimi, non delegabili, cioè, mediante rappresentanza.
l’annullamento del testamento per incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non già di una semplice alterazione delle facoltà psichico-intellettive del de cuius, ma la ben più rigorosa prova che, a causa di una infermità transitoria o permanente, il soggetto, all’atto della formazione delle disposizioni testamentarie, sia stato privo in modo assoluto della capacità di autodeterminarsi, così da versare in condizioni analoghe a quelle che, concorrendo l’abitualità, legittimerebbero la pronuncia di interdizione per infermità di mente”
INVALIDITA’ DEL TESTAMENTO RIMINI
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Dal punto di vista soggettivo l’annullabilità può derivare dall’incapacità del soggetto a fare testamento. Il legislatore prevede diverse ipotesi, per cui non possono fare testamento tutti coloro che ai sensi dell’art. 591 c.c. “sono dichiarati incapaci dalla legge.” Il soggetto in queste ipotesi non ha la capacità giuridica di disporre validamente dei propri beni, ciò in quanto il testamento è un atto personalissimo per il quale è vietata la rappresentanza; si tratta allora di una “vera e propria incapacità giuridica relativ”
Si discute sul quando detta incapacità debba essere valutata: se al momento della redazione del testamento o a quello dell’apertura della successione (tematica che si inserisce nella più ampia problematica della successione delle leggi nel tempo suddivisa tra la teoria del diritto acquisito e quella del fatto compiuto). Si sottolinea come nel nostro ordinamento vige l’art. 11 delle disposizioni preliminari il quale espressamente afferma che “la legge non può disporre che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo”, ne deriva che il fatto compiuto deve essere valutato e interpretato in base alla legge vigente al momento del compimento del medesimo.
L’incapacità di testare è l’eccezione alla regola e il codice la disciplina espressamente. Non sono capaci di testare: i minori, gli interdetti giudiziali, gli interdetti legali, gli inabilitati, il minore emancipato, per i soggetti sottoposti all’amministratore di sostegno occorre vagliare cosa è riportato nel decreto di nomina dell’amministratore[4], infine ci sono gli incapaci naturali.
Il testamento olografo non perde il requisito dell’autografia seppure il testatore vi alleghi planimetrie redatte da terzi (nella specie, da un geometra) per meglio descrivere gli immobili ereditari, già compiutamente indicati nella scheda testamentaria. Rigetta, App. Venezia, 20/09/2006
Cassazione civile sez. II 25 febbraio 2014 n. 4492
La guida della mano del testatore da parte di una terza persona esclude, di per sé, il requisito dell’autografia, indispensabile per la validità del testamento olografo, a nulla rilevando l’eventuale corrispondenza del contenuto della scheda rispetto alla volontà del testatore ed essendo ultroneo verificare se la “mano guidante” sia intervenuta (come nella specie) su tutta la scheda testamentaria o se la parte non interessata dal suo intervento rappresenti una compiuta manifestazione di volontà. Rigetta, App. Genova, 06/12/2011
Cassazione civile sez. VI 06 novembre 2013 n. 24882
Secondo la consolidata GIURISPRUDENZA DELLA CORTE (cfr., da ultimo, Cass. n. 9081 del 2010 e Cass. n. 230 del 2011) – l’annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del ‘de cuius’, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi, con il conseguente onere, a carico di chi quello stato di incapacità assume, di provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere (come previsto testualmente dall’art. 591, comma 2, n. 3) c.c.), onere che – nella fattispecie – la Corte di appello veneta ha ritenuto, con motivazione logica ed adeguata, che gli attuali ricorrenti non avevano assolto;
rilevato, altresì, che deve essere in ogni caso riconfermato, , il principio generale, in virtù del quale l’incapacità naturale del disponente che – ai sensi dell’art. 591 c.c. – determina l’invalidità del testamento non si identifica in una generica alterazione del normale processo di formazione ed estrinsecazione della volontà ma richiede che, a causa dell’infermità, il soggetto, al momento della redazione del testamento, sia assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi, così da versare in condizioni analoghe a quelle che, con il concorso dell’abitualità, legittimano la pronuncia di interdizione,
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE invalidità del testamento per vizio di forma
SEZIONE II CIVILE invalidità del testamento per vizio di forma
Sentenza 14 giugno – 27 agosto 2012, n. 14655 invalidità del testamento per vizio di forma
(Presidente Oddo – Relatore Scalisiinvalidità del testamento per vizio di forma
Svolgimento del processinvalidità del testamento per vizio di forma
B.M. e C.P. con atto di citazione del 7-14 dicembre 2000, convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Tortona, M.C. , M.R. e Don L.P. chiedendo l’accertamento dell’invalidità del testamento olografo di C.E.O. per incapacità a testare della de cuius rilevante ai sensi dell’art. 591 siccome accertata invalida civile al 100% per encefalopatia vasculoartrofica con demenza a parkinsonismo, incontinenza e miocardiosclerosi con la conseguente apertura della successione legittima in favore degli attori, nonché la nullità ed eventuale inefficacia degli atti dispositivi compiuti dai convenuti ed aventi ad oggetto beni immobili facenti parte della successione e la condanna degli stessi alla restituzione dei frutti eventualmente percepiti. Veniva chiarito che, con il testamento di cui si dice, la de cuius lasciava a titolo di prelegato a M.C. e a M.R. la nuda casa in (omissis) e, soltanto, al secondo il terreno in (omissis) su cui era installato un distributore di carburante Agip e alla Chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista di (omissis), la somma disponibile di L. 10.000.000 in titoli, li aveva istituiti eredi universali in parti uguali del restante patrimonio.
Si costituivano in giudizio M.C. e M.R. e anche Don L.P., eccependo la piena capacità della testatrice contestando le domande avversarie di cui chiedevano il rigetto perché infondate.
Il Tribunale di Tortona riteneva infondata la domanda degli attori e, pertanto, respingeva la loro domanda, condannando gli stessi alla refusione delle spese giudiziali.
Avverso tale sentenza proponevano appello B.M. (o B. ) e C.P. denunciando l’erroneità della sentenza per aver posto a suo esclusivo fondamento le risultanze della CTU pure inficiata da rilevanti contraddizioni: per l’omissione degli aspetti contenutistici e grafici della scheda testamentaria, per la particolare proprietà quando non, addirittura, tecnicismo del linguaggio usato nella redazione del testamento verosimilmente da persona diversa, più colta ed esperta, della materia della testatrice.
Si costituivano gli appellanti, eccependo l’infondatezza dell’appello.
La Corte di appello di Torino con sentenza n. 164 del 2006, accoglieva l’appello e annullava il testamento olografo di C.E.O. , con la conseguente nullità di ogni atto di disposizione dei beni ereditari, compiuto in base ad esso. A sostegno di questa decisione, la Corte torinese osservava che il Tribunale: a) aveva accolto la CTU in modo sostanzialmente acritico, invero, censurabile per avere ingiustificatamente pretermesso importanti e specifici dati diagnostici in riferimento al periodo di redazione della scheda testamentaria, b) aveva assunto irrealmente dichiarazioni di terzi al di fuori del contraddittorio volte ad evidenziare la percezione delle capacità di intendere e di volere della testatrice, con evidente sconfinamento nell’ambito dell’acquisizione delle prove. Piuttosto, alla luce del quadro probatorio, la Corte torinese riteneva che C.E. già all’epoca della redazione del testamento, fosse incapace di intendere e di volere con la conseguente esclusione della sua capacità di testare ai sensi dell’art. 591, secondo comma n. 3.
La cassazione della sentenza della Corte torinese è stata chiesta da M.C. e da M.R. con ricorso affidato a sei motivo, illustrati con memoria. B.M. e C.P. hanno resistito con controricorso.
Motivi della decisione
- Con il primo motivo, C. e M.R. lamentano la violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto in materia di attività espletabili dal consulente d’ufficio (art. 360 n. 3 cpc, in relazione all’art. 194 cpc). Avrebbe errato la Corte torinese nel disattendere totalmente le risultanze della CTU e soprattutto nel ritenere irrituali, e, dunque, espunte dal novero degli indizi a disposizione per la composizione del giudizio, le dichiarazioni di terzi acquisiti dal CTU e riportati nella relazione peritale, epperò l’art. 194 cpc. prevede che il CTU sia autorizzato a domandare chiarimenti alle parti ed assumere informazioni da terzi. In ragione di ciò e ai sensi dell’art. 366 bis cpc. Il ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte se ai sensi dell’art. 194 comma 1 cpc. Il consulente tecnico d’ufficio può assumere informazioni di terzi e se queste informazioni possono essere utilizzate dal giudice per la formazione del proprio convincimento”.
1.1 La censura è infondata e non può essere accolta perché le dichiarazioni dei terzi di cui si dice non indicavano dati medito legali, di natura clinica o diagnostica, quali presupposti necessari per rispondere ai quesiti posti al perito, ma riferivano della percezione delle condizioni di capacità di intendere e di volere della testatrice. Pertanto, l’acquisizione di quelle dichiarazioni riportate nella relazione peritale non rientrava nel compito, o, comunque, quelle dichiarazioni non erano necessari per l’espletamento del compito, specifico che il Giudice aveva affidato al CTU.
1.1a) Va qui osservato che il consulente d’ufficio, pur in mancanza di espressa autorizzazione del giudice, può, ai sensi dell’art. 194, primo comma, cod. proc. civ., assumere informazioni da terzi e procedere all’accertamento dei fatti accessori costituenti presupposti necessari per rispondere ai quesiti postigli, ma non ha il potere di accertare i fatti posti a fondamento di domande ed eccezioni, il cui onere probatorio incombe sulle parti, e, se sconfina dai predetti limiti intrinseci al mandato conferitogli, tali accertamenti sono nulli per violazione del principio del contraddittorio, e, perciò, privi di qualsiasi valore probatorio, sia pure indiziario.
1.1b) Tuttavia, è bene chiarire che la Corte torinese ha disatteso le risultanze della CTU, nonché le dichiarazioni dei terzi riportate nella relazione peritale (non solo perché acquisite irritualmente ma), soprattutto per l’inequivoca documentazione medica esistente agli atti processuali dalla quale risultava che C.E., già all’epoca di redazione del testamento impugnato, era incapace di intendere e di volere.
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I ricorrenti lamentano, ancora:
- A) con il secondo motivo l’omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione circa un atto controverso e decisivo per il giudizio (ex art. 360 n. 5 cpc) per avere la Corte espunto dalle risultanze istruttorie rilevanti elementi probatori contrastanti con quelli posti a fondamento della decisione. La Corte torinese, secondo i ricorrenti, avrebbe totalmente omesso nel proprio iter logico – giuridico, quanto meno per confutarle, tutte le risultanze processuali totalmente contrarie a quelle a cui a dato rilievo per addivenire all’accertamento dell’incapacità della testatrice, epperò, l’esame di quelle risultanze, riportate dalla stessa CTU, compreso l’esame della CTU, avrebbe potuto con ragionevole certezza ribaltare l’esito del processo logico compiuto dalla Corte. Ad ogni buon conto ritengono i ricorrenti la sentenza impugnata presenta un vizio di motivazione per aver omesso di considerare tutte le risultanze processuali totalmente contrarie a quelle a cui ha dato rilievo senza aver offerto alcuna spiegazione.
- B) con il terzo motivo: l’insufficiente o contraddittoria motivazione circa un atto controverso e decisivo per il giudizio per avere la Corte dedotto, da allegazioni di parte attestanti un’asserita demenza senile della testatrice 11 giorni prima della compilazione della scheda testamentaria, la prova della incapacità a testare rilevanti ex art. 591 comma due n. 3 cc., nonché per avere omesso ogni confutazione della contrapposta analisi del CTU. Secondo i ricorrenti la Corte torinese avrebbe desunto la sussistenza dell’incapacità naturale della signora C. dalla relazione del Pronto soccorso del (omissis) e dalla certificazione della dott.ssa P. dell’(omissis) e dalla successiva riepilogativa del 7 aprile 2000 richiesta dagli attori, ma senza considerare che la relazione del Pronto soccorso conteneva elementi probatori discordanti; la certificazione della dott.ssa P. non era supportata da referti o esami clinici neurologici. E di più, la Corte torinese – specificano i ricorrenti – avrebbe ritenuto esatta la certificazione della dott.ssa P. malgrado il contrario e motivato parere del CTU senza indicare in alcun modo le motivazioni per cui ha ritenuto di discostarsi dal parere tecnico.
Entrambe le censure vanno esaminate congiuntamente per l’innegabile connessione che esiste tra le stesse, ed entrambe sono infondate.
La sentenza impugnata contiene una motivazione attenta, ponderata, logica e convincente, fondata su prova documentale e su specifici dati diagnostici di portata incontrovertibile, essendo documentati dal primario neurologico dell’Ospedale di (…), dallo stesso Pronto soccorso dello stesso ospedale, nonché dalla dott.ssa P. specialista in neurologia. La Corte torinese ha anche indicato le ragioni per cui disattendeva le risultanze della CTU laddove ha affermato che la relazione del Ctu medico-legale, era censurabile per aver ingiustificatamente pretermesso importanti e specifici dati diagnostici puntualmente e gravemente concludenti in riferimento al periodo di redazione della scheda testamentaria impugnata sulla base di un’apodittica valutazione della “capacità della paziente di svolgere calcoli anche complessi” senza per altro indicare la fonte di un tale elemento di così fermo convincimento.
- Con il quarto motivo, i ricorrenti, lamentano l’insufficiente o contraddittoria motivazione circa un atto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 cpc) per avere la Corte erroneamente ricostruito il fatto storico complesso dello stato d’incapacità della testatrice acquisendo dagli atti del giudizio indizi inesistenti contrarie ad altre risultanze processuali. Secondo i ricorrenti la Corte torinese avrebbe affermato l’incapacità naturale della testatrice seguendo un iter logico giuridico del tutto illogico, considerato che per dimostrare la sussistenza della demenza senile della signora C. nel (omissis) la Corte di merito sarebbe partita da una diagnosi di depressione di 13 anni prima, collegando poi tale patologia: a) all’accertamento di agitazione psicomotoria eseguito dal Pronto soccorso tredici anni dopo, l’(omissis) e b) ad un’attestazione medica del dott. Prof. T. non collocabile, per altro, temporalmente tra il 1985 e il 1998.
In verità, sempre secondo i ricorrenti, la Corte torinese non avrebbe potuto attribuire rilevanza ad un unico sporadico episodio di ricovero al Pronto soccorso della testatrice, ritenuto invece rilevante perché inserito nell’eziologia della malattia.
3.1. Anche questo motivo infondato e non può essere accolto non solo perché si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle risultanze istruttorie non proponibile al Giudice di legittimità, ma, soprattutto, perché il ragionamento seguito dalla Corte torinese è condivisibile essendo coerente con i dati diagnostici acquisiti agli atti del processo e, comunque, privo di carenze sul piano logico giuridico.
3.1.a). A bene vedere la Corte di merito ha attestato: a) che risultava documentalmente provato che già nel 1985 la signora C. era interessata da una condizione di depressione endogena inibita a sfondo ipocondriaco farmacologicamente trattata, b) che era provato che a tale quadro clinico si era sovrapposto un quadro paranoideo con delirio di persecuzione abbastanza strutturato alimentato da uno stato ansioso e di natura esistenziale; c) che tale condizione era andata progressivamente peggiorando fino a giustificare il suo accompagnamento al pronto soccorso per stato di agitazione psicomotoria a seguito di episodi di disorientamento spazio temporale e con difficoltà all’autonoma gestione delle occupazioni quotidiane; e) che l’(omissis) era stata fatta una diagnosi di disturbi del comportamento e manifestazioni incongrue, di reattività e di rivendicazione nei confronti dell’ambiente con perdita evidente di capacità di giudizio e di critica e con necessità di assistenza e spesso di intervento esterno per lo svolgimento di compiti e mansioni quotidiani.
Pertanto, queste condizioni psico fisiche della signora C.
non potevano lasciare dubbi sulla incapacità di intendere e di volere della stessa. Né risulta che gli attuali ricorrenti abbiano offerto una rigorosa dimostrazione che la signora C. , nel momento in cui stava redigendo la scheda testamentaria avesse recuperato una piena capacità di intendere e di volere.
- Con il quinto motivo (erroneamente contrassegnato come settimo) i ricorrenti lamentano la contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 cpc) per avere la Corte sotteso alla propria decisione il rilievo che la testatrice ha scritto di suo pugno la scheda testamentaria nonostante avesse accertato che fosse priva dalla capacità di intendere e di volere e incapace di attendere alle banali attività quotidiane.
Secondo i ricorrenti lo stato di incapacità di intendere e di volere sarebbe inconciliabile con la capacità della testatrice, affermata dalla Corte torinese, di essere in grado di scrivere. Il procedimento logico seguito dalla Corte, sempre secondo i ricorrenti, consisterebbe nel fallace sillogismo secondo cui: 1) premessa la perdita della capacità di badare a se stessi e di avere necessità di assistenza per svolgere le mansioni quotidiane; 2) considerato che il testamento era stato vergato di pugno dalla stessa testatrice il (omissis) ; 3) ne conseguiva che la testatrice, il giorno (omissis) , era incapace di intendere e di volere.
4.1. Anche questo motivo al pari degli altri è infondato e non può essere accolto non solo perché anche questa censura si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei dati processuali, non proponibile al giudice di legittimità, ma, soprattutto perché la Corte torinese ha adeguatamente spiegato che la conclusione cui era pervenuta – un’accertata incapacità di intendere e di volere della testatrice – trovava conferma dall’analisi della tecnica di redazione del testamento da cui emergeva che la tecnica di redazione appariva incompatibile con lo stato psicofisico emergente dalla documentazione medica, così come la sapiente selezione di una corretta terminologia giuridica appariva incompatibile con le capacità grafiche e soprattutto ortografiche della de cuius. Dall’analisi della tecnica di redazione del testamento la Corte torinese, pertanto, ha ragionevolmente presunto che il testamento fosse redatto verosimilmente sotto dettatura di terzi.
- Con il sesto motivo (erroneamente contrassegnato come ottavo) i ricorrenti lamentano l’insufficiente o contraddittoria motivazione circa un atto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 cpc) per avere la Corte desunto da una allegazione difensiva attestante una condizione di demenza senile e dalla incerta imputabilità del contenuto della scheda testamentaria alla testatrice (attesta la presenza di una terminologia tecnica presuntivamente non conoscibile da una persona con un modesto livello di scolarizzazione) lo stato di incapacità di intendere e di volere rilevante ex art. 591 comma 2 n. 3 cc. in quanto del tutto privo del riscontro di massime di esperienza. Secondo i ricorrenti la Corte torinese allorché afferma che la incerta riferibilità della terminologia tecnica alla de cuius sarebbe indice certo di una incapacità a testare in soggetto affetto da demenza senile, compirebbe un ragionamento del tutto privo di riferimenti a massime di esperienza nonché da nozioni di scienza medica. La Corte di merito avrebbe dovuto – secondo i ricorrenti – specificare a quale nozione ella scienza medica abbia fatto riferimento ovvero a quale percorso logico deduttivo sintetizzabile in massime di esperienza si sia avvalsa per pervenire all’accertamento dei fatti posti alla base della decisione. E, poiché avrebbe omesso ogni indicazione al riguardo la motivazione si manifesterebbe insufficiente.
5.1. Anche questa censura non ha ragione d’essere per quelle stesse ragioni che sono state indicate esaminando gli atri motivi ed in particolare il quinto motivo da cui viene assorbito.
In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 cpc., condannati, in solido, al pagamento delle spese giudiziali che verranno liquidate con il dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese giudiziali che liquida in Euro 4.200,00 di cui Euro 4.000,00 per onorari oltre spese generali e accessori come per legge.