ASSEGNO DIVORZILE BOLOGNA TRIBUNALE COME QUANDO
ai fini del riconoscimento del diritto all’assegno divorzile, la sentenza impugnata ha richiamato il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’istituto in questione assolve, oltre ad una funzione assistenziale, anche una funzione perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al richiedente non già il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, ma il raggiungimento di un livello reddituale adeguato all’apporto fornito alla realizzazione della vita familiare, tenendo conto in particolare delle aspettative professionali sacrificate (cfr. Cass., Sez. Un., 11/07/2018, n. 18287).
Nell’ambito del predetto orientamento, è stato poi precisato che, ai fini della valutazione dell’inadeguatezza dei mezzi economici e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, occorre tener conto sia dell’impossibilità per il richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente sia della necessità di compensarlo per il particolare contributo che dimostri di avere fornito, nel corso della vita coniugale, alla formazione del patrimonio comune o di quello dell’altro coniuge, mentre è stata esclusa la possibilità di attribuire rilievo, a tal fine, al solo squilibrio economico esistente tra le parti o all’alto livello reddituale dell’altro coniuge, in quanto la differenza reddituale risulta coessenziale alla ricostruzione del tenore di vita matrimoniale, ormai estraneo alla determinazione dell’assegno, e l’entità del reddito dell’obbligato non giustifica di per sé la corresponsione di un assegno commisurato alle sue sostanze (cfr. Cass., Sez. Un., 11/07/2018, n. 18287, cit.; nel medesimo senso, successivamente, Cass., Sez. I, 9/08/2019, n. 21234; Cass. 28/02/2020, n. 5603).
Nell’applicazione di tale principio, la Corte territoriale non ne ha fatto, tuttavia, buon governo, avendo ritenuto corretta la statuizione del Tribunale secondo cui costituisce un fatto “indubbio ed evidente”, “perché così previsto dalle legge” (art. 143 c.c.), quello che “il patrimonio immobiliare e professionale che il D.D. è riuscito a consolidare dopo venti anni di matrimonio sia frutto dell’apporto paritario fornito, fosse anche solo come lavoro domestico, anche dalla moglie”, sia pure come presunzione non legale ma semplice, suscettibile di essere confutata (da chi la nega) con adeguata prova contraria, nella specie neppure allegata dall’appellante.
Orbene, l’assegno divorzile, nella sua componente compensativa, presuppone un rigoroso accertamento del nesso causale tra l’accertata sperequazione fra i mezzi economici dei coniugi e il “contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali”.
Assegno divorzile, ammissibilità (Cassazione Civile, Sez. I, 20/04/2023, dep. 20/04/2023, n.10614).
ì
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 926-2021, pubblicata il 12/3/2921, ha dichiarato inammissibile l’appello di D.D.F. avverso la sentenza di primo grado che, dopo la pronuncia sul divorzio tra i coniugi M.C. e D.D. (dalla cui unione non erano nati figli), istruita la causa con indagini di polizia tributaria sulla situazione patrimoniale dell’ex marito, aveva disposto, a suo carico e a favore della M., un assegno divorzile nella misura di Euro 300,00 mensili.
I giudici di appello hanno rilevato che il lungo ed articolato unico motivo di appello era, nella parte motiva, del tutto incomprensibile ed inconferente con le conclusioni formulate (revoca dell’assegno divorzile a far tempo dalla data di emissione del provvedimento in sede di separazione personale, con condanna alla restituzione di tutte le somme versate dall’appellante in forza dei titoli impugnati), precisando, in particolare, che: a) l’appellante aveva riportato una serie di pronunce della Corte di Cassazione in materia di divorzio, peraltro conformi a quanto statuito dal Tribunale, senza formulare alcuna concreta critica alla sentenza impugnata, mentre, quanto alla contestata ricostruzione del reddito del D.D., come effettuata dal Tribunale, a parte ogni rilievo sulla mancanza di critica ai risultati dell’indagine svolta dalla Guardia di Finanza, lo stesso appellante aveva dichiarato che si trattava di questione del tutto accademica, non essendo la decisione di primo grado fondata sulla disparità reddituale tra i coniugi; b) l’unica critica effettiva alla decisione di primo grado, in punto di sussistenza di un contributo fornito dalla M., durante i vent’anni di matrimonio, alla formazione del patrimonio familiare, era parimenti inammissibile, in quanto non era stata allegata alcuna circostanza, verificatasi durante il matrimonio, idonea a vincere la presunzione semplice, derivante dallo stesso dettato normativo dell’art. 143 c.c., dell'”apporto paritario” fornito, anche solo con il lavoro domestico, anche dalla moglie, come affermato dal Tribunale, al consolidarsi del patrimonio immobiliare e professionale del D.D..
Avverso la suddetta pronuncia, D.D.F. propone ricorso per cassazione, notificato il 4/10/21, affidato a quattro motivi, nei confronti di M. (che non svolge difese).
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, sia la violazione ed errata applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 342 c.p.c., sia l’omessa, apparente o contraddittoria motivazione, in punto di ammissibilità dell’appello proposto, essendo stati dettagliatamente scandagliati, nell’atto di appello, i punti critici della sentenza di primo grado, in ordine alla insussistenza di un contributo della M. alla costruzione del patrimonio del D.D.; b) con il secondo motivo, sia la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della l.898 del 1970, art. 5, comma 6, sia l’omissione / erroneità della sentenza su di un punto decisivo della controversia, oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla ritenuta erroneità dell'”unica effettiva critica alla decisione del giudice di prime cure” in ordine al contributo fornito dall’ex coniuge al patrimonio del marito, avendo la Corte di merito fondato la valutazione circa la sussistenza dei presupposti dell’assegno divorzile esclusivamente sulla durata (ventennale) del matrimonio, sul lavoro di insegnante della moglie e sull’assenza di figli; c) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2729 c.c., in punto di affermata presunzione semplice del dato relativo all’apporto dato dall’ex coniuge alla crescita economica dell’altro; d) con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2697 c.c., sempre in punto di riconosciuta spettanza dell’assegno divorzile e di riparto dell’onere probatorio relativo.
- La prima censura è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi.
La Corte d’appello ha ritenuto inammissibile il gravame proposto dal D.D., avverso sentenza di primo grado sulle condizioni economiche del divorzio tra gli ex coniugi, per violazione dell’art. 342 c.p.c., in mancanza di una precisa indicazione delle parti della sentenza impugnate e delle circostanze da cui deriverebbe la violazione di legge contestata, essendo del tutto incomprensibile l’unico motivo di impugnazione articolato, ad eccezione dell’unica effettiva critica mossa alla sentenza impugnata quella attinente al presupposto dell’assegno divorzile rappresentato, a fronte dell’accertata, in primo grado, disparità reddituale tra gli ex coniugi ed autosufficienza economica della M. (che si era laureata e aveva svolto, durante il matrimonio, la professione di insegnante), dalla sua funzione perequativo-compensativa che, nella specie, il Tribunale aveva affermato sussistere sulla base della durata ventennale del matrimonio e della presunzione circa l’apporto paritario dei coniugi alla formazione del patrimonio familiare e del marito (imprenditore edile e nel settore turistico), anche quindi dalla moglie ed “anche solo come lavoro domestico”. Tuttavia, pure tale profilo di doglianza era, ad avviso della Corte territoriale, inammissibile in quanto alcuna allegazione era stata fatta dall’appellante circa la prova contraria del fatto evidente fondante la suddetta presunzione, non essendo indicato “neppure vagamente” cosa era successo, durante i vent’anni dell’unione coniugale, “per cui la M. non avrebbe contribuito pariteticamente alla costituzione del patrimonio del D.D.”.
Quindi la Corte d’appello, pur avendo colto nella doglianza, nel resto aspecifica, l’unica effettiva e puntuale critica svolta alla decisione di primo grado, in punto del “presunto contributo” della moglie alla formazione del patrimonio dell’ex marito, ha ritenuto anche tale censura inammissibile, perché generica, non essendo state neppure allegate le circostanze idonee a dare la prova contraria della presunzione circa l’apporto paritetico di entrambi i coniugi al patrimonio familiare. Corretta pertanto risulta, sotto tale profilo, la statuizione di inammissibilità della censura d’appello e non di sua infondatezza nel merito.
Nei motivi del presente ricorso, si contesta una valutazione di inammissibilità dell’intero atto di appello, non cogliendosi la ratio decidendi della sentenza impugnata, fondata sulla mancanza, nella parte preponderante del motivo di gravame, di una concreta critica alla sentenza impugnata, nonché sulla mancata contestazione delle risultanze degli accertamenti da parte della Guardia di Finanza. Ne’ il motivo indica le specifiche doglianze mosse dall’appellante nei confronti della decisione di prime cure, non essendo sufficienti i brani riportati nella parte narrativa del ricorso, ossia nella indicazione dei fatti di causa, senza alcuna precisazione al riguardo nella parte più squisitamente confutativa del ricorso, costituita dal motivo di gravame.
- Le restanti censure sono, invece, fondate.
Si contesta la statuizione con cui la Corte territoriale, esaminando “nel merito” la critica mossa, nell’atto di appello, alla sussistenza del presupposto perequativo-compensativo dell’assegno divorzile, ha affermato che l’apporto della moglie al consolidamento del patrimonio famigliare rappresenterebbe un fatto indubbio ed evidente, derivato dallo stesso disposto normativo di cui all’art. 143 c.c. (secondo cui i coniugi sono tenuti a “contribuire ai bisogni della famiglia”) ma oggetto di presunzione semplice, confutabile solo con prova contraria, il cui onere della prova ricade non su chi afferma la circostanza ma su chi la nega; nella specie, la doglianza è stata ritenuta inammissibile per mancata allegazione di prova contraria da parte del soggetto obbligato al versamento dell’assegno.
Afferma il ricorrente che il contributo dato dal coniuge all’incremento del patrimonio dell’altro non si può presumere, occorrendo fatti gravi, precisi e concordanti, e deve essere quindi dimostrato dal coniuge che agisce in giudizio per il riconoscimento dell’assegno divorzile.
In effetti, deve osservarsi che, ai fini del riconoscimento del diritto all’assegno divorzile, la sentenza impugnata ha richiamato il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’istituto in questione assolve, oltre ad una funzione assistenziale, anche una funzione perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al richiedente non già il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, ma il raggiungimento di un livello reddituale adeguato all’apporto fornito alla realizzazione della vita familiare, tenendo conto in particolare delle aspettative professionali sacrificate (cfr. Cass., Sez. Un., 11/07/2018, n. 18287).
Nell’ambito del predetto orientamento, è stato poi precisato che, ai fini della valutazione dell’inadeguatezza dei mezzi economici e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, occorre tener conto sia dell’impossibilità per il richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente sia della necessità di compensarlo per il particolare contributo che dimostri di avere fornito, nel corso della vita coniugale, alla formazione del patrimonio comune o di quello dell’altro coniuge, mentre è stata esclusa la possibilità di attribuire rilievo, a tal fine, al solo squilibrio economico esistente tra le parti o all’alto livello reddituale dell’altro coniuge, in quanto la differenza reddituale risulta coessenziale alla ricostruzione del tenore di vita matrimoniale, ormai estraneo alla determinazione dell’assegno, e l’entità del reddito dell’obbligato non giustifica di per sé la corresponsione di un assegno commisurato alle sue sostanze (cfr. Cass., Sez. Un., 11/07/2018, n. 18287, cit.; nel medesimo senso, successivamente, Cass., Sez. I, 9/08/2019, n. 21234; Cass. 28/02/2020, n. 5603).
Nell’applicazione di tale principio, la Corte territoriale non ne ha fatto, tuttavia, buon governo, avendo ritenuto corretta la statuizione del Tribunale secondo cui costituisce un fatto “indubbio ed evidente”, “perché così previsto dalle legge” (art. 143 c.c.), quello che “il patrimonio immobiliare e professionale che il D.D. è riuscito a consolidare dopo venti anni di matrimonio sia frutto dell’apporto paritario fornito, fosse anche solo come lavoro domestico, anche dalla moglie”, sia pure come presunzione non legale ma semplice, suscettibile di essere confutata (da chi la nega) con adeguata prova contraria, nella specie neppure allegata dall’appellante.
Orbene, l’assegno divorzile, nella sua componente compensativa, presuppone un rigoroso accertamento del nesso causale tra l’accertata sperequazione fra i mezzi economici dei coniugi e il “contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali”.
Non può essere condivisa l’affermazione che, in derivazione da quell’insieme di regole inderogabili che disciplinano il momento contributivo, cioè gli obblighi che il legislatore pone a carico di ciascun coniuge di collaborare nell’interesse della famiglia e di contribuire ai suoi bisogni, in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, sulla base dell’indirizzo della vita familiare tra loro concordato (artt. 143 e 144 c.c.), si possa desumere “l’apporto paritetico” dato da un coniuge al patrimonio dell’altro, che costituisca comunque una presunzione semplice, peraltro non supportata da indizi gravi precisi e concordanti ovvero da puntuali allegazioni da parte del soggetto che deduce la circostanza.
Invero, tale principio comporta che, a fronte di una disparità reddituale tra gli ex coniugi e di un matrimonio di durata non di pochi anni, sia da riconoscere pressoché sempre all’ex coniuge, parte debole economicamente, un assegnodivorzile, dovendo presumersi che tale coniuge abbia comunque contribuito, in modo, anzi, paritetico, alla formazione del patrimonio dell’altro.
Solo un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio, presente al momento del divorzio fra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti, sia l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari può, invece, giustificare il riconoscimento di un assegno perequativo, tendente a colmare tale squilibrio.
In assenza della prova di questo nesso causale, l’assegno può essere solo eventualmente giustificato da una esigenza assistenziale, la quale tuttavia consente il riconoscimento dell’assegno solo se il coniuge più debole non ha i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa e versi in situazione di oggettiva impossibilità di procurarseli.
Inoltre, in tema di presunzioni semplici, vige il criterio secondo cui le circostanze sulle quali la presunzione si fonda devono essere tali da lasciare apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto, dovendosi ravvisare una connessione tra i fatti accertati e quelli ignoti secondo regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità. Il relativo accertamento non è censurabile in cassazione se sorretto da motivazione immune da vizi logici (Cass. 20671-2005).
Vero che non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, cioè che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza. (Cass. n. 16993 del 2007).
Ma si deve partire sempre da allegazioni puntuali e specifiche degli indici rivelatori del sacrificio del coniuge più debole a favore della famiglia (quali, l’età -giovane- dei coniugi al momento del matrimonio, la durata non breve del matrimonio, la presenza di figli, l’età del coniuge, parte debole del rapporto sotto il profilo economico, al momento della separazione, le scelte comuni di conduzione della vita coniugale), da parte del coniuge che richiede l’assegno divorzile, onerato della relativa prova.
In definitiva, il giudice del merito, investito della domanda di corresponsione di assegno divorzile, deve accertare l’impossibilità dell’ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi; l’assegno divorzile, infatti, deve essere adeguato anche a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale (Cass. 38362-2021). Sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio, ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento; tuttavia, tale principio è derogato, in base alla disciplina sull’assegno divorzile, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, ” ex post” divenuto ingiustificato, spostamento patrimoniale che in tal caso deve essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa. Pertanto, ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettazione in tal senso, l’assegno deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale (Cass. 24250/2021; Cass. 23583/2022).
- Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento dei motivi secondo, terzo e quarto del ricorso, inammissibile il primo, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.
Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i motivi secondo, terzo e quarto del ricorso, inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 marzo 2023.
Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2023