ACQUISTO CASA BOLOGNA , VENDITA CASA BOLOGNA , CAPARRA CONFIRMATORIA BOLOGNA PROPOSTA AGENZIA BOLOGNA
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caparra confirmatoria, il principio di cui al comma 2 dell’art. 1385 c.c. (in virtù del quale la parte non inadempiente ha facoltà di recedere dal contratto ritenendo la caparra ricevuta od esigendone il doppio rispetto a quella versata) non è applicabile (come, in effetti, dedotto dai ricorrenti) tutte le volte in cui la parte non inadempiente, anziché recedere dal contratto, si avvalga del rimedio ordinario della risoluzione del negozio, perdendo, in tal caso, la funzione di liquidazione convenzionale anticipata del danno; tuttavia, deve affermarsi (cfr, ad es., Cass. n. 11356 del 2006) che, qualora, anziché recedere dal contratto, la parte non inadempiente si avvalga dei rimedi ordinari della richiesta di adempimento ovvero di risoluzione del negozio (come verificatosi nella specie), la restituzione della caparra è ricollegabile agli effetti restitutori propri della risoluzione negoziale, come conseguenza del venir meno della causa della corresponsione, giacché in tale ipotesi essa perde la suindicata funzione di limitazione forfettaria e predeterminata della pretesa risarcitoria all’importo convenzionalmente stabilito in contratto, e la parte che allega di aver subito il danno, oltre che alla restituzione di quanto prestato in relazione o in esecuzione del contratto, ha diritto anche al risarcimento dell’integrale danno subito, se e nei limiti in cui riesce a provarne l’esistenza e l’ammontare in base alla disciplina generale di cui agli artt. 1453 ss. c.c., salvo che non ne sia stata convenzionalmente predeterminata la misura sotto forma di clausola penale. In altri termini, qualora la parte non inadempiente, invece di recedere dal contratto, manifesti la volontà di optare per l’esercizio del rimedio ordinario della risoluzione del negozio, la restituzione di quanto versato a titolo di caparra è dovuta dalla parte adempiente quale effetto della risoluzione stessa in conseguenza della caducazione della sua causa giustificativa, senza alcuna necessità di specifica prova del danno, essendo il danno stesso (consistente nella perdita della somma capitale versata alla controparte maggiorata degli interessi) “in re ipsa”, mentre la prova richiesta alla parte che abbia scelto il rimedio ordinario della risoluzione del preliminare riguarderà esclusivamente l’eventuale maggior danno subito in conseguenza dell’inadempimento dell’altra parte.
afferma la dottrina e la giurisprudenza anche di questa Corte Suprema, ai fini della legittimità del recesso ex art. 1385 cod. civ., come della risoluzione, non è sufficiente l’inadempimento, ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 cod. civ., dovendo il giudice tenere conto della effettiva incidenza dell’inadempimento sul sinallagma contrattuale e verificare se, in considerazione della mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l’utilità del contratto alla stregua dell’economia complessiva dello stesso. Per altro, la mancata indicazione di un termine essenziale non vale ad escludere che i ritardi nella stipula del definitivo possano costituire di per sé un inadempimento di non scarsa importanza, ove concretamente i ritardi nell’adempimento superino ogni ragionevole limite di tolleranza da apprezzarsi discrezionalmente dal giudice di merito in relazione all’oggetto del contratto e alla natura del medesimo
le sezioni unite, risolvendo un contrasto insorto tra le sezioni semplici – diversamente da quanto asserito del giudice del gravame – hanno affermato che in caso di contratto preliminare stipulato senza il consenso dell’altro coniuge, quest’ultimo deve considerarsi litisconsorte necessario del giudizio per l’esecuzione specifica del contratto (Cass. SS.UU. 24 agosto 2007 n. 17952), proprio perché detto coniuge è ancora titolare di una situazione giuridica inscindibile che lo rende litisconsorte necessario nel giudizio di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre e l’eventuale decisione in assenza di contraddicono sarebbe inidonea a spiegare i propri effetti, cioè a produrre un risultato utile e pratico, anche nei riguardi delle sole parti presenti, stante la natura plurisoggettiva e concettualmente unica ed inscindibile del rapporto
L’art. 184 c.c., infatti, per l’esigenza di tutelare la rapidità e la certezza della circolazione dei beni in regime di comunione legale, disciplina il conflitto tra il terzo ed il coniuge pretermesso in modo più favorevole (rispetto alla comunione ordinaria) al primo, con il regime degli effetti tendente alla conservazione del negozio; di conseguenza il contratto, in assenza del consenso del coniuge pretermesso non è inefficace né nei confronti dei terzi, né nei confronti della comunione, ma è solo soggetto alla disciplina dell’art. 184 c.c., comma 1, ed è solamente esposto all’azione di annullamento da parte del coniuge non consenziente, nel breve termine prescrizionale entro cui è ristretto l’esercizio di tale azione, decorrente dalla conoscenza effettiva dell’atto, ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione o dallo scioglimento della comunione (in tal senso, v. Cass. 21 dicembre 2001 n. 16177; Cass. 31 gennaio 2012 n. 1385).
In conclusione si deve annullare tale decisione affermandosi il principio che per l’esecuzione in forma specifica di un preliminare di vendita immobiliare non è necessaria la sottoscrizione di entrambi i coniugi in comunione legale, ma è sufficiente il consenso dell’altro coniuge e la mancanza del suo consenso si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell’art. 184 c.c., (nel rispetto del principio generale di buona fede e dell’affidamento), per cui spetta al giudice del merito verificare la proposizione della domanda di annullamento da parte della D. , quantomeno sotto forma di eccezione in base all’art. 1442 c.c., ult. comma (v. in tal senso Cass. 27 ottobre 2003).
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE , SENTENZA 30 gennaio 2013 2202 Pres. Oddo – est. Falaschi, n.2202 – Pres. Oddo – est. Falaschi
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato in data 16 aprile 1993 la NAPAF di Martire Antonino & C. s.a.s. evocava, dinanzi al Tribunale di Larino, i coniugi G..R. e R..D. esponendo di avere stipulato il giorno 10.1.1992, con il R. , contratto preliminare di vendita di compendio immobiliare sito in (omissis) , pattuendo il prezzo complessivo di L. 50.000.000, corrisposta la somma di L. 10.000.000 a titolo di caparra confirmatoria, nonché la cifra di L. 30.000.000 il 20.8.1992. per cui residuava il solo saldo di L. 10.000.000 da versarsi entro il 20.8.1994, data entro la quale doveva essere stipulato il contratto definitivo e consegnato l’immobile alla promissaria acquirente, come previsto nel preliminare; aggiungeva che inviata lettera raccomandata il 20.3.1993, invitando il promittente venditore a comparire avanti al notaio mettendo a disposizione il residuo prezzo, non otteneva alcun riscontro; ciò precisato, chiedeva pronunciarsi sentenza produttiva degli effetti del contratto di vendita.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del R. , il quale eccepiva che il contratto preliminare, nel quale il prezzo del bene era stabilito in L. 60,000.000 (e non in L. 50.000.000), aveva il solo scopo di garantire un prestito di denaro promesso dal M. al R. per la complessiva somma di L. 40.000.000, precisando di non avere mai immesso il M. nel possesso dell’immobile, bene del quale era comproprietaria anche la moglie, D.R. , che non aveva firmato il contratto, costituita anche la D. che dichiarava di essere venuta a conoscenza del preliminare solo a seguito della notifica dell’atto di citazione, eccepito il suo difetto di legittimazione passiva, il giudice adito, espletata istruttoria, dichiarava risolto per inadempimento il contratto preliminare di compravendita del 10.1.1992 intervenuta fra il M. ed il R. e per l’effetto dichiarava che l’immobile oggetto del contratto era di proprietà del M. quale titolare della NAPAF per averlo acquistato dal R. in regime di comunione legale con la D. , rigettate le domanda di risarcimento dei danni. In virtù di rituale appello interposto dalla D. , con il quale insisteva per il rigetto della domanda attorea con declaratoria di nullità o comunque di inefficacia del preliminare, impugnazione proposta anche dal R. con separato atto, la Corte di appello di Campobasso, riuniti i giudizi, nella resistenza dell’appellata, costituita in entrambe le cause, accoglieva il gravame e in riforma della sentenza impugnata, respingeva la domanda proposta dalla impresa edile.
A sostegno della adottata decisione la corte distrettuale evidenziava che l’azione volta a conseguire l’esecuzione specifica del preliminare non poteva riguardare il coniuge non contraente, neppure litisconsorte necessario nel procedimento instaurato a tale scopo, essendo estraneo al rapporto; tuttavia affermava che l’eccezione di carenza di legittimazione passiva, non riproposta dall’appellante in appello, implicitamente rigettata dal Tribunale, doveva considerarsi oggetto di giudicato interno.
Aggiungeva che il giudice di primo grado avrebbe dovuto limitare l’accertamento alla esistenza delle condizioni necessarie affinché il preliminare fosse trasfuso in atto pubblico, condizioni che nella specie non si erano verificate non avendo il promittente venditore ottenuto il consenso anche del coniuge comproprietario a vendere il compendio de quo. Né poteva estendere l’indagine alla verifica dell’ipotesi di inadempimento o di possibilità di risoluzione del contratto, poiché non richiesto da nessuna delle parti.
Concludeva che non poteva essere invocata la disciplina dell’art. 177 c.c., come dedotto dall’appellato, in quanto il R. non aveva esperito alcun atto di disposizione del bene comune, essendosi solo obbligato personalmente a compierlo nel futuro.
Avverso la indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione la NAPAF & C. s.a.s., articolato su quattro motivi, al quale hanno resistito con separati controricorsi, sia la D. sia il R. .
Motivi della decisione
Con il primo motivo l’impresa ricorrente denuncia la falsa ed erronea applicazione dell’art. 112 c.p.c., anche per vizio di motivazione, per avere la corte territoriale omesso ogni pronuncia relativamente al vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado. A conclusione del motivo viene formulato il seguente quesito: “Deve la Corte di appello pronunciarsi sul vizio di ultra petizione presente nella sentenza pronunciata dal giudice di primo grado?”. Il motivo non merita accoglimento ed è frutto di una non attenta e non corretta lettura della sentenza impugnata, come complessivamente argomentata.
Va in primo luogo rilevato che il quesito prospettato non corrisponde a quanto ritenuto dalla sentenza, che – diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente – si è pronunciata sulla risoluzione, giacché oltre ad avere evidenziato l’incompatibilità tra la declaratoria di risoluzione del contratto preliminare e quella di esecuzione in forma specifica dello stesso, quest’ultima richiesta dall’originaria attrice, ha sottolineato che nessuna delle parti aveva chiesto una pronuncia di risoluzione del contratto e quindi il giudice di primo grado non avrebbe potuto “estendere l’indagine alla verifica dell’ipotesi di inadempimento o di possibilità di risoluzione del contratto” (v. pag. 11 della sent. impugnata).
Il quesito (e conseguentemente tutto il motivo) è quindi inappropriato, perché ipotizza che la sentenza abbia regolato la fattispecie in modo diverso da quello rilevabile dall’atto impugnato, senza tenere conto delle considerazioni sopra esposte ai fini dell’accertamento della domanda attorea e delle difese rispettivamente formulate dalle controparti, per cui la corte distrettuale ha ritenuto non possibile pronunciare la risoluzione del contratto preliminare in contesa. Detto passaggio logico non è fatto segno di critica, non risultando il vizio denunciato pertinente a tale articolato e puntualmente motivato passaggio argomentativo, rispetto al quale il quesito di diritto, peraltro astratto, risulta eccentrico e non pertinente.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la falsa ed erronea applicazione dell’art. 346 c.p.c., anche quale vizio di motivazione, per avere la corte di merito omesso ogni statuizione relativamente alla restituzione in favore del M. delle somme di denaro dallo stesso corrisposte dal R. in esecuzione del contratto preliminare in questione. Prosegue la ricorrente che nel giudizio di primo grado l’originaria attrice aveva richiesto che in ipotesi di rigetto della domanda principale, venisse disposta, in subordine, la restituzione delle somme di denaro corrisposte in favore del R. ed essendo stata l’impresa pienamente vittoriosa in primo grado, non era necessario proporre un apposito appello incidentale sul punto.
In ragione di ciò, la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “La Corte di appello nella ipotesi di riforma della sentenza emessa dal giudice di primo grado deve pronunciarsi su una domanda ritenuta assorbente nella decisione impugnata?”.
Anche il secondo motivo del ricorso non è accoglibile.
Come si è detto, la sentenza della corte distrettuale ha escluso che potesse essere pronunciata la risoluzione del preliminare e quindi non poteva farsi luogo alla restituzione del prezzo pagato. In ogni caso il collegio intende, al riguardo, ribadire l’orientamento già espresso dalla giurisprudenza di legittimità, alla stregua del quale, in materia di procedimento civile, in mancanza di una norma specifica sulla forma nella quale l’appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c., deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse. Tuttavia, pur se libera da forme, la riproposizione deve essere fatta in modo specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice (v. Cass. 25 novembre 2010 n. 23925; Cass. 11 maggio 2009 n. 10796; Cass. 3 febbraio 2006 n. 2439; Cass. 18 gennaio 2006 n. 830; Cass. 11 maggio 2005 n. 9878; Cass. 30 dicembre 2004 n. 24182; Cass. 20 agosto 2004 n. 16360; Cass. 27 gennaio 2003 n. 1161).
Non controverso quanto precede, è di palmare evidenza che correttamente i giudici del merito hanno escluso che la società odierna ricorrente abbia reiterato, in grado di appello, la domanda subordinata di restituzione di quanto versato al R. (in ipotesi di mancato accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c.), e d’altro canto la stessa non poteva essere disposta di ufficio, rientrando nell’autonomia delle parti disporre delle conseguenze della risoluzione (si ribadisce, non richiesta da alcuna delle parti del giudizio) e, quindi, chiedere o non la restituzione della prestazione eseguita in base al contratto risolto e rimasta senza causa (così Cass. 3 febbraio 2006 n. 2439).
Con il terzo motivo viene denunciata la falsa applicazione dell’art. 177 c.c. per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto applicabile detta disposizione ai soli acquisti di beni immobili effettuati dai coniugi che comportano l’effettivo trasferimento o costituzione di diritti reali in capo ai medesimi. Di converso, essendo la comunione legale tra coniugi una comunione senza quote ed essendo il consenso dell’altro coniuge solo ed esclusivamente un negozio unilaterale autorizzativo, la cui mancanza non rende invalido o nullo il contratto stipulato dall’altro, la stessa doveva essere ritenuta obbligata ex lege nei confronti della ricorrente.
Il motivo culmina nel seguente quesito di diritto: “Le disposizioni di cui all’art. 177 c.c. possono applicarsi anche ai rapporti obbligatori di credito di natura relativi e personali o trovano applicazione con riferimento esclusivo agli acquisti di beni comportanti la costituzione o il trasferimento di diritti reali?”.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la falsa ed erronea applicazione dell’art. 184 c.c. per avere la corte territoriale ritenuto nullo nei confronti della D. il preliminare di compravendita del 10.1.1992 pur non avendo la medesima proposto l’azione di annullamento prevista ex lege. Infatti gli atti di disposizione dei beni immobili appartenenti alla comunione compiuti da un coniuge, senza il consenso dell’altro, sono pienamente validi ed efficaci, solo sottoponibili all’azione di annullamento, da esperire entro un anno dalla data in cui questi ha avuto conoscenza dell’atto stipulato dall’altro, per cui la D. avrebbe dovuto proporre l’azione di annullamento entro e non oltre l’11.2.1994.
La ricorrente conclude formulando il seguente quesito di diritto: “il contratto preliminare di compravendita ha efficacia nei confronti del coniuge che non lo abbia sottoscritto pur non avendo quest’ultimo esperito l’azione di annullamento ex art. 184 c.c.?”
I motivi – che per la loro stretta connessione, involgendo entrambi la questione della legittimazione del coniuge che non abbia partecipato al contratto concluso dell’altro coniuge in ipotesi di comunione legale, vanno esaminati congiuntamente – appaiono fondati e quindi meritevoli di accoglimento.
La corte di merito ha affermato che l’art. 177 c.c. non trovava applicazione quanto ai contratti obbligatori, i quali, non comportando l’effettivo trasferimento di un bene, ma ponendosi come momento originario di una serie obbligatoria consequenziale e successiva, in cui il solo esito conclusivo necessitato è il trasferimento della proprietà del bene, determinano solo un obbligo di natura relativa e personale per il coniuge che ha concluso l’accordo, con la conseguenza che la domanda di annullamento della D. , prevista dall’art. 184 c.c. ed accordata al coniuge non stipulante e dissenziente, risultava prematuramente formulata. Sulla base di detti presupposti i giudici di appello hanno ritenuto che dovesse trovare accoglimento l’eccezione del R. di impossibilità di trasferimento del bene ex art. 2932 c.c. senza il consenso dell’altro coniuge. L’argomentazione è erronea, considerato che l’assenza del consenso del coniuge non impedisce il trasferimento del bene, ma io rende solo annullabile.
Infatti occorre premettere che le sezioni unite, risolvendo un contrasto insorto tra le sezioni semplici – diversamente da quanto asserito del giudice del gravame – hanno affermato che in caso di contratto preliminare stipulato senza il consenso dell’altro coniuge, quest’ultimo deve considerarsi litisconsorte necessario del giudizio per l’esecuzione specifica del contratto (Cass. SS.UU. 24 agosto 2007 n. 17952), proprio perché detto coniuge è ancora titolare di una situazione giuridica inscindibile che lo rende litisconsorte necessario nel giudizio di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre e l’eventuale decisione in assenza di contraddicono sarebbe inidonea a spiegare i propri effetti, cioè a produrre un risultato utile e pratico, anche nei riguardi delle sole parti presenti, stante la natura plurisoggettiva e concettualmente unica ed inscindibile del rapporto. Ciò posto, si deve rilevare che la domanda (reiterata con le difese formulate dalla società appellata in sede di gravame) di esecuzione in forma specifica del contratto è stata respinta dalla corte distrettuale senza che venisse effettuato alcun accertamento sulle eccezioni sollevate dalla D. circa la nullità ovvero inefficacia del contratto preliminare per mancanza del consenso del coniuge (v. in tal senso pag. 7 della sentenza di appello laddove viene dato atto di una richiesta della stessa D. di “declaratoria di nullità e comunque di inefficacia del preliminare di vendita”), ma semplicemente sulla base dell’affermazione per la quale la D. “non aveva alcun interesse, né del resto avrebbe avuto il diritto, di veder annullare il contratto preliminare di compravendita, che ha creato obbligazioni personali in capo al promittente venditore R. , ma che a lei terza estranea non è opponibile”, proseguendo che doveva essere semplicemente accertato se esistessero o meno le condizioni perché il preliminare di compravendita fosse trasfuso in atto pubblico, nella specie non realizzate per non avere il promittente venditore ottenuto il consenso da parte del coniuge comproprietario a vendere il fondo in questione.
Nella sentenza si sostiene, in sostanza, che per il trasferimento del bene occorrerebbe il formarsi di un’unica volontà negoziale in capo ai due coniugi in comunione dei beni, data l’unicità e la inscindibilità del bene in comunione e che, quindi, il coniuge stipulante avrebbe potuto cedere la propria quota, ma non cedere anche quella del coniuge non stipulante.
Risulta pertanto evidente la violazione dei principi di cui agli artt. 180 e 184 c.c., e, in generale, dei principi relativi agli atti di disposizione di beni della comunione legale perché la corte territoriale ha applicato alla comunione legale i diversi principi che regolano la comunione ordinaria e che non si applicano nell’ipotesi di comunione legale tra coniugi. Il giudice distrettuale non ha considerato che la comunione legale tra coniugi costituisce una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei; ne consegue che nei rapporti con i terzi ciascun coniuge, mentre non può disporre della propria quota, ben può disporre dell’intero bene comune (contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata), mentre il consenso dell’altro coniuge si configura come un negozio unilaterale autorizzativo che rimuove un limite all’esercizio del potere dispositivo sul bene e si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell’art. 184 c.c., nel termine di un anno decorrente dalla conoscenza dell’atto o dalla data di trascrizione (v., di recente, Cass. 21 maggio 2008 n. 12849; Cass. 11 giungo 2010 n. 14093; Cass. 24 luglio 2012 n. 12923).
In particolare, come ha avuto occasione di chiarire questa corte (decisione a SS.UU. n. 17952 del 2007 cit.), il consenso del coniuge pretermesso non è atto autorizzativo nel senso di atto attributivo di un potere, ma piuttosto nel senso di atto che rimuove un limite all’esercizio di un potere e requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto di disposizione, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio: l’ipotesi regolata dall’art. 184 c.c., comma 1, dunque, si riferisce non ad un caso di acquisto inefficace perché a non domino, bensì ad un caso di acquisto a domino in base ad un titolo viziato.
Ne discende che la mera mancanza di sottoscrizione del contratto da parte del coniuge non era sufficiente per il rigetto della domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare, dovendosi esaminare il profilo del consenso e della rilevanza della conoscenza dell’atto da parte dell’altro coniuge.
L’art. 184 c.c., infatti, per l’esigenza di tutelare la rapidità e la certezza della circolazione dei beni in regime di comunione legale, disciplina il conflitto tra il terzo ed il coniuge pretermesso in modo più favorevole (rispetto alla comunione ordinaria) al primo, con il regime degli effetti tendente alla conservazione del negozio; di conseguenza il contratto, in assenza del consenso del coniuge pretermesso non è inefficace né nei confronti dei terzi, né nei confronti della comunione, ma è solo soggetto alla disciplina dell’art. 184 c.c., comma 1, ed è solamente esposto all’azione di annullamento da parte del coniuge non consenziente, nel breve termine prescrizionale entro cui è ristretto l’esercizio di tale azione, decorrente dalla conoscenza effettiva dell’atto, ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione o dallo scioglimento della comunione (in tal senso, v. Cass. 21 dicembre 2001 n. 16177; Cass. 31 gennaio 2012 n. 1385).
In conclusione si deve annullare tale decisione affermandosi il principio che per l’esecuzione in forma specifica di un preliminare di vendita immobiliare non è necessaria la sottoscrizione di entrambi i coniugi in comunione legale, ma è sufficiente il consenso dell’altro coniuge e la mancanza del suo consenso si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell’art. 184 c.c., (nel rispetto del principio generale di buona fede e dell’affidamento), per cui spetta al giudice del merito verificare la proposizione della domanda di annullamento da parte della D. , quantomeno sotto forma di eccezione in base all’art. 1442 c.c., ult. comma (v. in tal senso Cass. 27 ottobre 2003).
Entro questi limiti devono essere accolti i motivi tre e quattro del ricorso, con cassazione della sentenza e rinvio alla Corte di Appello di Napoli che si uniformerà al principio di diritto sopra enunciato, provvedendo anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte, rigetta i primi due motivi di ricorso ed accoglie il terzo ed il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Napoli.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – SENTENZA 30 ottobre 2014, n.26618 – Presidente Piccialli – Relatore Scalisi
Svolgimento del processo
F.V. con citazione del 2 dicembre 2002 conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Catania, To.Ag. , T.A. e P.D. esponendo: che con scrittura privata del 27 dicembre 2001 T.N. gli aveva promesso in vendita due appartamenti siti in (omissis) l’uno al primo piano e l’altro a pianterreno entrambi con ingresso da via (…), che dalla data della stipula della scrittura privata avevano avuto la detenzione degli immobili e versato l’acconto di L. 23.000.000, che il 31 marzo 2002 T.N. era deceduta lasciando con testamento in eredità i sopra indicati immobili ai nipoti To.Ag. e A. i quali nonostante la formale richiesta non avevano – provveduto alla stipula dell’atto pubblico. Chiedeva pertanto, che fosse – emanata sentenza ex art. 2932 cc, che producesse gli effetti del contratto di – compravendita non concluso.
Si costituivano i convenuti e premesso che il preliminare non era trascritto chiedevano il rigetto della domanda deducendo di essere semplici legatali degli immobili relitti da T.N. e, quindi, non tenuti a prestare il consenso alla stipula del contratto definitivo.
Interveniva, spontaneamente, in causa, P.D. deducendo di essere locatario della bottega ove svolgeva attività di panificazione e rivendita di generi alimentari giusto contratto di locazione concluso con T.N. il 2 gennaio 1999, che con atto dichiaratotivo notificato il 20 marzo 2002 la T. la quale premesso che aveva promesso in vendita la bottega di cui si dice, lo invitava a manifestare la volontà di esercitare il diritto di prelazione, che con atto notificato del 20 marzo del 2002 aveva dichiarato di voler acquistare la bottega al prezzo indicato dalla T. . Chiedeva, pertanto, che fosse dichiarato che il suddetto contratto preliminare non aveva ad oggetto la bottega, che all’esercizio del diritto di prelazione era scaturito l’obbligo per i proprietari dell’immobile di concludere il contratto di vendita con il conduttore stesso.
Il Tribunale di Catania con sentenza n. 1280 del 2004 rigettava le domande proposte dal F.V. e P.D. e condannava il F. al pagamento delle spese del giudizio.
Avverso questa sentenza interponeva appello il F.V. eccependo che il Tribunale aveva errato: a) nell’aver ritenuto che il preliminare di vendita non avesse data certa sol perché non era stato trascritto; b) a ritenere che i convenuti avessero acquistato gli immobili a titolo di legato e non a titolo di eredi. Chiedeva la riforma integrale della sentenza e che venisse emessa sentenza ai sensi dell’art. 2932 cc.
Si costituiva P.D. il quale eccepiva la nullità dell’appello per mancanza dell’esposizione dei fatti e nel merito che aveva errato il giudice di primo grado nell’aver ritenuto decaduto dal diritto di prelazione per decorrenza del termine previsto dall’ari 38 della legge 392/78. Con appello incidentale riproponeva le stesse domande avanzate nel giudizio di primo grado chiedendo il loro accoglimento.
Si costituivano, altresì, T.A. e To.Ag. chiedendo il rigetto dell’appello principale e dell’appello incidentale proposto da P. .
La Corte di appello di Catania con sentenza n. 39 del 2009 rigettava l’appello principale e dichiarava inammissibile l’appello incidentale, condannava F. e P. in solido al pagamento delle spese del giudizio di secondo grado. Secondo la Corte catanese: a) l’eccezione di inammissibilità dell’appello per mancanza di narrazione dei fatti processuali era infondato dato che dal contesto dell’appello erano concretamente ricostruibili le vicende del processo di primo grado e facilmente individuabile la sentenza impugnata, b) non vi era dubbio che l’appello incidentale proposto da P. fosse inammissibile perché non poteva dirigersi contro una parte diversa da quella che aveva proposto appello in via principale, c) che correttamente il Tribunale aveva ritenuto che il contratto preliminare non poteva avere nei confronti dei convenuti effetti prenotative ex art. 2645 cc. perché quel contratto non era stato trascritto, d) correttamente il Tribunale aveva ricostruito la volontà della T. di istituire dei legati e pertanto T.A. e To.Ag. era dei legatali e non eredi.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da F.V. per tre motivi, illustrati con memoria. T.A. e To.Ag. hanno resistito con controricorso. P.D. in questa fase non ha svolto attività giudiziale.
Motivi della decisione
Il Collegio, in via preliminare, osserva che il ricorso per cassazione che va esaminato è quello del 2/4 marzo 2009, alla cui data il diritto di impugnazione non era stato ancora consumato, e il termine di decadenza non era ancora scaduto, anche tenendo conto della data della notifica della prima impugnazione, la quale integra la conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante.
Come ha già affermato questa Corte in altra occasione (Cass. n. 5053 del 03/03/2009) nel caso in cui una sentenza sia stata impugnata con due successivi ricorsi per cassazione, è ammissibile la proposizione del secondo in sostituzione del primo, purché l’improcedibilità o l’inammissibilità di quest’ultimo non sia stata ancora dichiarata, restando escluso che la mera notificazione del primo ricorso comporti, ‘ex se’, la consumazione del potere d’impugnazione. In relazione alla tempestività della seconda impugnazione occorre aver riguardo – in difetto di anteriore notificazione della sentenza – non solo al termine di un anno del deposito della sentenza di cui all’art. 327 cod. proc. civ., ma anche a quello breve, ex art. 325 cod. proc. civ., che decorre dalla data della notifica della prima impugnazione, la quale integra la conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante.
1.- Con il primo motivo F.V. denuncia la violazione ed errata applicazione di norme di diritto. Violazione art. 1362/1 e 1363 cc in relazione alla distinzione tra disposizioni a titolo particolare ed universale, entrambi presenti, rispettivamente nella prima e nella seconda parte della scheda testamentaria 05/05/1999. Violazione art. 661 cc. nell’omessa individuazione nel lascito degli immobili de quibus alla parte convenuta, nella prima parte del testamento di un prelegato. Violazioni rilevanti in relazione all’art. 360 comma I sub 3 cpc.
Secondo il ricorrente la Corte etnea avrebbe errato nell’aver ritenuto che T.A. e To.Ag. fossero stati istituti semplicemente legatari e non anche eredi, perché non avrebbe considerato che il testamento si divide in due parti e che la prima contenga legati e che la seconda si apra con la nomina di un esecutore testamentario a sua volta legatario del solo immobile di (omissis) ivi indicato e la istituzione di eredi tra i quali son o ricompresi anche i figli di L. e cioè T.A. e To.Ag. .
In particolare in questa seconda parte del testamento è detto che ‘gli appartamenti se ancora in mio possesso di via (omissis) …un tratto di terreno in piano (omissis) contrada (…) … Mobili oggetti d’oro biancheria eventuale deposito presso BNL (omissis) affinché il tutto dopo venduto e detratte le spese sostenute per al successione e per altri motivi e il proprio compenso (di esecutore testamentario) la rimanenza venga divisa in parti eguali tra tutti i miei nipoti e precisamente i figli dei miei defunti fratelli C.A. , L. , M. ed al nipote del mio defunto fratello A. , questa è la mia volontà essendo mio desiderio che siano rimasti tutti soddisfatti (…)’. Pertanto considerata questa seconda parte del testamento deriverebbe, sempre secondo il ricorrente, che la testatrice aveva dichiarato di voler disporre di tutto il suo universum ius ha ritenuto di privilegiare alcuni dei nipoti con disposizioni a titolo particolare e dunque di nominare eredi tutti i nipoti anche quei nipoti cui aveva compreso tra i legatali tanto che quei legati possono essere intesi come prelegati.
Dica, pertanto la Corte di Cassazione, conclude il ricorrente: Vero o no che stante le tre regole legali dell’interpretazione dei contratti applicabili anche al testamento consistenti la prima nella ricerca della volontà del testatore, al seconda nella individuazione del modello della fattispecie legale l’ultima nel giuridico di rilevanza giuridica qualificanti gli elementi di fatto concretamente accertati, stante ancora il dovere dell’interprete di indagare nell’intenzione del testatore c.d. mensi testantis, interpretando complessivamente le clausole stante le differenze tra disposizioni a titolo particolare e universale, stante un testamento diviso in due parti che precisamente preveda prima dei lasciti a titolo particolare in favore di determinati nipoti del testatore e poi disponga di tutti i beni residui del testatore, onerando l’esecutore testamentario della vendita e attribuendone indivisamente il ricavato a tutti i nipoti (beneficiari del detto ricavato) e, quindi, ritenuto il lascito a titolo particolare a favore di alcuni tra essi dire prelegati e non legati le disposizioni a titolo particolare in favore degli eredi. Con la conseguenza che i beneficiari delle disposizioni a titolo particolare cui alla prima parte del testamento, siccome non legatati ma coeredi, sono tenuti all’adempimento dell’obbligazioni del de cuius.
1.1.- Il motivo, ancorché inammissibile, per genericità e inconferenza del quesito di diritto, è infondato, non solo perché si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione, e/o interpretazione, della scheda testamentaria, oggetto della controversia, non proponibile nel giudizio di cassazione se, come nel caso in esame, l’interpretazione compiuta dal Giudice del merito non presenta vizi logici o giuridici ma, soprattutto, perché la Corte etnea ha interpretato correttamente il testamento di T.N. , secondo i canoni legali che governano l’interpretazione degli atti giuridici ed in particolare del testamento. Come ha avuto modo di affermare la Corte di Catania ‘dallo stesso (testamento) si evince la chiara volontà della testatrice di costituire dei legati, non solo per la chiara espressione letterale usata dalla testatrice (Lego e lascio..), ma per la espressa attribuzione ad alcuni dei nipoti (tra i quali gli odierni resistenti) di specifici immobili dettagliatamente individuati (non esaurienti la massa ereditaria per la presenza di altri immobili) mentre l’adempimento di obblighi vari (…) non risulta essere stato posto a carico di T.A. e To.Ag. ma di altri e diversi soggetti.
Ininfluente, comunque, ha avuto modo di specificare la Corte di Catania sarebbe l’atto pubblico (prodotto, per altro, in violazione dell’art. 345 cpc.) con il quale gli odierni resistenti avrebbero accettato l’eredità di che trattasi perché quell’accettazione oltre a non ricomprendere tra i beni relitti oggetto di causa e di specifico legato non era idonea a superare la chiara disposizione testamentaria nel senso di istituire dei legati.
1.1.a) Tuttavia, rispetto alla questione (relativa all’obbligo dei T. a prestare il consenso per il trasferimento del bene a F. ) oggetto del presente giudizio sarebbe ininfluente qualificare l’attribuzione pervenuta ai T. quale legato o come pre-legato, perché in entrambi i casi il bene oggetto di cui si dice verrebbe, comunque, escluso dalla massa ereditaria (Cfr. 661 cc.) e anche il c.d. prelegatario non sarebbe tenuto a rispondere degli obblighi ereditali ed, in particolare, per il caso in esame, dell’obbligo a trasferire il bene ricevuto in legato al promissario acquirente (F. ), ancorché ad altro titolo coerede su altri beni della massa ereditaria di T.N. .
1.1.b).- E, comunque, appare opportuno evidenziare, anche, in questa sede, che all’apertura della successione in capo al legatario, sorgono due diritti: il diritto di proprietà sul bene legato (che il legatario acquisterà direttamente ed immediatamente alla morte del testatore), nonché il diritto di credito nei confronti dell’onerato con ad oggetto il trasferimento del possesso della cosa (649, c. 3). Il passaggio della proprietà avviene direttamente dal de cuius al legatario tale che ancor prima di avere domandato il possesso, il legatario, può alienare il diritto acquistato, come pure i suoi creditori possono agire sulla cosa legata. Ciò significa e/o comporta, che il diritto del legatario è prevalente rispetto ad eventuali diritti dei terzi e, anche rispetto al diritto del terzo promissario acquirente, soprattutto, nell’ipotesi in cui il contratto preliminare non risulta trascritto, come meglio verrà specificato in seguito.
2.- Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione ed errata applicazione di norme di diritto: a) Violazione artt. 1362 e 1363 cc, in quanto all’interpretazione del testamento olografo 5 aprile 1999 unitamente all’atto di accettazione eredità notaro Di Giorgi 14 maggio 2003; b) Violazione art. 588 primo e secondo comma cc. in relazione alla distinzione tra disposizioni a titolo particolare ed universale, entrambe presenti, rispettivamente nella prima e nella seconda parte della scheda testamentaria 5 aprile 1999 così come interpretata anche alla luce dell’atto di accettazione eredità notaio Di Giorgio 14 maggio 2003; c) Violazione art. 661 cc, nell’omessa individuazione nel lascito degli immobili de quibus alla parte convenuta, nella prima parte del testamento 5 aprile 1999 come interpretato anche alla luce dell’atto di accettazione eredità notaio Di Giorgi 14 maggio 2003 di un prelegato; e) Violazione art. 345/3 cpc, in punto all’ammissibilità del deposito in appello di prove costituite decisive (atto di accettazione di eredità notaio Di Giorgi 14 maggio 2003. Violazioni rilevanti in relazione all’art. 360 n. 3 cpc. Secondo il ricorrente avrebbe errato la Corte territoriale per non aver tenuto in conto della denunzia di successione con la quale la parte resistente dichiarava l’acquisto degli immobili costituenti i prelegati e si dichiaravano eredi né dell’atto pubblico del 14 maggio 2003, con il quale i T. accettavano l’eredità.
Erroneamente, per altro, la Corte distrettuale aveva ritenuto inammissibile l’atto di cui si dice perché depositato tardivamente non avendo tenuto in conto che tale atto era successiva all’atto di citazione e, comunque, lo stesso era indispensabile ai fini della decisione. Considerato che i T. sono da considerarsi eredi e hanno accettato l’eredità con ogni obbligo conseguenziale specie in punto all’adempimento degli obblighi della de cuius e per cui è causa.
Pertanto, conclude il ricorrente, dica la Corte di cassazione vero o no che:
a) non può ex art. 345/3 cpc. dirsi inammissibile perché tardiva la produzione ad opera dell’appellante nel secondo grado di giudizio di un atto pubblico, cui essa appellante è estranea, stipulato dopo l’inizio del primo grado di giudizio, dalla data certa dell’atto pubblico successiva all’inizio del primo grado di giudizio risultando la tardiva produzione non imputabile alla parte che del documento intende avvalersi.
b) stante le tre regole legali dell’interpretazione dei contratti applicabili anche in materia testamentaria, consistenti la prima nella ricerca della volontà del testatore, la seconda nell’individuazione del modello della fattispecie legale, l’ultima nel giudizio di rilevanza giuridica qualificanti gli elementi di fatto concretamente accertati, stante ancora il dovere dell’interprete di indagare sull’intenzione del testatore c.d. mens testantis intrepretando complessivamente le clausole stanti le differenze tra disposizioni a titolo particolare e a titolo universale stante un testamento diviso in due parti che precisamente prevede prima dei lasciti a titolo particolare in favore di determinati nipoti del testatore, e poi disponga di tutti i beni residui del testatore onerando l’esecutore testamentario della vendita e attribuendone indivisamente il ricavato a tutti i nipoti, compresi i legatari, stante ancora un atto pubblico di accettazione dell’eredità sottoscritto dai nipoti beneficiari del detto ricavato, ciò premesso deve l’interprete dire coeredi i nipoti (destinatali del detto ricavato) e quindi ritenuto il lascito a titolo particolare a favore di alcuni di essi dire prelegati e non legati, le disposizioni a titolo particolare in favore degli eredi. Con la conseguenza che i beneficiari delle disposizioni a titolo particolare cui alla prima parte del testamento, siccome non legatari, ma coeredi, sono tenuti all’adempimento delle obbligazioni del de cuius.
c) stante le tre regole legali dell’interpretazione dei contratti applicabili anche in materia testamentaria, consistenti la prima nella ricerca della volontà del testatore, la seconda nell’individuazione del modello della fattispecie legale, l’ultima nel giudizio di rilevanza giuridica qualificanti gli elementi di fatto concretamente accertati, stante ancora il dovere dell’interprete di indagare sull’intenzione del testatore c.d. mens testantis interpretando complessivamente le clausole stanti le differenze tra disposizioni a titolo particolare e a titolo universale stante un testamento diviso in due parti che precisamente prevede prima dei lasciti a titolo particolare in favore di determinati nipoti del testatore, e poi disponga di tutti i beni residui del testatore onerando l’esecutore testamentario della vendita e attribuendone indivisamente il ricavato a tutti i nipoti, compresi i legatari, ciò premesso, se ancora un dubbio può permanere in capo all’ermeneuta ad esempio in punto all’accettazione dell’eredità da parte del beneficiario del prelegato, delato erede, certamente efficacia determinante e quindi indispensabile ai fini della decisione della causa può essere spiegata dall’atto pubblico di accettazione dell’eredità sottoscritto dai nipoti beneficiari del detto ricavato, col il che la produzione di detto atto pubblico, per quanto avvenuta nel giudizio di appello può dirsi ammissibile ex art. 345/3 cpc, Con la conseguenza che dovrà l’interprete dire coeredi i nipoti (beneficiari di detto ricavato) e quindi, ritenuto il lascito a titolo particolare a favore di alcuni di essi dire prelegati e non legati le disposizioni a titolo particolare in favore degli eredi. Con la conseguenza che i beneficiari delle disposizioni a titolo particolare cui alla prima parte del testamento siccome non legatali ma coeredi sono tenuti all’adempimento delle obbligazioni del de cuius.
2.1. Anche questo motivo, ancorché inammissibile, per genericità e inconferenza dei quesiti di diritto, è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Va qui precisato che al di là e oltre la formulazione del motivo, il ricorrente intende sostenere che siccome i T. (attuali resistenti) erano destinatari di prelegati ma anche coeredi dell’asse ereditario della T.N. , gli stessi sarebbero stati obbligati a prestare il consenso per il trasferimento del bene oggetto di preliminare di vendita al F. . Epperò, il ricorrente non tiene conto che il prelegato è del tutto assimilabile al legato, nel senso che tra legato e prelegato non sussistono differenze di disciplina. A ben vedere, il testatare può disporre un legato a favore di uno o più eredi (c.d. prelegato) con la conseguenza che l’erede risponderà dei debiti ereditari, a norma dell’articolo 752 del codice civile, in proporzione alla propria quota ereditaria senza che nel computo di questa rientrino i beni oggetto di legato in suo favore. Dal momento che, in ragione dell’articolo 661 cc. il prelegato si considera legato per l’intero, il beneficiario avrà diritto a conseguire tale bene per intero antecedentemente alla determinazione delle rispettive quote ereditarie. Così, se immaginiamo che l’asse ereditario sia di 100 e a beneficio di un coerede viene disposto un prelegato del valore di 10, egli avrà diritto a conseguire, innanzitutto, tale valore: la determinazione delle rispettive quote ereditarie avverrà solo successivamente.
Tuttavia e al di la di questa precisazione, il ricorrente non tiene conto, neppure, che la Corte di Catania ha ritenuto, confermando la sentenza del Tribunale, di rigettare la domanda del F. secondo cui i T. erano obbligati a prestare il loro consenso alla stipula del contratto definitivo, perché la mancata trascrizione del contratto preliminare impediva il verificarsi nei confronti dei T. , legatari o prelegatari, degli effetti prenotativi del contratto preliminare di cui all’art. 2645 bis. In definitiva, la Corte di Catania ha correttamente escluso l’obbligo dei T. a prestare il consenso di cui si dice per la ragione assorbente che il contratto preliminare non poteva, non essendo stato trascritto, prevalere sull’acquisto dei legatari o dei prelegatari.
Tale ragione non solo risponde ai principi normativi in materia di prevalenza di acquisti di beni immobili ma non è stata neppure censurata e, come tale, ha acquisito la forza del giudicato.
3.- Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la contraddittorietà e comunque insufficienza della motivazione su un fatto decisivo per il giudizio e cioè sull’interpretazione dell’atto di accettazione dell’eredità notaro Di Giorgi del 14 maggio 2003 la cui produzione viene detta prima inammissibile e poi ininfluente, contraddicendo la stessa dichiarazione della parte che si dice erede e non legataria sulla base di elementi ininfluenti) ovvero la non coincidenza tra gli ulteriori immobili elencati nell’atto di accettazione di eredità e quegli altri già inseriti nel testamento, e già oggetto di prelegato. Secondo il ricorrente, sarebbe contraddittoria l’affermazione della Corte territoriale secondo cui la produzione dell’atto pubblico di accettazione del 2003 sarebbe prima inammissibile perché tardiva e poi ininfluente, perché se è vero che le prove precostituite indispensabili e quindi decisive sono ammissibili, anche in appello secondo quanto insegna la Cassazione a SU. (Cass. 8203 del 2005), la Corte territoriale avrebbe dovuto prima interpretare le prove offerte, dirle non decisive e solo successivamente dichiarale inammissibili.
Scorretta sarebbe, sempre secondo il ricorrente, anche, l’affermazione della Corte distrettuale secondo cui l’accettazione dell’eredità da parte dei T. del 14 maggio 2003 sarebbe ininfluente per la ragione che ‘non ricomprende tra i beni relitti quello oggetto di causa e di specifico legato perché l’accettazione di eredità riguarda un o status in relazione ad un complesso di beni e non si caratterizza per i cespiti indicati nell’atti di accettazione. E, scorretta sarebbe anche l’affermazione che ‘tale accettazione non sarebbe idonea a superare la chiara disposizione testamentaria nel senso di istituire dei legati’ dato che un testamento che contengo anche solo legati ben potrebbe dar luogo all’istituzione di eredi proprio per l’alternatività tra disposizione a titolo particolare ed universale.
3.1.- Il motivo, come è evidente, rimane assorbito dai precedenti essenzialmente perché anche l’eventuale accoglimento sarebbe ininfluente ai fini della decisione di escludere che il preliminare di vendita, non trascritto, impedisse ai T. di acquistare l’immobile oggetto della controversia e pervenuto agli stessi a titolo particolare.
In definitiva il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 cpc, condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che verranno liquidate con il dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente, a favore del controricorrente costituito al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 3.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori come per legge.
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