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Rivolgendovi all’ avvocato esperto divorzio giudiziale a Bologna avrete tutta l’assistenza necessaria per il vostro ricorso per divorzio giudiziale .
Avvocato divorzio giudiziale Bologna :Il coniuge interessato al divorzio deve presentare un ricorso al tribunale competente territorialmente, sottolineando le proprie richieste (gestione casa, figli, ecc.).
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Divorzio uguale fine definitiva del matrimonio e rappresenta delicato per i coniugi che si accingono a interrompere definitivamente la propria vita insieme.
La scelta di divorziare è una decisione gravida di conseguenze sia dal punto di vista emotivo e psicologico, che da quello economico.
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Col divorzio si stabilisce l’annullamento del matrimonio o la conclusione degli effetti civili e degli effetti del matrimonio, sia a livello personale (uso del cognome del marito, presunzione di concepimento, etc.), sia per quanto riguarda il patrimonio.
Con la separazione rimane il dovere di assistenza materiale fra coniugi. Esso è costituito dal dovere di versare un assegno di mantenimento al coniuge che non abbia adeguati propri redditi e al quale non sia stata addebitata la responsabilità per la separazione [4]. La legge vuole permettere, così, alla parte economicamente più debole, di conservare un tenore di vita il più vicino possibile a quello avuto durante il matrimonio.
L’assistenza di un buon avvocato divorzista, già importante nella fase di separazione, può diventare ancor più cruciale nel periodo che precede il divorzio.
La nuova legge sul divorzio breve (legge n°55 del 6/5/2015) prevede che tra la separazione consensuale e la richiesta di divorzio debbano passare almeno sei mesi, che diventano dodici nel caso di separazione personale.
I mesi decorrono dalla sentenza di separazione legale e costituiscono un tempo di riflessione, che in precedenza era di tre anni, in cui la coppia può cercare di riconciliarsi o, comunque, di definire con calma le condizioni della cessazione definitiva del matrimonio.
Divorziare è un grosso problema e i coniugi devon affidarsi a un avvocato divorzista in grado di sapervi assistere al meglio, fin dall’inizio, in ogni aspetto della vicenda.
Sia La Separazione che il divorzio può essere affrontato in forma congiunta – con significativo risparmio di tempo e di costi – o in forma giudiziale, a seconda se sia possibile raggiungere un’intesa soddisfacente per entrambi i coniugi già prima dell’inizio della causa o nel corso della stessa.
Quando si arriva al divorzio o cessazione effetti civili del matrimonio si ha lo scioglimento definitivo del matrimonio (se celebrato in forma non religiosa) o la cessazione dei suoi effetti civili (se celebrato in Chiesa),i coniugi dovranno decidere sia sulla collocazione dei figli e sui rapporti con i genitori che sulle questioni economiche: mantenimento della prole ed eventuale assegno divorzile in favore del coniuge economicamente non autosufficiente.
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Avvocato matrimonialista Bologna per divorzio giudiziale, divorzio che interviene quando i coniugi non si accordano per un divorzio congiunto ,cioè richiesto da entrambi con le stesse condizioni.
Rivolgendovi all’ avvocato esperto divorzio giudiziale a Bologna avrete tutta l’assistenza necessaria per il vostro ricorso per divorzio giudiziale .
Avvocato divorzio giudiziale Bologna :Il coniuge interessato al divorzio deve presentare un ricorso al tribunale competente territorialmente, sottolineando le proprie richieste (gestione casa, figli, ecc.).
L’altro coniuge viene quindi chiamato a presentare le sue richieste e, se i due non sono d’accordo, sarà il Tribunale con apposita sentenza a decidere per il divorzio e a quali condizioni.
. Da qui nasce la complessità della materia e degli eventi che la riguardano.
- Separazioni personali
- Divorzi
- Modifiche delle condizioni di separazione e divorzio
- Famiglie di fatto
- Diritto agli alimenti
- Regimi patrimoniali della famiglia
- Misure di garanzia e di esecuzione dei provvedimenti economici
- Una volta sciolto il matrimonio civile o cessati gli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso – sulla base dell’accertamento giudiziale, passato in giudicato, che «la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita per l’esistenza di una delle cause previste dall’articolo 3» (cfr. artt. 1 e 2, mai modificati, nonché l’art. 4, commi 12 e 16, della legge n. 898 del 1970) -, il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sul piano sia dello status personale dei coniugi, i quali devono perciò considerarsi da allora in poi “persone singole”, sia dei loro rapporti economico-patrimoniali (art. 191, comma 1, cod. civ.) e, in particolare, del reciproco dovere di assistenza morale e materiale (art. 143, comma 2, cod. civ.), fermo ovviamente, in presenza di figli, l’esercizio della responsabilità genitoriale, con i relativi doveri e diritti, da parte di entrambi gli ex coniugi (cfr. artt. 317, comma 2, e da 337-bis a 337-octies cod. civ.).
- Perfezionatasi tale fattispecie estintiva del rapporto matrimoniale, il diritto all’assegno di divorzio – previsto dall’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, nel testo sostituito dall’art. 10 della legge n. 74 del 1987 – è condizionato dal previo riconoscimento di esso in base all’accertamento giudiziale della mancanza di «mezzi adeguati» dell’ex coniuge richiedente l’assegno o, comunque, dell’impossibilità dello stesso «di procurarseli per ragioni oggettive».
- La piana lettura di tale comma 6 dell’art. 5 – «Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive» – mostra con evidenza che la sua stessa “struttura” prefigura un giudizio nitidamente e rigorosamente distinto in due fasi, il cui oggetto è costituito, rispettivamente, dall’eventuale riconoscimento del diritto (fase dell’an debeatur) e – solo all’esito positivo di tale prima fase – dalla determinazione quantitativa dell’assegno (fase del quantum debeatur).
- La complessiva ratio dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970 (diritto condizionato all’assegno di divorzio e – riconosciuto tale diritto -determinazione e prestazione dell’assegno) ha fondamento costituzionale nel dovere inderogabile di «solidarietà economica» (art. 2, in relazione all’art. 23, Cost.), il cui adempimento è richiesto ad entrambi gli ex coniugi, quali “persone singole”, a tutela della “persona” economicamente più debole (cosiddetta “solidarietà post-coniugale”): sta precisamente in questo duplice fondamento costituzionale sia la qualificazione della natura dell’assegno di divorzio come esclusivamente “assistenziale” in favore dell’ex coniuge economicamente più debole (art. 2 Cost.) – natura che in questa sede va ribadita -, sia la giustificazione della doverosità della sua «prestazione» (art. 23 Cost.).
- Sicché, se il diritto all’assegno di divorzio è riconosciuto alla “persona” dell’ex coniuge nella fase dell’an debeatur, l’assegno è “determinato” esclusivamente nella successiva fase del quantum debeatur, non già “in ragione” del rapporto matrimoniale ormai definitivamente estinto, bensì “in considerazione” di esso nel corso di tale seconda fase (cfr. l’incipit del comma 6 dell’art. 5 cit: «[….] il tribunale, tenuto conto [….]»), avendo lo stesso rapporto, ancorché estinto pure nella sua dimensione economico-patrimoniale, caratterizzato, anche sul piano giuridico, un periodo più o meno lungo della vita in comune («la comunione spirituale e materiale») degli ex coniugi.
- Deve, peraltro, sottolinearsi che il carattere condizionato del diritto all’assegno di divorzio – comportando ovviamente la sua negazione in presenza di «mezzi adeguati» dell’ex coniuge richiedente o delle effettive possibilità «di procurarseli», vale a dire della “indipendenza o autosufficienza economica” dello stesso – comporta altresì che, in carenza di ragioni di «solidarietà economica», l’eventuale riconoscimento del diritto si risolverebbe in una locupletazione illegittima, in quanto fondata esclusivamente sul fatto della “mera preesistenza” di un rapporto matrimoniale ormai estinto, ed inoltre di durata tendenzialmente sine die: il discrimine tra «solidarietà economica» ed illegittima locupletazione sta, perciò, proprio nel giudizio sull’esistenza, o no, delle condizioni del diritto all’assegno, nella fase dell’an debeatur.
- Tali precisazioni preliminari si rendono necessarie, perché non di rado è dato rilevare nei provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto l’assegno di divorzio una indebita commistione tra le due “fasi” del giudizio e tra i relativi accertamenti che, essendo invece pertinenti esclusivamente all’una o all’altra fase, debbono per ciò stesso essere effettuati secondo l’ordine progressivo normativamente stabilito.
BOLOGNA Separazione personale, addebito, infedeltà, crisi matrimoniale, prova
alla luce del condiviso principio di diritto affermato da questa Corte di legittimità (cfr cass. n. 2059 del 2012), secondo cui «Grava sulla parte che richieda, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre, è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà.».
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 20 marzo – 15 luglio 2014, n. 16172
(Presidente Forte – Relatore Giancola)
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 10/09 del 7.01.2009 il Tribunale di Vicenza dichiarava la separazione personale dei coniugi V.G.M. (ricorrente) e D.S.P., con addebito della separazione alla M., cui affidava i due figli minorenni della coppia, per il cui mantenimento imponeva al D.S. di versare alla moglie l’assegno di € 3.000,00.
Contro la sentenza del Tribunale la M. proponeva appello principale con riguardo all’addebito a sé della separazione, contestando di avere violato l’obbligo di fedeltà coniugale e comunque la sussistenza del nesso di causalità tra la sua condotta e la compromissione del rapporto comiugale. A sua volta il D.S. proponeva appello incidentale relativamente all’assegno di mantenimento stabilito a favore dei figli, deducendo sia che con sentenza n. 630/08 del medimo Tribunale di Vicenza era stata accolta la sua azione di disconoscimento della paternità del figlio A., per modo che non aveva significato l’obbligo impostogli di mantenerlo, e sia l’eccessiva entità del contributo da lui dovuto per il mantenimento della figlia, tanto più considerando l’assenza di ogni dimostrazione circa il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. In ogni caso chiedeva di potere versare direttamente alla figlia, ormai maggiorenne, l’assegno per il suo mantenimento. L’adita Corte di Appello di Venezia, con sentenza del 19.10.2009-10.03.2010, rigettava entrambi i gravami, compensando le spese dei grado.
La Corte territoriale osservava e riteneva che:
– la pronuncia di addebito era corretta, potendo considerarsi dato pacifico il fatto che la M. avesse avuto una relazione sessuale con uomo diverso da suo marito, atteso l’esito della causa di disconoscimento di paternità del figlio, e comunque risultando la sua infedeltà dimostrata dalla deposizione resa dalla teste B., capace ed attendibile, valutata anche alla luce delle dichiarazioni rese dalla stessa M. e delle fotografie prodotte in giudizio, ritraenti l’attrice, l’altro uomo, marito della teste, ed il piccolo A. a cavallo, attestanti un’intensa ed armoniosa frequentazione tra i tre, indicativa di uno speciale rapporto tra loro;
– pure l’appello incidentale doveva ritenersi infondato, essendo l’assegno di mantenimento per il minore comunque dovuto fino all’accertamento, con efficacia di giudicato, del nuovo status del minore stesso, ed essendo del tutto congrua l’entità dell’apporto stabilita dal primo giudice, anche proporzionata al patrimonio del D.S. ed al suo reddito, come già accertato nel pregresso grado di merito e non oggetto di gravame;
– anche la richiesta dei D.S. di attribuire l’assegno direttamente alla figlia divenuta maggiorenne, andava disattesa, in quanto ella viveva con la madre che provvedeva al suo mantenimento.
Avverso questa sentenza la M. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo e notificato al PM presso il Tribunale di Vicenza ed al D.S., che ha resistito con controricorso e depositato memoria.
Motivi della decisione
A sostegno del ricorso la M. denunzia “Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 151 e 143 c.c. in comb. disp. art. 2697 c.c., nonché la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte di merito dato per provato il nesso tra la presunta relazione extraconiugale della sig.ra M. e la crisi del matrimonio sulla base del principio secondo cui l’infedeltà rappresenti ex se causa d’addebito, senza tuttavia alcuna indagine volta a verificare se tale relazione abbia avuto in concreto efficienza causale rispetto alla fine del rapporto.”.
Si duole che le sia stato addossato l’onere della prova della non ricorrenza di una situazione coniugale già compromessa.
Il motivo non merita favorevole apprezzamento (già) alla luce del condiviso principio di diritto affermato da questa Corte di legittimità (cfr cass. n. 2059 del 2012), secondo cui «Grava sulla parte che richieda, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre, è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà.».
Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna della M., soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la M. al pagamento, in favore del D.S., delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 3.500,00 per compenso ed in € 200,00 per esborsi, oltre agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 52, comma 5, del D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
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