CONVIVENZA MORE UXORIO BOLOGNA DIRITTI ragioni soluzioni
Mi occupo di diritto di famiglia perché è un settore del diritto civile che richiede non solo una grande competenza in materia, ma anche una profonda disponibilità nell’ascoltare i clienti e la capacità di affrontare i problemi senza mai confondere il proprio ruolo di legale con le proprie convinzioni personali.
Difendere al meglio un proprio patrocinato non significa avvalorare posizioni infondate, ma guidare il cliente verso la scelta migliore per sé e soprattutto per i propri figli.
Affidamento e collocazione dei figli maggiorenni non autosufficienti
Diritto di visita per genitore e nonni
Contributo al mantenimento dei figli e spese straordinarie
Accordo di convivenza sui rapporti patrimoniali
Accordo di convivenza sui rapporti personali
Accordo economico di post-convivenza
Affidamento e collocazione dei figli minorenni
Una attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio può configurarsi come adempimento di un’obbligazione naturale allorchè la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens (Cass. n. 3713 del 13/03/2003; Cass. n. 14732 del 07/06/2018; Cass. n. 11303 del 12/06/2020). A monte vi è da considerare che “L’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicchè non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale. E’, pertanto, possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza” (Cass. n. 11330 del 15/05/2009).
– Per giurisprudenza consolidata, incombe a colui che promuove l’azione di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. provarne i fatti costitutivi, e cioè il pregiudizio proprio e la dipendenza di questo da una non giustificata locupletazione del convenuto (Cass. N. 1061/1963).
In particolare in materia di rapporti fra conviventi more uxorio- secondo i principi enunciati dalla Suprema Corte, richiamati dalla stessa difesa dell’attore- l’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale; è, pertanto, possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente “more uxorio” nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza (cfr., ex multis, Cass. Civ. n. 14732/2018;Cass. Civ. n. 11330/2009).
Nel caso in esame fra l’attore e la convenuta è intercorso un rapporto di convivenza protratto per quasi ventisei anni, nel corso del quale sono nati due figli.
La convivenza fra le parti si è concretizzata, quindi, in una unione di fatto, quale formazione sociale rilevante ex art. 2 Cost., caratterizzata da doveri di natura morale e sociale, di ciascun convivente nei confronti dell’altro, che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniale e si configurano come adempimento di un’obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. ove siano rispettati i principi di proporzionalità ed adeguatezza (Cass. n. 1266/2016).
Nel presente giudizio era, quindi, onere del sig. C. dimostrare-e ancora prima chiaramente allegare-gli esborsi effettuati a vantaggio esclusivo della convivente ed altresì le circostanze oggettive dalle quali desumere che tali esborsi si collocassero oltre la soglia di proporzionalità ed adeguatezza del doveroso contributo al mantenimento della famiglia e dei figli rispetto ai mezzi di ciascuno dei partners; solo le prestazioni patrimoniali eccedenti tale soglia avrebbero potuto costituire oggetto di arricchimento indebito in favore dell’ex convivente, in quanto esulanti dall’adempimento delle predette obbligazioni naturali.
L’attore non ha assolto, invece, tale onere di allegazione e prova.
A fondamento della domanda ex art. 2041 c.c. l’attore ha evidenziato che il conto corrente cointestato n. (…) acceso presso l’istituto bancario I.S.P. di via V., M. era stato alimentato unicamente dallo stesso C., avendo la F. versato solamente il proprio stipendio in 3 occasioni in circa venti anni, ovvero in data gennaio 2010, febbraio 2010 e marzo 2010 per un totale di Euro 1.616,27; i guadagni della cartoleria non risultano essere stati mai depositati sul conto cointestato della coppia, bensì sul conto corrente intestato unicamente alla convenuta, aperto presso B.I. di viale Ajaccio Abi 03069- Cab 09589 e successivamente trasferito presso la D.B. al c/c n. (…).
Nella comparsa conclusionale l’attore ha riassunto le proprie allegazioni e ha asserito di avere documentato le seguenti circostanze: l’immobile di Viale U. n. 21/4, acquistato in comproprietà nell’ottobre 1997 risulta “per tabulas essere stato pagato con un mutuo, le cui rate venivano addebitate direttamente sul sopra citato conto corrente cointestato alimentato dal solo stipendio del C.”; sul predetto conto corrente, è stato anche addebitato il pagamento dell’assicurazione sulla vita intestata alla signora L.F. per l’importo mensile di Euro 129,11 annui dal 1997 sino al 2018; l’acquisto dell’immobile sito via U. di N. 3, M., di 140 mq, risulta essere stato pagato con un mutuo, le cui rate venivano addebitate direttamente sul conto corrente cointestato e, pertanto, l’importo complessivo per l’acquisto del suddetto immobile ammontante ad Euro 104.079,19 è stato pagato a partire dal 2 novembre 2004 sino al 20 giugno 2018 con lo stipendio del solo signor C.; l’attore ha partecipato al riacquisto dell’edicola della famiglia F. venduta in precedenza, con Euro 40.000,00 di cambiali ed anticipazione sulla pensione, pari ad Euro 9.000,00; sul conto corrente acceso dalla F. presso la D.B. è stata accreditata una parte dell’importo dell’anticipo pensionistico del sig. C., pari ad Euro 6.000,00, nonché la somma di Euro 5.600,00 quale quota del rimborso della polizza vita della F., nonostante le relative rate nel corso degli anni fossero state pagate con il solo stipendio del signor C.; C. ha corrisposto a favore della F. la somma di Euro 15.000,00, reperita dallo stesso attraverso un finanziamento A.D. dell’importo di Euro 15.000,00, le cui rate dell’importo di Euro 350,00 venivano addebitate sul conto cointestato; C. ha acquisto nel Febbraio 2016 per la signora F., con intestazione alla medesima,l’autovettura Volkswagen Up dell’importo di Euro 13.000,00 con finanziamento Volkswagen da Euro 203,25 mensili addebitata sempre sul conto corrente cointestato, alimentato con le sole entrate del C..
1.2- Si rileva che le allegazioni dell’attore devono essere valutate alla stregua della documentazione prodotta, considerato che vanno respinte le sue istanze di prova orale e di CTU.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 33302-2019 proposto da:
G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO ORESTANO 21, presso lo studio dell’avvocato FABIO PONTESILLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SILVIA PAJANI;
– ricorrente –
contro
C.M.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 217/2019 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 04/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GORGONI MARILENA.
Svolgimento del processo
che:
G.S. ricorre per la cassazione della sentenza n. 217/2019 della Corte d’Appello di Trieste, pubblicata il 4 aprile 2019, articolando due motivi.
Nessuna attività difensiva è svolta dall’intimata.
Il ricorrente espone di aver citato, dinanzi al Tribunale di Udine, C.M., ex compagna convivente, per ottenerne la condanna al pagamento di Euro 92.042,01 o della diversa minor somma corrispondente a quanto pagato per eseguire una serie di lavori ed opere nell’immobile di proprietà della convenuta.
Il Tribunale, con sentenza del 26 ottobre 2017, accoglieva la domanda attorea e condannava la convenuta a corrispondere Euro 82.583,83, ritenendo gli esborsi effettuati da G.S. non riconducibili alla solidarietà conseguente alla comunanza di affetti, durata solo quattro anni, anche in considerazione delle ulteriori spese sostenute per il mènage familiare, dell’esclusivo vantaggio ricavatone dalla proprietaria dell’immobile e dell’obiettiva consistenza della somma impiegata rispetto al reddito dell’attore e al suo complessivo patrimonio.
C.M. impugnava la predetta sentenza dinanzi alla Corte d’Appello di Trieste, ritenendola viziata per extrapetizione, avendo accolto la domanda dell’odierno ricorrente proposta tardivamente, solo sanandone l’erronea qualificazione, e ritenendo ricorrenti i presupposti di cui all’art. 2041 c.c., anzichè quelli di cui all’art. 2034 c.c. La Corte d’Appello, con il pronunciamento oggetto dell’odierno ricorso, accoglieva il gravame, ritenendo che G.S. avesse dato il consenso al verificarsi dello squilibrio patrimoniale, giacchè aveva partecipato attivamente ai lavori di ristrutturazione, scegliendo in modo autonomo gli impianti e gli arredi da utilizzare nella casa della convenuta destinata a residenza familiare, persino scontrandosi con la ex convivente che aveva dimostrato di aver reputato talune scelte eccessive, aveva volontariamente deciso di farsi carico di una parte delle spese di ristrutturazione dell’immobile; qualificava le prestazioni effettuate da G.S. come obbligazioni naturali, trovando esse giustificazione nei doveri di carattere morale e civile di solidarietà e di reciproca assistenza nei confronti della partner e della figlia e non travalicando i limiti di proporzionalità e di adeguatezza rispetto ai mezzi di cui l’adempiente disponeva e all’interesse da soddisfare (i redditi da lavoro dei due conviventi erano simili nell’ammontate, ma il patrimonio immobiliare e mobiliare di G.S. nel 2013, anno di cessazione della convivenza, era risultato di 500.000,00 Euro).
Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fis azione dell’adunanza della Corte.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
che:
- Con il primo motivo il ricorrente deduce, ex art. 360c.p.c., comma 1, n. 3, la “Violazione o falsa applicazione della norma di cui all’art. 2041c.c.”, per non avere la sentenza impugnata tenuto conto che le prestazioni effettuate trovavano ragione nel programma di vita comune con C.M. che, però, era naufragato dopo solo quattro anni. L’assunto da cui risulta partita la Corte d’Appello, cioè l’inconciliabilità tra la convivenza more uxorio e l’azione di arricchimento senza causa nell’ipotesi di prestazioni rese da un convivente a favore dell’altro per ristrutturare o costruire la dimora comune, posto che tali elargizioni sono inevitabilmente spontanee, si porrebbe in contrasto – secondo la prospettazione del ricorrente – con la giurisprudenza di legittimità. L’erroneità della decisione impugnata emergerebbe proprio dal confronto con l’orientamento di questa Corte, più volte espressasi sulla sussistenza del diritto dell’ex convivente di esperire l’azione di ingiustificato arricchimento, a prescindere dalla spontaneità delle elargizioni, ove le stesse abbiano portato al vantaggio dell’altro, esorbitino i limiti di proporzionalità e di adeguatezza, atteso che la volontarietà del conferimento è indirizzata non solo a vantaggio del partner proprietario esclusivo, ma alla formazione e fruizione del bene comune, escludendo che il conferimento possa configurarsi alla stregua di un’attribuzione spontanea a favore dell’accipiens ovvero di una disposizione liberale.
Il motivo è infondato.
La sentenza in scrutinio ha affermato, con accertamento di fatto, non adeguatamente censurato, che l’importo delle operazioni effettuate dovesse essere ricondotto all’adempimento di un dovere morale e sociale, così da rientrare nella previsione di irripetibilità di cui all’art. 2034 c.c., in quanto non esorbitante dalle esigenze familiari e rispettoso dei minimi di proporzionalità ed adeguatezza di cui alla medesima disposizione.
La conclusione della sentenza impugnata è coerente con l’affermazione della giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale un’attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio può configurarsi come adempimento di un’obbligazione naturale allorchè la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens (Cass. n. 3713 del 13/03/2003; Cass. n. 14732 del 07/06/2018; Cass. n. 11303 del 12/06/2020). A monte vi è da considerare che “L’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicchè non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale. E’, pertanto, possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza” (Cass. n. 11330 del 15/05/2009).
Quella proposta dall’odierno ricorrente è, dunque, una doglianza di merito tendente alla rivalutazione dei dati processuali, non deducibile in sede di legittimità, se non nei ristretti limiti in cui è, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., n. 5, ora consentito denunciare vizi di motivazione, che nel caso specifico non ricorrono, avendo i giudici di merito correttamente giustificato il loro convincimento, circa la configurabilità della prestazione di G.S. come adempimento di un’obbligazione naturale, allorchè hanno rilevato che sussisteva un rapporto di proporzionalità tra le opere realizzate e l’adempimento dei doveri morali e sociali da lui assunti nell’ambito della convivenza di fatto connotata dalla presenza di prole.
2.Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la “Violazione o falsa applicazione della norma di cui all’art. 2034 c.c. e per omesso esame di un fatto decisivo”, per non avere la Corte d’Appello considerato che le prestazioni oggetto di controversia non erano andate a vantaggio della prole, ma solo di C.M., avendo incrementato il valore di un bene di sua proprietà senza essere strumentali alle concrete esigenze quotidiane.
Il motivo è inammissibile.
Esso non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata quanto all’inquadramento della fattispecie nell’ambito concettuale dell’obbligazione naturale, ravvisata nella riconduzione delle prestazioni rese nei doveri di carattere morale e civile di solidarietà e reciproca assistenza nei confronti del partner e, soprattutto, dei figli, in considerazione del fatto che i due conviventi avevano in vista il proposito, poi realizzato, di vivere insieme e creare una famiglia, decidendo di rendere l’immobile di proprietà esclusiva di C.M. confacente alle esigenze della coppia e della nascitura e del loro auspicato stile di vita (p. 5 della sentenza).
Questa ratio decidendi non è in alcun modo investita dalle censure del ricorrente che in tutta evidenza si sostanziano in una sollecitazione, rivolta a questa Corte, a rivalutare gli accertamenti fattuali: sollecitazione che, però, è estranea al perimetro del sindacato di legittimità, perchè incompatibile con i suoi caratteri morfologici e funzionali. L’accoglimento di tale richiesta implicherebbe la trasformazione del processo di cassazione in un terzo giudizio di merito, nel quale ridiscutere il contenuto di fatti e di vicende del processo e dei convincimenti del giudice maturati in relazione ad essi – evidentemente non graditi – al fine di ottenere la sostituzione di questi ultimi con altri più collimanti con propri desiderata, rendendo, in ultima analisi, fungibile la ricostruzione dei fatti e le valutazioni di merito con il sindacato di legittimità avente ad oggetto i provvedimenti di merito.
- Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.
- Nulla deve essere liquidato per le spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva in questa sede.
- Seguendo l’insegnamento di Cass., Sez. Un., 20/02/2020 n. 4315, si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO
QUINTA CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Margherita Monte
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 37891/2019 promossa da:
P.C. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. PROTO ENRICA CRISTINA, elettivamente domiciliato in VIA PAISIELLO 1 MILANO presso il difensore avv. PROTO ENRICA CRISTINA
ATTORE
contro
L.F. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. CICCARONE ADRIANA, elettivamente domiciliato in VIA MAMELI, 20 20129 MILANO presso il difensore avv. CICCARONE ADRIANA
CONVENUTA
OGGETTO: Arricchimento senza causa
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
L’attore sig. P.C. ha citato in giudizio la convenuta sig.ra L.F., chiedendo la sua condanna, ai sensi dell’art. 2041 del c.c., al pagamento dell’indennizzo di Euro 143.679,19, per l’ingiustificato arricchimento che la stessa convenuta avrebbe conseguito per effetto degli esborsi effettuati da C. durante il periodo di convivenza more uxorio. L’attore, in via subordinata, chiede ai sensi dell’art. 2033 del c.c. la condanna della convenuta alla ripetizione dell’indebito, per un importo corrispondente a quello suindicato. L’attore allega di avere conosciuto la sig.ra F. nel 1995 e di avere convissuto more uxorio sino al maggio del 2018; di avere aperto il conto corrente n. (…) presso I.S. di via V. in M., cointestato con la F., sul quale nel corso della convivenza erano confluiti solo gli stipendi dell’attore, mentre la F. aveva provveduto ad effettuare versamenti del proprio stipendio solo in tre occasioni “in data gennaio , febbraio 2010 e marzo 2010; di avere acquistato, nell’ottobre del 1997, in comproprietà con la F. l’immobile di Viale U. n. 21/4 in M., aprendo un mutuo le cui rate venivano addebitate sul conto cointestato suindicato. Secondo le allegazioni di parte attrice, sul conto cointestato erano stati addebitati i premi relativi al pagamento dell’assicurazione sulla vita intestata alla sig.ra F., “per l’importo mensile di Euro 129,11 annui dal 1997 fino al 2018”; a seguito della nascita dei due figli, la coppia aveva deciso di acquistare l’abitazione di via U. di N. 3- intestata alla madre della sig.ra F., V.R.M. – per un importo complessivo di Euro 104.079,19 euro, il cui ammontare era stato pagato dal 2 novembre 2004 al 29 giugno 2018, con lo stipendio del C.. L’attore allega, inoltre, che nel 2010, al fine di riacquistare l’edicola della famiglia F., si era indebitato per la somma di 40.000 euro, a titolo di cambiali, ritirando un anticipo sulla pensione corrispondente a Euro 9.000,00 e che aveva erogato un prestito alla F. di Euro 15.000, per il quale era stato contratto un finanziamento A.D. del medesimo importo; le rate di questo finanziamento- di Euro 350 l’una – venivano addebitate sul conto cointestato. L’attore afferma, altresì, di avere contratto un finanziamento di Euro 13.000 a partire dal febbraio 2016, per l’acquisto dell’autovettura Volkswagen Up, con addebito mensile sul conto corrente cointestato di 203,25 euro. Il sig. C. afferma, infine, di percepire uno stipendio di 1600 euro mensili e di essere proprietario unicamente della quota pari al 50% del bilocale di Viale U. e dell’autovettura Audi Q3.
La sig.ra F. si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto delle domande avversarie, siccome infondate in fatto e in diritto, insistendo altresì per la condanna dell’attore al risarcimento dei danni per lite temeraria, ai sensi dell’art. 96 c.p.c. In punto di fatto, con riferimento all’acquisto dell’immobile di Viale U. n. 21/4 la sig.ra F. ha replicato che la coppia aveva acquistato l’immobile per un importo di 100.000.000 di lire, ottenendo un sostegno dalla famiglia della stessa convenuta per un importo di 20.000.000 di lire. La F. replica che il sig. C. aveva ricevuto dalla sig.ra V. (madre della convenuta) l’importo di Euro 300 mensili, fino a tutto il 2016, per un importo complessivo di 10.200 euro. A partire dal 2008-2009 l’immobile di Viale U. n. 21/4 era stato locato alla sig.ra V., la quale aveva corrisposto al sig. C. la somma di Euro 1000 mensili, per la durata di 19 mesi, per il totale di 19.000 euro; dal 1 maggio 2017 al mese di aprile 2019 C. aveva percepito dal successivo inquilino (subentrato alla sig.ra V.) la somma di Euro 600 mensili, per un totale di 7.200 euro; dal mese di maggio 2019, invece, la sig.ra F. aveva chiesto all’inquilino di pagare la metà dell’importo a ognuno dei proprietari. Quanto all’acquisto dell’immobile di via U. di N. n. 3, la convenuta ha replicato che l’abitazione era stata acquistata per un importo di 179.600,00 e che al 30.9.2019 il mutuo residuo ammontava ad Euro 114.873,02 su un mutuo complessivo di Euro 165.000,00. La convenuta allega, inoltre, che per l’acquisto della cartoleria erano state sottoscritte cambiali, per un importo di Euro 39.000, interamente pagate dalla stessa convenuta e che C. aveva ritirato la somma di Euro 9.000, come anticipo sulla pensione, non per aiutare la convenuta nell’acquisto della cartoleria, ma per l’acquisto di un Audi Q3, cointestata alla coppia. Quanto al finanziamento di Euro 15.000, la convenuta ha eccepito che la somma era stata restituita, per un verso, con versamenti mensili di Euro 450 per 15 mesi, uno di Euro 500 e uno di Euro 600 (per un importo complessivo di Euro 7.850); per altro verso, con il pagamento delle rate di leasing dell’Audi Q3, per le quali la convenuta aveva pagato per 5 anni una rata mensile variabile da 522,41 euro a 529,62 euro, alle quali si è aggiunta la rata finale di riscatto di Euro 7.249,30.
Dopo il deposito delle memorie ex art. 183, VI comma, c.p.c. la causa è stata assunta in decisione sulla base degli atti e dei documenti depositati.
In via preliminare si rileva la convenuta ha eccepito per la prima volta nella comparsa conclusionale la nullità della citazione per inosservanza dei termini a comparire; l’eccezione va respinta, perché in ogni caso la costituzione della convenuta ha sanato l’asserita nullità, non avendo la convenuta tempestivamente dedotto l’inosservanza dei termini a norma dell’art. 164, III comma c.p.c.
Si rileva, inoltre, preliminarmente che dopo l’udienza del 9.12.2020 in cui la causa è stata assunta in decisione, il procuratore della convenuta ha depositato nel fascicolo telematico in data 13.1.2021 una “Nota di deposito documenti” sub (…)) Bonifici V./C. per Euro 300,00 mensili; (…)) Bonifici V. – F./ C. per Euro 1.000,00 mensili; (…)) Versamenti inquilino per Euro 600,00 a C.; (…)) Cambiali pagate da F. per Euro. 39.000,00, asserendo: “la scrivente ha potuto constatare che la cancelleria erroneamente non ha scaricato correttamente i documenti prodotti con la comparsa di costituzione e risposta dal n. 3 al n. 6, che pertanto rideposita”. Tale produzione è stata contestata dal procuratore dell’attore nella memoria di replica ex art. 190 c.p.c., nella quale ha eccepito la tardività della produzione documentale effettuata con nota di deposito del 13 Gennaio 2021 con la quale “furbescamente controparte ha introdotto nel giudizio una serie di documenti, depositati dopo lo spirare del termine di cui all’articolo 183 comma VI c.p.c., addossando grottescamente la colpa alla Cancelleria”. Al riguardo si dà atto che nel fascicolo telematico non sono stati depositati dal procuratore della convenuta i documenti indicati come prodotti nella comparsa di costituzione sub (…),(…),(…),(…) e non risulta che si sia trattato di un disservizio della Cancelleria e, peraltro, sarebbe stato onere del procuratore della parte verificare il buon esito del deposito telematico dei documenti indicati nella comparsa di costituzione e, in caso di omesso deposito per causa non imputabile al procuratore, avrebbe dovuto formulare istanza di rimessione in termini ex art. 153, II prima del maturarsi delle preclusioni istruttorie e, comunque, prima dell’assunzione della causa in decisione, per consentire alla controparte di verificare i documenti depositati. Ne consegue che è tardiva e, dunque, inammissibile la produzione dei documenti depositati sub (…)-(…) con la nota telematica in data 13.1.2021, dei quali non si terrà conto ai fini della decisione.
Ciò premesso, sulle domande dell’attore si rileva quanto segue.
1)- La domanda principale d’ingiustificato arricchimento va respinta.
1.1- Per giurisprudenza consolidata, incombe a colui che promuove l’azione di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. provarne i fatti costitutivi, e cioè il pregiudizio proprio e la dipendenza di questo da una non giustificata locupletazione del convenuto (Cass. N. 1061/1963).
In particolare in materia di rapporti fra conviventi more uxorio- secondo i principi enunciati dalla Suprema Corte, richiamati dalla stessa difesa dell’attore- l’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale; è, pertanto, possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente “more uxorio” nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza (cfr., ex multis, Cass. Civ. n. 14732/2018;Cass. Civ. n. 11330/2009).
Nel caso in esame fra l’attore e la convenuta è intercorso un rapporto di convivenza protratto per quasi ventisei anni, nel corso del quale sono nati due figli.
La convivenza fra le parti si è concretizzata, quindi, in una unione di fatto, quale formazione sociale rilevante ex art. 2 Cost., caratterizzata da doveri di natura morale e sociale, di ciascun convivente nei confronti dell’altro, che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniale e si configurano come adempimento di un’obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. ove siano rispettati i principi di proporzionalità ed adeguatezza (Cass. n. 1266/2016).
Nel presente giudizio era, quindi, onere del sig. C. dimostrare-e ancora prima chiaramente allegare-gli esborsi effettuati a vantaggio esclusivo della convivente ed altresì le circostanze oggettive dalle quali desumere che tali esborsi si collocassero oltre la soglia di proporzionalità ed adeguatezza del doveroso contributo al mantenimento della famiglia e dei figli rispetto ai mezzi di ciascuno dei partners; solo le prestazioni patrimoniali eccedenti tale soglia avrebbero potuto costituire oggetto di arricchimento indebito in favore dell’ex convivente, in quanto esulanti dall’adempimento delle predette obbligazioni naturali.
L’attore non ha assolto, invece, tale onere di allegazione e prova.
A fondamento della domanda ex art. 2041 c.c. l’attore ha evidenziato che il conto corrente cointestato n. (…) acceso presso l’istituto bancario I.S.P. di via V., M. era stato alimentato unicamente dallo stesso C., avendo la F. versato solamente il proprio stipendio in 3 occasioni in circa venti anni, ovvero in data gennaio 2010, febbraio 2010 e marzo 2010 per un totale di Euro 1.616,27; i guadagni della cartoleria non risultano essere stati mai depositati sul conto cointestato della coppia, bensì sul conto corrente intestato unicamente alla convenuta, aperto presso B.I. di viale Ajaccio Abi 03069- Cab 09589 e successivamente trasferito presso la D.B. al c/c n. (…).
Nella comparsa conclusionale l’attore ha riassunto le proprie allegazioni e ha asserito di avere documentato le seguenti circostanze: l’immobile di Viale U. n. 21/4, acquistato in comproprietà nell’ottobre 1997 risulta “per tabulas essere stato pagato con un mutuo, le cui rate venivano addebitate direttamente sul sopra citato conto corrente cointestato alimentato dal solo stipendio del C.”; sul predetto conto corrente, è stato anche addebitato il pagamento dell’assicurazione sulla vita intestata alla signora L.F. per l’importo mensile di Euro 129,11 annui dal 1997 sino al 2018; l’acquisto dell’immobile sito via U. di N. 3, M., di 140 mq, risulta essere stato pagato con un mutuo, le cui rate venivano addebitate direttamente sul conto corrente cointestato e, pertanto, l’importo complessivo per l’acquisto del suddetto immobile ammontante ad Euro 104.079,19 è stato pagato a partire dal 2 novembre 2004 sino al 20 giugno 2018 con lo stipendio del solo signor C.; l’attore ha partecipato al riacquisto dell’edicola della famiglia F. venduta in precedenza, con Euro 40.000,00 di cambiali ed anticipazione sulla pensione, pari ad Euro 9.000,00; sul conto corrente acceso dalla F. presso la D.B. è stata accreditata una parte dell’importo dell’anticipo pensionistico del sig. C., pari ad Euro 6.000,00, nonché la somma di Euro 5.600,00 quale quota del rimborso della polizza vita della F., nonostante le relative rate nel corso degli anni fossero state pagate con il solo stipendio del signor C.; C. ha corrisposto a favore della F. la somma di Euro 15.000,00, reperita dallo stesso attraverso un finanziamento A.D. dell’importo di Euro 15.000,00, le cui rate dell’importo di Euro 350,00 venivano addebitate sul conto cointestato; C. ha acquisto nel Febbraio 2016 per la signora F., con intestazione alla medesima,l’autovettura Volkswagen Up dell’importo di Euro 13.000,00 con finanziamento Volkswagen da Euro 203,25 mensili addebitata sempre sul conto corrente cointestato, alimentato con le sole entrate del C..
1.2- Si rileva che le allegazioni dell’attore devono essere valutate alla stregua della documentazione prodotta, considerato che vanno respinte le sue istanze di prova orale e di CTU.
L’attore ha formulato, infatti, una prova testimoniale volta a confermare i seguenti capitoli: 1) “Vero che il signor P.C. nei mesi di giugno/luglio 2013 ha personalmente eseguito opere di ripristino del locale, di illuminazione e di muratura?”; 2) “Vero che il signor P.C. ha acquistato, a proprie spese, i materiali necessari per la ristrutturazione e acquisto dei primi materiali della cartoleria?”; 3) “Vero che il signor P.C. a far data dal 2010, anno di riacquisto della cartoleria, e sino all’anno 2017, ha lavorato in cartoleria dalle ore 6.00 alle ore 8.00 della mattina e dalle ore 17.00 alle ore 20.00?”. Si tratta di capitoli di prova generici e, comunque, non rilevanti al fine di dimostrare esborsi di denaro eccedenti quanto dovuto dal sig. C. in adempimento dell’obbligo morale di contribuire, anche col proprio lavoro, al mantenimento dei figli e della famiglia di fatto.
L’attore ha formulato, inoltre, l’istanza di CTU contabile “sul conto corrente n. (…) acceso presso B.I.S., filiale di Via V. relativa al periodo con i seguenti quesiti: 1) Dica il CTU a chi sia riconducibile la provvista nel periodo dal 1997 al 2018; 2) Quantifichi il CTU l’ammontare delle somme che nel periodo dal 1997 al 2018 sono state girate dal conto corrente n. (…) al conto corrente n. acceso presso la filiale I.S.P. di Via Ajaccio Abi 03069 – Cab 09589 e successivamente trasferito presso la D.B. al conto corrente n. (…) intestato alla signora F.L.; 3) Dica il CTU l’ammontare delle somme addebitate a far data dalla stipula dei singoli contratti di mutuo per tali titoli sul c.c.n n. (…)”.
Si tratta di un’ istanza di CTU esplorativa, in quanto finalizzata a ricercare dati contabili che la stessa parte avrebbe potuto ricavare dagli estratti del conto corrente cointestato. La CTU richiesta è, dunque, inammissibile, considerato che- per giurisprudenza costante- la CTU non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze e tale mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume (cfr. ad es. Cass. Civ. ord. n. 30218/2017).
Sulla base delle risultanze documentali ritualmente acquisite, si osserva quanto segue riguardo alle circostanze allegate dall’attore a fondamento della domanda ex art. 2041 c.c., richiamate sub (…).
Con riferimento all’acquisto nel 1997 della casa di Viale U. n. 21/4, in comproprietà con la F., l’attore afferma di avere sostenuto un mutuo, le cui rate sarebbero state addebitate sul conto corrente cointestato allo stesso attore e alla convenuta, alimentato solo dallo stipendio di C.. L’attore non ha specificato l’importo delle rate pagate, né la durata dei pagamenti rateali.
La convenuta ha contestato l’allegazione, replicando che nel 1997 la coppia aveva acquistava al prezzo di L. 100.000 la casa Aler sita in Milano in Viale Ungheria di mq. 45 e, nell’occasione, i genitori della F. avevano dato alla figlia la somma di L. 20.000.000 per aiutare la coppia ad acquistare la casa e contenere l’importo del mutuo, mentre nulla era stato corrisposto da C.; il mutuo era stato pagato prevalentemente dalla F., fino a quando C. non era riuscito ad avere un lavoro stabile presso ATM nel 2002 con lo stipendio, desumibile dagli estratti conto, di 14 mensilità di Euro 1.600,00 poi aumentato ad Euro 2.000,00 mensili; nonostante detto mutuo fosse stato estinto nel 2012, C. si era fatto versare dalla signora V., madre della F., la somma di Euro 300,00 mensili per l’abitazione fino a tutto il 2016, per la somma complessiva di Euro 10.200,00.
A fronte di queste specifiche contestazioni della convenuta circa gli esborsi sostenuti dal convivente per il mutuo per l’acquisto della casa di V.le U. al prezzo di L. 100.000.000, l’attore non ha documentato e neppure indicato l’ammontare delle rate del mutuo effettivamente pagate, tanto più se si considera che l’acquisto dell’immobile risale al 1997 e che gli estratti conto più vecchi sono datati 2002.
La domanda d’ingiustificato arricchimento va respinta, quindi, perché l’attore non ha provato di avere pagato con provvista del conto corrente cointestato una quota di mutuo eccedente il 50% per l’acquisto in comproprietà dell’immobile di v.le U..
In merito all’acquisto nel 2004 dell’appartamento, di circa 140 mq, in via U. di N. n. 3, l’attore asserisce di avere documentato il pagamento dell’importo complessivo di Euro 104.079,19 “a partire dal 2 novembre 2004 sino al 20 giugno 2018” col proprio stipendio. La convenuta ha contestato l’allegazione, documentando che alla data del 30.9.2019 sul mutuo complessivo di Euro 165.000,00 il residuo ammontava ad Euro 114.873,02 (cfr. doc. 19, convenuta); la convenuta ha eccepito che, quindi, l’attore tutt’al più aveva corrisposto la somma di Euro 50.126,98; ha aggiunto che tale mutuo scadrà nel 2038 e che la stessa F. sta pagando il mutuo con rate mensili di Euro 430,00/440,00, come risulta dall’estratto conto prodotto sub doc. (…).
Queste specifiche contestazioni non sono state superate dall’attore e, dunque, per il mutuo di via U. di N. il sig. F. non ha dimostrato esborsi maggiori della somma di Euro 50.126,00, non contestata dalla convenuta, corrispondente a meno di un terzo del mutuo.
Tale somma non rappresenta un arricchimento indebito in favore della F., con correlativo depauperamento del C., ex art. 2041 c.c.
Va considerato, infatti, che la casa di via U. di N. ha costituito l’abitazione familiare dal 2004 al 2018, della quale ha usufruito anche C. e se questi non avesse contribuito a pagare il mutuo, versando in 14 anni la somma di Euro 50.126,00 – pari all’importo annuo di Euro 3.580,00 e mensile di Euro 298,36 – avrebbe dovuto contribuire a pagare il 50% dell’affitto per un’abitazione di circa mq. 140, verosimilmente superiore all’importo mensile di Euro 600,00.
In relazione all’asserito pagamento dei premi per l’assicurazione sulla vita intestata alla sig.ra F., “per l’importo mensile di Euro 129,11, annui dal 1997 fino al 2018” come si dovrebbe desumere dagli estratti conto sub (…), si ribadisce che gli estratti conto prodotti dall’attore partono dal 2002 e non vi è alcuna prova del pagamento di premi nel periodo precedente. L’attore ha, peraltro, indicato l’importo mensile di Euro 129,11 anche rispetto ad annualità antecedenti l’introduzione dell’Euro.
La carenza di chiare allegazioni e di relativa prova documentale circa l’ammontare degli esborsi sostenuti per pagare i premi dell’assicurazione sulla vita della convivente implica la mancanza di prova dell’indebito depauperamento ex art. 2041 c.c. e del suo ammontare.
Quanto all’allegazione del C. di avere partecipato “al riacquisto dell’edicola della famiglia F. venduta in precedenza, con Euro 40.000,00 di cambiali ed anticipazione sulla pensione, pari ad Euro 9.000,00”, la convenuta ha replicato che C. aveva sottoscritto delle cambiali per Euro 39.000,00, ma tutte erano state interamente pagate dalla stessa F. con provvista del conto corrente della cartoleria.
A fronte di questa specifica contestazione della prova del pagamento delle cambiali da parte di C., l’attore si è limitato a produrre sub (…) la contabile bancaria dalla quale si desume solo che sul conto cointestato è stato accreditato l’importo di Euro 9.242,75 con la causale di anticipazione sulla posizione previdenziale e che successivamente è stato disposto un giroconto in favore della F. di Euro 6.000,00.
L’attore non ha provato, quindi, il pagamento delle cambiali per la somma di Euro 40.000,00 e, di conseguenza, il depauperamento ex art. 2041 c.c.
Riguardo al finanziamento A.D. di Euro 15.000,00, la convenuta ha replicato di avere restituito l’importo mediante versamenti mensili di Euro 450,00 per 15 mesi, uno di Euro 500,00 ed uno di Euro 600,00, per la somma complessiva di Euro 7.850,00 come risulta dagli estratti conto (doc. 10), oltre che con il pagamento delle rate di leasing dell’Audi Q3 (per pagare le quali la F. ha corrisposto per 5 anni una somma mensile variabile da Euro 522,41 a Euro 529,62) e della rata finale di riscatto per Euro 7.249,30 effettuato in data 12.5.2017 per il quale la F. ha dovuto chiedere un finanziamento di circa Euro 8.000,00 che sta ancora pagando (docc. 11-12-13), mentre il sig. C. paga la più modesta somma di Euro 203,25.
Rispetto a queste specifiche contestazioni della convenuta, supportate dai documenti da questa prodotti, l’attore non ha replicato e, quindi, non ha assolto l’onere di provare che la convenuta si è avvantaggiata di un esborso ingiustificato di Euro 15.000,00.
Per quanto concerne il giroconto di Euro 6.000,00 sul conto corrente della F., proveniente dalla provvista del predetto anticipo di Euro 9.000,00 sulla pensione di C., la convenuta ha replicato che la somma era stata utilizzata non in proprio favore, ma per l’anticipo di Euro. 5.000,00 per l’acquisto dell’Audi Q3, intestata alla sig.ra F., ma utilizzata dallo stesso C..
Al riguardo si rileva che il giroconto di Euro 6.000,00 in favore della F. non concretizza un sacrificio patrimoniale dell’attore eccedente l’adempimento dell’obbligo di contribuzione ex art. 2034 c.c., considerato che il suo ammontare non risulta sproporzionato alle condizioni patrimoniali del sig. C., percettore di uno stipendio fisso di 14 mensilità di Euro 1.600,00\2.000,00.
1.3- Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, la domanda principale formulata dall’attore ex art. 2041 c.c. va respinta, in quanto l’attore non ha dimostrato di aver effettuato esborsi in favore della convenuta nel corso della convivenza more uxorio, durata quasi 26 anni, con due figli, di entità tale da eccedere l’adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza ex art. 2034 c.c.
2)- Sulla domanda di ripetizione delle medesime somme, formulata dall’attore in subordine ex art. 2033 c.c., preliminarmente si osserva come sarebbe stato onere dell’attore fornire la prova degli elementi costitutivi del proprio diritto, secondo il disposto dell’art. 2697 del c.c., considerato grava sull’attore l’onere di provare ex art. 2033 c.c. sia l’avvenuto pagamento di somme in favore dell’accipiens, sia la mancanza di una causa che lo giustifichi (cfr. ad es. Cass. n. 30713/2018; cfr. anche Cass. Civ. Sez. III, n. 11294/2020).
Nel presente giudizio- per tutto quanto rilevato sub 1- l’attore non ha dimostrato che pagamenti, spontaneamente effettuati dal sig. C. in favore della sig.ra F., eccedano l’obbligazione naturale di cui all’art. 2034 c.c., gravante a suo carico nell’ambito del rapporto di convivenza more uxorio e, pertanto, in forza di questa norma, sussiste la giusta causa di ritenzione delle somme da parte della convenuta.
Ne consegue il rigetto della domanda subordinata, in quanto l’attore non ha provato ex art. 2033 c.c. la mancanza della causa di pagamenti oggetto della domanda di ripetizione.
3)- Le spese processuali sono liquidate in dispositivo secondo il criterio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., in base al valore della causa.
Va respinta la domanda della convenuta di condanna dell’attore ex art. 96 c.p.c., non ravvisandosi i presupposti della responsabilità per lite temeraria.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, V Sez. Civile, definitivamente pronunciando nella causa come in epigrafe promossa, respinta ogni contraria istanza, così provvede:
1) respinge le domande proposte dal sig. P.C. nei confronti della sig.ra L.F.;
2) condanna l’attore a pagare alla convenuta le spese processuali che liquida in Euro 13.430,00 per compenso, oltre il rimborso del 15% ex art. 2 D.M. n. 55 del 2014, oltre oneri accessori di legge;
3) respinge la domanda della convenuta di condanna dell’attore ex art. 96 c.p.c..
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Conclusione
Così deciso in Milano, il 19 aprile 2021.
Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2021.