BANCAROTTA DIFENDITI AVVOCATO ESPERTO BOLOGNA MILANO TREVISO VICENZA PADOVA
051 6447838
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Corte di Cassazione|Sezione 5|Penale|Sentenza|19 maggio 2020| n. 15403
BANCAROTTA DIFENDITI AVVOCATO ESPERTO BOLOGNA MILANO TREVISO VICENZA PADOVA fallimentari – Fatti di bancarotta – Bancarotta per distrazione – Sottrazione di beni oggetto di locazione finanziaria – Leasing – Configurabilità del reato BANCAROTTA DIFENDITI AVVOCATO ESPERTO BOLOGNA MILANO TREVISO VICENZA PADOVA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SABEONE Gerardo – Presidente
Dott. CALASELICE Barbara – rel. Consigliere
Dott. SESSA Renata – Consigliere
Dott. BORRELLI Paola – Consigliere
Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 16/03/2017 della Corte di appello di Ancona;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Barbara Calaselice;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Dott. TASSONE K., che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio, in accoglimento del secondo motivo di ricorso e quanto alla durata delle pene accessorie fallimentari, con declaratoria di inammissibilita’ nel resto;
udito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
- Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Ancona ha parzialmente riformato la condanna, emessa dal Tribunale in sede, in data 26 febbraio 2015, nei confronti di (OMISSIS) in relazione al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione di beni strumentali, alla pena di anni tre mesi uno di reclusione, oltre pene accessorie fallimentari nella durata di anni dieci, determinata la pena con l’aggravante, ritenuta contestata in fatto, di cui allaL.F. articolo 219, comma 2, concedendo all’imputato le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza e rideterminando la pena principale in quella di anni tre di reclusione, confermando, nel resto, l’impugnato provvedimento.
1.1. La contestazione attiene alla distrazione di beni strumentali (veicoli detenuti in forza di contratti di leasing) da parte del ricorrente, nella veste di legale rappresentante della (OMISSIS) s.n.c. di (OMISSIS), dichiarata fallita il (OMISSIS).
- Avverso il provvedimento descritto ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputato attraverso il difensore, deducendo, con i motivi di seguito riassunti, ai sensi dell’articolo173 disp. att. c.p.p., due vizi.
2.1. Il primo motivo denuncia vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione alla sussistenza del delitto di cui alla L. Fall., articolo 216, comma 1, prima ipotesi.
La sentenza di secondo grado ometterebbe la valutazione di censure svolte con il gravame, circa la natura del contratto di leasing, il reale valore economico dei mezzi distratti al momento della dichiarazione di fallimento, la condotta dell’imputato dopo la dichiarazione di fallimento.
Per la Difesa, in definitiva, stante la risoluzione del contratto di leasing, a seguito di raccomandata del 12 gennaio 2009, verrebbe meno la possibilita’ di esercitare qualsiasi diritto di riscatto sui beni. Infine si sottolinea che due furgoni di quelli che si assumono distratti, sarebbero stati reperiti nella disponibilita’ della societa’, in luoghi di pertinenza della stessa, circostanza del tutto trascurata dalle sentenze di merito.
2.2. Con il secondo motivo si contesta illogicita’ manifesta della motivazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in relazione alla fattispecie di lieve entita’.
2.2.1. Si evidenzia l’errore in cui sarebbero incorsi i giudici di merito in relazione all’esatto valore commerciale dei veicoli al momento dei fatti, tutti acquistati negli anni 2003, 2005, 2006 con chilometraggio di oltre 100.000 km. come, peraltro, si evincerebbe agevolmente dal contenuto del verbale di ricognizione degli automezzi e di affidamento in giudiziale custodia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- Il ricorso e’ inammissibile ma va rilevata l’illegalita’ delle pene accessorie di cui alla L. Fall., articolo216, u.c..
- Il primo motivo e’ inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Viene osservato dal ricorrente che la vicenda trae origine dalla denuncia di (OMISSIS) per appropriazione indebita, ai danni del ricorrente, imputazione che, poi, ha assunto i connotati di quella per la quale si procede.
Rileva questo Collegio che la prospettazione difensiva da un lato appare non conferente al contenuto della motivazione e dall’altro, sottolinea aspetti che, ai fini della sussistenza del reato contestato, appaiono del tutto irrilevanti.
Si osserva che i veicoli in leasing non sono di proprieta’ della s.n.c., sicche’ detti beni non farebbero parte del patrimonio aziendale.
Sul punto, invece, i giudici di merito hanno fatto buon governo dell’indirizzo di questa Corte di legittimita’ secondo il quale, ove il fallimento, come nel caso di specie, riguardi l’utilizzatore, puo’ venire in rilievo la sola disponibilita’ di fatto, essendo pacifico che il soggetto non ha la disponibilita’ giuridica, almeno sino alla fine rapporto e, cioe’, sino a quando, previo esercizio del diritto di opzione, il medesimo non abbia corrisposto il prezzo di riscatto, acquisendo cosi’ la proprieta’ del bene. La disponibilita’ di fatto – la sola configurabile in capo all’utilizzatore -postula, pur sempre, l’avvenuta consegna del bene oggetto di contratto di leasing; verificatosi tale indefettibile presupposto, la relativa appropriazione da parte sua integra distrazione, in quanto la sottrazione (o la dissipazione) del bene comporta un pregiudizio per la massa fallimentare che viene privata del valore dello stesso – che avrebbe potuto essere conseguito mediante riscatto al termine del rapporto negoziale – e, al tempo stesso, gravata di ulteriore onere economico scaturante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione (Sez. 5, n. 9427 del 03/11/2011, del 2012, Cannarozzo, Sez. 5, n. 44159 del 20/11/2008, Bausone, Rv 241692; Sez. 5, n. 33380 del 18/07/2008, Bottamedi).
Oneri, dunque, che si registrano anche nella odierna fattispecie concreta, a nulla rilevando la circostanza, per la verita’ soltanto dedotta, che il contratto fosse gia’ risolto. Nel momento della dichiarazione di fallimento e’ pacifico, invero, che la societa’ fallita avesse la disponibilita’ di fatto dei mezzi (in data (OMISSIS)) a nulla rilevando le vicende successive (r.r. del 12 gennaio 2009 inviata dalla societa’ di (OMISSIS) s.p.a., in relazione all’utilizzo di due dei mezzi di cui all’imputazione) in forza delle quali, a parere della Difesa, il contratto sarebbe stato risolto, con conseguente impossibilita’ ad esercitare il diritto di opzione. L’inadempimento dell’obbligo di restituzione, con la conseguente esposizione della societa’ verso chi era titolare del correlato diritto, implica, comunque, una deminutio patrimonii, coerentemente al disposto della L. Fall., articolo 79, in base al quale se le cose delle quali il fallito deve la restituzione non si trovano piu’ in suo possesso il giorno della dichiarazione di fallimento il curatore non puo’ riprenderle, l’avente diritto puo’ far valere nel passivo il credito per il valore che la cosa aveva alla data della dichiarazione del fallimento. La necessita’ di riconoscere rilevanza alla concreta disponibilita’ della res, sia pure in linea di fatto, appare confermata anche dall’indirizzo giurisprudenziale dove si affronta il correlato problema della liceita’ o meno dell’ingresso del bene nel patrimonio del fallito; indirizzo secondo cui il reato di bancarotta fraudolenta non e’ escluso dal fatto che i beni oggetto della condotta siano di provenienza illecita (Sez. 5, n. 44159 del 20/11/2008, Bausone, cit.).
2.1. Il secondo motivo e’ manifestamente infondato.
In tema di bancarotta fraudolenta, il giudizio relativo alla particolare tenuita’ del fatto deve essere posto in relazione alla diminuzione, non percentuale ma globale, che il comportamento del fallito ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto ove non si fossero verificati gli illeciti (Sez. 5, n. 13285 del 18/01/2013, Pastorello, Rv 255063). Analoghi principi sono stati ribaditi in ordine alla bancarotta documentale, ove i presupposti per la ravvisabilita’ della circostanza in argomento debbono essere valutati, secondo l’impostazione di questa Corte di legittimita’, in relazione al danno causato alla massa creditoria in seguito all’incidenza che le condotte integranti il reato hanno avuto sulla possibilita’ di esercitare le azioni revocatorie e le altre azioni poste a tutela degli interessi creditori (Sez. 5, n. 19304 del 18/01/2013, Tumminelli, Rv 255439; Sez. 5, n. 44443 del 04/07/2012, Robbiano, Rv. 253778).
Orbene nel caso in esame la Corte territoriale, con motivazione articolata e non manifestamente illogica, del tutto in linea con l’indirizzo interpretativo sopra esposto, evidenzia che i veicoli sottratti (due furgoni ed un camion) non avevano valore modesto. Inoltre dal complesso della motivazione si rileva che questi, ad onta del loro anno di immatricolazione, erano stati utilizzati, pur dopo il fallimento, nell’ambito dell’impresa individuale del figlio del fallito, senza che i relativi ricavi potessero essere recuperati dal curatore.
- Deve rilevarsi l’illegalita’ delle pene accessorie L. Fall., ex articolo 216, u.c., applicate ex lege come effetto penale della pronuncia di condanna impugnata, a seguito dell’intervento della sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 la Corte costituzionale, la quale ha dichiarato l’illegittimita’ della L. Fall., articolo216, u.c.. La sostituzione operata dalla sentenza citata, determina l’illegalita’ delle pene accessorie irrogate, in base al criterio dichiarato illegittimo.
3.1 Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con obbligo, per il giudice del rinvio, di attenersi, nella rideterminazione della durata della pena accessoria non piu’ fissa (dieci anni), ma indicata solo nel massimo (fino a dieci anni), ai criteri di cui pronuncia della Corte Costituzionale citata e da quella delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 28910 del 28/02/2019, Suraci, Rv. 276286). Si e’, infatti, posto il problema di individuare, il genere di intervento manipolativo cui sottoporre la L. Fall., articolo 216, u.c., tenuto conto che la Corte Costituzionale ha individuato come insoddisfacente il parametro di cui all’articolo 37 c.p., propendendo per consentire, per tali pene, una funzione distinta, rispetto a quelle proprie della pena principale, fissando una durata diversa, rispetto a quella della pena detentiva inflitta in concreto. In relazione al quesito posto, a seguito della pronuncia del giudice delle leggi, questa Corte di legittimita’, nella sua piu’ autorevole composizione, ha fissato il principio, cui dovra’ attenersi il giudice del rinvio, secondo il quale le pene accessorie, previste dalla L. Fall., articolo 216, nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte Costituzionale, cosi’ come le altre pene accessorie, per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice, in base ai criteri di cui all’articolo 133 c.p..
- Discende dal ragionamento sin qui svolto, dichiarato inammissibile nel resto il ricorso, l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al punto della durata delle pene accessorie, L. Fall., ex articolo216, u.c., con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Perugia.
4.1. Ai sensi dell’articolo 624 c.p.p., dall’annullamento con rinvio circoscritto all’indicato punto della decisione, deriva l’autorita’ di cosa giudicata di tutti i restanti punti della sentenza privi di connessione con quello annullato e, quindi, quello dell’accertamento della responsabilita’ dell’imputato e della quantificazione della pena principale.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Perugia. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Si da atto che il presente provvedimento e’ sottoscritto dal solo Presidente per impedimento dell’estensore D.P.C.M. 8 marzo 2020, ex articolo 1, comma 1, lettera a).
Corte di Cassazione|Sezione 5|Penale|Sentenza|19 maggio 2021| n. 19927
Reati di bancarotta – Bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale – Prova della distrazione – Desumibile dalla mancata dimostrazione della destinazione – Rinvenimento compendio contabile solo parziale – Occultamento parziale contabilità
BANCAROTTA DIFENDITI AVVOCATO ESPERTO BOLOGNA MILANO TREVISO VICENZA PADOVA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZAZA Carlo – Presidente
Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere
Dott. SCARLINI E. V. S – rel. Consigliere
Dott. ROMANO Michele – Consigliere
Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 09/09/2019 della CORTE APPELLO di VENEZIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. FILIPPI Paola, che ha chiesto l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
- Con sentenza del 9 settembre 2019, la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Verona, assolveva (OMISSIS) dalle imputazioni ascrittegli al capo 1, lettera da a) ad e), confermandone la responsabilita’ per la residua condotta di cui alla lettera f), la distrazione di una somma di Euro 1.697.726,89 consumata quale amministratore della srl (OMISSIS), dichiarata fallita l’ (OMISSIS) e per averne occultato o comunque sottratto il compendio contabile, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, non consegnandone parte, e, per altra parte, per avere tenuto le scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
La Corte rideterminava la pena principale in anni due e mesi otto di reclusione e le pene accessorie nella medesima durata.
1.1. In risposta ai motivi di appello, per quanto qui di interesse, la Corte territoriale osservava che:
– la societa’ fallita aveva operato come “cartiera”, fungendo cosi’ da intermediaria fittizia nel commercio di materiale ferrosi e di prodotti di metallurgia, attivita’ gia’ condotta dall’imputato con altra precedente societa’;
– del tutto ingiustificato sul piano economico era stato l’affitto dell’azienda acquisita da spa (OMISSIS) alla vigilia della liquidazione della fallita e del fallimento della cedente;
– l’apparente giro d’affari era quasi totalmente fittizio, tanto che la massa passiva era stata di soli 300.000 Euro (per debiti erariali e prestazioni professionali) a fronte di ipotetici ammanchi molto piu’ corposi (le distrazioni complessive sarebbero ammontate a circa 10 milioni di Euro);
– la sola distrazione provata era quella della somma indicata alla lettera f) ed era costituita dal versamento su un conto estero, a favore della srl (OMISSIS), della provvista pervenuta, lo stesso giorno, su un conto bancario della fallita; un versamento che non aveva trovato giustificazione alcuna;
– non vi era invece prova, quanto alle ulteriori condotte distrattive, che la fallita avesse conseguito l’effettiva disponibilita’ delle somme indicate;
– quanto al compendio contabile, la consegna, volutamente (ed in spregio ai diritti dei creditori), solo parziale delle scritture e della ulteriore documentazione non aveva consentito al curatore un’affidabile ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari anche considerando la fittizieta’ delle appostazioni.
- Propone ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore, articolando le proprie censure in tre motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta condotta di bancarotta fraudolentapatrimoniale.
Pur dando atto della sommarieta’ dell’attivita’ di indagine, la Corte territoriale aveva, infatti, dedotto la colpevolezza dall’imputato nonostante si fosse acquisita la prova che il denaro ipotizzato come distratto fosse pervenuto nelle casse della societa’ quel giorno stesso.
Si trattava peraltro di un credito, della fallita, che era stato regolarmente saldato. Non si era poi indagato sul destinatario del corrispondente versamento, effettuato, appunto, quello stesso giorno.
2.2. Con il secondo motivo lamenta il difetto di motivazione in ordine alla condotta di bancarotta fraudolentadocumentale.
Si era affermata l’insufficienza dell’apparato contabile pur riconoscendo che non si erano insinuati nel fallimento ne’ fornitori ne’ clienti.
2.3. Con il terzo motivo denuncia il vizio di motivazione in ordine alla quantificazione della pena non potendosi nulla dedurre in ordine all’elemento soggettivo del reato, come, invece, si era argomentato nella sentenza impugnata.
- Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto Dott. Paola Filippi, ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
- Il difensore del ricorrente ha depositato memoria con la quale insiste sui motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ inammissibile.
- I primi due motivi – spesi sulla configurabilita’ dei delitti dibancarotta fraudolenta, patrimoniale e documentale, ascritti al prevenuto – sono interamente versati in fatto e non tengono cosi’ conto dei limiti del sindacato di legittimita’ che e’ deputato a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita’ di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali, cosi’ che esula dai poteri della Corte quello di una riconsiderazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, appunto, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944; ed ancora: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv. 229369 e piu’ di recente Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
- La Corte territoriale, infatti, con motivazione priva di manifesti vizi logici, aveva osservato quanto segue.
La societa’ fallita operava da “cartiera”, cosi’ che solo fittiziamente si interponeva fra i reali venditori ed i reali acquirenti delle merci che risultava avere movimentato (consentendo a costoro di evadere le relative imposte indirette).
2.1. Era pertanto necessario, quanto alla bancarotta patrimoniale, dimostrare, innanzitutto, che i mezzi finanziari di cui cartolarmente risultava essere stata la destinataria fossero realmente entrati nel suo patrimonio (un presupposto necessario per ritenere la loro successiva distrazione: Sez. 5, n. 55805 del 03/10/2018, Rv. 274621).
Dimostrazione che la Corte di merito non rinveniva negli atti (considerando anche la totale fittizieta’ delle appostazioni contabili), ad eccezione, appunto, della sola somma indicata alla lettera f) dell’imputazione. di cui si era accertato l’incasso, dai documenti bancari che si erano rinvenuti.
Somma che doveva considerarsi distratta posto che la societa’ a cui era stata poi riversata non risultava avere avuto rapporto alcuno con la fallita.
Rapporto che, neppure nel ricorso, si deduce, limitandosi, nel medesimo, a contestare il mancato approfondimento, ad opera della pubblica accusa, del punto, cosi’ pero’ dimenticando il costante orientamento ermeneutico di questa Corte (da ultimo ribadito da Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Costantino, Rv. 279204; ancor prima: Sez. 5, Sentenza n. 8260 del 22/09/2015, dep. 29/02/2016, Aucello, Rv. 267710; Sez. 5, n. 6548 del 10/12/2018, dep. 11/02/2019, Villa, Rv. 275499) secondo il quale, in materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della societa’ dichiarata fallita e’ desumibile dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della loro destinazione, posto che le scritture contabili che le societa’ devono obbligatoriamente tenere dovrebbero comunque consentire di attestare, documentalmente, le ragioni dei movimenti finanziari di una societa’ e considerando, inoltre, che l’obbligo di verita’, penalmente sanzionato, gravante L. Fall., ex articolo 87, sul fallito interpellato dal curatore circa la destinazione dei beni dell’impresa, giustificano l’apparente inversione dell’onere della prova a carico dell’amministratore della societa’ fallita, in caso di mancato rinvenimento di beni aziendali o del loro ricavato (Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, dep. 29/02/2016, Aucello, Rv. 267710).
2.2. Quanto alla bancarotta documentale, la Corte di merito aveva, non illogicamente, osservato come il parziale compendio contabile rinvenuto, proprio considerando l’operativita’ della fallita, di interposizione fittizia fra altri operatori, fosse stato tenuto in modo da non consentire la ricostruzione del reale patrimonio e del concreto movimento degli affari della stessa.
Ed aveva aggiunto che il prevenuto dovesse rispondere anche dell’ulteriore profilo della bancarotta documentale contestatagli, non avendo consegnato, ed avendo cosi’ occultato, altra parte della contabilita’ con l’unico possibile intento di recare pregiudizio ai creditori (in specie al fisco oltre che ai professionisti le cui competenze non erano state saldate).
- Il terzo motivo, sulla misura della pena, e’ manifestamente infondato considerando quale fosse stato il disegno complessivo perseguito dal prevenuto che, gestendo la societa’ come una “cartiera”, l’aveva avviata al dissesto accumulando debiti fiscali, contratti con l’evidente intenzione di non assolverli.
- All’inammissibilita’ del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, versando il medesimo in colpa, della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Occultamento di beni aziendali – Pene accessorie – Illegalità – Sentenza della Corte Costituzionale n. 222/2018
BANCAROTTA DIFENDITI AVVOCATO ESPERTO BOLOGNA MILANO TREVISO VICENZA PADOVA
Corte di Cassazione|Sezione 5|Penale|Sentenza|2 dicembre 2020| n. 34303
Occultamento di beni aziendali – Pene accessorie – Illegalità – Sentenza della Corte Costituzionale n. 222/2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZAZA Carlo – Presidente
Dott. SCARLINI Enrico V – rel. Consigliere
Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere
Dott. ROMANO Michele – Consigliere
Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/06/2018 della CORTE APPELLO di ANCONA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. LOCATELLI GIUSEPPE, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
- Con sentenza del 18 giugno 2018, la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della pronuncia del locale Tribunale, proscioglieva (OMISSIS) dai delitti ascrittigli ai capi A e C, rispettivamente di bancarotta documentale semplice e di ricorso abusivo al credito, per intervenuta prescrizione, e ne confermava la condanna per il delitto sub B, per avere, quale titolare della ditta individuale omonima dichiarata fallita il (OMISSIS), occultato o dissipato i beni aziendali ivi elencati, per un valore complessivo di quasi 5.000,00 Euro, confermando anche la pena di anni due di reclusione (con le attenuanti generiche prevalenti sulla aggravante della pluralita’ dei fatti di bancarotta) e le pene accessorie fallimentari per la durata di anni 10.
1.1. In risposta ai motivi di appello, la Corte territoriale aveva osservato come:
– non fosse consentito dedurre dalle mere dichiarazioni del prevenuto che i beni fossero obsoleti e fosse pertanto attendibile l’asserito conferimento in discarica, anche considerando che erano di recente acquisto (dal gennaio al settembre 2008);
– non fosse, parimenti, attendibile la versione fornita, sempre dall’imputato, circa i danni patiti dal materiale elettronico a causa delle interruzioni nell’erogazione di energia elettrica;
– non fosse concedibile l’invocata attenuante del danno lieve non potendosi considerare esiguo il valore degli stessi;
– anche considerando i proscioglimenti, la pena, con le attenuanti generiche, equivaleva al minimo edittale.
- Propone ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore, articolando le proprie censure in tre motivi.
2.1. Con il primo deduce il difetto di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del contestato delitto di bancarotta patrimoniale.
I beni indicati in imputazione erano obsoleti e l’imputato li aveva smaltiti presso la discarica comunale. Del resto, il loro valore reale era cosi’ minimo da non potersi giustificare una loro distrazione.
Sul punto l’imputato aveva rilasciato una dichiarazione sostitutiva di atto di notorieta’ che assumeva valore di prova.
2.2. Con il secondo motivo lamenta il difetto di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall’articolo 219, comma 3, L.F. in considerazione del minimo valore dei beni.
2.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione di legge consistita nella reformatio in peius derivante dalla mancata diminuzione di pena a fronte del dichiarato proscioglimento da due delle tre imputazioni ascritte al prevenuto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato e’ inammissibile ma la sentenza impugnata va annullata d’ufficio in relazione alla durata delle pene accessorie fallimentari a seguito della pronuncia dellaCorte costituzionale n. 222 del 2018che ha dichiarato l’illegittimita’ del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 216, u.c., nella parte in cui dispone: “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacita’ per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa”, anziche’: “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacita’ ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni”.
Sul punto il giudice del rinvio applichera’ il principio di diritto formulato sul punto dalla recente pronuncia delle Sezioni unite del 28/02/2019, Suraci: “Le pene accessorie previste dall’articolo 216 L. Fall., nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte Costituzionale, cosi come le altre pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’articolo 133 c.p.“.
- Si e’ detto come i motivi di censura proposti dal prevenuto siano inammissibili.
Il primo ed il secondo, sull’avvenuta distrazione dei beni e sull’omesso riconoscimento dell’attenuante del danno lieve, perche’ sono entrambi versati in fatto e non tengono cosi’ conto dei limiti del sindacato di legittimita’ che non puo’ pervenire alla riconsiderazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944; ed ancora: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).
La Corte di merito, infatti, con motivazione priva di manifesti vizi logici, aveva rilevato come:
– la mera affermazione labiale dell’imputato (alla quale nulla aggiungeva, in tema di prova, la prodotta dichiarazione sostitutiva di atto di notorieta’) di avere conferito in discarica i beni non rinvenuti, perche’ ormai privi di alcun valore economico residuo, per i danni patiti e per la loro obsolescenza, non si era dimostrata attendibile sia perche’ gli oggetti in questione erano stati acquistati in tempi recenti sia perche’ non appariva credibile che si fossero succeduti tutti quegli accidenti che ne avrebbero determinato il denunciato definitivo danneggiamento;
– conseguentemente, non poteva riconoscersi l’invocata attenuante, non potendosi affermare che la distrazione consumata dal prevenuto avesse creato un danno di particolare tenuita’ ai creditori della massa.
- Il terzo motivo e’ manifestamente infondato posto che l’invocata applicazione dell’articolo 597 c.p.p.– che prevede la diminuzione della pena a seguito della parziale assoluzione dalle accuse mosse in prime cure – non puo’ condurre ad irrogare all’imputato una pena illegale come avverrebbe se, non concedendosi ulteriori attenuanti, si riducesse la pena, inflitta al ricorrente, di anni due di reclusione, considerando che la pena base per il delitto contestato e’ di anni tre e la stessa era stata diminuita per le attenuanti generiche nella misura massima consentita, di un terzo.
Si deve, inoltre, considerare che la continuazione fallimentare si risolve nella contestazione e nel riconoscimento della circostanza aggravante prevista dall’articolo 219, comma 2, n. 1, L. Fall., che rientra, come tale, nel giudizio di bilanciamento dell’articolo 69 c.p., cosi’ che, quando la stessa sia stata giudicata subvalente (come nell’odierno caso concreto) rispetto alle attenuanti, non esercita alcun effetto sulla misura della pena, con la conseguenza che, in riferimento ai fatti di bancarotta per i quali l’imputato e’ stato prosciolto, non e’ stato applicato alcun segmento di pena che possa essere eliminato (si veda, a sostanziale conferma, la pronuncia Sez. 5, n. 44088 del 09/05/2019, Dzemaili, Rv. 277845 che, pur avendo affermato che occorre diminuire anche la pena illegale in caso di assoluzione per le ulteriori condotte contestate, precisa, pero’, che dalle medesime erano derivati degli aumenti di pena che dovevano essere eliminati).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla durata delle pene accessorie con rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte di appello di Perugia. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Corte di Cassazione|Sezione 5|Penale|Sentenza|2 dicembre 2020| n. 34303
Occultamento di beni aziendali – Pene accessorie – Illegalità – Sentenza della Corte Costituzionale n. 222/2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZAZA Carlo – Presidente
Dott. SCARLINI Enrico V – rel. Consigliere
Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere
Dott. ROMANO Michele – Consigliere
Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/06/2018 della CORTE APPELLO di ANCONA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. LOCATELLI GIUSEPPE, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
- Con sentenza del 18 giugno 2018, la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della pronuncia del locale Tribunale, proscioglieva (OMISSIS) dai delitti ascrittigli ai capi A e C, rispettivamente di bancarotta documentale semplice e di ricorso abusivo al credito, per intervenuta prescrizione, e ne confermava la condanna per il delitto sub B, per avere, quale titolare della ditta individuale omonima dichiarata fallita il (OMISSIS), occultato o dissipato i beni aziendali ivi elencati, per un valore complessivo di quasi 5.000,00 Euro, confermando anche la pena di anni due di reclusione (con le attenuanti generiche prevalenti sulla aggravante della pluralita’ dei fatti di bancarotta) e le pene accessorie fallimentari per la durata di anni 10.
1.1. In risposta ai motivi di appello, la Corte territoriale aveva osservato come:
– non fosse consentito dedurre dalle mere dichiarazioni del prevenuto che i beni fossero obsoleti e fosse pertanto attendibile l’asserito conferimento in discarica, anche considerando che erano di recente acquisto (dal gennaio al settembre 2008);
– non fosse, parimenti, attendibile la versione fornita, sempre dall’imputato, circa i danni patiti dal materiale elettronico a causa delle interruzioni nell’erogazione di energia elettrica;
– non fosse concedibile l’invocata attenuante del danno lieve non potendosi considerare esiguo il valore degli stessi;
– anche considerando i proscioglimenti, la pena, con le attenuanti generiche, equivaleva al minimo edittale.
- Propone ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore, articolando le proprie censure in tre motivi.
2.1. Con il primo deduce il difetto di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del contestato delitto di bancarotta patrimoniale.
I beni indicati in imputazione erano obsoleti e l’imputato li aveva smaltiti presso la discarica comunale. Del resto, il loro valore reale era cosi’ minimo da non potersi giustificare una loro distrazione.
Sul punto l’imputato aveva rilasciato una dichiarazione sostitutiva di atto di notorieta’ che assumeva valore di prova.
2.2. Con il secondo motivo lamenta il difetto di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall’articolo 219, comma 3, L.F. in considerazione del minimo valore dei beni.
2.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione di legge consistita nella reformatio in peius derivante dalla mancata diminuzione di pena a fronte del dichiarato proscioglimento da due delle tre imputazioni ascritte al prevenuto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato e’ inammissibile ma la sentenza impugnata va annullata d’ufficio in relazione alla durata delle pene accessorie fallimentari a seguito della pronuncia dellaCorte costituzionale n. 222 del 2018che ha dichiarato l’illegittimita’ del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 216, u.c., nella parte in cui dispone: “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacita’ per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa”, anziche’: “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacita’ ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni”.
Sul punto il giudice del rinvio applichera’ il principio di diritto formulato sul punto dalla recente pronuncia delle Sezioni unite del 28/02/2019, Suraci: “Le pene accessorie previste dall’articolo 216 L. Fall., nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte Costituzionale, cosi come le altre pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’articolo 133 c.p.“.
- Si e’ detto come i motivi di censura proposti dal prevenuto siano inammissibili.
Il primo ed il secondo, sull’avvenuta distrazione dei beni e sull’omesso riconoscimento dell’attenuante del danno lieve, perche’ sono entrambi versati in fatto e non tengono cosi’ conto dei limiti del sindacato di legittimita’ che non puo’ pervenire alla riconsiderazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944; ed ancora: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).
La Corte di merito, infatti, con motivazione priva di manifesti vizi logici, aveva rilevato come:
– la mera affermazione labiale dell’imputato (alla quale nulla aggiungeva, in tema di prova, la prodotta dichiarazione sostitutiva di atto di notorieta’) di avere conferito in discarica i beni non rinvenuti, perche’ ormai privi di alcun valore economico residuo, per i danni patiti e per la loro obsolescenza, non si era dimostrata attendibile sia perche’ gli oggetti in questione erano stati acquistati in tempi recenti sia perche’ non appariva credibile che si fossero succeduti tutti quegli accidenti che ne avrebbero determinato il denunciato definitivo danneggiamento;
– conseguentemente, non poteva riconoscersi l’invocata attenuante, non potendosi affermare che la distrazione consumata dal prevenuto avesse creato un danno di particolare tenuita’ ai creditori della massa.
- Il terzo motivo e’ manifestamente infondato posto che l’invocata applicazione dell’articolo 597 c.p.p.– che prevede la diminuzione della pena a seguito della parziale assoluzione dalle accuse mosse in prime cure – non puo’ condurre ad irrogare all’imputato una pena illegale come avverrebbe se, non concedendosi ulteriori attenuanti, si riducesse la pena, inflitta al ricorrente, di anni due di reclusione, considerando che la pena base per il delitto contestato e’ di anni tre e la stessa era stata diminuita per le attenuanti generiche nella misura massima consentita, di un terzo.
Si deve, inoltre, considerare che la continuazione fallimentare si risolve nella contestazione e nel riconoscimento della circostanza aggravante prevista dall’articolo 219, comma 2, n. 1, L. Fall., che rientra, come tale, nel giudizio di bilanciamento dell’articolo 69 c.p., cosi’ che, quando la stessa sia stata giudicata subvalente (come nell’odierno caso concreto) rispetto alle attenuanti, non esercita alcun effetto sulla misura della pena, con la conseguenza che, in riferimento ai fatti di bancarotta per i quali l’imputato e’ stato prosciolto, non e’ stato applicato alcun segmento di pena che possa essere eliminato (si veda, a sostanziale conferma, la pronuncia Sez. 5, n. 44088 del 09/05/2019, Dzemaili, Rv. 277845 che, pur avendo affermato che occorre diminuire anche la pena illegale in caso di assoluzione per le ulteriori condotte contestate, precisa, pero’, che dalle medesime erano derivati degli aumenti di pena che dovevano essere eliminati).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla durata delle pene accessorie con rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte di appello di Perugia. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Reati fallimentari – Bancarotta – Singoli creditori – Risarcimento del danno morale – Azione in aggiunta a quella civile del curatore
Corte di Cassazione|Sezione 5|Penale|Sentenza|23 giugno 2021| n. 24588
Reati fallimentari – Bancarotta – Singoli creditori – Risarcimento del danno morale – Azione in aggiunta a quella civile del curatore
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PEZZULLO Rosa – Presidente
Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere
Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere
Dott. SBANCACCIO Matilde – Consigliere
Dott. RICCARDI Giusepp – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25/09/2019 della Corte di Appello di Venezia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere RICCARDI GIUSEPPE;
lette le richieste scritte, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale MIGNOLO Olga, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio limitatamente alle pene accessorie fallimentari ed il rigetto del ricorso nel resto;
lette le richieste scritte, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, del difensore della parte civile ( (OMISSIS)), Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso e depositando nota spese;
lette le richieste scritte, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, del difensore, Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
- Con sentenza emessa il 25/09/2019 la Corte di Appello di Venezia ha confermato l’affermazione di responsabilita’ pronunciata dal Tribunale di Padova il 15/12/2017 nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per avere, in qualita’, rispettivamente, di Presidente e Consigliere del C.d.A. della (OMISSIS) s.r.l., fallita il (OMISSIS), distratto la somma di Euro 144.387,00 mediante prelievi dai conti correnti della societa’ a titolo personale, destinati a creare una provvista finanziaria a beneficio delle societa’ (OMISSIS) s.r.l., amministrate dalle moglie degli imputati, ed utilizzate per l’acquisto dei beni della fallita.
- Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS) e (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), che ha dedotto i seguenti motivi, qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge processuale in relazione all’articolo 521 c.p.p., comma 2: lamenta il difetto di correlazione tra imputazione e sentenza sostenendo che l’addebito riguardava il prelevamento di complessivi Euro 144.387, mentre dalla motivazione della sentenza risulta che una parte della somma era riconfluita nelle casse sociali mediante pagamento da parte della (OMISSIS) s.r.l., mentre il residuo di Euro 62.130 veniva corrisposto ai soci (OMISSIS) e (OMISSIS), poiche’ avevano personalmente pagato alla signora (OMISSIS), parte civile nel presente processo, un debito della societa’ (OMISSIS) s.r.l. risultante da sentenza civile.
in particolare, la (OMISSIS) s.r.l. pagava alla fallita (OMISSIS) le somme dovute a titolo di prezzo dei beni strumentali acquistati: non ricorre dunque una distrazione di somme di denaro, quanto piuttosto l’oggettiva contabilizzazione delle uscite subito rientrate nel patrimonio sociale quale prezzo della cessione di alcuni beni alla (OMISSIS) s.r.l.; in tal senso si realizzava la reintegrazione del patrimonio sociale, e comunque sarebbe stato contestabile il diverso fatto di fatto di distrazione di beni, e non di denaro, in quanto non rinvenuti dalla curatela, fatto storico completamente diverso.
Quanto alla seconda condotta, ovvero il pagamento di 62.130 Euro in favore dei soci amministratori, il fatto appare sussumibile nella fattispecie di bancarotta preferenziale, atteso che veniva rimborsato il pagamento di un debito societario posto in essere da parte dei soci oggi imputati con preferenza nella soddisfazione dei crediti di questi ultimi rispetto a quelli della massa dei creditori.
Ne consegue che l’imputazione nella descrizione fattuale, come mero prelevamento di somme in contanti, con bonifici e assegni, si colloca in un momento temporale antecedente rispetto ai possibili fatti di bancarotta contestabili, che sono successivi e consistiti nella distrazione di beni e nel pagamento di un debito societario.
2.2. Con un secondo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilita’ penale: la sentenza afferma che le somme uscite dalla disponibilita’ della fallita siano di fatto rientrate a titolo di effettivo pagamento del prezzo da parte dell’acquirente (OMISSIS) s.r.l.; se vi fu effettivo pagamento dei beni non e’ emerso in alcun modo quali siano i fatti temporalmente successivi che hanno cagionato l’ammanco di cassa concernente un saldo di conto corrente pari ad Euro 1500: pertanto, o i prelievi furono utilizzati per costituire provvista per l’acquisto di beni della fallita, beni effettivamente pagati; oppure le somme sono state distratte in un momento successivo alla compravendita, ma in tal caso la sentenza non specifica modalita’ e tempi di realizzazione delle condotte.
Lamenta al riguardo il mancato riconoscimento della c.d. bancarotta riparata, essendo emerso che prima vennero prelevati danari dalla cassa, poi reintegrati mediante l’incasso del prezzo di compravendita, e solo dopo vi fu un ammanco di cassa. Si pretende di giustificare la distrazione sulla base di un illogico ragionamento privo di riscontri per cui la presenza di un importo di 1.500 Euro quale saldo attivo al momento del fallimento giustifica la distrazione del danaro.
In altri termini l’imputazione contesta una distrazione di Euro 144.387, che sarebbe stata posta in essere in un momento precedente, senza considerare la successiva reintegrazione patrimoniale.
2.3. Con un terzo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla durata delle pene accessorie fallimentari, che, nonostante la sentenza n. 222 del 2018 della Corte Cost., sono state confermate nella durata massima di 10 anni, sebbene il trattamento sanzionatorio principale fosse stato contenuto nei minimi edittali; lamenta che la motivazione sia basata sulla gravita’ del fatto e sull’intensita’ del dolo, in maniera contraddittoria rispetto alla esclusione dell’aggravante del danno di particolare gravita’, pure originariamente contestata, e ritenuta insussistente; deduce inoltre che la Corte territoriale non abbia valutato, con riferimento alla determinazione della durata delle pene accessorie, l’intervenuto risarcimento in favore del fallimento, che ha determinato la revoca della costituzione di parte civile e delle statuizioni riconosciute in primo grado.
2.4. Con un quarto motivo deduce la violazione di legge in relazione alla L.Fall., articolo 240, con riferimento al capo civile di condanna in favore della parte civile (OMISSIS): deduce al riguardo che, essendo contestato unicamente il delitto di bancarotta fraudolenta, la pretesa risarcitoria della signora (OMISSIS) non doveva trovare accoglimento, in quanto la richiesta risarcitoria da parte del fallimento inglobava tutte le pretese della massa creditoria della fallita, ivi compresa quella della (OMISSIS); inoltre la Corte territoriale non ha considerato l’incidenza della revoca della costituzione di parte civile da parte del fallimento in seguito alla transazione stipulata con gli imputati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- Il ricorso e’ fondato limitatamente al terzo motivo concernente le pene accessorie fallimentari.
- I primi due motivi, che meritano una valutazione congiunta, per la sovrapponibilita’ delle questioni, sono inammissibili, perche’ fondati su una lettura alternativa del compendio probatorio, manifestamente infondata e priva di un concreto confronto argomentativo con la sentenza impugnata, essendo meramente reiterativa delle medesime censure gia’ motivatamente respinte.
2.1. Giova premettere, quanto alla conforme ricostruzione dei fatti accertata dalle sentenze di merito, che i due imputati risultano avere, mediante molteplici prelevamenti dai conti correnti della societa’ effettuati tra il dicembre del 2008 ed il dicembre del 2009, sottratto oltre 144.000 Euro alla societa’ per scopi estranei alla gestione della stessa, ed in particolare per finanziare le due societa’ (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l., amministrate dalle rispettive mogli degli odierni ricorrenti, (OMISSIS) e (OMISSIS); le somme prelevate venivano utilizzate per creare una provvista finanziaria alle due societa’ riferibili alle rispettive mogli, poi in parte impiegate per l’acquisto di beni della fallita.
La sentenza impugnata ha altresi’ escluso che le somme prelevate siano rientrate nel patrimonio della fallita, non essendosi registrato alcun flusso di denaro dagli imputati in favore della societa’: in particolare, la circostanza che poi tali somme furono in parte utilizzate dalla societa’ (OMISSIS) per acquistare alcuni beni della (OMISSIS), non configura una reintegrazione patrimoniale in favore della fallita, in quanto le somme furono corrisposte alla (OMISSIS) non gia’ a titolo di restituzione dei prelievi effettuati dai soci, bensi’ a titolo di pagamento del prezzo di acquisto dei beni alienati; invero, le cessioni effettuate da (OMISSIS) a (OMISSIS) s.r.l. erano state precedute o coincidevano con i prelevamenti ascritti agli imputati, per importi pari o superiori alla contropartita economica di dette cessioni; in altri termini, i coimputati prelevavano denaro dalle casse sociali e lo giravano alle proprie mogli, le quali, personalmente ovvero attraverso la societa’ (OMISSIS), acquistavano – utilizzando sostanze distratte dal patrimonio della fallita – i beni della (OMISSIS), cosi’ depauperando la societa’, la cui cassa, al momento del fallimento, era del tutto incapiente, a fronte di un passivo fallimentare di oltre un milione e mezzo di Euro.
2.2. Cio’ posto, la dedotta violazione dell’articolo 521 c.p.p. e’ inammissibile, in quanto i ricorrenti si limitano a riproporre la stessa questione sollevata con l’appello, senza confrontarsi con le congrue argomentazioni (appena richiamate) della Corte territoriale sul punto.
In realta’, con il censurato difetto di correlazione tra imputazione e sentenza, il motivo di ricorso, peraltro generico, si limita a riproporre la prospettazione difensiva relativa alla dedotta reintegrazione del patrimonio sociale ed al pagamento individuale di debiti sociali.
La sentenza impugnata, nell’escludere, con compiute argomentazioni, che le somme prelevate dalle casse sociali fossero rientrate nel patrimonio della societa’, cosi’ elidendo alla radice la configurabilita’ della pur invocata bancarotta c.d. riparata, ha chiarito che la condotta distrattiva per la quale gli imputati sono stati condannati corrisponde esattamente a quella contestata.
Con riferimento al pagamento di 62.130 Euro eseguito dagli imputati in favore di (OMISSIS), infine, pur prescindendo dal rilievo che esso non risulta effettuato in nome e per conto della societa’, bensi’ in proprio, e’ assorbente rilevare che, pur accedendo alla versione difensiva, secondo cui i pagamenti sarebbero stati effettuati degli imputati con fondi propri e poi rimborsati agli stessi da parte della societa’ fallita tramite i prelievi dalle casse sociali, tale condotta integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, cosi’ come contestato, e non gia’ il reato di bancarotta preferenziale.
E’ infatti consolidato il principio secondo cui integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e non quello di bancarotta preferenziale, la condotta dell’amministratore di una societa’ che proceda al rimborso di finanziamenti da lui erogati in qualita’ di socio in violazione della regola della postergazione di cui all’articolo 2467 c.c. (ex multis, Sez. 5, n. 25773 del 20/02/2019, Scarpaci, Rv. 277577).
- Il quarto motivo, relativo al capo civile di condanna, e’ infondato.
E’ pacifico che, in tema di reati fallimentari, ai sensi della L.Fall., articolo 240, comma 2, il singolo creditore e’ legittimato in proprio a costituirsi parte civile nel procedimento penale per il delitto di bancarotta fraudolenta nella sua qualita’ di persona danneggiata dal reato, quando fa valere una richiesta di risarcimento a titolo personale (Sez. 5, n. 6904 del 04/11/2016, dep, 2017, Gandolfi, Rv. 269105; Sez. 5, n. 43101 del 03/10/2007, Mazzotta, Rv. 238498); invero, i creditori sono legittimati ad esercitare l’azione civile nel procedimento penale per bancarotta fraudolenta in ogni caso in cui tale azione non sia esercitata dal curatore (c.d. legittimazione sussidiaria); qualora, invece, i creditori intendano far valere un titolo di azione propria, personale (c.d. legittimazione principale) la costituzione di parte civile e’ consentita in concorso con quella esperita dal curatore (Sez. 5, n. 11782 del 03/06/1980, Brembilla, Rv. 146578); i creditori sono legittimati “uti singuli” ad esercitare l’azione civile nel procedimento penale per il delitto di bancarotta fraudolenta quando intendano far valere un titolo di azione propria, personale, come nel caso di danni non patrimoniali patiti dalla consumazione del reato (Sez. 5, n. 42608 del 12/04/2005, De Asmundis, Rv. 232846).
Nel caso di specie, la parte civile (OMISSIS) si e’ costituita nel processo penale chiedendo il ristoro del danno morale derivato dal depauperamento fraudolento dei risparmi di una vita, non gia’ del danno patrimoniale; l’azione civile e’, dunque, del tutto diversa, nel petitum, da quella esercitata L.Fall., ex articolo 240, dalla curatela fallimentare.
- E’, invece, fondato il terzo motivo di ricorso, concernente la durata delle pene accessorie, determinata, in assenza di adeguata motivazione, nella massima estensione di dieci anni.
4.1. Al riguardo, va innanzitutto rammentato che le Sezioni Unite di questa Corte, nell’affermare la necessita’ di una dosimetria sanzionatoria quanto piu’ personalizzata alla luce degli indici fattuali di cui all’articolo 133 c.p., hanno altresi’ ribadito la peculiare funzione delle pene accessorie, che sono, “specie quelle interdittive e inabilitative, collegate al compimento di condotte postulanti lo svolgimento di determinati incarichi o attivita’, piu’ marcatamente orientate a fini di prevenzione speciale, oltre che di rieducazione personale, che realizzano mediante il forzato allontanamento del reo dal medesimo contesto operativo, professionale, economico e sociale, nel quale sono maturati i fatti criminosi e dallo stimolo alla violazione dei precetti penali per impedirgli di reiterare reati in futuro e per sortirne l’emenda”; invero, “la piena realizzazione soprattutto dello specifico finalismo preventivo, cui sono preordinate le pene complementari, richiede una loro modulazione personalizzata in correlazione con il disvalore del fatto di reato e con la personalita’ del responsabile, che non necessariamente deve riprodurre la durata della pena principale. Risultato questo conseguibile soltanto ammettendone la determinazione caso per caso ad opera del giudice nell’ambito della cornice edittale disegnata dalla singola disposizione di legge sulla scorta di una valutazione discrezionale, che si avvalga della ricostruzione probatoria dell’episodio criminoso e dei parametri dell’articolo 133 c.p. e di cui e’ obbligo dare conto con congrua motivazione” (Sez. U, n. 28910 del 28/02/2019, Suraci, Rv. 276286, non mass. sul punto).
Ebbene, la necessita’ dell’obbligo di “congrua motivazione” “non puo’ che interpretarsi come l’ostensione di un apparato argomentativo effettivamente calibrato sulla funzione preventiva rispetto ai diritti fondamentali della persona (liberta’ di iniziativa economica) ed alla finalita’ (non (solo) rieducativa) delle pene accessorie” (Sez. 5, n. 36256 del 22/10/2020, Bertoli, Rv. 280488, che, in tema di reati fallimentari, ha affermato che la durata delle pene accessorie deve essere determinata in concreto dal giudice sulla base dei criteri di cui agli articoli 132 e 133 c.p., da parametrarsi, con specifica ed adeguata motivazione, alla funzione preventiva ed interdittiva delle stesse).
Nel medesimo solco interpretativo, e’ stato ribadito, in tema di pene accessorie previste per i reati fallimentari, che, ove la durata sia determinata in misura superiore alla media edittale, e’ necessaria una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi di cui all’articolo 133 c.p., tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena, ancor piu’ ove sussista divaricazione nel trattamento sanzionatorio complessivo tra pena principale, irrogata nel minimo, e pene accessorie fissate nel massimo (Sez. 5, n. 1947 del 03/11/2020, dep. 2021, Maddem, Rv. 280668), e che, ai fini della determinazione della durata delle pene accessorie fallimentari, per la spiccata finalita’ specialpreventiva delle stesse, assumono significativo rilievo, oltre alla gravita’ della condotta, anche tutti gli elementi fattuali indicativi della capacita’ a delinquere dell’agente (Sez. 5, n. 12052 del 19/01/2021, Amorello, Rv. 28089802).
4.2. I principi gia’ affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, in seguito alla declaratoria di illegittimita’ costituzionale della durata fissa delle pene accessorie fallimentari pronunciata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 222 del 2018, meritano una precisazione, anche in considerazione della tendenziale refrattarieta’ – emblematicamente emersa nella sentenza impugnata – dei giudici di merito alla determinazione di un trattamento realmente individualizzato, proporzionato alla concreta gravita’ dei fatti ed alla concreta personalita’ del reo, ed all’assolvimento dei correlativi oneri motivazionali.
Giova, al riguardo, premettere che le pene accessorie sono, in generale, misure afflittive, che, di regola, comportano una limitazione di capacita’, attivita’ o funzioni, accrescendo altresi’ l’afflittivita’ della pena principale; oltre ad una funzione generai-preventiva, le pene accessorie hanno una funzione special- preventiva, orientata non tanto alla rieducazione, quanto alla obiettiva eliminazione di quelle condizioni che potrebbero consentire la “ricaduta” nel reato.
In tal senso, la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 222/2018, ha evidenziato come l’originaria previsione delle pene accessorie fallimentari fosse diretta ad allontanare l’imprenditore condannato a titolo di bancarotta fraudolenta “dall’ambito imprenditoriale per un lungo periodo successivo all’esecuzione della pena detentiva (…) allo scopo di estendere nel tempo l’effetto di prevenzione speciale negativa gia’ esplicato dall’esecuzione della pena detentiva, oltre che di conferire maggior capacita’ deterrente all’incriminazione” (§ 8.3); la Corte Costituzionale ha, dunque, sottolineato la “funzione almeno in parte distinta” attribuita alle pene accessorie fallimentari rispetto alle pene detentive principali, in quanto “marcatamente orientata alla prevenzione speciale negativa – imperniata sull’interdizione del condannato da quelle attivita’ che gli hanno fornito l’occasione per commettere gravi reati”.
Ma la stessa Consulta, nel rilevare l’illegittimita’ della durata fissa delle pene accessorie fallimentari, ha posto l’accento sulla disomogeneita’, in termini di gravita’, delle diverse fattispecie riconducibili ai reati di bancarotta fraudolenta previsti dalla L.Fall., articoli 216 e 223, sia a livello astratto, come dimostrato dai diversi limiti edittali previsti per la bancarotta preferenziale, sia a livello di gravita’ dei fatti concreti, “in relazione se non altro alla gravita’ del pericolo di frustrazione delle ragioni creditorie (in termini sia di probabilita’ di verificazione del danno, sia di entita’ del danno medesimo, anche in termini di numero delle persone offese)” (§ 7.2).
Cio’ posto, va dunque affermato che la determinazione di un trattamento sanzionatorio accessorio realmente individualizzato, proporzionato alla concreta gravita’ dei fatti ed alla concreta personalita’ del reo, deve essere orientata dalla precipua funzione special – preventiva negativa che caratterizza le pene accessorie fallimentari, rivolta alla estromissione del condannato per reati di bancarotta fraudolenta dalle attivita’ economiche che hanno fornito l’occasione per commettere i gravi reati posti a fondamento dell’affermazione di responsabilita’.
Ebbene, nella concreta commisurazione della durata delle pene accessorie, il giudice deve, sulla scorta del criterio finalistico della special-prevenzione negativa, valorizzare – con il conseguente assolvimento dei correlativi oneri motivazionali -, i criteri fattuali sanciti dall’articolo 133 c.p., che si rivelino, nella fattispecie concreta, maggiormente pertinenti all’esercizio della discrezionalita’ riconosciuta dall’articolo 132 c.p., e con una valutazione calibrata sulla specificita’ delle pene accessorie fallimentari.
In tal senso, la gravita’ del reato assume un rilievo certamente significativo, potendo essere valutate, e valorizzate: a) le modalita’ dei fatti (ad es., commissione di fatti di bancarotta patrimoniale, mediante complesse operazioni infragruppo, o fittizi svuotamenti societari, o articolate operazioni di frodi fiscali); b) la gravita’ del danno o del pericolo cagionato, “in relazione se non altro alla gravita’ del pericolo di frustrazione delle ragioni creditorie (in termini sia di probabilita’ di verificazione del danno, sia di entita’ del danno medesimo, anche in termini di numero delle persone offese)” (Corte Cost., sent. 222/2018, § 7.2), venendo in rilievo, esemplificativamente, l’entita’ del depauperamento, il numero dei creditori coinvolti, ecc.; c) l’intensita’ del dolo, anch’essa desumibile dalle modalita’ dei fatti, e dalla insidiosita’ delle condotte.
Tuttavia, i criteri fattuali della gravita’ del reato non possono assumere un rilievo assorbente, essendo indispensabile altresi’ una valutazione dei criteri fattuali della capacita’ a delinquere del colpevole, soprattutto con riferimento alla determinazione della durata delle pene accessorie, ed alla funzione dalle stesse svolte di estromissione dalle attivita’ economiche che hanno consentito la commissione di reati di bancarotta.
In tal senso, il criterio dei precedenti penali e giudiziari, che gia’ di solito assume, nella valutazione della capacita’ a delinquere, un rilievo preminente, anche per la maggiore verificabilita’ processuale – in assenza, almeno di regola, di strumenti idonei, nell’attuale sistema processuale, a fornire il sapere criminologico in grado di “riempire di contenuto” gli altri criteri fattuali previsti dall’articolo 133, comma 2, nn. 1), 3) e 4) -, merita un particolare approfondimento, proprio nell’ottica di una individualizzazione del trattamento sanzionatorio accessorio, diretto ad interdire comportamenti economici pericolosi.
Invero, ai fini della determinazione della durata delle pene accessorie fallimentari, oltre ad una capacita’ a delinquere “generica”, desumibile da precedenti (penali o giudiziari) anche non specifici (di carattere patrimoniale o non), rileva una capacita’ a delinquere “specifica”, attinente allo svolgimento di attivita’ economiche ed imprenditoriali, e, dunque, alla funzione interdittiva coessenziale alle pene accessorie fallimentari.
Cio’ posto, i diversi criteri finalistici e fattuali devono essere oggetto di una concreta valutazione giurisdizionale – sia pur sinteticamente motivata, mediante una argomentazione che dia effettivamente conto della ratio decidendi – che combini, in un giudizio complessivo orientato alla funzione special-preventiva negativa, i diversi indici di commisurazione che vengono in rilievo nel caso concreto, ai fini della determinazione di un trattamento sanzionatorio accessorio realmente individualizzato: invero, per quanto la gravita’ oggettiva della bancarotta accertata (per la pluralita’ delle condotte, per l’insidiosita’ delle stesse, per il danno o per il pericolo cagionati, per il numero di persone offese coinvolte) possa assumere un rilievo eminente, la durata delle pene accessorie fallimentari non puo’ essere “automaticamente” correlata alla gravita’ oggettiva del reato, ma deve essere connessa alla concreta esigenza di estromettere il condannato dalle attivita’ economiche ed imprenditoriali che hanno consentito la commissione dei reati.
In tal senso, esemplificando, anche con riferimento ad una bancarotta di “modeste dimensioni”, puo’ assumere un rilievo essenziale l’accertata capacita’ a delinquere “specifica” dell’autore: si pensi al caso della mera “testa di legno” che abbia ripetutamente assunto la medesima veste imprenditoriale anche in altre vicende di bancarotta, per consentire una diversa allocazione delle responsabilita’ penali, ovvero dell’autore che abbia posto in essere complesse operazioni o artifici, dimostrando una spiccata dimestichezza con i meccanismi spoliativi (in tal senso, ad esempio, Sez. 5, n. 12052 del 19/01/2021, Amorello, Rv. 28089802, con riferimento ad una fattispecie relativa al reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva valorizzato sia l’entita’ delle spoliazioni accertate, sia la non occasionalita’ del coinvolgimento dell’imputato – gia’ condannato per fatti di bancarotta fraudolenta – quale concorrente, in un meccanismo collaudato di distrazione di denaro dalla fallita, mediante un sistema di false fatturazioni e di riscossione di assegni in assenza di prestazione; Sez. 5, n. 7034 del 24/01/2020, Murru, Rv. 278856, con riferimento ad una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto adeguatamente motivata la decisione del giudice fondata sulla reiterazione delle condotte di frode in danno dei creditori, sul pregiudizio per la massa dei creditori e sui precedenti penali dell’imputato).
Al contrario, anche nel caso di una bancarotta di entita’ non insignificante, la gravita’ del reato non puo’ prescindere dal rilievo di un eventuale comportamento del reo, susseguente al reato, che abbia assicurato seri risarcimenti alle ragioni creditorie, o che abbia volontariamente e stabilmente abbandonato le attivita’ economiche ed imprenditoriali che hanno consentito la commissione dei reati.
4.3. Tanto premesso sotto il profilo della determinazione della durata delle pene accessorie fallimentari, va altresi’ evidenziato, sotto il connesso profilo degli oneri motivazionali, che, anche in tema di pene accessorie previste per i reati fallimentari, ove la durata sia determinata in misura superiore alla media edittale, e’ necessaria una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi di cui all’articolo 133 c.p., tenendo conto della funzione special – preventiva della pena, ancor piu’ ove sussista divaricazione nel trattamento sanzionatorio complessivo tra pena principale, irrogata nel minimo, e pene accessorie fissate nel massimo (in senso analogo, Sez. 5, n. 1947 del 03/11/2020, dep. 2021, Maddem, Rv. 280668).
Invero, pur essendo le funzioni della pena detentiva e delle pene accessorie fallimentari parzialmente diverse, come gia’ in precedenza evidenziato, nondimeno va rilevato che la determinazione di pene accessorie nel massimo edittale di dieci anni (o comunque in misura prossima al massimo), pur in presenza di una pena detentiva magari determinata nel minimo edittale (di tre anni di reclusione, magari ulteriormente ridotta in considerazione del riconoscimento di circostanze attenuanti), puo’ assumere connotazioni di irragionevolezza, in assenza di una motivazione specifica, concreta e logicamente salda sulle ragioni di una divaricazione cosi’ significativa delle rispettive durate.
4.4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, vanno dunque affermati i seguenti principi di diritto:
– “in tema di pene accessorie fallimentari, in conseguenza della declaratoria di illegittimita’ costituzionale pronunciata dalla Corte Cost. n. 222/2018, la durata deve essere determinata sulla scorta del criterio finalistico della special-prevenzione negativa, valorizzando i criteri fattuali sanciti dall’articolo 133 c.p. che si rivelino, nella fattispecie concreta, maggiormente pertinenti all’esercizio della discrezionalita’ riconosciuta dall’articolo 132 c.p., con una valutazione calibrata sulla specificita’ delle pene accessorie fallimentari, avendo riguardo, sotto il profilo della gravita’ del reato, a: 1) le modalita’ dei fatti (ad es., commissione di fatti di bancarotta patrimoniale, mediante complesse operazioni infragruppo, o fittizi svuotamenti societari, o articolate operazioni di frodi fiscali); 2) la gravita’ del danno o del pericolo cagionato (entita’ del depauperamento, numero dei creditori coinvolti, ecc.); 3) Intensita’ del dolo, anch’essa desumibile dalle modalita’ dei fatti, e dalla insidiosita’ delle condotte; e, sotto il profilo della capacita’ a delinquere del colpevole, soprattutto con riferimento alla funzione di estromissione dalle attivita’ economiche che hanno consentito la commissione di reati di bancarotta, al criterio dei precedenti penali e giudiziari, che, nell’ottica di una individualizzazione del trattamento sanzionatorio accessorio, diretto ad interdire comportamenti economici pericolosi, deve essere valutato in quanto espressivo di una capacita’ a delinquere ‘specifica, attinente allo svolgimento di attivita’ economiche ed imprenditoriali, e, dunque, alla funzione interdittiva coessenziale alle pene accessorie fallimentari”;
– “ove la durata delle pene accessorie fallimentari sia determinata in misura superiore alla media edittale, e’ necessaria una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi di cui all’articolo 133 c.p., tenendo conto della funzione special-preventiva della pena, con un onere motivazionale maggiore, nel caso di significativa divaricazione nel trattamento sanzionatorio complessivo tra pena principale, irrogata nel minimo, e pene accessorie fissate nel massimo”.
4.5. Precisati i principi ai quali i giudici di merito devono conformarsi nella determinazione della concreta durata delle pene accessorie fallimentari, e nell’assolvimento dei connessi oneri motivazionali, va rilevato che, nel caso di specie, la Corte territoriale ha confermato la durata di 10 anni delle pene accessorie fallimentari, giustificandone la misura “in ragione della gravita’ del fatto e dell’intensita’ del dolo”.
Al riguardo, va innanzitutto rilevata l’estrema laconicita’ di tale motivazione, del tutto assertiva, e priva di un concreto confronto argomentativo con le vicende processuali, che pure hanno registrato un risarcimento degli imputati in favore della curatela, condotta susseguente al reato di indubbia rilevanza quale indice fattuale di valutazione della capacita’ a delinquere; inoltre, il richiamo alla gravita’ del fatto ed alla intensita’ del dolo non appare calibrato sulla concreta specificita’ delle condotte, ne’ sulla attitudine dimostrativa di una capacita’ a delinquere ‘specifica’ (in ambito imprenditoriale), risolvendosi dunque in una clausola di stile ed in una motivazione, che, nella sua ellitticita’, resta apparente, non risultando calibrato sulla peculiare funzione delle pene accessorie, e risolvendosi, in sostanza, in un tautologico riferimento allo stesso fatto-reato, senza alcuna successiva e concreta valutazione e delibazione funzionale, giustificativa della ragione per la quale le pene accessorie interdittive dovessero essere determinate nel massimo e non in diversa misura, anche considerando la significativa divaricazione della durata della pena detentiva, determinata nel minimo edittale di tre anni di reclusione.
Alla luce di tali considerazioni, il generico riferimento del giudice di merito ai richiamati parametri non appare sufficiente, dovendo egli dare conto in motivazione, in maniera autonoma ed indipendente rispetto alla pena principale (peraltro fissata nel minimo), delle modalita’ di esercizio degli ampi margini di discrezionalita’ astrattamente riconosciuti dalla norma penale (successivamente alla declaratoria di illegittimita’ costituzionale), e concretamente impiegati nella commisurazione delle pene accessorie.
La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata limitatamente al punto della determinazione della durata delle pene accessorie fallimentari, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d’Appello di Venezia.
Ne consegue, altresi’, che la richiesta della parte civile di condanna al pagamento delle spese processuali va rimessa al definitivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla durata delle pene accessorie L.Fall., ex articolo 216, u.c. e rinvia per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d’Appello di Venezia; rigetta nel resto il ricorso.
Corte di Cassazione|Sezione 5|Penale|Sentenza|1 luglio 2021| n. 25254
Bancarotta fraudolenta documentale – Occultamento scritture contabili – Dolo specifico – Bancarotta patrimoniale – Dolo generico
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE GREGORIO Eduardo – Presidente
Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
Dott. CALASELICE Barbara – rel. Consigliere
Dott. ROMANO Michele – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 26/11/2019 della CORTE APPELLO di CATANZARO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere CALASELICE BARBARA;
Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ODELLO LUCIA che ha concluso chiedendo l’inammissibilita.’
RITENUTO IN FATTO
- Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Catanzaro ha riformato la condanna, emessa dal Tribunale di Lamezia Terme, in data 16 marzo 2017, nei confronti di (OMISSIS), alla pena di anni uno mesi sei di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel casellario giudiziale, oltre pene accessorie di cui alRegio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 216, u.c. in relazione ai reati dibancarotta fraudolenta per distrazione (L.Fall., articolo 216, comma 1, n. 1, L.Fall., articolo 219 comma 1 e 2, capo a) e per aver aggravato il dissesto della societa’ non chiedendone il fallimento (L.Fall., articolo 217, comma 1 n. 3, L.Fall., 222, comma 1, capo b), dichiarando l’intervenuta prescrizione del reato di cui al capo b), rideterminando la pena principale in quella di anni uno mesi quattro di reclusione e le pene accessorie fallimentari nella durata di anni due, con conferma, nel resto, del provvedimento appellato.
1.1. Si tratta delle vicende relative alla (OMISSIS), di cui il ricorrente era socio accomandatario, dichiarata fallita il (OMISSIS), in relazione alle quali il primo giudice, nel pronunciare condanna limitatamente alle imputazioni sopra indicate, aveva dichiarato non doversi procedere, a carico del (OMISSIS), in relazione al reato di bancarotta fraudolenta documentale per precedente giudicato.
- Avverso la pronuncia propone ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, denunciando erronea applicazione della L.Fall.,articolo 216 e vizio di motivazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).
La Corte territoriale avrebbe, per la Difesa, omesso di motivare circa l’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale risultando del tutto mancante la volonta’ di arrecare pregiudizio ai creditori, tanto che in analogo procedimento, definito dal giudice dell’udienza preliminare del medesimo Tribunale di Lamezia Terme, con sentenza n. 117 del 2015, il reato era stato derubricato in quello di bancarotta semplice, L.Fall., ex articolo 217 proprio per assenza di dolo specifico.
Si tratta del precedente a fronte del quale il primo giudice ha dichiarato non doversi procedere a carico di (OMISSIS), in relazione al reato di bancarotta fraudolenta documentale, per precedente giudicato.
Si sostiene, comunque, che anche in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione per la punibilita’ del reato lo stato di insolvenza deve essere sorretto dal dolo, richiamando giurisprudenza di legittimita’ (Sez, 5 n. 3622 del 31.1.2007, n. 8997 del 26.10.2017) che reputa necessario che sussista la consapevole volonta’ di imprimere al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalita’ dell’impresa e di compiere atti in danno ai creditori. Mancando, peraltro, le scritture contabili, non sarebbe stato possibile ricostruire le distrazioni.
Del resto, si assume che l’assenza di dolo di arrecare pregiudizio ai creditori, quanto alla bancarotta fraudolentadocumentale, in sostanza, si riverbererebbe anche sul delitto di bancarotta per distrazione, osservazioni contenute nell’atto di appello restate prive di motivazione.
- Il Procuratore generale ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ inammissibile in quanto manifestamente infondato.
1.In tema di elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale va osservato che e’ costante l’indirizzo di questa Corte di legittimita’ secondo il quale l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza e’ necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilita’ degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa, nell’ambito della previsione di cui alla L.Fall., articolo 216, comma 1, lettera b), rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest’ultima integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, Inverardi, Rv. 276650; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno, Rv. 269904; Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, Rossi, Rv. 271611; Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, Pastechi, Rv. 271753).
La bancarotta fraudolenta documentale di cui alla L.Fall., articolo 216, comma 1, n. 2, prevede infatti, due fattispecie alternative, quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, che richiede il dolo specifico, e quella di tenuta della contabilita’ in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita che resta a dolo generico.
Tanto premesso, si osserva che l’assenza di motivazione sul dolo specifico del delitto di bancarotta fraudolentadocumentale, nei termini puntuali con i quali e’ stata denunciata con il ricorso, non risulta, dall’incontestata sintesi dei motivi di appello di cui alla sentenza impugnata, oggetto di gravame. In ogni caso, con riferimento all’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale, si rileva che, a fronte della contestazione di cui al capo di imputazione, dal tenore complessivo della motivazione si ricava l’esistenza di giustificazione, coerente e non manifestamente illogica, da parte del giudice di merito.
Dalla motivazione del provvedimento impugnato, invero, emerge che dalla documentazione contabile consegnata al curatore risultava l’esistenza di regolare attivita’, fatturata e contabilizzata, per l’iniziale triennio dalla costituzione dell’impresa. Risultano, poi, esaminate dagli organi fallimentari, per gli anni successivi, scritture contabili (registri Iva, fatture acquisti e vendite) e bilanci tenuti in modo incompleto, dai quali era stato possibile ricavare le attivita’ relative alle ingenti somme contestate come distratte, con impossibilita’ di ricostruzione completa del patrimonio e degli affari della societa’, stante l’inattendibilita’, nel suo complesso, della documentazione contabile consegnata.
Risulta, dunque, sufficiente a sostenere la condotta, nei termini precisati dai provvedimenti di merito, il dolo generico, la cui sussistenza si ricava dalla lettura complessiva della motivazione, ove si sottolinea proprio l’atteggiamento psicologico del ricorrente il quale, attraverso la mancata contabilizzazione di alcune operazioni, comprese quelle di prelievo, aveva, in sostanza, tenuto scritture contabili inattendibili attraverso le quali non aveva consentito agli organi del fallimento, la completa ricostruzione del volume di affari dell’ente.
1.1. A pag. 4 e 5 della sentenza, poi, i giudici di merito rendono motivazione adeguata e non manifestamente illogica, in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di bancarotta per distrazione, con ragionamento estensibile anche al reato di bancarotta documentale, tenuto conto dell’acclarato intento di non consentire agli organi sociali la ricostruzione del patrimonio e del volume di affari della societa’.
Sul punto si osserva che secondo i principi dettati da questa Corte di legittimita’, per il delitto di bancarotta per distrazione, e’ centrale la configurazione della fattispecie incriminatrice come reato di pericolo concreto (Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta, Rv. 269562 Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763). I giudici di merito, nella specie, hanno accertato l’elemento oggettivo della concreta pericolosita’ dei fatti distrattivi (valore di cassa per somme non rinvenute, vendita di tre appartamenti a stretti congiunti, per importi non versati nelle casse della societa’) nonche’ l’elemento soggettivo, rappresentato dal dolo generico, valorizzando, quale “indice di fraudolenza”, la condizione patrimoniale e finanziaria dell’impresa, il contesto in cui la societa’ operava, l’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volonta’ della condotta in concreto pericolosa.
Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e’, infatti, reato di pericolo (ex multis, Sez. 5, n. 11633 del 8 febbraio 2012, Lombardi Stronati, Rv. 252307) nel senso che, essendo l’oggetto della tutela identificabile nell’interesse dei creditori all’integrita’ dei mezzi di garanzia, la L.Fall., articolo 216, prende in considerazione non solo la sua effettiva lesione dovuta al cagionamento di un danno al ceto creditorio, bensi’ anche il pericolo conseguente alla mera possibilita’ che questo si verifichi.
Pertanto, sul versante dell’elemento soggettivo del reato, il dolo necessario per la configurabilita’ della bancarotta patrimoniale e’ quello generico, integrato dalla volonta’ di distaccare il bene oggetto di distrazione dal patrimonio della fallita nella prevedibilita’ del pericolo che tale operazione puo’ determinare per gli interessi dei creditori. In altri termini, e’ sufficiente che la condotta di colui che pone in essere o concorre nell’attivita’ distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l’intenzione di causarlo o che la finalita’ di determinarlo colori il dolo del reato come specifico (Sez. 5, n. 51715 del 05/11/2014, Rebuffo, Rv. 261739 Sez. 5, n. 9807 del 13 febbraio 2006, Caimmi Rv. 234232).
Alla stregua di tali principi, corretta appare, dunque, la motivazione del provvedimento censurato nella parte in cui valorizza, ai fini del dolo, la carenza di indicazioni, da parte del fallito, della destinazione delle ingenti somme mancanti dalla cassa, nonche’ di quelle ricavate dalla vendita di immobili della societa’ a familiari, condotte accompagnate dal ritardo nella richiesta di dichiarazione di fallimento (condotta, comunque, dichiarata estinta per prescrizione), a fronte di consistenti perdite.
2.Segue alla pronuncia, la condanna del ricorrente alle spese processuali, nonche’ al pagamento dell’ulteriore somma indicata in dispositivo, in favore della Cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni previste dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, importo che si ritiene di determinare equitativamente, tenuto conto dei motivi devoluti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.