Vai al contenuto
Home > AVVOCATO ESPERTO CONSULENZE BOLOGNA > ARCHITETTO PROGETTO RESPONSABILITA’ PRELIMINARE E ESECUTIVA

ARCHITETTO PROGETTO RESPONSABILITA’ PRELIMINARE E ESECUTIVA

Condividi questo articolo!
casa vizi progetto
casa vizi immobile 3

ARCHITETTO PROGETTO RESPONSABILITA’ PRELIMINARE E ESECUTIVA

incombe, sul debitore convenuto l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento dell’obbligazione

Osserva questo giudice come sia possibile addossare al direttore lavori la responsabilità per difetti o danni evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio; non si può, invece, pretendere che lo stesso risponda anche per errori strettamente settoriali e non immediatamente riconoscibili, quali sono il posizionamento di un sifone e i “difetti occulti” della valvola di areazione
In secondo luogo, occorre sottolineare come l’art. 1669 c.c. venga in rilievo solo per “gravi difetti”; ora, la Corte di Cassazione ha avuto modo di spiegare che “sono gravi difetti dell’opera, rilevanti ai fini dell’art. 1669 c.c., anche quelli che riguardino elementi secondari ed accessori (come impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi, etc.), purché tali da comprometterne la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo” (cfr. Cass. S.U. 7756/2017). Non pare, nel caso di specie, che i difetti allegati da parte attrice possano essere qualificati come gravi sulla scorta delle parole della Suprema Corte, soprattutto alla luce delle allegazioni di parte: la difesa di parte attrice, infatti, non ha in alcun modo dimostrato la compromissione della normale utilizzazione del bene come conseguenza dei lamentati danni; anzi, non è contestato che parte attrice abbia continuato a godere del bene anche in epoca successiva alla scoperta dei difetti in questione. Da quanto sopra esposto in merito all’applicazione dell’art. 1669 c.c. emerge come debbano essere rigettate le eccezioni relative alla decadenza e prescrizione dell’azione sollevate da parte convenuta, dovendosi ritenere altro e diverso il paradigma che disciplina la fattispecie in esame. Merita premettere brevi cenni sul contenuto delle obbligazioni del progettista e del direttore lavori. Con riferimento al progettista, se è vero che il progetto, sino a quando non sia materialmente realizzato, costituisce una fase preparatoria, strumentalmente preordinata alla concreta attuazione dell’opera, è anche vero che, sul piano tecnico e giuridico, il progettista deve assicurare la conformità del progetto alla normativa urbanistica ed individuare in termini corretti la procedura amministrativa da utilizzare, così da assicurare la preventiva e corretta soluzione dei problemi che precedono e condizionano la realizzazione dell’opera richiesta dal committente (Cfr. Cass. n. 2257/2007).
casa vizi immobile 1
casa vizi immobile 1

NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Valentina Boroni ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 59749/2017 promossa da: P.Z. (C.F. omissis), e S.Z. quale erede di C.C. (C.F. omissis), con il patrocinio dell’avv. FORTUGNO MARIA CRISTINA, elettivamente domiciliato in PIAZZA GIUSEPPE GRANDI, 4 20135 MILANO presso il difensore avv. FORTUGNO MARIA CRISTINA ATTORI contro I.S. (C.F. omissis), con il patrocinio dell’avv. PINORI ALESSANDRA e dell’avv. GALLOTTO VINCENZO (GLLVCN79C02G793O) CORSO BUENOS AIRES, 43 20124 MILANO; elettivamente domiciliato in VIA S. ILARIO, 54/1 16167 GENOVA presso il difensore avv. PINORI ALESSANDRA CONVENUTA Oggetto: Responsabilità professionale dell’architetto CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come segue: parte attrice Piaccia all’Ill.mo Tribunale adito In via principale Previo accertamento, alla luce dei motivi esposti in atti, della responsabilità in capo alla convenuta, arch I.S., nella sua qualità di progettista e direttore dei lavori per le opere di ristrutturazione dell’immobile sito in Milano, omissis, abitazione delle signore Z. P. e C.C., condannarla a risarcire a parte attrice i danni derivati dalla cattiva esecuzione delle opere di ristrutturazione, anche per il furto subito, in parte quantificabili come segue: € 132.750,00 valore della merce sottratta € 10.725,00 valutazione dei danni di cui alla perizia dell’arch. F. € 9.000,00 per restituzione compensi dell’arch. S. oltre quanto verrà accertato in corso di causa per il mancato rilascio della documentazione imposta dalla legge, oltre ad una somma da determinarsi, o, comunque, alla somma complessivamente ritenuta di giustizia o determinata equitativamente. In ogni caso Condannare la convenuta alla refusione a favore dell’attrice delle spese, e degli onorari relativi al presente giudizio. In via istruttoria Ammettersi CTU volta alla puntuale quantificazione di tutti i danni subiti, con riserva di meglio precisare in sede di memoria istruttoria, e con riserva di essere ammesso alla prova per interpello e testi sui capitoli che verranno indicati nei termini di legge. Foglio di precisazione delle conclusioni a favore dell’attrice Piaccia all’Ill.mo Tribunale adito In via principale Previo accertamento, alla luce dei motivi esposti in atti, della responsabilità in capo alla convenuta, archI.S., nella sua qualità di progettista e direttore dei lavori per le opere di ristrutturazione dell’immobile sito in Milano, via Venezuela 8, abitazione delle signore Z. P. e C.C., condannarla a risarcire a parte attrice i danni derivati dalla cattiva esecuzione delle opere di ristrutturazione, anche per il furto subito, in parte quantificabili come segue: € 132.750,00 valore della merce sottratta € 10.725,00 valutazione dei danni di cui alla perizia dell’arch. F. € 9.000,00 per restituzione compensi dell’arch. S. oltre quanto verrà accertato in corso di causa per il mancato rilascio della documentazione imposta dalla legge, oltre ad una somma da determinarsi, o, comunque, alla somma complessivamente ritenuta di giustizia o determinata equitativamente. In ogni caso Condannare la convenuta alla refusione a favore dell’attrice delle spese, e degli onorari relativi al presente giudizio. In via istruttoria Ammettersi CTU volta alla puntuale quantificazione di tutti i danni subiti, con riserva di meglio precisare in sede di memoria istruttoria, e con riserva di essere ammesso alla prova per interpello e testi sui capitoli che verranno indicati nei termini di legge. Parte convenuta A) rigettare ogni avversaria domanda in quanto infondata in fatto e in diritto e comunque non provata; B) condannare parte attrice alla rifusione in favore dell’esponente delle spese del presente giudizio, oltre sp. Gen. 15%, oltre oneri fiscali e previdenziali come per legge. C) condannare parte attrice al pagamento in favore dell’esponente di una somma equitativamente determinata dal Giudicante ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 96 terzo comma c.p.c.” Motivi della decisione Con atto di citazione ritualmente notificato, P.Z. e C.C. hanno convenuto in giudizio l’arch. I.S. per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’inesatto adempimento delle obbligazioni assunte. Parte attrice ha spiegato, in particolare, che – come risulta anche dalla proposta di contratto accettata dall’attrice e prodotta – l’arch. S. si sarebbe dovuta occupare dell’intera ristrutturazione dell’appartamento di proprietà della Z.: a partire dal progetto, passando per la scelta delle imprese, con la verifica costante dello stato di avanzamento dei lavori e concludendo con la consegna dell’appartamento, previa verifica della bontà dell’opera. Tra le opere previste vi era anche l’installazione di una cassaforte. I lavori si sono conclusi nella primavera del 2015 e a fine agosto dello stesso anno le attrici sono state vittime di un furto nella abitazione oggetto di recente ristrutturazione: i ladri hanno sottratto l’intera cassaforte dal vano creato nel muro e di tale evento le attrici hanno attribuito la responsabilità all’arch. S. poiché la stessa non aveva controllato la corretta installazione della cassetta di sicurezza. Le attrici hanno anche lamentato difetti nella ristrutturazione del bagno, dell’anticamera e della cucina. In particolare: – il bagno è soggetto a esalazioni maleodoranti e a risalite di acque nere nella doccia; – in anticamera e in cucina sono state posizionate porte scorrevoli non perfettamente a piombo e, comunque, installate in modo non rispondente alle buone tecniche. Infine, hanno lamentato il mancato rilascio, da parte dell’arch. S., di documentazione imposta dalla legge. Di tutti i danni hanno chiesto il risarcimento alla convenuta. Si è costituita in giudizio l’arch. S. che, preliminarmente, ha contestato la legittimazione attiva in capo alla sig. Cesarini, non essendo parte del contratto concluso con l’architetto né proprietaria dell’immobile, ma solo presunta proprietaria dei gioielli sottratti dalla cassaforte. Ha, poi, eccepito la intervenuta decadenza dalla possibilità di denuncia dei vizi dell’opera, ai sensi dell’art. 1669 c.c. Nel merito, ha chiesto il rigetto delle domande di parte attrice sulla base dei seguenti rilievi. Con riferimento alla cassaforte, la convenuta ha sottolineato come la stessa sia stata scelta e acquistata dalla Z. e, soprattutto, come si debba escludere la sussistenza di nesso causale tra i lavori di ristrutturazione e il furto subito. Con riferimento agli altri difetti rilevati ha sottolineato, da una parte, come non sia stato provato – rispetto ai difetti rilevati nel bagno, nell’anticamera e nella cucina – che essi fossero presenti al momento della conclusione dei lavori e non siano, invece, dovuti all’utilizzo fattone dalle attrici. Da altro lato, hanno rilevato come i vizi si sarebbero, comunque, dovuti rilevare al momento della fine dei lavori e non a distanza di un anno e mezzo. In ogni caso, ha invocato il concorso di colpa delle attrici: con riferimento al furto, per non avere adottato cautele ulteriori al fine di scongiurarlo (quali porta blindata o sistema antifurto) e con riferimento agli altri danni, per avere la Z. sempre fatto ricadere la scelta di materiali e imprese su soluzioni orientate solamente al “prezzo più basso”. Comparse le parti all’udienza ex art. 183 cpc sono stati assegnati termini per il deposito di memorie. Nel corso del processo è deceduta l’attrice C.C. ed è intervenuto il fratello dell’attrice Z. , quale erede della defunta madre e, dunque, in qualità di proprietario del contenuto della cassaforte. Il giudice ha acquisito i documenti prodotti e ha rigettato le istanze istruttorie delle parti, compresa l’istanza di CTU avanzata da parte attrice: anche la consulenza tecnica, infatti, è stata ritenuta meramente esplorativa, soprattutto sulla base della relazione tecnica di parte, che non ha evidenziato, in termini di alta probabilità, alcun elemento idoneo a fondare una responsabilità della convenuta. La causa è stata, quindi, trattenuta in decisione. 1. Sulla legittimazione attiva di C.C. L’eccezione di parte convenuta relativa alla carenza di legittimazione attiva in capo alla sig. C.C. e, successivamente al suo decesso, del suo erede interveniente S.Z. , merita accoglimento. Trattandosi, come meglio si dirà in seguito, di responsabilità di tipo contrattuale, infatti, l’unica legittimata attiva al di là della titolarità dei beni danneggiati – peraltro non provata- è la sig. Z. , quale unica contraente dell’arch. S. La sig. C. avrebbe, al più, potuto azionare la richiesta di risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 2043 c.c., ma non certo sulla scorta del paradigma della responsabilità contrattuale. 2. La responsabilità contrattuale Merita premettere che è dedotta in giudizio la conclusione di un contratto d’opera intellettuale tra la Z. e l’arch. S. avente ad oggetto la progettazione e la direzione dei lavori di ristrutturazione dell’appartamento per cui è causa: da qui l’applicazione delle norme di cui all’art. 1218 c.c. al fine di valutare la sussistenza di responsabilità in capo alla convenuta. Alla fattispecie in esame, inoltre, deve trovare applicazione il costante orientamento della Corte di Cassazione, in base al quale il creditore che agisca in giudizio per l’inadempimento del debitore deve solo fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto potendosi limitare ad allegare l’inadempimento ed il nesso di causa tra inadempimento e danno; incombe, invece, sul debitore convenuto l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento dell’obbligazione (Cass. sez. un. 13533/2001). Non è contestato che P.Z. abbia conferito alla convenuta un incarico professionale volto alla predisposizione di un progetto per la ristrutturazione dell’immobile di sua proprietà nonché alla direzione dei lavori e alla supervisione dell’esecuzione delle opere. La difesa di parte attrice ha dunque lamentato l’inadempimento della convenuta alle obbligazioni sulla stessa gravanti. Ora, seppur la giurisprudenza abbia esteso l’applicazione dell’art. 1669 c.c. anche al direttore lavori, nel caso di specie è fuori di dubbio che venga in rilievo solo la responsabilità contrattuale della S. In primo luogo, l’attrice nell’atto introduttivo ha sempre parlato di responsabilità per inadempimento del contratto stipulato con l’arch. S. (allegato all’atto di citazione). In secondo luogo, occorre sottolineare come l’art. 1669 c.c. venga in rilievo solo per “gravi difetti”; ora, la Corte di Cassazione ha avuto modo di spiegare che “sono gravi difetti dell’opera, rilevanti ai fini dell’art. 1669 c.c., anche quelli che riguardino elementi secondari ed accessori (come impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi, etc.), purché tali da comprometterne la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo” (cfr. Cass. S.U. 7756/2017). Non pare, nel caso di specie, che i difetti allegati da parte attrice possano essere qualificati come gravi sulla scorta delle parole della Suprema Corte, soprattutto alla luce delle allegazioni di parte: la difesa di parte attrice, infatti, non ha in alcun modo dimostrato la compromissione della normale utilizzazione del bene come conseguenza dei lamentati danni; anzi, non è contestato che parte attrice abbia continuato a godere del bene anche in epoca successiva alla scoperta dei difetti in questione. Da quanto sopra esposto in merito all’applicazione dell’art. 1669 c.c. emerge come debbano essere rigettate le eccezioni relative alla decadenza e prescrizione dell’azione sollevate da parte convenuta, dovendosi ritenere altro e diverso il paradigma che disciplina la fattispecie in esame. Merita premettere brevi cenni sul contenuto delle obbligazioni del progettista e del direttore lavori. Con riferimento al progettista, se è vero che il progetto, sino a quando non sia materialmente realizzato, costituisce una fase preparatoria, strumentalmente preordinata alla concreta attuazione dell’opera, è anche vero che, sul piano tecnico e giuridico, il progettista deve assicurare la conformità del progetto alla normativa urbanistica ed individuare in termini corretti la procedura amministrativa da utilizzare, così da assicurare la preventiva e corretta soluzione dei problemi che precedono e condizionano la realizzazione dell’opera richiesta dal committente (Cfr. Cass. n. 2257/2007). Dal momento che la convenuta era stata designata, altresì, come direttore dei lavori – e che è sotto tale veste in particolare che si lamenta l’inadempimento – merita sottolineare anche che il direttore dei lavori per conto del committente presta un’opera professionale in esecuzione di un’obbligazione di mezzi e non di risultato; ma, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della “diligentia quam in concreto”. Rientrano, pertanto, nelle obbligazioni del direttore dei lavori, l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi; sicché non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore ed, in difetto, di riferirne al committente (cfr. Cass. n. 23350/2013). Ciò premesso, è possibile passare ad analizzare il merito delle domande di parte attrice. Il primo e più consistente inadempimento lamentato da parte attrice è rappresentato dalla non corretta installazione della cassaforte, che avrebbe reso possibile la sua sottrazione da parte di ignoti: essa è stata, infatti, “sfilata” dal vano in cui era stata collocata, pochissimi mesi dopo la fine dei lavori di ristrutturazione. A sostegno della scorrettezza dell’installazione parte attrice ha portato delle indicazioni di installazione reperite su un forum presente in internet in quanto “i manuali dei produttori visionati dicono poco o nulla in merito all’ancoraggio delle cassette da incasso” (cfr. Relazione tecnica di parte allegata all’atto di citazione.). Ora, in primo luogo, risulta quantomeno arduo addebitare la scorrettezza dell’installazione al direttore dei lavori, quando nemmeno i produttori di cassette di sicurezza forniscono elementi che possano guidare nel procedimento di incasso delle stesse. In secondo luogo, si osserva come il totale sradicamento della cassetta in questione impedisca di accertare quale sia stata, effettivamente, la tecnica utilizzata per la sua installazione. Ciò è dimostrato anche dalla relazione tecnica di parte, in cui si avanzano solamente ipotesi circa le modalità di incasso della cassaforte. Infine, nella stessa relazione tecnica del perito di parte si legge come “la tipologia edilizia dello stabile non favorisce la sicurezza”, con ciò dimostrandosi anche una oggettiva difficoltà connaturata alla conformazione dell’immobile, che impedisce di addossare all’arch. S. la presunta scorretta installazione della cassaforte. Ancora, sempre a sostegno del rigetto della pretesa attorea, si osserva l’assenza di prova in ordine al nesso di causalità tra la condotta dell’arch. S. e il danno. In tema di illecito civile, infatti, un evento è da ritenere causato da un dato comportamento quando il suo verificarsi per effetto di quel comportamento sia più probabile che non il suo contrario (Cass. civ. Sez. 3, 5 maggio 2009 n. 10285). Nel caso in esame, non è possibile ravvisare elementi sufficienti a far ritenere “più probabile che non” che i danni lamentati da parte attrice siano riconducibili alla condotta del convenuto. Non vi è alcuna prova, infatti, che, anche ove la cassetta di sicurezza fosse stata incassata seguendo tecniche alternative a quella concretamente utilizzata (che, peraltro non si sa quale siano, visto che, come sopra specificato, è visibile solamente una voragine nel muro) il furto non si sarebbe verificato. In conclusione, non può ritenersi che anche in presenza di una diversa installazione della cassaforte i danni lamentati da parte attrice – e, segnatamente, il furto del contenuto della cassetta di sicurezza – non si sarebbero, con elevata probabilità, verificati. In assenza di prova del nesso di causa tra condotta e danno, la domanda di parte attrice non può che essere rigettata. Con riguardo alle lamentate inesattezze nell’installazione delle porte e ai loro difetti estetici, invece, si osserva come parte attrice stessa affermi nella memoria ex art. 183 c. 6 n. 1 c.p.c. nonché nella comparsa conclusionale che i difetti sono emersi nei mesi a seguire la fine dei lavori. Ora, se anche la committente si è avveduta del “fuori piombo” delle porte scorrevoli solo dopo un consistente lasso di tempo dalla fine dei lavori, non si vede come tali imprecisioni potessero essere, invece, visibili all’arch. S.. È evidente, da quanto affermato dalla stessa attrice, che il difetto non era di immediata percezione e, dunque, probabilmente, non derivante da un errore di montaggio ictu oculi percepibile; essendosi presentati dopo l’utilizzo da parte della padrona di casa, non si può escludere che i predetti danni siano stati conseguenza proprio dell’uso e non, invece, riferibili alla fase di ristrutturazione. Anche con riferimento ai danni lamentati per anticamera e cucina, dunque, non vi è prova che essi siano da ricondurre all’opera di ristrutturazione e, di conseguenza, le domande di parte attrice devono essere rigettate. Con riguardo al secondo bagno, i danni consisterebbero in esalazioni di odori sgradevoli e nella risalita di acque nere dagli scarichi della doccia. In merito a tali doglianze, si osserva come le stesse non siano ritenute imputabili al direttore lavori. Dalla relazione tecnica di parte, infatti, e dal doc. 12 allegato all’atto di citazione si evince come entrambi i problemi siano dovuti a dettagli tecnici di carattere idraulico. Con riferimento alla progettazione e realizzazione del bagno, infatti, non si può muovere alcun rimprovero alla convenuta: essa ha ricavato il secondo bagno da una parte di ripostiglio (cfr. Relazione tecnica di parte); trattasi di bagno cieco, rispetto al quale si è resa necessaria la previsione di una ventola di areazione e, in assenza di canne di caduta nel ripostiglio, l’installazione di un trituratore di tipo “sanrit”. Entrambe le necessità sono state previste e soddisfatte dall’arch. S. I documenti sopra richiamati riconducono il reflusso di acque nere a una scorretta disposizione e a un mal funzionamento delle valvole anti reflusso del trituratore: la relazione tecnica precisa, a tal proposito, che “quasi certamente, e contrariamente al sifone del lavabo, la cosa non è imputabile all’Appaltatrice o alla D.L.”. Con riferimento ai cattivi odori, invece, essi sono – in termini di possibilità – riconducibili alla assenza di sifone nel lavandino o, in alternativa, a “difetti occulti” della ventola di areazione. Ora, è pacifico che il direttore lavori debba supervisionare tutta l’opera di ristrutturazione assicurandosi che essa sia eseguita in modo conforme al progetto e alle buone tecniche; è anche vero che la diligenza alla luce della quale valutare la condotta del direttore lavori è quella qualificata dalla natura dell’attività svolta; tuttavia, non si può pretendere dall’architetto-direttore lavori la stessa competenza tecnica che ci si aspetta, invece, in un idraulico – per quel che qui interessa. Osserva questo giudice come sia possibile addossare al direttore lavori la responsabilità per difetti o danni evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio; non si può, invece, pretendere che lo stesso risponda anche per errori strettamente settoriali e non immediatamente riconoscibili, quali sono il posizionamento di un sifone e i “difetti occulti” della valvola di areazione. In merito, infine, al mancato rilascio, da parte dell’arch. S., di documentazione imposta dalla legge, non può essere svolto alcun giudizio non essendo nemmeno stato specificato di quale documentazione precisa si tratti e rimanendo, quindi, una contestazione del tutto generica. In conclusione, la domanda di parte attrice avente ad oggetto il risarcimento dei danni deve essere interamente rigettata per tutti i motivi sopra esposti. Con riferimento alla domanda di condanna ai sensi dell’art. 96 c. 3 c.p.c., avanzata da parte convenuta, si osserva che l’instaurazione di tale giudizio non può configurarsi come abuso del processo, tale da meritare una sanzione di ordine pubblico; inoltre, l’inutile partecipazione al giudizio da parte del convenuto si ritiene già ristorata dalla condanna di controparte alla rifusione delle spese. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, tenuto conto del valore della causa e della concreta attività difensiva svolta, sulla base del DM 55/2014. P.Q.M. Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza ed eccezione disattesa, così provvede: a) rigetta le domande di parte attrice; b) Condanna P.Z. e S. Z. a rimborsare alla convenuta le spese di lite, che liquida in complessivi euro 7.254,00 oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali al 15% come per legge; c) Rigetta la domanda di parte convenuta di condanna ai sensi dell’art. 96 c. 3 c.p.c. Milano, 25 febbraio 2020 Il Giudice Valentina Boroni

Condividi questo articolo!