QUANDO NE RISPONDE LA BANCA DEL CONSULENTE
FINANZIARIO
ANALIZZIAMO DUE IMPORTANTI SENTENZE SULLA RESPONSABILITA’ DEL CONSULENTE FINANZIARIO
- Con precedente arresto n. 26172/2007, il Supremo Collegio aveva già affermato che “in tema di responsabilità indiretta della società di intermediazione mobiliare (S.I.M.) per i danni arrecati a terzi dai promotori finanziari nello svolgimento delle incombenze loro affidate, l’accertamento di un rapporto di necessaria occasionalità tra fatto illecito del preposto ed esercizio delle mansioni affidategli comporta l’insorgenza di una responsabilità diretta a carico della società, la cui configurabilità non è preclusa dall’art. 5 comma 4 della legge n. 1 del 1991 (ed ora art. 31, comma 3, del d.lgs. n. 58 del 1998), il quale si limita a prevedere un’estensione della responsabilità al fatto altrui, non impedendo tuttavia anche l’accertamento della potenziale responsabilità per fatto proprio, ai sensi dell’ 2055 cod. civ.”.
- Conseguentemente, va applicato il principio di diritto, che qui si ribadisce, per il quale “La condanna generica al risarcimento del danno, avendo come contenuto una mera “declaratoria iuris” postula quale presupposto necessario e sufficiente a legittimarla, l’accertamento di un fatto ritenuto dal giudice, alla stregua di un giudizio di probabilità, potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, restando impregiudicato l’accertamento, riservato al giudice della liquidazione, dell’esistenza e dell’entità del danno, nonchè del nesso di causalità tra questo ed il fatto illecito (…)” (così già Cass. n. 4511/97, nonchè Cass. n. 17297/06, n. 29202/08; e, più recentemente, Cass. n. 24002/11 e n. 20444/16).Le condotte accertate come sopra sono potenzialmente produttive di danni per i singoli investitori, fermo restando che questi danni andranno individuati da ciascuno danneggiato, nel relativo giudizio sul quantum, e che comunque la prova del nesso di causalità tra l’inadempimento dell’intermediario finanziario e i danni lamentati dall’investitore può essere anche di carattere presuntivo (cfr., tra le altre, Cass. n. 3773/09, n. 14056/10, n. 29864/11 e n. 5089/16, nonchè di recente Cass. n. 12544/17).In conclusione, i primi tre motivi del ricorso principale ed i primi due del ricorso incidentale vanno rigettati.
In merito ai restanti motivi del ricorso incidentale di Unicredit Spa si osserva quanto segue.
Col terzo motivo si denuncia il “vizio di omessa pronuncia circa un fatto decisivo per il giudizio (nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza dell’oggetto). Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” perchè la Corte d’appello non si è pronunciata sull’eccezione di nullità dell’atto di citazione, avanzata in primo grado e reiterata in secondo.
5.1. Il motivo è inammissibile sia perchè il vizio di omessa pronuncia non è denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sia perchè esso non è configurabile in relazione ad eccezioni meramente processuali, quale è quella di specie (cfr., da ultimo, Cass. n. 321/16, secondo cui “Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale (…) non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte”).
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 18 gennaio – 31 luglio 2017, n. 18928
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FINECOBANK SPA in persona dell’Amministratore Delegato, Dott. F.A., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato GIAMMARIA CAMICI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MASSIMO NESPOLI, FEDERICO CAMOZZI giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
B.M., + ALTRI OMESSI – controricorrenti –
e contro
P.N.A., UNICREDIT SPA, ALLIANZ SPA, S.A.R., C.F.;
– intimati –
e da:
ALLIANZ SPA, in persona dei procuratori dott.ssa G.A. e dott. C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO SPADAFORA, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;
T.P., + ALTRI OMESSI – ricorrenti incidentali –
contro
FINECOBANK SPA, in persona dell’Amministratore Delegato, Dott. F.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30, presso lo studio dell’avvocato GIAMMARIA CAMICI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MASSIMO NESPOLI, FEDERICO CAMOZZI giusta procura a margine del ricorso principale;
– controricorrente all’incidentale –
e contro
C.F., UNICREDIT SPA, S.A.R., R.P., P.A., P.E., M.R., G.S., G.G., D.S.G., P.N.A., D.C.L., B.M., B.F., B.E., – intimati –
e da UNICREDIT SPA, in persona dell’avv. F.S. in qualità di procuratore speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI SAN VALENTINO 21, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CARBONETTI, rappresentata e difesa dall’avvocato FABRIZIO CARBONETTI giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
B.M., P.A., G.S., M.R., P.E., D.S.G., D.C.L., R.P., S.E., G.G., B.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CAMOZZI 1, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO CUCCI, che li rappresenta e difende giuste procure a margine del controricorso;
T.P., + ALTRI OMESSI FINECOBANK SPA in persona dell’Amministratore Delegato, Dott. F.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30, presso lo studio dell’avvocato GIAMMARIA CAMICI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MASSIMO NESPOLI, FEDERICO CAMOZZI giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
contro
S.A., C.F., ALLIANZ SPA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 493/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 24/01/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/01/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;
udito il P.M. Generale Dott. in persona del Sostituto Procuratore Dr. FINOCCHI GHERSI RENATO che ha concluso per il rigetto dei ricorsi principali e assorbitoricorso incidentale condizionato;
udito l’Avvocato RICCARDO RESTUCCIA;
udito l’Avvocato GIAMMARIA CAMICI;
udito l’Avvocato MASSIMO NESPOLI;
udito l’Avvocato ANTONIO MANGANIELLO per delega.
Svolgimento del processo
- Con la sentenza impugnata, pubblicata il 24 gennaio 2013, la Corte d’appello di Roma ha accolto gli appelli, principale ed incidentale, proposti avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 23 gennaio 2010, e, per l’effetto, ha condannato S.A.R., in qualità di promotore finanziario, nonchè Unicredit Spa (già Credito Italiano S.p.A.) e FinecoBank S.p.A. (già Xelion Banca S.p.A.), in qualità rispettivamente di istituto di credito col quale erano intrattenuti i rapporti contrattuali (di deposito titoli e di conto corrente) e di società intermediaria preponente, tutti in solido tra loro, al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, in favore degli appellanti, che si erano avvalsi dell’attività professionale del primo; ha rigettato la domanda di manleva proposta dalla FinecoBank S.p.A. nei confronti della Allianz S.p.A. (già Ras Spa) e la domanda di manleva proposta dalla Unicredit Spa nei confronti di S.A.R.; ha condannato gli appellati al pagamento delle spese del doppio grado in favore degli appellanti e FinecoBank S.p.A. al pagamento delle spese del doppio grado in favore di Allianz S.p.A..
La Corte d’appello ha reputato che il rapporto di fiducia instaurato col promotore finanziario non avesse fatto venire meno il nesso di occasionalità necessaria tra l’incarico conferito dalla preponente e gli illeciti commessi dal S. e che trovassero applicazione sia l’art. 23, comma 6, TUF e la L. n. 1 del 1991, art. 13, comma 10, che l’art. 31 TUF e la L. n. 1 del 1991, art. 5, a seconda rispettivamente dei periodi presi in considerazione.
Quanto alla domanda di manleva avanzata da FinecoBank S.p.A. nei confronti di Allianz S.p.A., la Corte d’appello ha accolto l’eccezione di decadenza dal diritto all’indennizzo in capo all’assicurata, avanzata dall’assicuratrice, ai sensi degli artt. 1915 e 1917 c.c..
2. FinecoBank S.p.A. ha impugnato la sentenza con ricorso basato su cinque motivi.
Unicredit Spa ha proposto ricorso successivo basato su quattro motivi.
B.E. e gli altri dieci resistenti indicati in epigrafe hanno replicato ai due ricorsi con distinti controricorsi.
A loro volta, Br.Ad. e le altre quattordici parti resistenti indicate in epigrafe hanno replicato ai due ricorsi con distinti controricorsi (il primo intitolato anche “ricorso incidentale”) e con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
FinecoBank S.p.A. ha proposto controricorso al ricorso notificato da Unicredit Spa.
Allianz S.p.A. ha proposto controricorso e ricorso incidentale condizionato, cui ha resistito FinecoBank S.p.A. con controricorso.
Entrambe hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Gli altri intimati non si sono difesi.
Motivi della decisione
- Premesso che il ricorso successivamente notificato e depositato da Unicredit Spa rispetto a quello avanzato da FinecoBank S.p.A. va considerato come ricorso incidentale (cfr. Cass. n. 5695/15 e n. 2516/16, tra le più recenti), vanno esaminati congiuntamente i primi tre motivi del ricorso principale ed i primi due del ricorso incidentale, in quanto tutti relativi all’individuazione delle norme applicabili in tema di responsabilità solidale del promotore finanziario, della società di intermediazione mobiliare preponente e dell’istituto di credito titolare dei rapporti contrattuali con gli investitori.
1.1. Col primo motivo del ricorso principale, denunciando “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., della L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 13, comma 10, e del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, si sostiene che queste norme speciali (per le quali l’intermediario finanziario è tenuto a dimostrare di aver agito con la specifica diligenza richiesta) non si applicherebbero nell’ipotesi di responsabilità oggettiva indiretta dell’intermediario, ai sensi della L. n. 1 del 1991, art. 5 e D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, quando cioè risponde per asseriti comportamenti illeciti del promotore finanziario. Con la conseguenza, secondo la ricorrente, che sarebbe spettato agli attori, poi appellanti, fornire la prova sia dei comportamenti illeciti posti in essere dal promotore finanziario, sia del nesso di occasionalità necessaria fra questi illeciti e l’incarico conferito dall’intermediario autorizzato, sia, ancora, del danno asseritamente subito (mentre gli attori, poi appellanti, non avrebbero specificato nè le operazioni poste in essere dal promotore finanziario senza autorizzazione, nè le perdite derivate da queste operazioni, nè quali operazioni alternative avrebbero inteso porre in essere), sia, infine, della riconducibilità del danno ai lamentati illeciti.
La ricorrente aggiunge che, anche a voler ritenere operante il principio in materia di inversione dell’onere della prova dettato dalle norme di cui sopra, nel caso di specie gli attori, poi appellanti, non avrebbero nemmeno allegato l’inadempimento da parte dell’intermediario finanziario delle obbligazioni su di lui specificamente incombenti, nè avrebbero fornito la prova del danno e del nesso di causalità tra questo ed i lamentati inadempimenti, così restando inottemperanti sia all’onere di allegazione che all’onere della prova loro spettanti secondo la giurisprudenza di legittimità (come da sentenza n. 6708/2010, richiamata in ricorso).
1.2. Col secondo motivo, denunciando “violazione e falsa applicazione della L. n. 1 del 1991, art. 5, e D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, si censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistente il nesso di occasionalità necessaria tra l’attività del promotore finanziario e la consumazione degli illeciti, sostenendosi che la vicenda in esame sarebbe stata connotata da plurimi elementi di “evidente anomalia”.
Questi, che sarebbero stati ravvisati dal primo giudice e non smentiti dal secondo, avrebbero dovuto indurre la Corte d’appello, secondo la ricorrente, ad escludere la responsabilità solidale dell’intermediario autorizzato.
1.3. Col terzo motivo, denunciando “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, si torna a dire degli “evidentissimi e pacifici elementi di anomalia” che avrebbero caratterizzato la vicenda e che, essendo stati oggetto di discussione tra le parti e della sentenza di primo grado, non sarebbero stati secondo la ricorrente- considerati, ma nemmeno smentiti, dalla sentenza di secondo grado.
1.4. Col primo motivo del ricorso incidentale, denunciando “erronea e/o falsa applicazione dell’art. 23, comma 6, del TUF”, si sostiene l’inapplicabilità di questa norma in caso di responsabilità indiretta dell’intermediario finanziario ai sensi dell’art. 31, comma 3, TUF. Si aggiunge che, comunque, nel caso di specie, sarebbero rimasti inadempiuti da parte degli attori, poi appellanti, gli oneri di allegazione e di prova di cui si è detto trattando del primo motivo del ricorso principale.
1.5. Col secondo motivo, denunciando “erronea e/o falsa applicazione dell’art. 31 del TUF”, si sostiene l’inapplicabilità del terzo comma di questa norma nei confronti di Unicredit Spa, poichè non vi sarebbe stato alcun rapporto di preposizione tra la banca ed S.A., in quanto questi operava quale promotore finanziario dell’allora denominata Unicredit SIM Spa, poi fusasi in Xelion Banca Spa, ceduta nelle more del giudizio a FinecoBank S.p.A..
2. I predetti motivi non meritano di essere accolti.
Quanto ai rapporti tra la previsione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, comma 3 (già L. n. 1 del 1991, art. 5, comma 4, e poi D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 23) e quelle del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e art. 23, u.c., (già L. n. 1 del 1991, art. 6 e art. 13, comma 10, e poi D.Lgs. n. 415 del 1996, artt. 17 e 18), va richiamato e precisato il principio di diritto, già affermato da questa Corte, e fatto oggetto della seguente massima: “In tema di responsabilità indiretta della società di intermediazione mobiliare (S.I.M.) per i danni arrecati a terzi dai promotori finanziari nello svolgimento delle incombenze loro affidate, l’accertamento di un rapporto di necessaria occasionalità tra fatto illecito del preposto ed esercizio delle mansioni affidategli comporta l’insorgenza di una responsabilità diretta a carico della società, la cui configurabilità non è preclusa dalla L. n. 1 del 1991, art. 5, comma 4, (ed ora D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, comma 3), il quale si limita a prevedere un’estensione della responsabilità al fatto altrui, non impedendo tuttavia anche l’accertamento della potenziale responsabilità per fatto proprio, ai sensi dell’art. 2055 c.c.”. (così Cass. n. 26172/2007).
In effetti – per come è fatto palese dalla lettura della motivazione della sentenza appena richiamata – si desume dal combinato disposto del TUF, art. 21 e art. 23, comma 6, e art. 31, comma 3, (oltre che dei già citati corrispondenti articoli della normativa previgente) che:
– il T.U.F., art. 21 e art. 23, comma 6, si riferiscono ai comportamenti imputabili in via diretta ai soggetti abilitati ivi contemplati – vale a dire, per quanto qui rileva, alle società di intermediazione mobiliare ed alle banche – dato che solo rispetto alla responsabilità diretta si può porre la questione, risolta appunto dall’art. 23, della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta; siffatto criterio di imputazione di responsabilità è invece estraneo all’art. 31, comma 3, T.U.F..
Infatti, ai sensi di questa norma, il preponente risponde del fatto illecito altrui per il solo rapporto di preposizione e per l’affidamento delle relative incombenze al promotore finanziario di cui si avvale e purchè sussista il c.d. nesso di occasionalità necessaria tra queste ultime e le condotte del promotore, secondo quanto si dirà. Invece, è del tutto irrilevante lo stato soggettivo del preponente (cfr., su quest’ultimo specifico punto, Cass. n. 12448/12, nonchè già Cass. n. 20588/04 e, di recente, Cass. n. 18860/15), proprio perchè il titolo di responsabilità del preponente per il fatto del promotore prescinde dal dolo o dalla colpa quale criterio di imputazione;
– tuttavia, con la responsabilità per fatto altrui, di cui all’art. 31, comma 3, T.U.F., certamente può concorrere la responsabilità diretta per fatto proprio del soggetto abilitato, applicandosi in tale eventualità le norme appunto degli artt. 21 e 23 T.U.F., oltre che – in caso di concorso – l’art. 2055 c.c. (cfr. Cass. n. 26172/07 cit.);
– qualora, poi, risulti necessario accertare la responsabilità contrattuale dell’intermediario finanziario per danni subiti dall’investitore, questa Corte – facendo applicazione specifica della regola generale che fa gravare sull’attore l’onere della mera allegazione dell’inadempimento della controparte (cfr. Cass. S.U. n. 13533/2001 e giurisprudenza successiva) – così ritiene disciplinato il riparto dell’onere della prova: l’investitore deve soltanto allegare l’inadempimento delle obbligazioni specificamente poste a carico della controparte, nonchè fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni; l’intermediario finanziario deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito con la specifica diligenza richiesta (cfr. Cass. n. 3773/2009, n. 6708/10 e n. 810/2016, nonchè Cass. n. 18039/12 e n. 5089/16, con le quali ultime si è affermato che ” Nel giudizio di risarcimento del danno proposto da un risparmiatore, il giudice di merito, per assolvere l’intermediario finanziario dalla responsabilità conseguente alla violazione degli obblighi informativi previsti dalla legge, non può limitarsi ad affermare che manca la prova della sua negligenza ovvero dell’inadempimento, ma deve accertare se sussista effettivamente la prova positiva della sua diligenza e dell’adempimento delle obbligazioni poste a suo carico e, in mancanza di tale prova, che è a carico dell’intermediario fornire (D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23), questi sarà tenuto al risarcimento degli eventuali danni causati al risparmiatore. (…)”).
2.1. Nel caso di specie, la Corte d’appello si è attenuta ai principi di cui sopra e non è affatto incorsa nell’errore sostenuto dalle ricorrenti. Infatti, ha ritenuto che queste ultime rispondessero sia per fatto proprio, ai sensi degli artt. 21 e 23 T.U.F. (già L. n. 1 del 1991, artt. 6 e 13 e D.Lgs. n. 415 del 1996, 17 e 18 del), sia per fatto del promotore finanziario.
La responsabilità per fatto proprio è stata affermata sia nei confronti dell’istituto di credito che nei confronti della società di intermediazione mobiliare.
Quanto al primo, il giudice d’appello ha espressamente ritenuto “un comportamento negligente della banca, che nella specie non avrebbe esercitato la dovuta sorveglianza” in merito alle operazioni di acquisto titoli allo scoperto, accertate, in punto di fatto, come effettuate “senza che al riguardo fosse stata fornita la prova che tale evento era stato autorizzato da un preventivo accordo preso con il cliente”. Quanto alla s.i.m., ha ritenuto “che non avrebbe rispettato le procedure stabilite dalla normativa dettata in materia di intermediazione finanziaria” (pag. 17 della sentenza), sulla base ed in conseguenza degli accertamenti fattuali di cui si dirà a proposito dell’operato del promotore finanziario.
Va precisato che la responsabilità diretta dell’istituto di credito, oggi Unicredit Spa, è di natura contrattuale, avendo gli investitori stipulato con l’allora Credito Italiano S.p.A. contratti di conto corrente e di deposito titoli, come specificati nell’atto introduttivo riportato anche in ricorso.
Per contro, la responsabilità diretta della società di intermediazione mobiliare – così come configurata dal giudice di merito – è di natura extracontrattuale, poichè, come nota FinecoBank S.p.A., la s.i.m. non risulta essere stata legata agli investitore da alcun rapporto contrattuale, essendo il S. un agente senza rappresentanza. Tuttavia, il fatto che non vi fosse un vincolo contrattuale non vale, di per sè solo, ad escludere qualsivoglia responsabilità della s.i.m. per fatto proprio, in mancanza di apposita censura dell’accertamento fattuale sopra specificato.
D’altronde, l’una e l’altra delle odierne ricorrenti rispondono per il fatto altrui (del promotore finanziario), in concorso con la responsabilità per fatto proprio.
3. In merito alla responsabilità del promotore finanziario, il giudice ha infatti accertato che il S. operò: senza farsi rilasciare dai clienti nè mandato con atto scritto nè singoli ordini di acquisto e di vendita titoli per iscritto; senza stabilire con i clienti il profilo di rischio da rispettare nell’acquisto dei titoli; senza consegnare alcun prospetto informativo nè la liberatoria per il collocamento dei titoli Unicredit; effettuando operazioni allo scoperto, senza autorizzazione.
Si tratta di accertamenti in fatto insindacabili in questa sede e comunque non specificamente censurati (anche in punto di risultanze della CTU, dettagliatamente richiamate in sentenza), tanto che risultano manifestamente scollegati dalle emergenze processuali i rilievi delle ricorrenti sul mancato assolvimento degli oneri di allegazione e di prova gravanti sugli investitori.
Quanto alla responsabilità delle società preponenti per i fatti addebitati al promotore finanziario, il giudice d’appello, oltre ad aver accertato come sopra i comportamenti illeciti del S., ha altresì ritenuto la totale riconducibilità di queste condotte all’attività di promotore finanziario, svolta su incarico della s.l.m. e nell’interesse dell’istituto di credito. Così decidendo, ha fatto corretta applicazione dei principi ripetutamente affermati da questa Corte in tema di nesso c.d. di occasionalità necessaria tra i compiti affidati al promotore finanziario e gli illeciti commessi, che costituisce il presupposto per l’affermazione della responsabilità della preponente.
Questi principi si compendiano nelle seguenti massime:
-” In tema di intermediazione finanziaria, l’intermediario preponente risponde in solido del danno causato al risparmiatore dai promotori finanziari da lui indicati in tutti i casi in cui sussista un nesso di occasionalità necessaria tra il fatto del promotore e le incombenze affidategli. Tale responsabilità sussiste non solo quando detto promotore sia venuto meno ai propri doveri nell’offerta dei prodotti finanziari ordinariamente negoziati dalla società preponente, ma anche in tutti i casi in cui il suo comportamento, fonte di danno per il risparmiatore, rientri comunque nel quadro delle attività funzionali all’esercizio delle incombenze affidategli” (così Cass. n. 1741/11, citata nella sentenza; ma cfr., tra le altre, anche Cass. n. 6829/11, secondo cui non ” (…) rileva che il comportamento del promotore abbia esorbitato dal limite fissato dalla società, essendo sufficiente che la sua condotta sia stata agevolata e resa possibile dall’inserimento del promotore stesso nell’attività della società d’intermediazione mobiliare e si sia realizzata nell’ambito e coerentemente alle finalità in vista delle quali l’incarico è stato conferito, in maniera tale da far apparire al terzo in buona fede che l’attività posta in essere, per la consumazione dell’illecito, rientrasse nell’incarico affidato”);
-“In tema di contratti di intermediazione finanziaria, al fine di escludere la responsabilità solidale dell’intermediario per gli eventuali danni arrecati ai terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari, non è sufficiente la mera consapevolezza da parte dell’investitore della violazione da parte del promotore delle regole di comportamento poste a tutela dei risparmiatori, ma occorre che i rapporti tra promotore ed investitore presentino connotati di anomalia, se non addirittura di connivenza o di collusione in funzione elusiva della disciplina legale. Incombe all’investitore l’onere di provare l’illiceità della condotta del promotore, mentre spetta all’intermediario quello di provare che l’illecito sia stato consapevolmente agevolato in qualche misura dall’investitore” (così già Cass. n. 6708/10, nonchè, tra le altre, Cass. n. 27925/13 e Cass. n. 22956/15, anche per la precisazione che, per ritenere l’estraneità della banca al fatto del promotore, sì da interrompere il nesso causale ed escludere la responsabilità dell’istituto di credito, è necessario che la condotta dell’investitore si configuri, se non come collusione, quanto meno come consapevole e fattiva acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore – con accertamento che compete insindacabilmente al giudice di merito).
3.1. Con riferimento alla posizione di FinecoBank S.p.A., il rapporto di preposizione, non è in discussione. D’altronde, trattandosi di società di intermediazione mobiliare svolgente, tra l’altro, il servizio di collocamento di cui all’art. 1, comma 5, lett. c) e c bis) del T.U.F., è soggetta alla previsione dell’art. 31, comma 3, T.U.F., a prescindere dalla sussistenza o meno di rapporti contrattuali diretti con gli investitori.
Accertato il rapporto di preposizione tra la oggi FinecoBank S.p.A. ed il S. (quale agente dell’allora Xelion Banca S.p.A.), la Corte d’appello ha escluso che il rapporto fiduciario instaurato tra gli investitori ed il promotore finanziario, anche se protrattosi per diversi anni, valesse ad interrompere il nesso di occasionalità necessaria palesemente esistente tra i comportamenti del primo e le incombenze affidategli dalla Xelion Banca S.p.A..
Quanto alle asserite “anomalie” del rapporto predetto – su cui la ricorrente principale si intrattiene col secondo e col terzo motivo, oltre che con la memoria depositata ex art. 378 c.p.c. – è sufficiente rilevare che non di collusione nè di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole di condotta da parte del promotore finanziario si è trattato, ma di fatti e di circostanze del tutto irrilevanti ai fini dell’interruzione del nesso di causalità. Tali sono infatti i rapporti – erroneamente valorizzati dal primo giudice al fine di escludere la responsabilità della preponente – basati, come detto, sul rapporto fiduciario tra gli odierni resistenti ed il S. (e consistiti nella consapevolezza e nell’approvazione da parte dei primi – anche mediante non contestazione degli estratti periodici dei conti correnti e delle posizioni dei conti deposito titoli, se ed in quanto inviati dalla banca- delle operazioni irregolari compiute dal secondo, senza tuttavia che sia emerso che i clienti fossero mossi da scopi elusivi della disciplina legale o fossero consapevoli di questi scopi in capo al promotore finanziario o comunque avessero agito per finalità estranee ai contratti in essere con la banca). Questi rapporti fiduciari, non sono idonei – secondo l’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato e qui condiviso- a dare luogo a quelle “anomalie” significative, che fanno sì che l’operato del promotore finanziario si svolga in ambito del tutto estraneo a quello delle mansioni affidategli dalla preponente e che tale estraneità si manifesti anche rispetto all’investitore. Pertanto, è conforme a diritto e non è viziata, nemmeno quanto alla motivazione, la sentenza impugnata che, pur non smentendo detti rapporti fiduciari, abbia ritenuto la riconducibilità dell’operato del promotore finanziario all’incarico affidatogli dalla s.i.m. preponente, oggi FinecoBank S.p.A..
3.2. Col secondo motivo del ricorso incidentale, Unicredit Spa contesta che il S. fosse legato all’allora Credito Italiano S.p.A. da un rapporto di preposizione. In effetti, non risulta dalla sentenza che vi fosse tra le parti un contratto in forza del quale il S. esercitasse la propria attività professionale anche per detto istituto di credito.
Tuttavia, è pacifico che gli investitori, odierni resistenti, abbiano intrattenuto i loro rapporti contrattuali – specificamente rapporti di deposito titoli e di conto corrente bancario- con il Credito Italiano S.p.A., poi UniCredit Banca S.p.A., oggi Unicredit S.p.A. Parimenti accertato, in punto di fatto, è che il S., pur essendo legato da contratto di agenzia con la società di intermediazione mobiliare all’epoca Xelion Banca S.p.A., già SIM Unicredit S.p.A. (il cui pacchetto azionario era peraltro detenuto al 100% dall’istituto di credito)- operasse nei locali delle agenzie del Credito Italiano, prima di (OMISSIS) e poi di (OMISSIS), via Laurentina, presso le quali erano accesi i detti conti intestati agli investitori. Ancora, i titoli collocati dalla s.i.m., per il tramite dell’agente, erano negoziati da quest’ultimo presso il Credito Italiano S.p.A., che, in ragione dei contratti di deposito titoli, svolgeva per i clienti il servizio di negoziazione e ricezione ordini ai sensi dell’art. 1, comma 5, lett. d) del T.U.F..
Data questa situazione di fatto, è corretta la sentenza che, oltre ad aver ritenuto la responsabilità diretta dell’istituto di credito svolgente servizi ed attività di investimento -come detto trattando del primo motivo-, ne ha affermato anche la responsabilità indiretta per fatto del promotore finanziario. Infatti, nella prestazione di detti servizi ed attività, Unicredit Spa si è avvalsa dell’operato di quest’ultimo ed, a sua volta, il S. si presentava agli investitori come operante (anche) su incarico dell’istituto di credito. Con la conseguenza che la banca contraente risponde dei danni provocati dal predetto, per il duplice ordine di ragioni evincibili dalla sentenza impugnata: in primo luogo, quale incaricato dell’adempimento delle obbligazioni facenti capo al Credito Italiano S.p.A. nei rapporti intrattenuti con i propri correntisti (cfr. art. 1228 c.c., anche in riferimento all’art. 31 T.U.F.), non essendo necessario che il terzo sia legato alla parte contraente da vincolo di dipendenza (cfr. Cass. n. 10616/12); in secondo luogo, in ragione dell’affidamento ingenerato negli investitori (cfr., per la rilevanza della situazione apparente, colpevolmente creata dal soggetto responsabile: cfr. Cass. n. 8229/06; Cass. n. 17393/09; Cass. n. 21729/10, in motivazione), per aver fatto credere ai clienti della banca di essere stabilmente inserito sia nell’attività della s.i.m. che in quella dell’istituto di credito presso la cui agenzia aveva l’ufficio (come da accertamento del giudice di merito, non specificamente censurato dalla ricorrente).
4. Quanto, infine, all’asserita mancanza di prova del danno e del nesso di causalità tra questo danno, da un lato, ed i comportamenti del promotore finanziario e/o gli inadempimenti delle preponenti, dall’altro, va sottolineato che la sentenza impugnata reca una condanna generica al risarcimento dei danni.
Questa statuizione non è stata censurata.
Conseguentemente, va applicato il principio di diritto, che qui si ribadisce, per il quale “La condanna generica al risarcimento del danno, avendo come contenuto una mera “declaratoria iuris” postula quale presupposto necessario e sufficiente a legittimarla, l’accertamento di un fatto ritenuto dal giudice, alla stregua di un giudizio di probabilità, potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, restando impregiudicato l’accertamento, riservato al giudice della liquidazione, dell’esistenza e dell’entità del danno, nonchè del nesso di causalità tra questo ed il fatto illecito (…)” (così già Cass. n. 4511/97, nonchè Cass. n. 17297/06, n. 29202/08; e, più recentemente, Cass. n. 24002/11 e n. 20444/16).
Le condotte accertate come sopra sono potenzialmente produttive di danni per i singoli investitori, fermo restando che questi danni andranno individuati da ciascuno danneggiato, nel relativo giudizio sul quantum, e che comunque la prova del nesso di causalità tra l’inadempimento dell’intermediario finanziario e i danni lamentati dall’investitore può essere anche di carattere presuntivo (cfr., tra le altre, Cass. n. 3773/09, n. 14056/10, n. 29864/11 e n. 5089/16, nonchè di recente Cass. n. 12544/17).
In conclusione, i primi tre motivi del ricorso principale ed i primi due del ricorso incidentale vanno rigettati.
5. In merito ai restanti motivi del ricorso incidentale di Unicredit Spa si osserva quanto segue.
Col terzo motivo si denuncia il “vizio di omessa pronuncia circa un fatto decisivo per il giudizio (nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza dell’oggetto). Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” perchè la Corte d’appello non si è pronunciata sull’eccezione di nullità dell’atto di citazione, avanzata in primo grado e reiterata in secondo.
5.1. Il motivo è inammissibile sia perchè il vizio di omessa pronuncia non è denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sia perchè esso non è configurabile in relazione ad eccezioni meramente processuali, quale è quella di specie (cfr., da ultimo, Cass. n. 321/16, secondo cui “Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale (…) non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte”).
D’altronde, la soluzione implicitamente data dai giudici di merito alla questione di sufficiente determinatezza dell’atto introduttivo del giudizio non è stata altrimenti e validamente censurata dalla ricorrente.
6. Col quarto motivo la ricorrente incidentale denuncia il “vizio di omessa pronuncia circa un fatto decisivo per il giudizio (intervenuta prescrizione della domanda di risarcimento). Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” perchè la Corte d’appello avrebbe ritenuto di “non affrontare” l’eccezione di prescrizione, che sarebbe stata avanzata dalle originarie convenute.
6.1. Il motivo, oltre ad essere inammissibile per la mancata indicazione delle modalità e dei tempi di proposizione dell’eccezione di prescrizione nel primo e nel secondo grado di giudizio, e per l’erronea indicazione del vizio dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (piuttosto che dell’art. 360 c.p.c., n. 4), è infondato. La Corte d’appello si è pronunciata sulla prescrizione, affermando l’irrilevanza della questione nel presente giudizio, concluso con una condanna generica, e comunque la sua riferibilità tutt’al più ad alcuni degli illeciti denunciati, più risalenti nel tempo. Il vizio di omessa pronuncia evidentemente non sussiste.
Il ricorso incidentale va perciò rigettato.
7. Vanno infine esaminati i motivi del ricorso principale concernenti la domanda di manleva di FinecoBank S.p.A. nei confronti di Allianz S.p.A..
Al riguardo la Corte di merito ha accertato che la FinecoBank S.p.A., pur avendo avuto conoscenza della possibile esistenza di un evento dannoso, oggetto della copertura assicurativa, fin dal 14 giugno 2002, ha provveduto ad informare la compagnia di assicurazione soltanto il 21 marzo 2003. Ha quindi ritenuto che l’assicurata sia incorsa in inadempimento doloso, non solo colposo, ai sensi dell’art. 1915 c.c. (come richiamato dall’art. 11 delle condizioni generali di assicurazione), perchè, per configurare il dolo, non si richiede lo specifico e fraudolento intento di recare danno all’assicuratore, ma è sufficiente la consapevolezza dell’obbligo, riscontrata nel caso di specie (cfr. pag. 20 della sentenza).
7.1. Col quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1913 e 1915 c.c., perchè il primo comma di questa seconda norma comminerebbe, a detta della ricorrente, la perdita del diritto all’indennizzo dell’assicurato solo in presenza di un quid pluris rispetto alla mera consapevolezza della verificazione del sinistro e dell’obbligo di segnalarlo, consistente nell’intenzione di non dare luogo alla segnalazione. Secondo la ricorrente, il giudice non avrebbe correttamente applicato la norma, così come interpretata dalla Corte di Cassazione (in particolare, con le sentenze n. 24733/2007 e n. 1196/1989), ma anche dalla stessa Corte d’appello di Roma in altro caso analogo (di cui alla sentenza in data 8 ottobre 2008).
7.2. Col quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e artt. 2727 e 2729 c.c.. La ricorrente assume che la compagnia, gravata del relativo onere, non avrebbe fornito la prova dell’inadempimento doloso della società, in quanto la Corte d’appello avrebbe, in violazione dell’art. 115 c.p.c., attribuito valore probatorio ad elementi che ne sarebbero privi ed avrebbe, in violazione delle norme sulla prova presuntiva, fatto derivare dal fatto noto (del ritardo nell’avviso) il fatto ignorato (della cosciente volontà di non segnalare il sinistro tempestivamente) in difetto di elementi gravi precisi e concordanti.
8. Il primo di questi motivi è infondato; il secondo è inammissibile.
La Corte ha enunciato e correttamente applicato il principio di diritto per il quale, ai fini della perdita dei benefici assicurativi, ai sensi dell’art. 1915 c.c., non occorre lo specifico e fraudolento intento di creare danno all’assicuratore, essendo sufficiente la consapevolezza dell’obbligo previsto dalla suddetta norma e la cosciente volontà di non osservarlo (Cass. n. 14579/07, n. 17088/14, n. 13355/15).
Nè la sentenza risulta in contrasto con l’art. 1915 c.c., come interpretato -secondo l’assunto della ricorrente- dal precedente di questa Corte n. 24733/07 (col quale si è esclusa la rilevanza della sola conoscenza del sinistro da parte dell’assicurato), poichè la Corte d’appello non si è limitata a dare conto del fatto che l’assicurata avesse avuto conoscenza del sinistro ad una certa data, ma ha evidenziato come da questa data fossero decorsi oltre nove mesi prima che fosse dato avviso all’assicuratore ed ha valorizzato -quanto all’accertamento della cosciente volontà dell’assicurata di non rispettare l’obbligo dell’avviso- sia il tenore dell’atto di messa in mora, proveniente dal legale degli investitori (e relativo ad “evento dannoso oggetto della copertura assicurativa”, come specificato in sentenza), che il contenuto della polizza che espressamente richiamava il disposto dell’art. 1915.
Va perciò escluso che il giudice di merito si sia fermato alla mera inosservanza dell’obbligo di dare avviso all’assicuratore malgrado la conoscenza del sinistro. Piuttosto, si è spinto a valutare, sia pure sinteticamente, le circostanze del caso concreto per le quali ha ritenuto, anche in ragione della qualità di operatore qualificato della società assicurata, che questa non avesse solo colpevolmente trascurato la denuncia, ma avesse consapevolmente omesso di inoltrarla per il considerevole periodo di tempo compreso tra il 14 giugno 2002 (data della nota inviata dal legale degli investitori alla FinecoBank S.p.A.) ed il 21 marzo 2003 (nota di trasmissione dell’avviso alla Ras, oggi Allianz S.p.A.).
8.1. Tutte le altre censure, specificamente quelle di cui all’ultimo motivo, sono inammissibili poichè attengono all’attività di accertamento dei fatti e di valutazione delle prove riservata al giudice del merito, essendo la decisione basata su precisi elementi di fatto (sopra richiamati), idonei, se complessivamente considerati, a dare luogo agli indizi, plurimi, gravi e concordanti, costituenti prova presuntiva.
Il contrario assunto della ricorrente -oltre ad essere inammissibile per mancata riproduzione in giudizio del contenuto dei documenti di cui contesta la valutazione da parte del giudice- attiene al giudizio di merito ed al controllo di logicità e completezza della motivazione, non consentito dal testo attuale dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (peraltro nemmeno citato in ricorso) e non censurabile per violazione degli artt. 115 e 116, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4 (come inammissibilmente dedotto: cfr. Cass. n. 15107/13, n. 11892/16 e n. 20382/16).
9. In conclusione, vanno rigettati sia il ricorso principale che il ricorso incidentale di Unicredit Spa.
Resta assorbito il ricorso incidentale di Allianz S.p.A., condizionato all’accoglimento dei motivi quarto e quinto del ricorso principale.
Non vi è invece luogo a provvedere sul “ricorso incidentale” così indicato nell’intestazione del controricorso notificato da Br.Ad. e dagli altri resistenti indicati in epigrafe, poichè detta intestazione appare viziata da mero errore materiale, non contenendo il controricorso alcuna impugnazione incidentale.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo nei rapporti tra le ricorrenti, principale ed incidentale, ed i controricorrenti diversi da Allianz S.p.A..
Tra quest’ultima controricorrente e la ricorrente FinecoBank S.p.A. si ritiene di compensare le spese di legittimità per giusti motivi, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo vigente prima della modifiche apportate dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263 e succ. mod., dal momento che il giudizio è stato introdotto con atto di citazione notificato nel febbraio 2003, quindi precedentemente l’entrata in vigore di dette modifiche, applicabili ai procedimenti instaurati successivamente al 1 marzo 2006 (ai sensi dell’art. 2, comma 4, della legge citata, come modificato dal D.L. n. 273 del 2005, art. 39 quater, convertito nella L. n. 51 del 2006).
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale Unicredit Spa, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, principale ed incidentale, a norma del cit. articolo 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi, principale ed incidentale, rispettivamente proposti da FinecoBank S.p.A. e Unicredit Spa e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato proposto da Allianz S.p.A..
Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore dei controricorrenti Ba.Em. + 10, in Euro 8.200,00, per compensi, ed in favore dei controricorrenti Br.Ad. + 14, in Euro 9.300,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge per ciascun gruppo di controricorrenti.
Condanna la ricorrente incidentale Unicredit Spa al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore dei controricorrenti B.E. + 10, in Euro 8.200,00, per compensi, ed in favore dei controricorrenti Br.Ad. + 14, in Euro 9.300,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge per ciascun gruppo di controricorrenti Compensa le spese del giudizio di legittimità tra la ricorrente principale ed Allianz S.p.A. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale Unicredit Spa, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, principale ed incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2017.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2017.
QUANDO NE RISPONDE LA BANCA DEL CONSULENTE
FINANZIARIO
ANALIZZIAMO DUE IMPORTANTI SENTENZE SULLA RESPONSABILITA’ DEL CONSULENTE FINANZIARIO
L’avere il promotore/segnalatore incassato somme eccedenti il limite della conferitagli autorizzazione costituisce infatti condotta, bensì abusiva, ma pur sempre in continuità al potere conferitogli, tale per cui, da un lato, quest’ultimo rimane premessa causalmente efficiente di quella condotta e, d’altro, il suo abuso costituisce evenienza prevedibile e suscettibile di essere prevenuta attraverso opportuna attività di organizzazione e vigilanza.
- La sentenza impugnata ha come detto applicato una erronea e più restrittiva regola di giudizio, non cogliendo appieno la ratio e la portata della norma codicistica, come interpretata dalla ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, e pervenendo di conseguenza ad una errata qualificazione della fattispecie.
Tale errore si riverbera anche nel rilievo attribuito alla condotta dell’investitrice/danneggiata, ritenuta espressiva di colpevole buona fede e per ciò solo idonea ad escludere la responsabilità della convenuta/appellata (in quanto rapportata alla diversa fattispecie di responsabilità per avere colpevolmente ingenerato l’affidamento del terzo).
Nella diversa prospettiva qualificatoria ex art. 2049 c.c., invero, come detto, la condotta del danneggiato potrebbe in astratto assumere rilievo diminuente o elidente solo se e in quanto integrante fattore causale autonomo e concorrente nella determinazione del danno ex art. 1227 c.c., comma 1, ciò che, però, può configurarsi in presenza di condotte che postulino la consapevolezza e la sostanziale acquiescenza dell’irregolare condotta del preposto o quanto meno la sua agevole e immediata percepibilità (v. supra p. 8): condotte dunque ben più imprudenti e azzardate di quella nella specie descritta in sentenza, siccome desumibile dalla “sottoscrizione di un generico modulo di adeguamento senza alcun riferimento ad una polizza specifica” e dalla “mancanza di quietanze a fronte peraltro del versamento della somma in contanti”.
Cassazione civile sez. III, 17/01/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 17/01/2020), n.857
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30086/2018 R.G. proposto da:
I.S., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Nicola Cera,
Sandra Antico e Donato Mondelli, con domicilio eletto presso lo
studio di quest’ultimo in Roma, Corso Trieste, n. 109;
– ricorrente –
contro
Alleanza Assicurazioni S.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv.
Giulia Salami, con domicilio eletto in Roma, via Gioacchino Belli,
- 36, presso lo studio degli Avv.ti Silvia Tritto e Silvia
Clemenzi;
– controricorrente –
e nei confronti di:
M.G.;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, n. 955/2018
depositata il 20 aprile 2018;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 3 dicembre
2019 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
- I.S. convenne in giudizio avanti il Tribunale di Verona Alleanza Toro S.p.a. chiedendone la condanna, ai sensi dell’art. 2049 c.c., al pagamento della somma di Euro 7.000.
Espose di avere consegnato tale somma a M.G. conosciuto sin dal 2002 quale collaboratore, agente, consulente, dipendente della convenuta – perchè fosse destinata all’adeguamento di strumenti assicurativi e di avere però successivamente appreso da altro collaboratore di Alleanza Toro S.p.a. che essa non era stata effettivamente versata alla società, nè tanto meno destinata all’investimento promesso.
Esteso il contraddittorio nei confronti del M., chiamato in causa dalla convenuta, ma rimasto contumace, il Tribunale rigettò la domanda, ritenendo non dimostrato l’effettivo esborso della detta somma, stante l’inammissibilità, ex artt. 2721 e 2726 c.c., della prova orale a tal fine dedotta.
- Tale decisione è stata confermata dalla Corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, sebbene sulla base di diversa motivazione.
Qualificata la domanda come diretta a far valere la responsabilità extracontrattuale della convenuta ai sensi dell’art. 2049 c.c., ha rilevato che la stessa andava rigettata per l’assorbente ragione della insussistenza nel caso concreto degli elementi, individuati dalla giurisprudenza di legittimità (con specifico riferimento all’arresto di Cass. 04/11/2014, n. 23448), necessari a fondare tale responsabilità.
Posto infatti che, nel caso di specie, era risultato che il M. non fosse legato da alcun rapporto con la società d’assicurazioni (nè di agenzia, nè di lavoro subordinato), ma operasse in proprio quale segnalatore di clienti “non autorizzato in ogni caso a raccogliere da questi somme superiori a Euro 1.500” e che, pertanto, la responsabilità della convenuta poteva configurarsi solo alla duplice condizione della buona fede del terzo e di una colpa dell’apparente preponente idonea ad ingenerarne l’affidamento, ha negato potesse ravvisarsi la prima di tali condizioni avuto riguardo: alla sottoscrizione di un generico modulo di adeguamento senza alcun riferimento ad una polizza specifica; alla mancanza di quietanze a fronte peraltro del versamento della somma in contanti.
- Avverso tale decisione I.S. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria; vi resiste Alleanza Assicurazioni S.p.a. depositando controricorso.
L’altro intimato, M.G. (rimasto contumace anche nel giudizio di appello), non svolge difese nella presente sede.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
- Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “motivazione apparente e/o irriducibilmente contraddittoria e/o perplessa o incomprensibile in merito alla statuizione di estraneità di M. alla struttura organizzativa di Alleanza Ass.ni”.
Rileva che tale valutazione è contraddetta dall’affermazione (pag. 14 della sentenza) che il M. aveva il potere di riscuotere per conto di Alleanza i premi non superiori ad Euro 1.500; circostanza soggiunge – mai contestata nemmeno da Alleanza e rilevante ai fini di causa dal momento che, se il M. fosse stato mero segnalatore e non avesse potuto riscuotere i premi, nessun danno si sarebbe verosimilmente verificato.
- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia inoltre, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 2094 e 2222 c.c., “sull’impossibilità di configurare come autonomo il rapporto tra M. e Alleanza”.
Sostiene che l’affermazione che il M. fosse un mero segnalatore di clienti, oltre ad essere sorretta da motivazione meramente apparente e/o contraddittoria, è comunque errata in diritto atteso che, secondo l’interpretazione giurisprudenziale, perchè possa configurarsi la responsabilità del preponente ex art. 2049 c.c., non è necessario che il rapporto datore di lavoro/commesso sia di tipo subordinato, bastando anche un “inserimento temporaneo o occasionale nell’organizzazione aziendale” ovvero che “le mansioni in concreto demandate abbiano facilitato la commissione dell’illecito e del danno” o ancora un rapporto di mera preposizione.
Rapporto questo, sostiene, ravvisabile nella specie in ragione dell’accertata autorizzazione all’incasso di somme sino ad Euro 1.500.
- Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’erronea mancata applicazione dell’art. 2049 c.c..
Sostiene, in sintesi, che la preposizione rilevante ai sensi dell’art. 2049 c.c., può derivare anche da un rapporto di fatto e che non sono essenziali nè la continuità, nè l’onerosità del rapporto; che è piuttosto sufficiente l’astratta possibilità di esercitare un potere di supremazia o di direzione, non essendo necessario l’esercizio effettivo di quel potere.
- Con il quarto motivo, infine, la ricorrente denuncia, in subordine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1189 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto insussistenti i presupposti (condotta colpevole idonea ad ingenerare l’affidamento del terzo danneggiato e buona fede di quest’ultimo) per la configurabilità della responsabilità della convenuta pur in assenza di rapporto alcuno di preposizione con il M..
Sostiene che il primo di tali presupposti era desumibile dalla mancata vigilanza sull’operato del M., effettuata solo con colpevole ritardo.
Quanto al secondo rileva che le prove acquisite dimostravano l’esistenza di una condotta del M. di consistenza e durata tale da ingenerare nel solvens una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell’accipiens.
Segnala infine la necessità di acquisire, nell’auspicato giudizio di rinvio, la sentenza del Tribunale di Verona, sezione penale, in data 22/10/2015 che, nel condannare il M. per i medesimi fatti, ha affermato che il reato è aggravato per essere stato commesso in ragione del rapporto di lavoro intercorrente con Alleanza assicurazioni e ha inoltre considerato quale circostanza attenuante l’avere l’imputato ammesso i fatti, tra cui l’avere sottratto all’ I. la somma di Euro 7.000.
- Il primo motivo è inammissibile.
Occorre rammentare che, come questa Corte ha più volte chiarito, il vizio di motivazione mancante o apparente, causa di nullità della sentenza per violazione dei doveri decisori, e dunque per error in procedendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, è configurabile (solo) quando la motivazione, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. ex multis Cass. Sez. U. 03/11/2016, n. 22232; Cass. 23/05/2019, n. 13977).
Sotto tale profilo, com’è stato ulteriormente precisato, “è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali” (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053, che a tale ipotesi ascrive oltre alla “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico” ed, appunto, al vizio di “motivazione apparente”, anche quelli, a quest’ultima similari e contigui, del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e della “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, escludendo comunque qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione).
Alla luce di tali pacifiche definizioni appare evidente che la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, è nella specie dedotta per ragioni che neppure in astratto possono considerarsi a tale vizio riconducibili.
Quel che si lamenta è, infatti, nella sostanza, non già la incomprensibilità della ratio decidendi (che al contrario viene rettamente intesa come volta a negare la configurabilità di un rapporto di committenza tra la convenuta e il M. rilevante agli effetti dell’art. 2049 c.c.) ma che essa è erronea in diritto; incontestata la ricognizione del fatto (e anzi, come detto, posta a base della doglianza) se ne contesta solo la qualificazione giuridica, ovvero la mancata applicazione a quel fatto delle conseguenze giuridiche che si assume avrebbero invece dovuto affermarsi.
- Tale prospettiva censoria è invece correttamente dedotta con il terzo motivo ed appare meritevole di accoglimento.
In tema di danni derivanti dalla condotta illecita del promotore di prodotti finanziari o assicurativi, la giurisprudenza di questa Corte è ormai ferma nel ritenere che la responsabilità della banca o della compagnia di assicurazioni è astrattamente inquadrabile quale responsabilità oggettiva ex art. 2049 c.c., cioè quale ipotesi di responsabilità indiretta per il danno provocato dal proprio incaricato, in quanto agevolato o reso possibile dalle incombenze demandategli, su cui la preponente aveva la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza (v. Cass. Sez. U. 16/05/2019, n. 13246; v. anche e pluribus Cass. 26/06/2019, n. 17060; 10/11/2015, n. 22956; 04/11/2014, n. 23448; 04/03/2014, n. 5020; 25/01/2011, n. 1741; 22/06/2007, n. 14578).
Per la sua configurabilità è necessario e sufficiente provare il “rapporto di occasionalità necessaria” tra la condotta antigiuridica posta in essere dall’agente e le incombenze che gli erano state affidate dal preponente, nel senso che l’incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l’evento dannoso, anche se il dipendente (o, comunque il collaboratore dell’imprenditore) abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purchè sempre nell’ambito dell’incarico affidatogli.
6.1. Una tale nozione – come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U. n. 13246 del 2019, cit., in motivazione, p.p. 46-51) – vale a descrivere null’altro che “una peculiare specie di relazione di causalità”, da valutarsi alla stregua del criterio di regolarità causale con il quale è declinato in ambito civile il principio di equivalenza causale di cui all’art. 41 cpv. c.p., tale per cui “la verificazione del danno-conseguenza non sarebbe stata possibile senza l’esercizio dei poteri conferiti da altri, che assurge ad antecedente necessario anche se non sufficiente”.
Deve dunque trattarsi di una “sequenza tra premesse e conseguenze… rigorosa e riferita a quelle tra queste che appaiano, con giudizio controfattuale di oggettivizzazione ex ante della probabilità o di regolarità causale, come sviluppo non anomalo, anche se implicante violazioni o deviazioni od eccessi in quanto anch’esse oggettivamente prevenibili, di attività rese possibili solo da quelle funzioni, attribuzioni o poteri.
“In tanto può giustificarsi, infatti, la scelta legislativa di far carico al preponente degli effetti delle attività compiute dai preposti, in quanto egli possa raffigurarsi ex ante quali questi possano essere e possa prevenirli o tenerli in adeguata considerazione nell’organizzazione della propria attività quali componenti potenzialmente pregiudizievoli: e quindi in quanto possa da lui esigersi di prefigurarsi gli sviluppi che possono avere le regolari (in quanto non anomale od oggettivamente improbabili) sequenze causali dell’estrinsecazione dei poteri (o funzioni o attribuzioni) conferiti al suo preposto, tra i quali rientra la violazione aperta del dovere di ufficio la cui cura è stata affidata” (Cass. Sez. U. sent. cit. p.p. 54, 56).
Vale, per converso, anche in tale ambito, l’elisione del nesso causale in ipotesi di fatto naturale o del terzo o del danneggiato che sia di per sè solo idoneo a determinare l’evento e trova altresì applicazione la regola generale dell’art. 1227 c.c., in tema di concorso del fatto colposo del danneggiato (su cui v., tra le altre, in tema di responsabilità per danno da cose in custodia, Cass. ord. nn. 2478, 2480 e 2482 del 2018).
6.2. Alla luce di tali premesse appare evidente che non assumono decisivo rilievo la natura e la fonte del rapporto esistente tra preponente e preposto, essendo sufficiente anche una mera collaborazione od ausiliarità del preposto, nel quadro dell’organizzazione e delle finalità dell’impresa gestita dal preponente (v. Cass. 16/03/2010, n. 6325; v. anche Cass. 03/04/2000, n. 4005; 21/06/1999, n. 6233; 17/05/1999, n. 4790). Il fondamento della responsabilità ex art. 2049, va infatti rinvenuto non già nella formale esistenza di un rapporto di lavoro o di agenzia, ma nel rapporto effettuale che si istituisce quando per volontà di un soggetto (committente), altro soggetto (commesso) esplica in fatto attività per di lui conto e sotto il suo potere (v. già Cass. 24/05/1988, n. 3616; nello stesso senso anche Cass. 09/08/1991, n. 8668, e ancor prima, ex anis, Cass. 02/04/1977, n. 1255); in altre parole, è sufficiente che l’agente sia inserito, anche se temporaneamente o occasionalmente, nell’organizzazione aziendale, ed abbia agito per conto e sotto la vigilanza dell’imprenditore (Cass. 09/11/2005, n. 21685; 09/08/2004, n. 15362; 22/03/1994, n. 2734).
Da ciò si deduce che la preposizione può derivare anche da un rapporto di fatto; che non sono essenziali nè la continuità, nè l’onerosità del rapporto; è, inoltre, sufficiente l’astratta possibilità di esercitare un potere di supremazia o di direzione, non essendo necessario l’esercizio effettivo di quel potere (v. in tal senso da ultimo Cass. 26/09/2019, n. 23973, che ha ritenuto sussistente la responsabilità dell’assicuratore per i danni conseguenti dalla condotta del sub-agente in un caso in cui, pur in assenza di alcun diretto rapporto tra gli stessi, risultava tuttavia che l’assicuratore: quale primo preponente, aveva conferito al sub-agente un autonomo e diretto potere rappresentativo; conservava un controllo diretto anche sul sub-agente; si avvaleva comunque di un’organizzazione imprenditoriale articolata in un reticolo di agenzie che operano di regola a mezzo di sub-agenti abilitati a vendere i prodotti assicurativi della preponente).
Quanto all’ambito qui di interesse, sarà quindi sufficiente che al promotore siano conferiti incarichi che, sia pure occasionalmente e temporaneamente, da un lato, lo legittimino a rivolgersi alla clientela per proporre prodotti finanziari o assicurativi della banca o della società d’assicurazioni e che, dall’altro, prevedano per ciò stesso un vantaggio riflesso per la compagnia. Che è quanto nella specie accaduto, alla stregua di quanto accertato in sentenza, come appresso sarà meglio esposto.
- Costituisce invece ben diverso paradigma di imputazione, alternativo alla responsabilità (oggettiva e indiretta) ex art. 2049 c.c., quello che può condurre a ritenere la banca o la compagnia d’assicurazione responsabile del danno provocato dalla condotta illecita del sedicente promotore, pur in mancanza di rapporti di committenza di alcun tipo, in applicazione del principio dell’apparenza del diritto, quando con il proprio comportamento colposo (e dunque, in tal caso, in forza della generale clausola aquiliana: art. 2043 c.c.) la banca o la compagnia d’assicurazione abbia ingenerato nel cliente il legittimo affidamento che il promotore agisse nell’ambito di incombenze affidategli, purchè in tal caso sussista la buona fede incolpevole del terzo danneggiato (vds., per tale diversa ipotesi, Cass. 04/11/2014, n. 23448, citata in sentenza).
- E’ bene precisare che la colpevole buona fede svolge in questa ipotesi un ruolo diverso da quello che, come sopra s’è detto, può in astratto assumere nella prospettiva qualificatoria correlata all’art. 2049 c.c..
Mentre nel primo caso essa porta ad escludere la configurabilità di un elemento costitutivo della responsabilità dell’apparente preponente, ossia l’incolpevole affidamento del terzo, nel secondo caso (responsabilità indiretta ex art. 2049 c.c.) la colpa del terzo non incide sul fondamento dell’imputazione di responsabilità ma può solo assumere rilievo di fattore all’origine di una diversa serie causale che concorre all’evento dannoso ex art. 1227 c.c., fino eventualmente ad elidere il nesso che collega quest’ultimo al fatto del preponente.
Ne discende la necessità di un diverso metro di ponderazione della colpa del danneggiato.
Nel primo caso (affidamento incolpevole) rileverà la mancanza della diligenza media esigibile, avuto riguardo al contesto sociale e culturale di riferimento, nel discernere l’inesistenza di alcun collegamento tra l’apparente preposto e l’ente.
Nel secondo caso, che qui interessa, nel quale tale collegamento è già, obiettivamente, nei fatti, la colpa del danneggiato sarà apprezzabile in presenza di un coinvolgimento soggettivo del danneggiato ben più marcato; la credulità del danneggiato va in altre parole diversamente ponderata, in detta ipotesi, in considerazione della giustificazione che, almeno in parte, ne può derivare proprio dall’inserimento del preposto nell’organizzazione dell’impresa preponente
- In tal senso questa Corte ha già più volte affermato che, nella prospettiva qualificatoria di cui all’art. 2049 c.c., la condotta del terzo/investitore – non inserendosi nella situazione di potenzialità dannosa determinata dal contegno della preponente, ma appartenendo ad una serie eziologica diversa e determinante dell’evento – può giungere a interrompere il nesso causale solo allorchè gli fosse chiaramente percepibile che la condotta del preposto si poneva in assenza o al di fuori del rapporto con l’intermediario ovvero fosse consapevolmente coinvolto nell’elusione della disciplina legale posta in essere dal promotore finanziario o ancora quando avesse prestato acquiescenza all’irregolare condotta del preposto: acquiescenza desunta dal numero o dalla ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, dal valore complessivo delle operazioni, dall’esperienza acquisita nell’investimento di prodotti finanziari, dalla conoscenza del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e dalle sue complessive condizioni culturali e socioeconomiche (v. Cass. 22/11/2018, n. 30161; Cass. 14/12/2018, n. 32514).
In tale prospettiva, nel definire il contenuto di questa prova liberatoria la giurisprudenza di legittimità, si è, ad esempio, escluso che la consegna di somme di denaro da parte del cliente con modalità difformi da quelle cui il promotore dovrebbe attenersi possa di per sè escludere il rapporto di necessaria occasionalità ed anche che possa costituire concausa del danno o determinare l’applicazione dell’art. 1227 c.c., ai fini della riduzione del risarcimento spettante all’investitore (Cass. n. 32514 del 2018, cit.; Cass. 01/03/2016, n. 4037; 24/07/2009, n. 17393).
- Nel caso di specie, la Corte d’appello, sulla premessa della non configurabilità del presupposto del rapporto di occasionalità necessaria con le incombenze affidate al promotore/segnalatore, ha ritenuto di poter esaminare la fattispecie solo nella seconda prospettiva qualificatoria di cui si è detto, escludendone poi in concreto l’applicabilità per non essere apprezzabile il presupposto della buona fede del danneggiato.
E’ proprio però sulla detta premessa (della non configurabilità di un rapporto di occasionalità necessaria) che si situa l’errore di diritto in cui è incorsa la Corte di merito, consistito propriamente in una erronea interpretazione della norma di cui all’art. 2049 c.c. (infondatamente postulata come richiedente la sussistenza di un rapporto qualificato di agenzia o di lavoro subordinato).
Emerge infatti che il M. – sebbene non avesse la qualifica di agente, nè di dipendente della società di assicurazioni – operasse tuttavia pur sempre nell’interesse di questa quale “segnalatore di clienti” sulla base di una “lettera di autorizzazione” (richiamata quale doc. 2 prodotto in giudizio dalla stessa convenuta) “specificante la natura dei rapporti effettivamente sussistenti tra il convenuto e la compagnia assicuratrice”, tali per cui il M. si rendeva disponibile, quale “”Produttore libero”,… a segnalare nominativi di persone interessate a sottoscrivere i contratti di assicurazione con la società”, con l’autorizzazione all’incasso di premi non superiori a Euro 1.500.
Sussisteva dunque, tra la società e il M., un rapporto che, ancorchè non di lavoro subordinato nè di agenzia, tuttavia lo legittimava a trattare con potenziali clienti della compagnia, in nome e a vantaggio della stessa, e ad incassarne anche somme sia pure di importo limitato.
Il che è quanto basta, alla luce della richiamata giurisprudenza, a configurare la responsabilità oggettiva e indiretta della società ex art. 2049 c.c., la quale, giova ribadire, trova la sua ragion d’essere, per un verso, nel fatto che l’agire del promotore è uno degli strumenti dei quali l’intermediario si avvale nell’organizzazione della propria impresa, traendone benefici ai quali è ragionevole far corrispondere i rischi, secondo l’antica regola cuius commoda eius et incommoda; per altro verso, e in termini più specifici, nell’esigenza di offrire una adeguata garanzia ai destinatari delle offerte fuori sede loro rivolte per il tramite del promotore, giacchè appunto per le caratteristiche di questo genere di offerte la buona fede dei clienti può più facilmente esserne sorpresa e aggirata (v. Cass. Sez. U. n. 13246 del 2019, in motivazione p. 24; ma v. già, ex multis, Cass. n. 1741 del 2011; Cass. 07/04/2006, n. 8229).
L’avere il promotore/segnalatore incassato somme eccedenti il limite della conferitagli autorizzazione costituisce infatti condotta, bensì abusiva, ma pur sempre in continuità al potere conferitogli, tale per cui, da un lato, quest’ultimo rimane premessa causalmente efficiente di quella condotta e, d’altro, il suo abuso costituisce evenienza prevedibile e suscettibile di essere prevenuta attraverso opportuna attività di organizzazione e vigilanza.
- La sentenza impugnata ha come detto applicato una erronea e più restrittiva regola di giudizio, non cogliendo appieno la ratio e la portata della norma codicistica, come interpretata dalla ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, e pervenendo di conseguenza ad una errata qualificazione della fattispecie.
Tale errore si riverbera anche nel rilievo attribuito alla condotta dell’investitrice/danneggiata, ritenuta espressiva di colpevole buona fede e per ciò solo idonea ad escludere la responsabilità della convenuta/appellata (in quanto rapportata alla diversa fattispecie di responsabilità per avere colpevolmente ingenerato l’affidamento del terzo).
Nella diversa prospettiva qualificatoria ex art. 2049 c.c., invero, come detto, la condotta del danneggiato potrebbe in astratto assumere rilievo diminuente o elidente solo se e in quanto integrante fattore causale autonomo e concorrente nella determinazione del danno ex art. 1227 c.c., comma 1, ciò che, però, può configurarsi in presenza di condotte che postulino la consapevolezza e la sostanziale acquiescenza dell’irregolare condotta del preposto o quanto meno la sua agevole e immediata percepibilità (v. supra p. 8): condotte dunque ben più imprudenti e azzardate di quella nella specie descritta in sentenza, siccome desumibile dalla “sottoscrizione di un generico modulo di adeguamento senza alcun riferimento ad una polizza specifica” e dalla “mancanza di quietanze a fronte peraltro del versamento della somma in contanti”.
- In accoglimento del terzo motivo, assorbiti il secondo e il quarto, la sentenza va pertanto cassata, con rinvio al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione; dichiara inammissibile il primo; assorbiti i rimanenti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020